Il regime giuridico dell’immagine dei beni
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le controversie relative all’utilizzazione economica dell’immagine dei beni, ed in particolare dei beni culturali. Benché il nostro ordinamento non preveda un autonomo diritto di privativa sullo sfruttamento dell’immagine delle cose, la giurisprudenza ha in diversi casi riconosciuto al proprietario il potere di opporsi ad uno sfruttamento commerciale non consentito. Tale soluzione si è consolidata soprattutto nell’ipotesi dei beni sottratti alla pubblica vista. Per contro, ove si tratti di beni liberamente visibili dall’esterno e sui quali non insista alcun diritto di proprietà intellettuale (come ad es. il diritto d’autore dell’architetto), l’immagine delle cose deve ritenersi liberamente fruibile dai terzi, anche per fini di sfruttamento commerciale, salvi gli eventuali limiti derivanti dalla tutela della personalità.
In questi ultimi tempi i repertori di giurisprudenza si sono arricchiti di una nuova tipologia di controversie, destinate ad assumere un rilievo sempre crescente per effetto del perfezionamento delle tecniche di digitalizzazione e diffusione on line delle immagini. Tali controversie hanno ad oggetto la riproduzione – prevalentemente a scopo commerciale – dell’immagine di cose, quali palazzi, siti archeologici, imbarcazioni, e persino parchi pubblici o elementi del paesaggio. Inoltre una specifica fonte di contenzioso è costituita dal progetto di digitalizzazione delle strade pubbliche, posto in essere da Google. Il problema giuridico che si pone in tutti questi casi è costituito dal conflitto tra le libertà dei terzi (libertà dll’arte, di informazione, di iniziativa economica, ecc.) e la pretesa del proprietario, o del titolare di altro diritto reale, di controllare lo sfruttamento dell’immagine del bene.
Negli ultimi due anni si sono avute due importanti prese di posizione delle corti supreme in questa materia. La Corte di cassazione italiana, in una sentenza del 2012, si è soffermata sul problema della pubblicazione non autorizzata dell’immagine delle Catacombe romane, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra nei confronti dell’autore di un libro d’arte1. Questa decisione non è isolata, ma è stata resa a pochi anni di distanza da una discutibile pronunzia del 2009, che aveva ritenuto illecita la riproduzione in un calendario dell’immagine di una barca a vela2. Il secondo intervento rilevante è quello del Bundesgerichtshof tedesco, che nel dicembre 2011 ha emesso tre pronunzie in procedimenti collegati, sancendo l’illiceità della riproduzione a scopo commerciale di alcuni celebri parchi e monumenti berlinesi (in particolare il parco di Sanssouci e il castello di Charlottenburg)3.
Benché non siano andate esenti da critiche, tali decisioni testimoniano inequivocabilmente la rilevanza del problema e l’esigenza di una riflessione attenta sulle sue implicazioni teoriche e pratiche.
Ricostruire il regime giuridico dell’immagine dei beni è un’operazione non semplice. Ben pochi sono i riferimenti normativi espliciti; scarse le riflessioni dottrinali a carattere sistematico; disorganici gli interventi giurisprudenziali. La questione più importante da risolvere consiste nel comprendere quali siano contenuto e limiti di quella che viene comunemente definita come “libertà di panorama”4.
Un paesaggio, scriveva Rouast agli inizi dello scorso secolo, «appartiene a tutti; ognuno può non soltanto contemplarlo liberamente, ma anche disegnarlo, fotografarlo e riprodurre il proprio disegno o negativo»5. Queste considerazioni, un tempo pacifiche, non rispecchiano più lo stato del diritto vigente, il quale appare connotato da una crescente espansione delle prerogative dominicali a detrimento della libertà d’informazione e di iniziativa economica dei terzi. Da un lato le riforme legislative recenti hanno prodotto un significativo rafforzamento dei diritti di privativa, il quale ha riflessi immediati anche sul tema in esame; dall’altro la giurisprudenza ha accordato ampia protezione all’interesse del proprietario a controllare lo sfruttamento economico dell’immagine dei propri beni, mobili o immobili. Ne deriva un graduale mutamento dell’originario equilibrio tra sfere di proprietà e sfere di libertà, il quale revoca in dubbio molti degli assunti dai quali muoveva la ricostruzione di Rouast6.
Per delineare un quadro sufficientemente organico del regime dell’immagine dei beni è necessario procedere ad alcune distinzioni preliminari, differenziando: a) a seconda che sussista o meno un diritto di proprietà intellettuale sul bene; b) a seconda che il bene in questione sia esposto in pubblico, oppure sottratto alla vista; c) a seconda che si tratti di un bene privato o di un bene pubblico.
