Il progetto di riforma delle procedure concorsuali
In un periodo di crescita economica, subito prima della crisi globale degli anni 20072008, il Governo emanò, con decretazione d’urgenza, un provvedimento volto a riformare talune regole relative alla crisi d’impresa. Tali nuove regole andavano decisivamente nella direzione del riconoscimento di una più ampia autonomia delle parti in luogo dell’eteronomia giudiziale. Di poi, tra il 2006 e il 2015 si è assistito ad un imponente fenomeno di legislazione emergenziale con continui cambiamenti spesso orientati in modo contraddittorio – e ciò al lume del mutato scenario macroeconomico – per giungere, nel 2015 alla istituzione di una (ennesima) commissione ministeriale di riforma, dai cui lavori il Governo ha tratto quasi integralmente il disegno di legge delega presentato l’11 marzo 2016 alla Camera dei deputati e rubricato col n. 3671 C. Si tratta di un disegno di legge diretto a regolare la materia della crisi d’impresa in modo organico, pur se da quel testo è stato presto espunto l’articolato volto a disciplinare l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 I principi generali sostanziali 2.2 I principi generali procedimentali 2.3 I principi generali organizzativi 2.4 I gruppi 2.5 L’allerta 2.6. Piani attestati e accordi di ristrutturazione 2.7 Concordato preventivo 2.8 Liquidazione giudiziale 2.9. Esdebitazione e sovraindebitamento 2.10 Liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria 3. I profili problematici
Il r.d. 16.3.1942, n. 267 – più noto come “legge fallimentare” (l. fall.) – costituisce, ancora, nella seconda decade del nuovo millennio l’architrave della disciplina della crisi e dell’insolvenza delle imprese. Tale impianto normativo, al netto di sporadiche incursioni del Giudice delle leggi, è rimasto sostanzialmente inalterato dal 1942 al 2005, quando venne emanato il d.l. 14.3.2005, n. 35, con il quale il legislatore modificò in misura ampia il concordato preventivo, istituì gli accordi di ristrutturazione e il piano attestato di risanamento, sconvolse l’azione revocatoria fallimentare, sia dimezzando il periodo sospetto, sia inoculando svariate forme di esenzione.
Con una successiva delega (d.lgs. 9.1.2006, n. 5), venne abrogata l’amministrazione controllata e vennero modificate molte disposizioni del fallimento. Tuttavia quell’assetto normativo ebbe vita breve perché intervenne il d.lgs. 12.9.2007, n. 169 che corresse non poche disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo. Successivamente, con cadenza quasi annuale si sono susseguiti svariati decreti legge e leggi di conversione che sono principalmente intervenuti sulla disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione sino al più recente d.l. 27.6.2015, n. 83, convertito con profonde e divaricanti modifiche nella l. 6.8.2015, n. 132.
Il quadro normativo che ne è scaturito è quanto mai frastagliato e disarmonico, spesso frutto di situazioni emergenziali. Di ciò ben consapevole, il Governo ha istituito nel gennaio 2015 una commissione di esperti, presieduta da Renato Rordorf (attuale presidente aggiunto della Suprema Corte di cassazione) e che nel prosieguo sarà, appunto, appellata come “Commissione Rordorf”.
I lavori della Commissione si sono dipanati lungo tutto il 2015. Una volta consegnato il testo definitivo al Ministro della giustizia, il Dicastero ha presentato l’11 marzo 2016 alla Camera dei deputati il d.d.l. C 3671, contenente poche ma decisive varianti rispetto al testo della Commissione. In occasione della seduta del 12 maggio 2016, la Commissione giustizia della Camera ha disposto lo stralcio dell’art.15 relativo all’amministrazione straordinaria. Pertanto, dal d.d.l. C 3671, sono gemmati il d.d.l.C 3671 bis – ora rubricato «Delega al Governo per la per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza» – e il d.d.l.C 3671 ter – ora rubricato «Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria».
L’iniziativa del Governo nasce da diverse fonti; da un lato la presa d’atto della frammentazione normativa causata dalla giustapposizione di testi legislativi occasionali e spesso tutt’altro che armonici; dall’altro lato la consapevolezza che la materia della crisi dell’impresa è centrale in una più ampia cornice di disposizioni orientate a favorire la competitività del Paese; dall’altro lato, ancora, decisive sono state:
i) le sollecitazioni contenute nella raccomandazione europea del 12 marzo 2014 «su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza»;
ii) l’elaborazione di una direttiva mirante all’armonizzazione delle normative nazionali in materia di procedure di ristrutturazione e di insolvenza, nell’ambito del «Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali» (COM 2015, 468);
iii) il nuovo regolamento n.848/2015 sulle procedure d’insolvenza transnazionali;
iv) i princìpi della model law, elaborati in tema di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral)1.
