Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia del cinema d’animazione europeo si caratterizza per una forte contrapposizione tra l’opera artigianale o artistica e quella industriale. Una contrapposizione che negli Stati Uniti d’America e in Giappone si è del tutto risolta a favore della seconda; in Europa invece la grande produzione si è andata organizzando attraverso studi, che altrove verrebbero catalogati come "indipendenti", solo nel corso degli ultimi vent’anni. Conseguenza anche di tutte le vicissitudini storiche vissute dal Vecchio Continente nel secolo del cinema.
Fra arte e industria
Nell’Europa dell’Est il cinema d’animazione viene finanziato, almeno fino alla caduta del muro di Berlino, dagli Stati dell’Europa comunista. Ovviamente i contenuti dei film prodotti in Russia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria (meno nella scuola di Zagabria, nell’ex Jugoslavia) erano strettamente sorvegliati, ma gli autori erano perlomeno svincolati dalle necessità commerciali, e potevano dedicarsi alla costruzione della narrazione e dell’immagine senza doversi rifare al modello di Walt Disney, imperante nel mondo già dagli anni Trenta e almeno fino agli anni Ottanta, quando passerà la mano all’industria giapponese.
E non va dimenticato che sia la produzione di Stato della Germania nazista, sia la Russia sovietica hanno tentato, con risultati diversi – va segnalato il gradevolissimo lungometraggio La regina delle nevi (Snezaja Koroleva, 1957) di Lev Atamanov – di rifarsi al modello del lungometraggio disneyano, che con Biancaneve e i sette nani (1937) e Fantasia (1940) aveva sbalordito il mondo. Celebri gli scritti entusiastici su Disney di un maestro e teorico del cinema come Ejzenstejn.
Dopo la caduta del muro di Berlino e il successo di Chi ha incastrato Roger Rabbit? (1988) di Robert Zemeckis, al quale si deve il rilancio della produzione animata nel mondo, l’Europa si è organizzata per contrastare l’industria americana e giapponese, senza però trovare uno stile continentale riconoscibile. Piuttosto emergono alcune grandi società o alcuni autori che riescono a utilizzare le opportunità della distribuzione internazionale per continuare il loro lavoro d’autore. In Italia la situazione è ancora tutta da ridefinire. Molti i grandi autori del recente passato: Bruno Bozzetto, Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati, Guido Manuli , Osvaldo Cavandoli , Manfredo Manfredi, i quali però non si sono inseriti nella realtà produttiva del dopo Roger Rabbit, così come i nuovi autori di grande livello: Gianluigi Toccafondo, Annalisa Corsi (1973-), Ursula Ferrara (1961-), Simone Massi, Roberto Catani.
Tra le produzioni cinematografiche e televisive, nonostante la presenza di opere interessanti o di grande successo, come i lungometraggi di Enzo D’Alò o le Winx della Rainbow di Iginio Straffi, manca una cifra stilistica nazionale che dia assetto e continuità a un’industria dalla stabilità ancora precaria.
Astri delle origini
È nato in Francia colui che ha inventato il cinema d’animazione prima che nascesse il cinematografo. Émile Reynaud, nel 1892, muoveva con la manovella una striscia di pellicola (perforata al centro) che mostrava il movimento dei personaggi: sullo schermo del Museo Grévin era fissa la scenografia di queste sue semplici pantomine che s’intitolavano Intorno a una cabina o Povero Pierrot.
I primi autori d’animazione sono invece dei creatori di trucchi: Segundo de Chomón e George Méliès. Il primo farà muovere "da soli" i mobili di un albergo (El hotel eléctrico, 1905), primeggiando con l’altro grande pioniere americano, James Stuart Blackon. Il secondo è diventato celebre per i suoi effetti speciali cinematografici, grazie ai quali, ad esempio, spedisce l’uomo sulla luna. Infatti il trucco cinematografico si basa sulla stessa idea tecnico-artistica dell’animazione: la scomposizione del movimento in singoli fotogrammi, per creare l’illusione di movimenti impossibili.
Altro grande nome della prima storia dell’animazione europea è quello di Émile Cohl, pseudonimo di Émile Courtet, che nel 1908 realizza quello che è considerato il primo disegno animato della storia: Fantasmagorie è anche il manifesto di un’animazione che cerca più lo stile che il racconto, attraverso un disegno che cerca una sua forma definitiva, cambiandola di continuo.