2.1 Il fondamento della tutela: a) i diritti di proprietà intellettuale
Il potere di riprodurre un bene corporale, sia esso liberamente visibile o meno, incontra un limite generale nei diritti di proprietà intellettuale.
L’ipotesi più frequente è quella del diritto d’autore: si pensi soltanto alle realizzazioni dell’arte figurativa (un esempio emblematico: il Reichstag “impacchettato” da Christo e Jeanne-Claude)7, o alle opere architettoniche8. La facoltà di autorizzarne la riproduzione, in qualsiasi forma o modo, rientra tra le prerogative esclusive dell’autore e la sua violazione dischiude la via ai rimedi inibitori e risarcitori. Decorso il termine di durata del diritto, l’opera entra nel pubblico dominio e la sua riproduzione dovrà ritenersi lecita, salva l’ipotesi di lesione del cd. diritto morale d’autore. Ipotesi di libera utilizzazione dell’opera si ricavano altresì dal sistema delle «eccezioni e limitazioni», di cui al Capo V della l. 22.4.1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore). Particolarmente apprezzabile appare, a questo riguardo, la scelta compiuta in molteplici ordinamenti europei, ove si è introdotta una specifica restrizione per le opere esposte alla pubblica vista. Paradigmatico, a questo proposito, è il § 59 della legge tedesca sul diritto d’autore (UrhG), secondo cui «è consentito riprodurre, diffondere e rendere pubblicamente fruibili, con mezzi pittorico-grafici, tramite fotografie o filmati, opere che si trovano permanentemente esposte in vie, strade o piazze pubbliche. Nel caso degli edifici tali autorizzazioni riguardano solo l’aspetto esterno».
Un cenno va fatto, in secondo luogo, all’ipotesi dell’opera, la quale applichi o incorpori un disegno o modello registrato tutelabile ai sensi degli art. 31 e ss. del Codice della proprietà industriale (d.lgs. 10.2.2005, n. 30). A questo proposito si è ritenuto che la raffigurazione non autorizzata in ambito pubblicitario – dunque non compiuta «in ambito privato e per fini non commerciali» (art. 41) – sia soggetta al potere di veto del titolare della privativa9.
Infine, deve farsi un cenno all’art. 19, co. 3 c.p.i, il quale prevede che «[a]nche le amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni possono ottenere registrazioni di marchio, anche aventi ad oggetto elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico o ambientale del relativo territorio». La norma persegue chiaramente una finalità di riduzione del disavanzo pubblico; il suo effetto, però, è quello di incentivare la registrazione come marchio di immagini (specie stilizzate) di edifici, monumenti e luoghi di rilevanza storica od artistica, con un conseguente assottigliamento del regime di libera fruizione rispetto alle utilizzazioni in ambito commerciale.
2.2 b) i diritti della personalità e il diritto di proprietà
Se sul bene in esame non insiste alcun diritto di proprietà intellettuale, perché mai sorto o perché l’opera è ormai caduta nel pubblico dominio, l’immagine deve ritenersi in linea di principio liberamente riproducibile. Tuttavia, specifici limiti all’utilizzazione possono derivare dalla disciplina dei diritti della personalità e, soprattutto, dal diritto di proprietà.
Un conflitto con i diritti della personalità si è posto in numerosi casi, attinenti per lo più all’ipotesi della rappresentazione cinematografica o televisiva di palazzi ed appartamenti privati, idonea a produrre, per determinate ragioni di contesto, una lesione alla riservatezza o all’identità personale10. Inoltre, problemi particolari sono stati sollevati, di recente, dall’utilizzazione dei dati geo-spaziali, ed in particolare dal progetto “Google Street View”11.
Ancor più interessanti risultano i problemi di coordinamento con la disciplina del diritto di proprietà. Diverse norme di diritto positivo sembrano escludere che tra le prerogative del proprietario possa farsi rientrare anche il controllo sulla riproduzione dell’immagine del bene. Si pensi soltanto alle norme che circoscrivono le facoltà di godimento e disposizione alle “cose” che formano oggetto del diritto, senza contemplare le relative proiezioni incorporali (cfr. art. 832 c.c.); o alle regole della proprietà intellettuale, che appuntano l’esclusiva in capo all’autore di un opera dell’ingegno e non al proprietario del supporto materiale (si pensi tipicamente ad un’opera architettonica). Ciononostante è proprio al diritto di proprietà che si fa ormai insistentemente ricorso al fine di fondare un regime di appartenenza in forma esclusiva dell’immagine del bene. Per valutare la tenuta di una siffatta ipotesi ricostruttiva, è necessario distinguere due ipotesi principali, a seconda che: a) i beni in esame siano sottratti alla pubblica vista; b) essi siano liberamente visibili dall’esterno.
