Ierone e gli altri tiranni della Sicilia greca
I. (o Gerone) II, re di Siracusa dal 265 a.C., morì nel 215. Dopo aver militato contro i Cartaginesi al tempo della spedizione di Pirro in Sicilia, fu riconosciuto stratego, insieme ad Artemidoro, per iniziativa dei soldati (275-74). Accrebbe il suo potere sposando Filistide, figlia di Leptine, cittadino autorevole e di nobile famiglia. Mosse guerra contro i Mamertini, i mercenari di Agatocle (→) che si erano impadroniti di Messina e minacciavano la parte orientale dell’isola, e venne con essi a battaglia presso Centuripe sul fiume Ciamosoro, subendo inizialmente una sconfitta. Riordinato l’esercito, attaccò i Mamertini nella piana di Milazzo presso il fiume Longano e riportò una vittoria decisiva (265 circa), dopo la quale fu proclamato basilèus («re») dai Siracusani e dagli alleati. Ostile ai Romani all’inizio della prima guerra punica (264 a.C.), divenne presto loro alleato, dando valido aiuto alle truppe dell’Urbe (pur mantenendosi di fatto neutrale nelle concrete manovre belliche), mediante una collaborazione che si confermerà anche nella seconda guerra punica (219-202 a.C.). Tale sua politica fruttò ai Siracusani un periodo di pace e di opulenza.
Le fonti disponibili per M. (e da lui effettivamente utilizzate per evocare la figura di I.) sono Giustino (→) XXIII 4 e Polibio (→) I 8-9 e 16. L’epitomatore latino delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo (Martelli 1998, p. 144, sospetta che M. ne avesse «una conoscenza antologica») sunteggia liberamente i fatti legati alla biografia del siracusano con particolare riguardo all’aneddotica e alle curiosità; ulteriori (e più puntuali) informazioni M. trae dallo storico di Megalopoli.
Nel sesto capitolo del Principe M. introduce un breve profilo di I. trattando De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur con l’intento di assimilare l’occasione a lui offertasi a quelle di cui approfittarono «Moisè, Ciro, Teseo e Romulo»:
A sì alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene arà qualche proporzione con quegli, e voglio mi basti per tutti li altri simili: e questo è Ierone siracusano. Costui di privato diventò principe di Siracusa; né ancora lui conobbe altro da la fortuna che la occasione; perché, sendo e’ siracusani oppressi, lo elessono per loro capitano; donde meritò di essere fatto loro principe. E fu di tanta virtù, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive dice quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum. Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova, lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e come ebbe amicizie e soldati che fussino sua, possé in su tale fondamento edificare ogni edificio, tanto che lui durò assai fatica in acquistare e poca in mantenere (§§ 26-29).
M. riprende l’esperienza storica del «principe» siracusano anche nel cap. xiii del Principe (De militibus auxiliariis, mixtis et propriis):
Costui, come io dissi, fatto da’ siracusani capo degli eserciti, conobbe subito quella milizia mercenaria non essere utile, per essere e’ condottieri fatti come e’ nostri italiani; e parendoli non gli potere tenere né lasciare, gli fece tutti tagliare a pezzi e di poi fece guerra con l’arme sua e non con le aliene (§ 14).
In Discorsi II xxx 6, a proposito delle «republiche» e dei «principi» «veramente potenti» che «non comperono l’amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazione delle forze», M. ricorda l’alleanza stretta da I. con i Romani durante la prima guerra punica (cfr. Polibio I 16 e III 75; Giustino XXIII 4). Sempre nei Discorsi, nella dedica, M. evoca di nuovo la sentenza di Giustino, già citata nel Principe (vi 28: «quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum»), sull’attitudine di I. al governo:
E gli scrittori laudano più Ierone Siracusano quando egli era privato, che Perse Macedone quando egli era re: perché a Ierone ad essere principe non mancava altro che il principato; quell’altro non aveva parte alcuna di re, altro che il regno (dedica 10).
