Il periodo protodinastico in Mesopotamia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra il XXX e il XXIV secolo a.C. si intensificano i rapporti tra i vari organismi urbani, che si configurano come città-stato indipendenti. Si affermano quindi sia episodi pacifici di cooperazione e commercio, anche su lunga distanza, che di conflitto per il controllo delle risorse e del territorio. Dal punto di vista ideologico, spiccano per importanza Nippur e Kish, rispettivamente come centro religioso e politico, pur in un quadro di intrinseca instabilità, come documentano le prime iscrizioni reali.
Nei primi secoli del III millennio a.C. il profilo urbano della città di Uruk, all’apice della sua espansione territoriale, si arricchisce di un ulteriore elemento, assai significativo in termini di rapporti col territorio circostante: una cinta muraria. In essa si può individuare il tratto caratteristico che segnerà il periodo protodinastico in tutto il suo lungo corso in Mesopotamia (2900-2350 a.C.), ossia la nascita di episodi di conflitto e competizione tra le città-stato. Diciamo subito che l’edificazione di un muro di cinta in mattoni crudi, sebbene sia presentata dalla letteratura successiva come una delle meraviglie di Uruk, non salverà la città e il suo entroterra da un lento declino. Una delle possibili ragioni della progressiva caduta va rintracciata nel mutamento del corso di alcuni bracci dell’Eufrate, soggetti a spostamenti periodici che premieranno il sorgere di nuove realtà politiche, a discapito di altre. Con il passare dei secoli emergono centri come Kish e Nippur nella Babilonia centrale, Shuruppak, Adab (Bismaya), Lagash (Tell al-Hiba) e Umma (Tell Jokha) nel profondo sud. Il fenomeno della crisi del villaggio, in favore dell’accentramento urbano, si intensifica nella Babilonia meridionale, mentre sembra di portata assai più limitata al nord, dove la diminuzione della disponibilità d’acqua si fa meno sentire. Aumenta anche la differenziazione regionale tra i vari centri, che si configureranno come città-stato indipendenti. A fianco dei templi sono documentate le prime strutture palatine identificabili con certezza, anche se la loro presenza non è affatto esclusa già nella Uruk di fine IV millennio. Di pari passo, grazie all’aumento della documentazione epigrafica, si fanno più chiari i connotati dell’ideologia religiosa da un lato, e della propaganda reale dall’altro.
Il protodinastico viene convenzionalmente diviso su base archeologica in tre parti: protodinastico I (2900-2750 a.C.), II (2750-2600 a.C.), e III, ulteriormente suddiviso in IIIa (2600-2450 a.C.) e IIIb (2450-2350 a.C.). Per la fase iniziale di questo periodo, che copre i primi secoli del III millennio a.C., mancano ancora iscrizioni di natura storiografica, che ci consentano una qualunque abbozzo di storia politica. Questa tipologia di fonti fa la sua comparsa solo verso il 2600 a.C., con semplici iscrizioni di nomi di sovrani incise su oggetti dedicati nei templi. Una collocazione all’interno di una griglia cronologica precisa, anche in termini di contemporaneità tra i vari sovrani, resta però assai difficile. Non così per la fase finale di questo periodo, quando la documentazione epigrafica si fa relativamente abbondante e sempre più dettagliata. Sebbene nel complesso sia possibile considerare il protodinastico come un periodo piuttosto unitario, vedendo nel sorgere delle città-stato come interlocutori politici il comune denominatore delle vicende della prima metà del III millennio a.C., resta difficile vagliare i processi di trasformazione che hanno segnato le prime fasi di esso. Episodi di cooperazione e di competizione, che sfoceranno fino all’aperto conflitto, sono attestati per alcune delle principali città del sud mesopotamico, ma a causa delle scarsa disponibilità delle fonti resta impossibile capire se e come il quadro politico sia passato una situazione di pacifica convivenza ad una di belligeranza endemica.