Se i beni in questione (mobili o immobili) non sono liberamente visibili e la captazione della loro immagine presuppone l’accesso al fondo, può ritenersi sussistente in capo al proprietario un’apposita facoltà d’interdizione. Difatti, in virtù del proprio diritto reale, egli può, in linea di principio, proibire l’accesso al fondo a qualsiasi terzo; oppure, può consentire l’ingresso, subordinandolo al rispetto di determinate condizioni ed obblighi di condotta, tra cui anche il divieto di captazione e/o riproduzione delle immagini non visibili dall’esterno12. L’eventuale violazione di un siffatto divieto integrerà, ovviamente, gli estremi di un illecito civile.
In numerose occasioni le corti hanno stabilito che la divulgazione non autorizzata dell’immagine di un bene non esposto alla pubblica vista leda le prerogative del proprietario e dischiuda la via agli ordinari rimedi inibitori e risarcitori13. Tale soluzione, si badi, è stata applicata anche in relazione ai beni culturali accessibili previo pagamento di un prezzo14. Da un lato tale modello regolatorio trova un immediato riscontro nella disciplina pubblicistica della riproduzione dei beni culturali in consegna allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali15; dall’altro esso riflette una tendenza giurisprudenziale consolidata a livello europeo e ribadita dai recenti interventi della Corte di cassazione italiana e del BGH tedesco16.
Se la suddetta soluzione operativa può ritenersi in quanto tale incontroversa, permangono alcune incertezze in ordine alla ricostruzione dei lineamenti dogmatici della situazione soggettiva sottostante (e di riflesso in relazione ad alcuni aspetti della disciplina applicabile).
Una prima tesi riconduce il potere di controllo sulla circolazione dell’immagine alla mera disponibilità materiale del bene17. Ciò significa escludere che lo sfruttamento dell’immagine rappresenti una specifica facoltà iscritta nel diritto di proprietà e ritenere, invece, che la fonte dei doveri di condotta risieda unicamente nel regolamento pattizio. Ciò implica che la tutela avrà un carattere meramente obbligatorio, con tutto ciò che ne consegue sul piano dei rimedi esperibili e dell’opponibilità ai terzi delle restrizioni circa l’uso del bene.
Una seconda tesi costruisce invece il potere interdittivo come diretta manifestazione del diritto di proprietà: essendo al proprietario riconosciuto il diritto di godere e disporre in maniera esclusiva, nonché ritrarre i frutti della cosa, anche lo sfruttamento economico dei suoi profili incorporali (s’intende: nel caso in cui il bene sia sottratto alla pubblica vista) dovrebbe ritenersi parte del contenuto del diritto di proprietà. Da ciò discende che la tutela avrà un carattere reale e non meramente obbligatorio e la riproduzione dell’immagine costituirà un illecito anche se posta in essere da un terzo di buona fede. Quest’ultima, in particolare, è la prospettiva attualmente accolta dal BGH tedesco, il quale – nonostante le opinioni contrarie manifestate in dottrina18 – ha a tal scopo richiamato le norme del § 903 BGB, concernente le prerogative del proprietario, e il § 99 BGB, relativo ai frutti della cosa19.
3.1 Beni liberamente visibili
La tutela offerta, direttamente o indirettamente, dal diritto di proprietà non si estende all’ipotesi in cui il bene sia liberamente visibile da chiunque. L’immagine costituisce – secondo il lessico degli economisti – un’entità tipicamente non rivale nel consumo e il suo godimento plurimo da parte dei terzi non intacca in alcun modo le prerogative del proprietario. Perché essa rilevi quale autonomo bene immateriale e sia sottoposta ad un regime di riserva, è necessario che sussistano i presupposti costitutivi di uno dei diritti di proprietà intellettuale tipizzati in via legislativa. Ove ciò non accada, l’immagine dovrà ritenersi liberamente fruibile da parte dei terzi. Questa è una conclusione ampiamente condivisa a livello europeo20 e che deve considerarsi – nonostante alcune discutibili affermazioni contenute in una pronunzia di legittimità del 200921 – l’unica compatibile con i principi generali del sistema.