Il disegno di legge è composto da quindici articoli (oltre a quello stralciato, ma fondamentale in materia di amministrazione straordinaria), molti dei quali assai densi e talora più simili ad un testo compiuto che non ad una delega, tanto è vero che uno di essi (l’art.14 sulle “garanzie non possessorie”) è di fatto confluito nella legge 30 giugno 2016 n.119, di conversione del decreto legge n.59 del 3 maggio 2016 che regola il nuovo pegno mobiliare non possessorio.
Messo da parte questo nuovo istituto (per la cui disamina v. in questo volume, Diritto civile, 2.1.3 Pegno non possessorio),va sin da subito precisato che il primo articolo – del d.d.l.C 3671 bis – è dedicato, come di consueto nella legislazione per delega, all’oggetto della delega che è costituito (testualmente) dalla «riforma organica delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni».Sennonché la delega è più estesa perché, di poi, l’art.1 menziona, anche, le procedure per la risoluzione delle crisi da sovraindebitamento.
In sostanza la delega, se sommata a quella del d.d.l. C 3671 ter, dovrebbe avere come bacino di estensione tutte e proprio tutte le procedure concorsuali e tutti gli istituti di risoluzione della crisi d’impresa.
L’esame del perimetro molto ampio della delega e la declinazione in concreto nelle successive scalari disposizioni, induce il primo dubbio. Infatti, v’è da chiedersi se l’obiettivo sia, veramente, una riforma organica a tutto tondo o se non si voglia un ennesimo restyling delle procedure in atto, al lume del fatto (v., infra) che molti istituti della legge fallimentare del 1942 non vengono neppure sfiorati dalla delega.
La riforma che porta in rubrica l’appellativo di «organica » si snoda in diversi articoli, ciascuno dei quali è destinato a dettare principi e criteri direttivi, spesso assai dettagliati, riferiti a vari ambiti.
Dalla relazione di accompagnamento al provvedimento, si ricava che i principali profili innovativi del disegno di legge di riforma delle procedure concorsuali sono i seguenti:
a) l’introduzione di un generale quadro di favore per gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi, ricondotti ad una fase preventiva di «allerta», finalizzata all’emersione precoce della crisi d’impresa e ad una sua risoluzione assistita;
b) la facilitazione, nello stesso quadro, all’accesso ai piani attestati di risanamento e agli accordi di ristrutturazione dei debiti;
c) la semplificazione delle regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative, anche di natura giurisprudenziale, che nuocciono alla celerità delle procedure concorsuali;
d) la revisione della disciplina dei privilegi;
e) l’individuazione del tribunale competente in relazione alle dimensioni e tipologia delle procedure concorsuali; in particolare, le procedure di maggiori dimensioni sono assegnate al tribunale delle imprese (a livello di distretto di corte d’appello);
f) l’eliminazione della procedura fallimentare e la sua sostituzione con quella di liquidazione giudiziale;
g) una rivisitazione, sulla base delle prassi verificate e delle criticità emerse, della normativa sul concordato preventivo, lo strumento ritenuto più funzionale tra quelli concorsuali attualmente vigenti;
h) la sostanziale eliminazione come procedura concorsuale, della liquidazione coatta amministrativa, che residua unicamente come possibile sbocco dei procedimenti amministrativi volti all’accertamento e alla sanzione delle gravi irregolarità gestionali dell’impresa;
i) la previsione di una esdebitazione di diritto (non dichiarata, quindi, dal giudice) per le insolvenze di minori dimensioni;
l) le modifiche alla normativa sulle crisi da sovraindebitamento, sia per coordinarla con la riforma in essere che per tenere conto dell’esperienza maturata dall’introduzione di tale istituto con la l. 27.1.2012, n. 3;
m) le nuove norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie (cc.dd. leggi Prodi e Marzano), finalizzate a contemperare la continuità produttiva e occupazionale delle imprese con la tutela dei creditori;
n) l’introduzione di una specifica disciplina della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese, che va a colmare una lacuna dell’attuale legge fallimentare.
Nel prosieguo, la trattazione – secondo la sintesi tipica di quest’Opera – seguirà, per comodità espositiva, la sequenza dell’articolato.
Molta enfasi, soprattutto sugli organi di stampa, è stata data alla scelta di cancellare il lemma fallimento e ciò sul presupposto della natura denigratoria dell’espressione. Si tratta di una scelta non obbligata vista la recente ordinanza della Corte costituzionale2, ma allineata ad un sentire diffuso. Di volta in volta il legislatore parlerà di insolvenza e di procedura di liquidazione giudiziale, ma ciò che più conta è che davvero la procedura d’insolvenza resti una procedura seria senza per questo dover essere percepita come una sanzione.