Accentramento e particolarismo sono altre due possibili chiavi di lettura del protodinastico. Se il primo fenomeno è meglio documentabile solo dopo la metà del millennio, il secondo si esprime da subito con l’affermazione dei culti locali. L’ideologia religiosa permette alla città di affermare la propria individualità in contrapposizione agli altri centri urbani. Ogni organismo cittadino diventa quindi sede di un dio poliade, e della relativa famiglia divina. Spicca per importanza Nippur (o Nibru, moderna Nuffar), in quanto città santa dell’antica Sumer, assimilabile per certi versi a una sorta di Vaticano ante litteram, a causa del suo importante ruolo ideologico a fronte di un inconsistente potere militare. Secondo la visione religiosa sumera, spetta infatti al capo del pantheon concedere (o confermare) la regalità ai sovrani mesopotamici che vogliano vedere riconosciuta la loro supremazia a livello extra-cittadino. Di contro, questi dedicheranno numerosi oggetti di pregio nell’E-kur, letteralmente la “casa-montagna”, sede del dio. Ricordiamo qui due vasi di alabastro di Enmebaragesi, re di Kish sul finire del protodinastico II, a cui la cosiddetta Cronaca del Tummal, un testo posteriore di almeno mezzo millennio, attribuisce anzi la costruzione delle prime opere architettoniche nel santuario di Nippur.
Nella retorica delle iscrizioni reali, i successi e le sconfitte militari del sovrano sono attribuiti al favore o al risentimento del dio cittadino, spesso raffigurato in proporzioni colossali al fianco del re e delle truppe. L’esempio più famoso viene dalla cosiddetta Stele degli avvoltoi, da Girsu (odierna Tello), nello stato di Lagash nella Babilonia meridionale, databile all’inizio del protodinastico IIIb. Oltre che assolvere agli oneri militari, i re mesopotamici si dedicano tipicamente allo scavo di canali e al restauro dei templi. Il primo compito rientra nell’ottica del re quale pastore del suo popolo, che riceve dal suo signore il sostentamento vitale. Il secondo si inquadra negli episodi di devozione nei confronti del dio, dal cui favore dipendono le sorti del sovrano. La titolatura usata dai leader cittadini varia a seconda della funzione svolta, del centro in cui essa viene esercitata, e del periodo storico in cui tale titolatura viene utilizzata. I termini chiave sono tre: en, ensi e lugal. Il primo titolo è tipico di Uruk fin dall’inizio della documentazione disponibile, e sembra fare riferimento alle funzioni di re-sacerdote. Il termine ensi, usato a Lagash per denotare la massima carica cittadina indipendente, viene generalmente inteso come “governatore”, ponendo l’accento sulle funzioni amministrative. Infine, il termine lugal, strettamente associato con la città di Kish, sembra connotare un leader di tipo militare, forse originariamente eletto da un’assemblea per far fronte a uno specifico conflitto. Tale mandato diviene ereditario con l’avvento della dinastia di Sargon (XXIV-XXIII sec. a.C.), durante la quale il titolo lugal viene usato esclusivamente per indicare il re di Akkad, mentre ensi viene ad assumere il significato di governatore locale subordinato alla casata regnante. Tale razionalizzazione ammette tuttavia eccezioni attribuibili ai diversi momenti storici in cui queste forme di autorità si concretizzano. Ne è un esempio il titolo di lugal Kish, che si slega ben presto dalla città a cui fa riferimento, divenendo un titolo onorifico dei re che siano riusciti a imporre la propria egemonia sulla Babilonia.
Kish costituisce del resto l’altro polo del potere, questa volta temporale, per buona parte del protodinastico II e IIIa. La città deve aver giocato un ruolo unificante su gran parte del sud sumerico, come testimoniano le dediche di due vasi votivi da parte di Enmebaragesi a Nippur, e di una testa di mazza e tre vasi votivi da parte di Mesalim nei templi di Lagash e di Adab rispettivamente. Tale supremazia, sottintesa dal titolo lugal Kish, è forse da mettere in relazione con la posizione geografica di questo centro, che controlla un punto strategico dell’Eufrate, dove il fiume tende a cambiare corso e a decretare quindi le fortune delle città a valle.