Qualche dubbio si è posto in relazione ai beni culturali in consegna allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, alla luce della disciplina dettata dagli artt. 107-109 del Codice dei beni culturali, la quale subordina la riproduzione dell’immagine dei beni all’autorizzazione dell’amministrazione consegnataria e al pagamento di un canone per l’uso non personale. A ben vedere, tuttavia, tali perplessità si rivelando infondate. Il meccanismo intorno a cui ruota l’attuale sistema concessorio è fondato sull’ipotesi della conservazione del bene all’interno di un luogo ad accesso regolamentato; esso darebbe vita ad esiti irrazionali, oltre che poco pratici, qualora venisse trasposto alla fattispecie dei beni esposti alla pubblica vista. Non a caso la prassi prevalentemente seguita dalle amministrazioni pubbliche è orientata nel senso della libera fruibilità dei beni esposti alla pubblica vista22.
1 Cass., 16.3.2012, n. 4213, in Dir. inf., 4/5, 2012, con nota di Resta, G., Le fotografie delle Catacombe e la proprietà intellettuale.
2 Cass., 11.8.2009, n. 18218, in Danno e resp., 2010, 471, con note di Resta, G., L’immagine dei beni in Cassazione, ovvero: l’insostenibile leggerezza della logica proprietaria, e di Pastore, M., Prove (a)tecniche di tutela esclusiva dell’immagine dei beni, in AIDA, 2010, 591 con nota di Mayr, C.E., I diritti del proprietario sull’immagine della cosa.
3 BGH, 17.12.2010, Sanssouci, in JZ, 2011, 371; in ZUM, 2011, 325; in ZUM, 2011, 333.
4 Maaßen, V.W., Panoramafreiheit in den preußischen Schlossgärten, in GRUR, 2010, 880 ss.
5 Rouast, A., Nota a App. Grenoble, 15.7.1919, in Dalloz, 1920, 2, 9.
6 Per un quadro d’insieme v. Resta, G., L’immagine dei beni, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, a cura di G. Resta, Torino, 2011, 550 ss.; Geiger, C., La remise en cause du droit à l’image des biens: une privatisation du domaine public enfin freinée?, in Rev. Lam. Dr. Imm., 2005, 6, 6.
7 BGH, 24.1.2002, Verhüllter Reichstag, in GRUR, 2002, 605.
8 BGH, 5.6.2003, Hundertwasser-Haus, in GRUR, 2003, 1035.
9 Fusi, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. dir. ind., 2006, I, 89, 106.
10 Trib. Napoli, 25.7.1958, in Giust. civ., 1959, I, 389; BGH, 23.6.1960, in NJW, 1960, 1614.
11 Boring v. Google, Inc., 2009 WL 931181 (W.D. Pa. April 6, 2009); in tema v. Lindner, C., Persönlichkeitsrecht und Geo-Dienste im Internet z. B. Google Street View/Google Earth, in ZUM, 2010, 292.
12 V. ad es. Wanckel, E., Auf dem Weg zum ‘Recht am Bild der eigenen Sache?, in NJW, 2011, 1779.
13 Tra le pronunzie più risalenti v. BGH, 20.9.1974, Schloß Tegel, in GRUR, 1975, 500; App. Paris, 18.2.1972, in RIDA, 1972, 214; Pret. Roma, 23.6.1980, in Dir. aut., 1980, 470.
14 Lehment, H., Das Fotografieren von Kunstgegenständen, Göttingen, 2008, 111 ss.
15 In tema Resta, G., L’immagine dei beni, cit., 568-570.
16 Cass. n. 4213/2012; BGH, 17.12.2010.
17 Da ultimo, Dreier, T., Germany: Creating New Property Rights on the Basis of General Legal Concepts - Without Limits?, in JIPITEC 2 (2011), 152; H. Schack, Anmerkung a BGH, 17.12.2010, in JZ, 2011, 375-376.
18 Per una rassegna di opinioni v Flöter, B.-Königs, M., Verletzung des Rechts am grundstücksinternen Bild der eigenen Sache und Übertragbarkeit der dreifachen Schadensberechnung auf deliktische Schadensersatzansprüche aus Eigentumsverletzung, in ZUM, 2012, 383.
19 BGH, 17.12.2010, cit.
20 BGH, 9.3.1989, Friesenhaus, in GRUR, 1990, 390; Trib. Milano, 28.1.1993, in AIDA, 1994, 325.
21 Cass. 11.8.2009, n. 18218, su cui v. le note critiche di Garaci, I., La tutela dell’immagine dei beni, in Resp. Civ., 2011, 836; Spinelli, A., I diritti della personalità dell’imbarcazione famosa? La parola alla Corte, in Dir. maritt., 2011, 443; Resta, G., L’immagine dei beni in Cassazione, ovvero: l’insostenibile leggerezza della logica proprietaria, cit.
22 Su questo problema v. Resta, G., L’immagine dei beni, cit., 583-583; nonché Maaßen, W., Panoramafreiheit in den preußischen Schlossgärten, cit.