Assai più significativa in chiave di sistema appare la scelta binaria di:
i) conservare l’attuale nozione di insolvenza;
ii) introdurre una nuova e autonoma nozione di crisi.
L’art. 5 l. fall. è rimasto al riparo da tutte le modifiche post 2005 e ben a ragione, perché la nozione di insolvenza ha acquisito nel tempo una sua conformazione ormai consolidata, tanto da non generare tensioni interpretative.
Quando, però, nel 2005 il legislatore introdusse il nuovo concetto di «crisi» dell’impresa, si premurò di precisare che la crisi è un fenomeno più vasto dell’insolvenza, questa ricomprendendola. Ora che, per diversi profili, si tende a distanziare – quanto ad effetti – la crisi dall’insolvenza (ad esempio a proposito delle proposte ostili di concordato), il legislatore ha previsto di offrire una definizione dello stato di crisi, da intendersi come probabilità di futura insolvenza.
Probabilmente, in futuro, una sicura demarcazione fra insolvenza e crisi richiederà l’ausilio di cognizioni di tecnica aziendalistica che sinora erano rimaste sostanzialmente estranee alla configurazione della nozione di insolvenza.
Una volta chiarito qual è il presupposto oggettivo di accesso alle nuove procedure concorsuali, fra i principi generali trova collocazione anche una nuova articolazione selettiva dei soggetti cui destinare le nuove procedure concorsuali.
Lo scenario normativo si muove sul solco della tesi secondo la quale è opportuno che tutti e proprio tutti i soggetti siano protagonisti di procedure di crisi e di insolvenza ma si è lasciato al legislatore delegato il compito di discernere quelle situazioni nelle quali si richiede un intervento più strutturato (e che per comodità potrà risultare equipollente all’attuale tandem fallimento-concordato preventivo) da quelle nelle quali il modello dovrebbe essere un procedimento più snello, modellato sull’attuale procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Una prima applicazione dell’idea dominante della generalizzazione delle procedure di crisi e di insolvenza si trova nel decreto delegato di riorganizzazione della cc.dd. società pubbliche (cd. decreto Madia) là dove si stabilisce che tali imprese siano assoggettabili alle tradizionali procedure concorsuali, così chiudendosi un complesso dibattito sulla infallibilità di tali enti, tesi per vero già smentita, ma non così categoricamente, dalla giurisprudenza di legittimità.
Le linee di intervento sul versante processuale si articolano su tre livelli:
i) la previsione di un unico contenitore processuale volto ad accertare i presupposti per l’accesso alle procedure;
ii) la revisione dei soggetti legittimati ad assumere le iniziative;
iii) la volontà di accrescere l’efficacia e l’effettività delle decisioni3.
Quanto al primo aspetto, il disegno di legge delega è alquanto generico e non lascia trasparire i contorni di quale dovrebbe essere questo procedimento unitario. Infatti, aldilà di un vago richiamo al principio di celerità, nulla si dice quanto al modello processuale da adottare, se quello a cognizione piena (sebbene semplificata) o se quello camerale o camerale “arricchito”.
Quanto al secondo aspetto, le opzioni distese nel d.d.l. sono più limpide e rappresentano qualcosa di più che un semplice ritorno al passato. Ed allora, se viene declamata la volontà di espungere totalmente ogni iniziativa officiosa – ma una declamazione smentita nella Relazione, quanto meno nel passaggio da una procedura ad un’altra –, per converso attribuire agli organi di controllo sull’impresa la legittimazione ad instare per l’apertura di un procedimento di accertamento della crisi e dell’insolvenza va, di sicuro, nella direzione di una emersione anticipata della crisi perché gli allarmi interni possono essere percepiti prima. Anche l’estensione della legittimazione del p.m. va nella stessa direzione, né appare distonica con una liberalizzazione della gestione dell’insolvenza.
È, infatti, convinzione diffusa che crisi e insolvenza di una impresa non possano essere percepiti come un affare esclusivo del debitore e dei creditori. Vi sono interessi coinvolti superindividuali e a loro tutela la presenza del p.m. è più che giustificabile.
Quanto al terzo aspetto, va segnalato che l’effettività dei procedimenti concorsuali vuole essere garantita assicurando la presenza di misure cautelari (peraltro non disegnate); ma anche l’efficacia delle decisioni sembra nutrirsi di nuova linfa là dove si prevede che il regime delle impugnazioni e la sorte delle decisioni di queste impugnazioni abbia un grado di utilità/effettività maggiore di quello sino ad ora disegnato.
