Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La condizione femminile, al di là degli stereotipi trasmessi e ribaditi tradizionalmente, si rivela assai sfaccettata e dinamica. Isabella di Castiglia e altre sovrane si muovono a proprio agio nelle corti e nelle contese politiche; altre imbracciano le armi confrontandosi con il tradizionale modello maschile; altre ancora sono investite di un potere magico, spesso destabilizzante, che le polarizza fra gli opposti della strega e della santa.
Il modello della corte
La corte è il luogo dove si manifesta in maniera più evidente un’attiva presenza femminile nelle sue più ampie articolazioni. Sappiamo come la circolazione delle donne tra le corti europee attraverso la combinazione dei matrimoni abbia costituito una fondamentale strategia per intrecciare alleanze tra i grandi potentati familiari e, al tempo stesso, un’arma diplomatica estremamente efficace. Al fine di tutelare la continuità della casata, si dimostrano pertanto determinanti il ruolo e la capacità delle donne (madri, mogli, figlie) di conservare e trasmettere il patrimonio, il prestigio e, dunque, il potere, anche prescindendo dalle complesse regole di successione. Le mogli, in particolare, sono pronte ad affiancare i mariti, sovrani e signori spesso assenti, nella gestione politica e amministrativa dello Stato, riuscendo non poche volte a influenzarne la vita politica. Questo significa che, mentre l’immagine della donna debole e subalterna offerta dai teologi e dai filosofi risulta stereotipata e dunque ossessivamente statica, la condizione reale smentisce quei presupposti, a motivo di istanze antagoniste di carattere economico e politico che rendono la situazione concreta mutevole, dinamica, contraddittoria. Tali istanze si ritrovano anche nel Quattrocento, che presenta notevoli testimonianze di governo femminile, frutto spesso di dure prove affrontate dalle donne per potersi affermare: da Jolanda d’Aragona a Bianca di Navarra, da Filippa d’Inghilterra a Violante di Francia, da Eleonora d’Aragona a Bianca di Monferrato, per citare solo alcune.
Su tutte emerge Isabella di Castiglia, la quale, per essere riconosciuta erede al trono di Castiglia, deve innanzitutto fronteggiare la decisa opposizione del fratello Enrico IV, prima, e di Alfonso V del Portogallo, poi; contro quest’ultimo scenderà addirittura in guerra. Insieme a Ferdinando II di Aragona (1452-1516), sposato nel 1469, Isabella si impegna in un difficile processo di riunificazione territoriale della penisola iberica accompagnato, tuttavia, dalle persecuzioni contro le minoranze religiose dei mori e degli ebrei. Sotto il suo regno e grazie al suo intervento coraggioso Cristoforo Colombo parte alla scoperta del Nuovo Mondo.
Donne in armi
La missione politica e religiosa di Giovanna d’Arco si articola in tre momenti: salvare Orléans, liberare la Francia dalla soggezione inglese, far consacrare Carlo VII quale legittimo re francese. Giovanna è una donna in armi che indossa abiti maschili e guerreschi: un’anomalia culturale per una ragazza che, oltretutto, vive la scelta militare come esperienza religiosa.
Dopo molte vittorie sul campo, viene dapprima consegnata agli Inglesi nel dicembre del 1430, per poi essere processata come eretica e arsa viva il 30 maggio 1431. Tra le imputazioni troviamo il suo non voler “dismettere” gli abiti maschili, un atteggiamento letto dai giudici come atto di insubordinazione nei confronti della Chiesa. Riabilitata il 7 luglio 1456, Giovanna incarna l’emblema della donna che, di fronte all’imperversare di una crisi politica, riesce a liberare il suo popolo opponendosi al potere inglese, attraverso l’assunzione di comportamenti tipicamente maschili e mettendosi a capo di un esercito che le riconosce l’autorità di condottiera.
Giovanna non è la sola, in questo secolo, a prendere le armi.
Maria di Castiglia, regina d’Aragona, si dimostra parimenti abile nell’arte militare; Isabella di Lorena prende possesso del trono di Napoli combattendo; Gentile Malatesta, signora di Faenza, alla testa delle sue truppe si addentra nel territorio della Repubblica di Venezia per difendere la propria signoria, riportando alcuni successi; Caterina Sforza Riario, signora di Forlì, combatte personalmente per difendere la rocca di Ravaldino; Veronica Gambara, signora di Correggio, riesce a respingere un tentativo di invasione.
Sante e streghe. Il potere della fede
Anche se con il concilio di Costanza si pone termine al Grande scisma d’Occidente (1378-1417), che ha visto all’interno della Chiesa la lotta tra opposte fazioni per stabilire la legittimità della sede pontificia, non trovano soluzione le grandi questioni che da più parti esigevano una profonda riforma morale e istituzionale. È questo il periodo nel quale assistiamo a un aumento del numero di donne dal ruolo profetico, che si manifesta in una critica serrata nei confronti delle autorità civili e religiose. Margherita di Savoia, Francesca Romana, Caterina da Bologna, Veronica da Binasco, Caterina da Genova, Colomba da Rieti, Elena Buglioli sono alcuni dei nomi più autorevoli di mistiche impegnate nell’arduo compito di riforma della cristianità.