I dettagli sulla situazione sociale del periodo protodinastico restano per lo più sfuggenti. Gli archivi di Shuruppak (Fara) ci hanno restituito una cinquantina di contratti di compravendita di case e appezzamenti di terra, generalmente dell’estensione di due o tre ettari, che testimoniano dell’esistenza della proprietà privata almeno dal protodinastico IIIa. In questi documenti l’esborso del venditore viene solitamente diviso in più voci, che includono oltre al prezzo di base del bene acquistato, anche dei supplementi e doni in natura (lana, pani, focacce, zuppe ecc.) a scopo cerimoniale, destinati ai membri del gruppo familiare esteso, ai testimoni e allo scriba. Dati simili sono ricavabili dai cosiddetti “antichi kudurru”, ovvero ceppi di confine che registrano la vendita di appezzamenti di terreno, da cui si evince il passaggio da una situazione di proprietà condivisa della terra a una di possesso di latifondo da parte di singoli individui.
Per la fase iniziale del protodinastico disponiamo di scarsa documentazione epigrafica, alla quale fa però da contraltare la ricchezza dei ritrovamenti archeologici. A Ur e Kish i cimiteri reali hanno restituito corredi funebri in oro, argento, lapislazzuli, corniola, legni pregiati. La ricchezza degli intarsi e le tecniche di lavorazione dei metalli testimoniano non solo di un mondo artigiano altamente specializzato, ma anche dei contatti commerciali che devono essere esistiti per poter far affluire questi materiali preziosi in Mesopotamia. Una rete commerciale di questo tipo presuppone accordi tra le città poste sulle arterie vitali per le quali passano i traffici, ossia la rete di canalizzazione al sud, soprattutto quella collegata all’Eufrate, che a differenza del Tigri, più impetuoso, è navigabile per lunghi tratti. Sulla rete dei traffici fluviali si innestano le rotte marittime a sud, verso Dilmun, l’attuale Bahrein, e quelle carovaniere, che portano a nord e a est, attraverso i passi montani del Tauro e degli Zagros, condizionati dalla stagionalità del clima.
A livello epigrafico, episodi di cooperazione sono attestati da un gruppo di sigillature da Ur, risalenti al protodinastico I, e in almeno due testi da Shuruppak (moderna Fara), risalenti al protodinastico IIIa. Le sigillature in questione, di dimensioni assai maggiori a quelle di periodo Uruk, raffigurano un certo numero di simboli cittadini, tra cui sono riconoscibili Ur, Larsa, Adab, Kish e Uruk, mentre due altri centri non sono identificabili con certezza. Si può ipotizzare che questi manufatti venissero utilizzati per sigillare contenitori in connessione a beni di proprietà comune tra le varie città. Ci sfuggono però i dettagli su questi possibili accordi, forse di natura politica, difensiva, o commerciale.
Uno scenario simile ci è offerto dai testi di Shuruppak. Si tratta di due piccole tavolette cuneiformi che testimoniano la presenza di un gruppo di quasi 700 “lavoratori” (o soldati) da Shuruppak, Uruk, Adab, Nippur, Lagash, e Umma, riuniti in un luogo chiamato Ki-engi, un termine che nei successivi secoli identifica l’intero paese di Sumer. Un altro testo elenca circa 4 mila tra “lavoratori”, artigiani e supervisori provenienti da queste città, senza però aggiungere ulteriori dettagli. Si deduce l’esistenza di una esapoli, che si configura come una lega su scala regionale, superando la dimensione della città-stato che caratterizza, tra fortune alterne, tutto il protodinastico.
I primi episodi di conflitto risalgono alla fase finale di questo periodo. L’esempio paradigmatico è costituito dalla contesa tra Lagash e Umma, durata almeno un secolo, della quale ci resta un primo resconto da parte di Eannatum di Lagash nella frammentaria Stele degli avvoltoi, così chiamata per la raffigurazione macabra degli uccelli che si cibano dei cadaveri nemici, risalente al protodinastico IIIb. In essa il re ricorda la sua vittoria sulla città rivale, colpevole di essersi indebitamente appropriata dei fertili territori del Gu’edena, un importante distretto agricolo conteso tra i due centri. Non conosciamo tuttavia la versione di Umma. Enmetena, nipote di Eannatum, registra nelle sue iscrizioni reali la recrudescenza del conflitto, causata dall’arroganza del re nemico, che non rispetta la stele di confine posta da Mesalim, re di Kish, chiamato a fare da arbitro ai tempi di suo zio. In entrambi i casi il conflitto si risolve con il ripristino della situazione iniziale: Umma deve pagare a Lagash l’affitto dei terreni, con la promessa di non deviare i corsi d’acqua e di non spostare la stele di confine. In questa soluzione si coglie il profondo ma delicato equilibrio che caratterizza il sistema delle città-stato.Tale equilibrio verrà tuttavia scosso da Lugalzagesi di Umma negli ultimi anni del protodinastico (metà XXIV sec. a.C.), fase detta protoimperiale, quando dopo essere riuscito a conquistare la regalità in Uruk distruggerà Lagash allora sotto Iri-inim-gina, proclamando il suo dominio “dal mare inferiore”, ossia il Golfo Persico, al “mare superiore”, ossia il Mediterraneo.