Nell’ambiente delle procedure concorsuali, ai fini di assicurare una maggiore efficienza, le misure organizzative si rivelano fondamentali.
Orbene, i livelli di intervento sono plurimi:
i) si vuole armonizzare la nozione di competenza interna con quella in voga nel regolamento comunitario;
ii) si vuole perseguire una più intensa specializzazione dei giudici per il tramite di una concentrazione della competenza.
Il primo aspetto è di pure tecnica processuale, nel senso che il criterio di collegamento evocato diviene quello di centro degli interessi principali del debitore.
Assai più innovativa è, invece, la determinazione di modulare su tre livelli la distribuzione delle procedure fra i diversi organi giudiziari: per le procedure di gruppo e per le amministrazioni straordinarie si stabilisce che la procedura sia affidata al tribunale che coincide col tribunale delle imprese; per le procedure di esdebitazione si prevede di lasciare la gestione a tutti i tribunali, mentre per la fascia intermedia, ovverosia quella statisticamente più rilevante,
si prevede l’attribuzione a tribunali infradistrettuali e ciò per consentire un più adeguato livello di specializzazione.
Una certa enfasi è stata data alla regolazione della crisi o insolvenza del gruppo di imprese sia nella versione della composizione concordata che in quella della liquidazione giudiziale4. Al di là dell’enfasi, l’approccio è tutto sommato di natura conservativa e ciò perché molte delle soluzioni proposte sarebbero già postulabili oggi in via interpretativa ovvero per il tramite di tecniche di organizzazione dei procedimenti. Salta però in evidenza la circostanza, decisamente significativa, della rilevata esistenza del gruppo sul piano del diritto applicato.
Le disposizioni di rango innovativo pertengono alla previsione di una possibile gestione unitaria della crisi e dell’insolvenza che si declina, emblematicamente, nella opportunità di fare ricorso ad un’unica domanda – con conseguente unico contenitore processuale – per regolare convenzionalmente la crisi del gruppo, un approdo sino ad ora praticabile con qualche tortuoso virtuosismo processuale ma di fatto non praticato. Il limite lo si rinviene là dove si precisa che va in ogni caso salvaguardata l’autonomia delle masse attive e passive di ciascuna società; vero è, però, che all’art. 3, co. 2, lett. f), viene restituita una ampia autonomia con riferimento alle opportunità di far leva sulle operazioni di riorganizzazione societaria.
Con specifico riferimento al concordato preventivo si stabilisce che possano essere raccordate le votazioni, un ostacolo sino ad ora insuperabile secondo l’interpretazione della giurisprudenza5.
Infine, per ciò che attiene alla procedura di liquidazione giudiziale, vengono chiarite le attribuzioni del curatore della procedura di gruppo cui vengono conferiti importanti poteri in tema di “azioni di recupero”, mediante:
i) la possibilità di azionare rimedi contro operazioni antecedenti l’accertamento dello stato di insolvenza e dirette a spostare risorse ad altra impresa del gruppo, in danno dei creditori;
ii) la facoltà di esercitare le azioni di responsabilità di cui all’art. 2497 c.c.;
iii) di promuovere la denuncia di gravi irregolarità gestionali nei confronti degli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale.
La raccomandazione UE citata (v., supra, § 1) ha invitato gli Stati membri a prevedere misure o strumenti volti a facilitare la soluzione delle crisi d’impresa, a rendere più immediate e meno costose tali soluzioni.
Orbene, in Italia, da molti anni si era formato un vivace dibattito sull’introduzione di misure di allerta o, più in generale, di istituti di prevenzione, variamente modulati, ma inequivocamente diretti a far emergere con maggiore tempestività la crisi dell’impresa.
Forte di questa sollecitazione extranazionale, nel d.d.l. compaiono plurime disposizioni che in qualche modo, attraverso diversi canali, sembrano favorire una reazione anticipata alla crisi.
Si guardi, dapprima, alla riconosciuta attribuzione agli organi di controllo della legittimazione ad avviare un procedimento per l’accertamento dell’insolvenza e, di poi, all’utile raccordo fra responsabilità ed emersione tempestiva della crisi che emerge dalla rinnovata attenzione per le azioni di responsabilità verso gli organi sociali.
Ed ancor più efficace potrebbe divenire la previsione inclusa nell’art. 13 a proposito del dovere per gli organi della società e per l’imprenditore di dotarsi di apparati organizzativi atti a rilevare con tempestività la crisi, con coerente obbligo di attivazione6.
Coniugando questo principio con l’estensione delle proposte concordatarie concorrenti7 (sebbene solo per lo stato di insolvenza) che vengono rese autonome, si riesce a edificare un sistema di incentivi – pro-attivi e reattivi – che qualche risultato dovrebbero portarlo.