Mentre negli Usa il "cartone animato" (termine scorretto ma ormai comune, derivato dall’inglese cartoon diventa una vera e propria industria, prendendo spesso spunto dalle strisce a fumetti dei quotidiani, in Europa il cinema d’animazione diventa il mezzo preferito dei pittori delle avanguardie la cui ricerca ha spesso come punto d’arrivo il movimento. Arnaldo Ginna, futurista italiano, nel 1910 mette a punto alcuni esperimenti (purtroppo perduti) disegnando direttamente sulla pellicola. Ma il movimento più interessante è quello dei pittori e registi di Weimar, tra cui Hans Richter e Lotte Reiniger, che nel 1926 realizza, con la tecnica della silhouette, Le avventure del principe Achmed (Die Abenteuer des Prinzen Achmed, il primo lungometraggio d’animazione europeo.
In questa prima metà del Novecento è di grande importanza l’imponente lavoro di Władysław Starewicz, autore, dal 1910 fino agli anni Sessanta, prima in Russia e poi in Francia, di film dal vero e d’animazione. Famose le sue favole realizzate con pupazzi di insetti animati.
Ma la tecnica dell’animazione, fino ancora alla metà del Novecento, è ancora per molti misteriosa e molto costosa. Numerosi autori tentano di affrontare i segreti di questa tecnica, e realizzano film nei ritagli di tempo, rubati alla loro attività di pittori, di illustratori, o di registi per la pubblicità. Tra questi Alexandre Alexeïeff , nato in Russia ma vissuto a Parigi, traspone la sua poetica di incisore mettendo a punto una particolarissima tecnica animata: lo schermo di spilli. Migliaia di spilli, a seconda della loro posizione su uno schermo, illuminato da due fonti luminose, mostrano l’ombra o lasciano passare la luce. Con questa tecnica Alexeieff, con la sua compagna Claire Parker (1910-1981) realizza in 18 mesi Une nuit sur le mont Chauve (1932), ispirato alle musiche di Musorgskij. E mentre lo scozzese Norman McLaren trova in Canada i fondi necessari per realizzare le sue straordinarie, artistiche sperimentazioni sull’animazione, il pittore tedesco, nonché regista d’animazione Oskar Fischinger, è costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo. Ma il suo stile artistico, che non vuole cedere alle leggi dello spettacolo, gli crea problemi sia alla MGM che con Walt Disney, per il quale collabora, decidendo poi di ritirare la sua firma, alla Toccata e fuga in re minore di Bach per Fantasia (1940).
Durante gli anni della seconda guerra mondiale maturano i primi due lungometraggi della storia del cinema d’animazione italiano, entrambi presentati al festival di Venezia del 1949: I fratelli Dinamite di Nino Pagot, un film particolare e a tratti affascinante, e La rosa di Bagdad di Anton Gino Domeneghini, elegante ma narrativamente debole. L’uno e l’altro faranno fiasco al botteghino, spegnendo sul nascere le speranze di un’animazione italiana alternativa a quella disneyana. Altri grandi nomi dell’animazione europea tentano fra mille difficoltà la strada del lungometraggio: il francese Paul Grimault (1905-1994), regista di cortometraggi dalla poetica favolistica, impiega 32 anni per completare Le roi et l’oiseau, scritto con Jacques Prévert, film (ovviamente) discontinuo ma dalle sequenze memorabili. Nell’aprile del 1954 viene invece completato Animal Farm, tratto dal romanzo di George Orwell , e diretto dalla coppia di registi e produttori John Halas (1912-1995) e Joy Batchelor (1914-1991). Un film elegante, e fedele a Orwell tranne che nel finale, riscritto in forma lieta.
Intanto, dopo la guerra, nell’Europa Orientale si definiscono le diverse strutture della cinematografia di Stato, che controllano la produzione e la distribuzione di opere che inizialmente si ispirano alla tradizione, con finalità forzatamente educative. Ma alcuni grandi artisti si impegnano a combattere il conformismo narrativo e grafico, riuscendo a proporsi come dei veri e innovatori capiscuola. Così ad esempio i cecoslovacchi Jiri Trnka (1912-1969), maestro nell’animazione dei pupazzi, che chiude la sua attività con un inno sulla libertà creativa (La mano, 1965) e che realizza con questa tecnica ben tre lungometraggi; Jiri Bredcka, autore di provocanti storie moderne, e Karel Zeman (1910-1989) che nei suoi lungometraggi fa interagire gli attori con i disegni animati.
Di particolare interesse anche la scuola di Zagabria, nata nella seconda metà degli anni Cinquanta sotto l’influenza di quei cartoni americani decisamente anti-disneyani firmati UPA (autori, fra l’altro, di Mister Magoo e Gerald McBoeing Boeing): dunque massima stililizzazione nel disegno e storie non edificanti ma critiche verso la modernità, l’incomunicabilità, l’alienazione. Tra i grandi autori di Zagabria Vatroslav Mimica (1923-), Dusan Vukotic, Bordo e quel Zdenko Gasparovic (1937-), autore di un solo indimenticabile cortometraggio: Satiemania del 1978, sulle musiche di Erik Satie.