A Girsu (Tello) sono state rinvenute numerose iscrizioni reali, tra cui un testo comunemente noto col nome di Riforme di Iri-inim-gina, di natura propagandistica, in cui il re di Lagash descrive una serie di abusi che sarebbero stati commessi da tempi immemorabili ai danni del clero e delle fasce più deboli della popolazione. Di questo documento ci sono pervenute varie copie, le più complete delle quali sono iscritte su due coni di argilla, realizzati al tornio. Di esse tuttavia ignoriamo il contesto archeologico primario. Il testo è strutturato in più sezioni: dopo un breve prologo, in cui il sovrano ricorda la costruzione di alcune importanti opere architettoniche (templi, canali e mura) per le principali divinità del pantheon locale, si passa all’elencazione dei costumi corrotti in uso da tempo immemorabile in Lagash. Segue un breve intermezzo in cui si narra di come il dio patrono Ningirsu abbia elevato Iri-inim-gina alla regalità “prendendolo per mano” tra una moltitudine di persone, il che fa pensare al fatto che egli sia un usurpatore. Il testo prosegue con le “riforme” vere e proprie, che sovvertono i precedenti costumi, e si chiude con la dedica al dio di un canale, avvenimento che costituisce l’occasione per l’iscrizione stessa.
Sebbene non sia sempre chiara la natura degli abusi di cui si parla nel testo, essi sembrerebbero rientrare in quattro grandi categorie: appropriazione indebita di beni da parte di varie categorie professionali; riscossione delle tasse illegittima, eccessiva, o impropria (pagamenti in argento anziché in natura); alienazione o vendita forzata della proprietà a vantaggio dei potenti; irregolarità nella gestione delle proprietà templari da parte dei governatori-ensi precedenti. Tali malversazioni avrebbero colpito non solo il clero di Ningirsu, depauperato delle leggittime rendite fondiarie, ma anche le categorie sociali più deboli, ridotte allo stato di schiavitù per debiti, o costrette a commettere furto o rapina. Nei confronti di questi ultimi Iri-inim-gina prende come provvedimento la cancellazione del debito e della pena, una misura che ben si accorda alla figura di homo novus, in cerca di consenso tra le fasce più disagiate della popolazione. Le accuse di corruzione nei costumi si concretizzerebbero quindi nei confronti dei suoi due predecessori, Enentarzi e suo figlio Lugalanda, che sappiamo essere stati amministratori templari prima di salire al trono. L’attribuzione degli abusi a tempi immemorabili sarebbe quindi un artificio retorico per dare più forza all’azione del sovrano.
Più complessa risulta l’interpretazione delle presunte riforme in fatto di gestione delle proprietà templari. L’iscrizione afferma infatti che Iri-inim-gina:
“ha stabilito Ningirsu come padrone nella “casa” e nel campo del governatore-ensi; ha stabilito Baba (= “consorte di Ningirsu”) come padrona nella “casa” e nel campo della Donna (= “regina”); ha stabilito Shulshagana (= “figlio di Ningirsu e Baba”) come padrone nella “casa” e nel campo della discendenza reale”.