Poiché, spesso, le azioni di responsabilità sono state azionate infruttuosamente, uno spiraglio per elevarne l’effettività si può cogliere nella previsione di predeterminare criteri di quantificazione del danno, in modo da agevolare l’onere probatorio dell’attore nei casi di azioni che si fondano sulle responsabilità di cui all’art. 2486 c.c.8
Una volta valutati questi profili, come detto più tradizionali, merita soffermarsi brevemente sull’art. 4 rubricato Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi9.
Il tema dell’allerta ricorre periodicamente sin dall’inizio degli anni 2000.
Al cospetto delle molte spinte per una loro introduzione, sino ad oggi più forti si sono dimostrate le controspinte ostili alla legiferazione.
Il disegno di legge le ripropone; sennonché il testo della Commissione che aveva trovato consenso su una ipotesi di mediazione fra riservatezza ed efficienza, è stato con pochi ma incisivi innesti orientato in direzione giudiziaria.
Le travi portanti, nel disegno della Commissione, erano la riservatezza del procedimento, l’estraneità alla autorità giudiziaria del gestore del procedimento, la previsione di un “facilitatore” per la ricerca di una soluzione concordata fra debitore e creditori; un “lieto” fine, nel senso che la Commissione non si poneva nella proiezione del “dopo”, qualora il procedimento di allerta non avesse condotto alla risoluzione della crisi. I punti critici restavano la selezione di quali dovessero essere i segnali di allerta nonché un eccesso di procedimentalizzazione che rischia di burocratizzare un procedimento la cui cifra dovrebbe essere la snellezza e flessibilità.
Ma, più di tutto, la criticità, certo non imputabile al testo, stava nell’effettività dello strumento. Sennonché le criticità sono aumentate, se è vero che il consenso che circondava le misure si è sciolto rapidamente, perché all’esito del procedimento (che appare configurato con tonalità eccessivamente burocratiche) viene coinvolta l’autorità giudiziaria con la designazione di un professionista che deve certificare lo stato di crisi con successiva pubblicazione della “certificazione” sul registro delle imprese se il debitore non si è adoperato per risolverla.
Al cospetto della procedura di concordato preventivo che nel decennio 2005-2015 è stata fatta oggetto di plurime novellazioni normative e, soprattutto, di duri contrasti interpretativi fra dottrina e giurisprudenza, i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione hanno vissuto una stagione più felice.
Dei piani attestati, in verità, non si sa ancora molto, sia perché spesso non è stato necessario divulgarli, sia perché quando pure non hanno avuto successo, in genere sono stati seguiti da accordi di ristrutturazione o da concordati preventivi meno traumatici e spesso, quindi, meno problematici. In tale ottica il d.d.l. si muove sul piano del semplice restyling, in quanto si prevede che il piano attestato debba avere forma scritta e data certa (due connotati di cui, in verità, non si dubitava in via interpretativa) e che l’attestazione vada ripetuta in caso di varianti non marginali del piano.
Quanto agli accordi di ristrutturazione il Governo sembra consapevole che lo strumento persegua interessi meritevoli con sufficienti margini di effettività e, dunque, il d.d.l. si dipana nel solco di un ampliamento dello strumento sia rendendo più flessibile la soglia di accesso degli aderenti (quando minori sono gli effetti che l’accordo dovrebbe produrre nei confronti dei terzi), sia per certi versi replicando quella concorsualizzazione progressiva già parzialmente avviata con l’implementazione dell’art. 182 septies l. fall.; tuttavia manca una chiara scelta di campo sulla natura di tale istituto10.
Dal 2005 in avanti, la massima attenzione di tutti è stata dedicata al concordato preventivo e l’art. 6 della delega se ne occupa diffusamente.
Chiunque effettui un confronto sinottico fra il testo licenziato dalla Commissione e quello licenziato dal Governo avvertirà quanto poche siano state le modifiche; orbene, quelle più significative sono tutte allocate nella disciplina del concordato e dell’allerta. In ambedue i casi con una chiara volontà di dare più potere ai giudici. Senza qui prendere posizione se sia una scelta condivisibile, non può non essere enfatizzata perché segna un dietrofront rispetto al 2005.
La prima scelta, decisamente innovativa, consiste nella volontà di espungere il modello di concordato liquidatorio; non si nega che possano essere disposti atti di liquidazione ma si stabilisce che il piano non può avere come baricentro la liquidazione dell’impresa e ciò perché nei principi generali è declamato il valore prioritario della continuità aziendale (art. 2)11.
È un sentire diffuso quello secondo il quale i concordati liquidatori hanno dato risultati insoddisfacenti pur se, forse, è mancata una seria analisi (anche statistica) del cattivo funzionamento12.