Alcune di loro sono sante di famiglia, a garanzia della sacralità del potere; altre, come le chiamano i discepoli, che ravvisano nella loro guida sapiente la presenza di Dio, sono considerate “madri divine”; altre ancora sono fondatrici instancabili, come Colette da Corbie, la quale riforma l’ordine delle Clarisse, fondando in 40 anni, nella Francia lacerata dalla guerra dei Cent’anni, 17 conventi femminili, per i quali riesce a ottenere l’appoggio delle aristocratiche Bianca di Savoia, Margherita di Baviera e Isabella di Portogallo. Colette, cui sono attribuiti doni taumaturgici – dalla guarigione fino a casi di resurrezione – redige anche le Costituzioni, per cinque secoli applicate in monasteri sparsi per tutto il mondo.
Accanto alla figura della mistica, specularmente, troviamo quella della strega. Attraverso l’uso di gesti e parole autorevoli (profetiche o magiche), entrambe cercano di creare nuovi spazi di identità e di riconoscimento. L’invasione mistica – che supera la mediazione giuridica maschile nel rapporto con il sacro – e la possessione diabolica – che consente alla donna spazi di autonomia e di potere nel creare disordine nella vita della Chiesa – vivono esperienze analoghe e usano gli stessi mezzi espressivi, suscettibili, tuttavia, di diverse ispirazioni ed esigenze. Difficile appare alle autorità distinguere tra presenza del divino o del demoniaco.
Nel 1487 Innocenzo VIII, in seguito alla bolla del 1484 Summis desiderantes affectibus, commissiona a due domenicani, Heinrich Krämer e Jacob Sprenger, il Malleus Maleficarum, un manuale redatto per gli inquisitori al fine di consentire loro di stabilire eventuali presenze diaboliche nelle donne, un’opera che non fa che ribadire quel concetto di inferiorità fisiologica, morale e giuridica ormai accettato da secoli. Paradossalmente la strega, a motivo della sua debolezza, rappresenta un concentrato di potere negativo, che esercita a danno degli altri grazie a un patto con il diavolo. La donna, proprio per la sua fragilità, risulta più sensibile alle lusinghe del demonio che le conferisce poteri straordinari.
La città delle donne
Christine de Pizan (Cristina da Pizzano) lavora presso la cortefrancese di Carlo V, che le consente di vivere del lavoro di letterata. Nel 1401 scrive il Dit de la Rose, in cui controbatte le posizioni misogine assunte da Jeande Meun, e inizia la sua opera più famosa, Le livre de la cité des dames, dove esprime la propria visione politica con al centro l’universo femminile. L’autrice, confortata dalla Ragione, dalla Rettitudine e dalla Giustizia che le appaiono nelle sembianze di tre dame, dà inizio alla costruzione di un’utopica città della donne dove le figure femminili, tratte dalla letteratura biblica e classica, costituiscono per la loro esemplarità l’impalcatura sulla quale tale città si regge. Muovendo dal De mulieribus clarisdi Giovanni Boccaccio, Christine riscrive alcuni ritratti di donne, scelte e valorizzate non per la loro eccezionalità, come invece aveva fatto Boccaccio, quanto piuttosto per l’universalità delle virtù che esse rappresentano. La presenza delle donne nella storia non si misura su un concetto arbitrario di natura, bensì sull’esercizio delle virtù.Con Christine de Pizan inizia quella che è stata definita l’epoca della querelle des femmes. Si tratta di pamphlet che suscitano in tutta Europa un ampio e articolato dibattito, che si protrarrà per circa tre secoli dando origine a un’innumerevole serie di pubblicazioni: dispute, trattati, dialoghi e libelli satirici argomentano intorno all’uguaglianza o alla differenza tra i sessi; un repertorio di opere encomiastiche, misogine e didascaliche, che attinge alla Scrittura, ma anche alla ragione e alle esperienze per giustificare ora l’inferiorità, ora l’uguaglianza, ora la superiorità della donna rispetto all’uomo. Attraverso il frequente uso della retorica del paradosso tale pubblicistica pone le basi di una messa in discussione di quegli schemi concettuali che l’antropologia filosofica e teologica aveva elaborato relativamente a ruoli e identità. Sarà grazie a questa trattatistica che si affronterà la questione del potere femminile.
Il cardinale Pompeo Colonna, dietro esortazione della poetessa Vittoria Colonna (1490-1547), sua cugina, scrive una Apologia mulierum (1524), limpida esortazione ratione atque natura, che confuta le erronee opinioni tradizionali, giustifica storicamente e filologicamente l’uguaglianza dei due sessi e, conseguentemente, la reale possibilità per le donne aristocratiche di partecipare attivamente alla vita sociale e politica.
Erasmo fa dire profeticamente alla dotta Magdalena, derisa in quanto donna da un abate somaro, “Se voi uomini non state attenti accadrà che noi donne insegneremo teologia e predicheremo nella chiesa ed vi si priverà delle vostre insegna sacerdotali… La scena del mondo sta cambiando” (Erasmo da Rotterdam, I Colloqui, 1967).