Nel 1957 l’animazione italiana viene risvegliata dal ciclone di Carosello, contenitore pubblicitario che prevede, per ciascuna réclame, un siparietto divertente che introduce lo spot vero e proprio. Nascono così decine e decine di personaggi (tra cui Calimero, Tacabanda, Carmencita, Mister Linea, Mammut, Babbut e Figliutt) che permettono a molti animatori e altrettanti studi italiani (fra gli altri Gamma Film, Pagot, Campani) di nascere e svilupparsi. Tra questi Bruno Bozzetto, che firma tre lungometraggi d’animazione e decine di cortometraggi, acclamati e premiati nei festival di tutto il mondo (Cavallette ebbe la nomination all’Oscar), che affrontano con straordinario ritmo umoristico i temi più seri della moderna condizione umana.
Con la morte di Carosello nel 1976, tutto quello che era stato costruito in Italia viene perduto perché la RAI decide di limitarsi ad acquistare i cartoni animati: dagli Stati Uniti e dal Giappone. Così molti studi sono costretti a chiudere e molti autori a finanziare con i lavori pubblicitari i propri cortometraggi. Anche Manfredo Manfredi (che raggiunge perfino la nomination all’Oscar con il cortometraggio Dedalo del 1976) e Gianini e Luzzati (nomination nel 1964 per La gazza ladra e nel 1973 per Pulcinella) incontrano enormi difficoltà produttive e distributive per le loro opere.
E questo negli anni in cui fioriscono festival specializzati, nascono le associazioni degli autori e si cominciano a profilare le prime possibilità di legare autori e studi a produzioni organizzate.
Da sottolineare in questi anni il lavoro del regista francese René Laloux (1919-2004), che con il pittore Roland Topor (1938-1975) realizza nel 1973 il lungometraggio Il pianeta selvaggio e il polacco Walerian Borowczyk che, dopo una brillante attività nell’animazione negli anni Sessanta, si dedicherà alla regia di film dal vero, segnati da forti contenuti erotici.
Comunque il passaggio al lungometraggio da parte di maestri del cortometraggio – e quindi la scommessa di comunicare con il grande pubblico, è stata fondamentale per la storia di questi anni: George Dunning (1920-1979) ha firmato nel 1968 il celebre Yellow Submarine con le musiche dei Beatles, Jimmy Murakami (1933-2014) un drammatico film sulla paura della bomba atomica (Quando soffia il vento, 1986).
Tra gli autori dell’Est che hanno vissuto il crollo del muro di Berlino, va sottolineato il lavoro del cecoslovacco Jan Svankmajer (1934-), surrealista che utilizza per i suoi film (ad esempio lo straordinario Le possibilità di dialogo, 1982) ogni sorta di materiale possibile, e Jurij Norstejn, che attraverso una continua ricerca sulla tecnica realizza film favolistici di grande profondità e complessità.
Quando alla fine degli anni Ottanta si sviluppa l’industria dell’animazione in tutto il mondo, in tutta l’Europa (soprattutto quella occidentale) fioriscono scuole di formazione spesso rivolte all’animazione d’autore più che a quella seriale. E nonostante numerosi produttori televisivi si rivolgano alla Cina o alla Corea per le animazioni dei loro prodotti, non manca chi riesce a trasferire direttamente la sua poetica d’autore in forma industriale. Così ad esempio la Aardman Animation di Bristol, famosa per la sua animazione della plastilina con cui ha realizzato i tre cortometraggi di Wallace and Gromit (1989, 1993 e 1995); in seguito al successo ottenuto si è alleata con l’americana Dreamworks per la produzione dei lungometraggi Galline in fuga (2000) e Wallace and Gromit e La maledizione del coniglio mannaro (2005) e la distribuzione in tutto il mondo. Anche due grandi autori francesi, Sylvain Chomet e Michel Ocelot , sono riusciti ad arrivare al grande pubblico: il primo attingendo con personalità alla tradizione del fumetto francobelga (Les Triplettes de Belleville, 2003), il secondo – dopo una lunga esperienza come regista di corti in silhouettes – ispirandosi alle favole africane e mediorientali (Kirikù e la strega Karabà 1999; Kirikù e gli animali selvaggi, 2005 e Azur e Asmar, 2005).
In conclusione si può senz’altro affermare che il futuro del cinema d’animazione europeo si giocherà sempre di più sulle capacità dell’industria di far valere le potenzialità artistiche e innovative del mezzo, prendendo le opportune distanze dalle regole dettate dal mercato americano e giapponese.