I concordati “buoni” sono stati pochi perché, in disparte la gravità della crisi economica globale, è venuta meno la comparazione con dei “buoni” fallimenti.
La demolizione dell’azione revocatoria fallimentare (per nulla scalfita dalla legge delega che proprio non se ne occupa) è stata considerata virtuosa perché si pensava che in quel modo si potesse incentivare il sistema a dare credito all’impresa in crisi13. L’esperienza ha dimostrato che così non è accaduto, perché alla scomparsa delle revocatorie non si è accompagnato alcun virtuoso meccanismo di sostegno all’impresa, e di riflesso le crisi si sono incrementate.
Il Governo ha ritenuto di operare un’opzione drastica e di togliere di torno i concordati con piano di liquidazione assumendo che se di liquidazione si deve trattare tanto vale che sia una liquidazione in tutto e per tutto giudiziale, cioè la procedura sostitutiva del fallimento. In verità i pochi dati statistici noti sembrano smentire una migliore redditività dei fallimenti rispetto ai concordati liquidatori, non fosse altro che per l’assai più elevato tasso di burocratizzazione delle procedure giudiziali.
Il concordato preventivo diverrà ammissibile quando fondato su di un piano di continuità aziendale; si tratta, però, di capire se in concreto il meccanismo potrà funzionare virtuosamente.
Infatti, si prevede che il giudice potrà verificare la realizzabilità economica del piano, con buona pace degli orientamenti giurisprudenziali14 e con lo svilimento del ruolo approvativo dei creditori.
Si è detto ripetutamente che la svolta del 2005 nel segno della autonomia privata non ha reso i risultati attesi perché i protagonisti e soprattutto i creditori non hanno saputo giocarsi il loro ruolo15. Si tratta di una valutazione che è probabilmente molto vicina alla realtà. Ma anziché andare nella direzione della loro responsabilizzazione, si è preferito tornare al giudice e al suo ruolo di supplenza.
I maggiori poteri valutativi consegnati al giudice pertengono ad un profilo che poco ha a che vedere con la tutela dei diritti. Per stabilire se un piano è economicamente realizzabile è verosimile presumere che giudice si dovrà avvalere dei suoi consulenti, e questa sua valutazione, in quanto tipicamente predittiva, come quella dell’attestatore o del commissario, non potrà mai essere “certificabile”.
Ed allora il ruolo del giudice dovrebbe essere quello di garantire che tutti coloro che sono incisi dalla crisi possano esprimere la loro voce e che l’approvazione dei creditori non si risolva nel “pigiare un bottone” (vista la previsione dell’adunanza telematica), ma nella ostensione di tutte e proprio tutte le criticità dell’operazione concordataria. Il giudice dovrebbe avere il compito di massimizzare le informazioni, anche sulla realizzabilità economica, ma lasciandone ai creditori la responsabilità decisoria.
Nel d.d.l. si prevede di intervenire nuovamente anche sulle cc.dd. tecnicalità della procedura, specie su quelle che hanno germinato maggiori contrasti – come ad esempio, le regole sui rapporti pendenti o quelle sulla formazione delle classi –; tuttavia, oltre a questi aspetti di pure tecnica ne compare anche uno sistemico destinato ad essere fonte di aspre polemiche.
Viene sottratto al debitore il monopolio sulla scelta dell’accesso al concordato le quante volte la situazione economica possa essere qualificata come insolvenza (e non come semplice crisi). Si tratta di una scelta, davvero, dirompente anche se forse più in chiave ideologica che pratica perché sarà assai problematico per un terzo formulare una proposta di concordato dall’esterno. Tuttavia l’opzione assume un enorme rilievo perché pone l’impresa al centro del progetto della regolazione della crisi in luogo del debitore.
Per quanto destinata a divenire la procedura marginale perché distruttiva dei valori aziendali, è facile vaticinare che la liquidazione giudiziale rappresenterà, ancora, la pietra angolare della regolazione del concorso dei creditori.
La prima impressione è che il Governo voglia cavalcare l’idea di rendere più efficienti ma soprattutto più celeri le procedure e ciò anche attraverso una modifica dell’allocazione di poteri fra gli organi della procedura.
Talune di queste innovazioni acceleratorie sono già divenute diritto positivo come è accaduto per la chiusura del fallimento in pendenza di contenziosi.
Altre, però, sembrano più ambiziose a livello pedagogico che dense di effettività.