Ciò non è tuttavia in accordo con quanto sappiamo della reale situazione economico-amministrativa della Lagash di questo periodo. Studi basati sull’analisi degli archivi amministrativi coevi dimostrano, infatti, come ci sia stato un progressivo drenaggio di risorse, iniziato già con Enentarzi e proseguito sotto al figlio Lugalanda, che avrebbero fatto confluire i proventi della gestione delle proprietà agricole dal tempio di Ningirsu a quello di Baba. A sua volta, l’unità produttiva denominata “casa di Baba” sarebbe parte costituente di un più grande sistema gestionale afferente alla “casa della Donna”, ossia della regina, e quindi sotto il diretto controllo della famiglia reale. Iri-inim-gina avrebbe eliminato questa istituzione, con due conseguenze immediate: da un lato l’intera unità gestionale viene formalmente posta sotto il controllo della dea; dall’altro Iri-inim-gina ne risulta come garante e unico referente amministrativo. Si tratterebbe quindi di una manovra tesa ad accentrare la gestione delle proprietà templari nelle mani del sovrano, sotto la copertura di un’ideologia teocratica.
Questo documento riveste una grande importanza per la nostra comprensione delle vicende politiche e della ideologia reale dell’ultimo quarto del III millennio a.C. Di esso sono note numerose copie risalenti all’epoca di Isin-Larsa (XX-XIX secolo a.C. ca.) e paleobabilonese (XIX-XVII sec. a.C. ca.), provenienti da un gran numero di siti lungo tutto il Vicino Oriente antico (Nippur, Isin, Larsa, Kish, Sippar, Susa, Shaduppum, Tutub, Shekhna). Ad esse si aggiunge un unico esemplare più antico, purtroppo mutilo per circa la metà, datato alla III Dinastia di Ur (fine del regno di Shulgi, che vi compare divinizzato nell’invocazione finale), forse proveniente da Adab. Nonostante esso contenga riferimenti ad epoche anteriori, addirittura mitiche nella redazione più recente, si può ritenere attendibile solo dalla seconda metà del periodo paleoaccadico in poi, quando fu forse composta. La lista narra in forma schematica e formulare come la regalità, dopo essere discesa dal cielo, si sia spostata da una città all’altra della Mesopotamia. Per ognuno dei centri elencati, vengono precisati il nome dei re che ne compongono la dinastia, gli anni di regno di ciascuno, e la durata totale della dinastia stessa. In chiusura di ciascuna sezione, il documento precisa – a seconda della redazione – che la città in questione fu distrutta, sconfitta con le armi, ovvero che il periodo di regno finì, e la regalità fu quindi trasferita a un’altra città.
L’idea di fondo, cioè che la Mesopotamia sia sempre stata unificata sotto un unico re per tutto il suo corso storico, non coincide con quanto sappiamo della reale situazione politica. Il periodo protodinastico presenta un quadro molto frammentato, nel quale i pochi episodi di egemonia sembrano di portata alquanto limitata. La faziosità del documento si coglie anche dal fatto che non vengono menzionate né la dinastia di Lagash, né quella di Larsa, due centri che hanno giocato un ruolo di primaria importanza nella Babilonia meridionale rispettivamente tra il XXV-XXIV e il XX secolo a.C. Le discrepanze tra i vari esemplari sono talvolta notevoli, non solo per quanto riguarda gli anni di regno di un dato sovrano, ma anche per l’ordine dei suoi successori, e la collocazione relativa di alcune dinastie. Il testimone più antico, ad esempio, elenca di fila tutti i re di Kish, che sono invece suddivisi in tre dinastie distinte nelle redazioni più recenti. Nonostante ciò, gli storici moderni continuano spesso a riferirsi alle dinastie così come attestate dagli esemplari più tardi, per questioni di opportunità. La durata del regno dei primi sovrani è computata secondo i multipli di 360. Si arriva a 72.900 anni con il secondo re di Eridu, per poi decrescere quasi costantemente nel corso del tempo. Le cifre diventano credibili solo verso la fine della dinastia di Kish, i cui sovrani regnano per non più di 40 anni. Nelle versioni paleobabilonesi, tra i vari re sono inclusi divinità (Dumuzi), eroi mitici (Lugalbanda, Gilgamesh), e forse anche animali (Cane, Agnello, Scorpione, Gazzella ecc.). La versione di Ur III sembra più sobria a riguardo, ma ciò potrebbe essere dovuto alle numerose lacune testuali. In effetti, solo pochi re menzionati nella lista sono documentati storicamente. Il primo di essi è Enmebaragesi di Kish, il cui nome ricorre su due vasi dedicati nell’Ekur, il tempio di Enlil a Nippur, a cui la lista attribuisce però un incredibile regno di 600 o 900 anni, a seconda degli esemplari.