Sulla scorta di Tito Livio (XXIV 7 e 21-25), M. indirettamente richiama alla memoria anche la storia successiva di Siracusa. Morto I., infatti, gli successe il nipote Geronimo che governò con modi dispotici la città e, mentre era in procinto di condurre un’offensiva contro i Romani (aveva stretto legami con i Cartaginesi dietro la promessa del possesso dell’isola), venne assassinato dopo soli tredici mesi di regno (primavera del 214 a.C.). In Discorsi I lviii 5, discutendo della natura «varia» e «incostante» della «moltitudine», M. riporta specimina offerti dallo storico romano, tra gli altri quello di «Girolamo», e «quando mostra gli accidenti che nacquono in Siracusa dopo la morte di Girolamo nipote di Ierone» riferisce direttamente le parole di Livio: «Haec natura multitudinis est: aut humiliter servit, aut superbe dominatur» (haec natura è assente nelle edizioni moderne, che leggono ea natura, ma è registrato nelle stampe antiche). Ai fatti seguiti alla morte di «Girolamo» M. fa riferimento anche in Discorsi II ii 9, mentre discute «donde nasca ne’ popoli questa affezione del vivere libero» (e, per le sue considerazioni, dice di trarre materia dallo Hiero di Senofonte, il «trattato che fa De tyrannide», II ii 19, accostato probabilmente nella versione latina di Leonardo Bruni):
Non è maraviglia adunque che gli antichi popoli con tanto odio perseguitassono i tiranni e amassino il vivere libero, e che il nome della libertà fusse tanto stimato da loro. Come intervenne quando Girolamo, nipote di Ierone Siracusano, fu morto in Siracusa, che, venendo le novelle della sua morte in nel suo esercito che non era molto lontano da Siracusa, cominciò prima a tumultuare e pigliare l’armi contro agli ucciditori di quello; ma come ei sentì che in Siracusa si gridava libertà, allettato da quel nome si quietò tutto, pose giù l’ira contro a’ tirannicidi e pensò come in quella città si potessi ordinare uno vivere libero (II ii 20-21).
M. ricorre all’esempio dei congiurati contro Girolamo, inoltre, per mostrare che quando «e’ ne sia preso solo uno, che sia uomo forte, può elli con la fortezza dello animo tacere i congiurati», ma è anche necessario «che i congiurati non abbiano meno animo di lui a stare saldi e non si scoprire con la fuga, perché da una parte che l’animo manca, o da chi è sostenuto o da chi è libero, la congiura è scoperta» (Discorsi III vi 67-68).
In Discorsi I x 10-11, tiranni come i «Falari» e i «Dionisii», «sommamente vituperati» (si tratta di Falaride di Agrigento, tiranno tra il 570 e il 555 a.C., la cui crudeltà è ricordata anche da Dante, Inferno XXVII 7, e di Dionigi di Siracusa, che potrebbe identificarsi sia con Dionisio il Vecchio, tiranno tra il 406 e il 367 a.C., sia con il figlio, Dionisio II il Giovane, tiranno tra il 367 e il 357 e tra il 347 e il 344 a.C.), vengono contrapposti ai «principi virtuosi» – «eccessivamente [=moltissimo] laudati» – come i «Timoleoni» o i «Dioni». Dione, nel 357 a.C., divenne principe di Siracusa, subentrando a Dionisio II (approfittò della sua assenza dalla città per prenderne il governo). Quest’ultimo, tornato al potere dopo l’assassinio di Dione nel 354 – caduto vittima di una congiura che egli stesso permise «per tentare l’animo di alcuno che elli aveva a sospetto» (M. ricorda l’episodio in Discorsi III vi 197-98) –, fu poi definitivamente scacciato dal corinzio Timoleone nel 344. In Discorsi I xvii 4 l’esempio di Dione e Timoleone torna quando M. ragiona sul fatto che «un popolo corrotto, venuto in libertà», si possa «con difficoltà grandissima mantenere libero»; in Discorsi III vi 21-22 esso viene riproposto allo scopo di illustrare il motivo principale che spinge gli uomini a «congiurare contro al principe», ossia «il desiderio di liberare la patria» oppressa. Diverse le fonti antiche da cui era possibile avere conoscenza e trarre informazioni su queste vicende: a Dione e Timoleone sono dedicate due vite plutarchiane e due biografie di Cornelio Nepote, attribuite però – ai tempi di M. – a Emilio Probo; da esse (unitamente a Diodoro Siculo XIII 75 e segg. e XVI e a Giustino XXI 2) si potevano ricavare anche notizie su Dionisio I e Dionisio II.
Bibliografia: N. Machiavelli, Il Principe, ed. L.A. Burd, Oxford 1891, rist. anast. Oxford 1968; L. Wickert, Syrakusai, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, hrsg. G. Wissowa, W. Kroll, K. Mittelhaus et al., IV A, 2, Stuttgart 1960, coll. 1478-1547; G. Sasso, Principato civile e tirannide, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 2° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 351-483; N. Luraghi, Tirannidi arcaiche in Sicilia e Magna Grecia, Firenze 1994; M. Martelli, Machiavelli e gli storici antichi. Osservazioni su alcuni luoghi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Roma 1998.