Vi è tuttavia qualche previsione che non si conforma al mero restyling e aspira a rivedere alcuni dogmi. È noto che nelle società di capitali, i debiti prima e l’insolvenza, poi, si scaricano sull’ente e non sui soci. Questo dogma, pur non abiurato, è destinato ad una sensibile attenuazione là dove si contempla che al curatore siano affidati i poteri per il compimento degli atti e delle operazioni riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società, previsti nel programma di liquidazione, assicurando un’adeguata e tempestiva informazione dei soci e dei creditori della società, nonché idonei strumenti di tutela in sede concorsuale degli stessi e dei terzi interessati. Tutto ciò significa, a ben vedere, che i diritti dei soci migrano verso il curatore e, quindi, vengono coinvolti nella procedura.
Uno degli snodi cruciali del sistema riformato, se si bada alla raccomandazione UE, sarebbe quello di offrire a tutti i debitori una seconda possibilità (dopo un primo insuccesso). A questa aspettativa concorrono da un lato disposizioni in tema di esdebitazione rivolte ad estenderne il campo di applicazione, con inclusione delle società, e dall’altro lato le nuove regole in materia di regolazione della crisi da sovraindebitamento16 con il proponimento di rendere questi procedimenti, al netto di una loro maggiore agilità, più armonici alla procedura di liquidazione giudiziale (maggiore), con un incremento delle tutele dei terzi espresse nelle legittimazioni attribuite a creditori e pubblico ministero.
La procedura di liquidazione coatta amministrativa17 è destinata a divenire recessiva in quanto rivolta soltanto a imprese creditizie, finanziarie e assicurative; tutto ciò nella cornice del mantenimento dei poteri distribuiti fra autorità di vigilanza e organi commissariali di nomina non giudiziale.
Molti si sarebbero attesi che in una riforma organica delle procedure concorsuali si potesse pervenire alla soppressione dell’anomalia domestica dell’amministrazione straordinaria. Così, però, non è accaduto ed anzi lo stralcio dal d.d.l. principale della riforma dell’amministrazione straordinaria lascia prevedere che tale procedura non sarà affatto indebolita.
L’analisi del testo normativo suggerisce che sia stato svolto un lavoro eccellente sul piano del riordino della normativa con l’aggiunta virtuosa di una complessiva maggiore coerenza rispetto alla legge data. Sennonché è rimasta inespressa l’anima della riforma se un’anima, come si ha ragione di credere, debba esservi.
Se ci si pone il quesito18 del perché esistono le procedure di insolvenza e se si vuole offrire una risposta, sarebbe decisivo capire quale risultato si vuole ottenere da una procedura di insolvenza.
Come tutte le attività, è fisiologico che anche l’impresa sia destinata ad incrociare una fase di crisi; crisi, qui intesa come alterazione dei fattori di equilibrio dell’intrapresa commerciale. Ad un certo punto della sua storia, l’impresa – per i più diversi motivi endogeni o esogeni, oggettivi o soggettivi – può vedere rotto l’equilibrio sul quale si reggeva producendo valore.
Quando l’impresa, anziché produrre valore, distrugge ricchezza, il sistema economico nel suo complesso deve reagire, unitamente a quelle che possono essere le reazioni dell’imprenditore.
Ma queste reazioni debbono essere razionali e la razionalità impone coerenza.
A sua volta la coerenza vuole che si valuti preventivamente quale direzione vada presa quando si manifesta una crisi e, al fondo, si resta ancorati al dilemma se si debba privilegiare l’interesse dei creditori o del mercato.
È sin troppo noto che nelle procedure di crisi e insolvenza devolute al controllo del giudice ordinario, il prisma di riferimento è quello della tutela del diritto di credito che intercetta una protezione costituzionale (art. 42 Cost.)19.
Ma, per converso, nell’amministrazione straordinaria, la tutela del credito evapora e la conservazione dell’impresa per il suo risanamento diviene il valore dominante.
Come nel fallimento e nei concordati si persegue l’obiettivo di massimizzare il risultato dei creditori, se del caso tramite una prosecuzione dell’attività quando questa genera valore ed un valore che prevale sulla liquidazione, nell’amministrazione straordinaria si punta tutto sulla prosecuzione dell’attività, se del caso guardando anche all’interesse dei creditori.
Gli scenari sono diametralmente opposti.
Nel fallimento e nel concordato la continuità è un “valore-mezzo” per tutelare i creditori. Nell’amministrazione straordinaria, la continuità è un “valore-fine”, anche quando si esauriscono le risorse per i creditori.
Una riforma che vuole appellarsi come organica avrebbe dovuto, prima di tutto, prendere una decisa e decisiva posizione su questo tema.
Il rischio concreto è che con il veicolo della cessione dei complessi aziendali, che consente la proseguibilità dell’attività, ci si allinei alla teoria del “risanamento finanziato dai creditori”20 che significa netta scelta di campo a favore della continuità, anche a discapito dei diritti del ceto creditorio.
Viene all’uopo in evidenza l’art. 2, lett. g., laddove si stabilisce che debba essere data priorità di trattazione alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche per il tramite di un diverso imprenditore, e riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non venga proposta una soluzione alternativa adeguata.
Il principio sembra esprimere una limpida preferenza per la continuità aziendale, al punto che la proposta di concordato con piano di continuità non sia astretta in alcun limite legale. Ed allora ci si trova davanti allo snodo cruciale. Se il concordato con piano di continuità non incontra limiti, in particolare quello del “miglior interesse dei creditori” (quale oggi risulta nell’art. 186 bis l. fall.21), si potrebbe concludere che la continuità è divenuta, anche nel concordato, un “valore-fine”. Quindi, per conservare valore all’impresa, i diritti dei creditori possono soccombere sin, forse, ad essere pretermessi.
Tuttavia, se si sposta l’attenzione sull’art. 7, dedicato alla liquidazione giudiziale, ci si avvede che non sono esposte novità sul versante della liquidazione giudiziale in senso stretto. Non mutano i principi in materia di cessione di azienda e quindi parrebbe che nulla modifichi la tendenza alla massimizzazione del ricavato per i creditori22.
Pertanto, si può prospettare che di fronte ad un concordato con piano di continuità, la liquidazione giudiziale resterebbe indifferente alla continuità, sì che occorre interrogarsi su quali sarebbero i creditori interessati al concordato preventivo con piano di continuità. Una domanda certo retorica che merita un approfondimento; si torna così al quesito relativo a cosa servano le procedure di crisi e di insolvenza.
Forse è comprensibile che una commissione tecnica abbia preferito porsi al riparo della tecnicalità, ma il potere politico deve fare una scelta di politica economica e non può abdicarvi.
Note
1 De Cesari, P., Riforma Rordorf e sollecitazioni europee: le parallele cominciano a convergere, in Fallimento, 2016, 1143.
2 C. cost., 3.3.2016, n. 46.
3 Pagni, I., I modelli processuali nella riforma delle procedure concorsuali, in www.ilcaso.it; De Santis, F., Il processo uniforme per l’accesso alle procedure concorsuali, in Fallimento, 2016, 1145.
4 Panzani, L., La disciplina della crisi di gruppo tra proposte di riforma e modelli internazionali, in Fallimento, 2016, 1153.
5 Cass., 13.10.2015, n. 20559, in Fallimento, 2016, I, 1357.
6 Brizzi, F., Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, 100, in questo volume v. Diritto civile, 5.1.1 Concordato di gruppo.
7 Quindi con maggiori aperture rispetto ad ora, v. D’Attorre, G., Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, 1163.
8 La recente Cass., 6.5.2015, n. 9100, in Foro it., 2016, I, 272; in dottrina, v. Fabiani, M., L’azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, Milano, 2015, 10.
9 Ferro, M., Misure di allerta e composizione assistita delle crisi, in Fallimento, 2016, 1032.
10 Trentini, C., Accordi di ristrutturazione e piano attestato, le soluzioni alternative al declino del concordato preventivo, in Fallimento, 2016, 1095.
11 Macagno, A., II concordato preventivo riformato nel segno della continuità aziendale, in Fallimento, 2016, 1074.
12 Rossi, A., Il trattamento dei creditori chirografari fra classi e soddisfazioni irrisorie, in Conservazione dell’impresa e tutela dei crediti nelle crisi aziendali, a cura di M. Fabiani e a. Guiotto, Torino, 2015, 239.
13 Terranova, G., La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2006, I, 243.
14 V. in luogo di molte, Cass., S.U., 23.1.2013, n. 1521, in Fallimento, 2013, 156.
15 Jorio, A., Introduzione, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio e B. Sassani, I, Milano, 2014, 3 ss.
16 D’Orazio, L., Il nuovo appeal delle procedure di sovraindebitamento nella riforma in itinere, in Fallimento, 2016, 1122.
17 Tomasso, F., La liquidazione coatta amministrativa tra prospettive di sostanziale abrogazione e criticità odierne, in Fallimento, 2016, 1113.
18 Tomasso, F., La liquidazione coatta amministrativa tra prospettive di sostanziale abrogazione e criticità odierne, in Fallimento, 2016, 1113.
19 Roppo, V., Tutela costituzionale del credito e procedure concorsuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 1; Macario, F., Autonomia privata, Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, 61.
20 Meo, G., Il risanamento finanziato dai creditori, Milano, 2013, 3.
21 Patti, A., Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fallimento, 2013, 1099.
22 Fimmanò, F., La vendita fallimentare dell’azienda nel fallimento, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., III, Milano, 2016, 252.