IDROSTATICA
. È quella parte dell'idraulica che considera l'acqua in equilibrio, cioè non presentante spostamenti reciproci dei punti che costituiscono la massa.
Una massa d'acqua in equilibrio si comporta come un corpo isotropo. Nell'intorno di un punto generico la pressione per unità di superficie su un elemento piano si esercita normalmente all'elemento, e ha lo stesso valore qualunque sia la giacitura di esso. In altre parole: mancano componenti tangenziali delle pressioni, cioè si verifica la situazione di fluido perfetto.
L'acqua in equilibrio, come anche nella maggior parte dei casi di movimento, si considera come incompressibile (il modulo di compressibilità cubica dell'acqua è 2,07.108 kg.m-2. alla temperatura di 10° C.). La grandezza della pressione varia con continuità da punto a punto della massa; e poiché le equazioni di equilibrio si riassumono, in forma vettoriale, nell'espressione che la forza agente sull'unità di massa del liquido è eguale al gradiente della funzione pressione divisa per la densità, si deduce: a) che in un liquido incompressibile lo stato di equilibrio è possibile solo se il campo delle forze di massa ammetta un potenziale; b) che le superficie di eguale pressione nel liquido in equilibrio sono superficie di ugual potenziale nel campo delle forze di massa; c) che le forze di massa agenti sopra un generico volume di liquido in equilibrio costituiscono un sistema meccanico equipollente al sistema delle pressioni esercitate sulla superficie che racchiude il detto volume.
Quando, come è caso frequentissimo, le forze di massa si riducono ad essere soltanto il peso del liquido, cioè il campo è quello della gravità (campo che ammette il potenziale -gz, essendo g l'accelerazione di gravità e z la quota del punto generico su un piano orizzontale di riferimento), allora le superficie di ugual pressione sono piani orizzontali, e tale pure la superficie libera, cioè la superficie di confine tra la massa liquida e l'aria atmosferica, ed è costante, per tutta la massa liquida, la somma z + p/ω cui si dà nome di quota piezometrica, nella quale p è la pressione per unità di superficie (o pressione unitaria o semplicemente pressione) e ω è il peso specifico del liquido. La costanza della quota piezometrica per tutta la massa pesante in equilibrio può anche enunciarsi dicendo che la differenza di pressione tra due punti è uguale al peso specifico del liquido moltiplicato per il dislivello fra i due punti.
Se si considera una zona di superficie piana comunque giacente nello spazio, premuta da un liquido pesante in equilibrio, le pressioni che si esercitano sui singoli elementi costituiscono un sistema di forze parallele fra loro, normali al piano della superficie e dirette nel medesimo senso, la cui risultante è uguale all'area della zona di superficie moltiplicata per la pressione alla profondità del centro di gravità di essa, e passa per un punto del piano della superficie, centro di pressione, che è il centro di gravità della zona, ogni elemento della quale sia affetto da un coefficiente proporzionato alla pressione su detto elemento.
Se, ad es., la superficie considerata è un rettangolo in piano verticale di altezza h con due basi orizzontali lunghe l, una delle quali all'altezza dello specchio dell'acqua, e si prescinde dalla pressione atmosferica, la pressione totale sulla superficie è ωlh2/2, e il centro di pressione è sulla mediana verticale del rettangolo alla profondità 2h/3 sotto lo specchio dell'acqua.
Qualora si abbia una massa di liquido entro un recipiente cilindrico a sezione retta circolare e ad asse verticale, attorno al quale il recipiente ruoti con velocità angolare costante θ = 2πn (n numero di giri nell'unità di tempo), allora la massa si dispone in equilibrio sotto un campo di forze il cui potenziale è − gz + r2θ2/2, ove
è la distanza del punto generico dall'asse del cilindro (l'asse z è l'asse del cilindro, gli assi x ed y sono su un piano orizzontale); le superficie di ugual pressione sono paraboloidi di equazione − gz + r2θ2/2 = cost., in particolare la superficie di pelo libero è il paraboloide di equazione − g (z − z1) + r2θ2/2 = 0, essendo z1 la quota del punto del pelo libero sull'asse del cilindro. In un punto generico alla distanza r dall'asse l'unità di massa si trova soggetta alla forza verticale g e alla forza orizzontale radiale rθ2, quindi alla risultante
che forma con la verticale un angolo α, per il quale si ha tang α = rθ2/g.
Se un recipiente contenente un liquido ruota con velocità angolare costante θ attorno a un asse orizzontale, la massa si dispone in equilibrio sotto un campo di forza, il cui potenziale è − gz + r2θ2/2 (l'asse z verticale). Si dimostra che le superficie equipotenziali sono cilindri a sezione retta circolare ad asse orizzontale alto g/θ2 sull'asse di rotazione. L'unità di massa alla distanza r dall'asse di rotazione si trova soggetta alla forza verticale g e alla forza radiale in piano verticale rθ2; la risultante varia dal valore g − rθ2 nel punto più alto della traiettoria circolare al valore g + rθ2 nel punto più basso.
Se una massa di acqua è contenuta entro recipiente in moto rettilineo uniformemente accelerato, con accelerazione b, in direzione che formi angolo α con la verticale, l'unità di massa si trova soggetta a una forza
la quale forma con la verticale l'angolo β definito dalla relazione
le superficie equipotenziali, le superficie di ugual pressione e in particolare la superficie di pelo libero sono piani inclinati, le cui rette di massima pendenza formano con l'orizzontale l'angolo β (fig. 1).
Per studiare l'equilibrio di un corpo galleggiante si deve, in primo luogo, considerare il principio di Archimede, che si può enunciare in forma generalizzata, dicendo che le pressioni esercitate da un liquido contro la superficie di un corpo totalmente o parzialmente immerso costituiscono un sistema meccanico equipollente, salvo inversione di segno, alle forze di massa che agirebbero sul volume di liquido spostato dal corpo. Quando le forze di massa si limitano a essere il peso del liquido, allora si può dire che un corpo totalmente o parzialmente immerso riceve dal liquido una spinta, il cui valore è uguale al peso del volume di liquido spostato, la retta d'azione la verticale per il centro di gravità di detto volume (centro di carena), il senso dal basso all'alto.
Un corpo galleggiante nell'acqua si trova dunque soggetto a due forze: a) il suo peso, da considerarsi come forza avente per retta d'azione la verticale per il centro di gravità del corpo; b) la spinta dell'acqua, da considerarsi come forza avente per retta di azione la verticale per il centro di carena. Perché il corpo galleggiante sia in equilibrio, è necessario che il peso del corpo sia uguale al peso del volume d'acqua spostato e che il centro di gravità del corpo sia sulla stessa verticale del centro di carena. È evidente che l'equilibrio di un corpo galleggiante è stabile per uno spostamento in direzione verticale, ed è indifferente sia per uno spostamento in direzione orizzontale, sia per una rotazione attorno a un asse verticale.
Quanto a una rotazione attorno a un asse orizzontale, si debbono fare le seguenti considerazioni. Sia un corpo galleggiante in equilibrio (fig. 2) e s'indichi con G, C centro di gravità e centro di carena. Si pensi una deviazione del galleggiante dalla posizione di equilibrio attorno a un asse orizzontale, subordinata alla condizione che, pur variando la forma del volume di acqua spostato, non cambii la grandezza di esso volume. Questa condizione non limita il campo d'indagine, essendosi riconosciuto stabile l'equilibrio di un galleggiante per spostamento in direzione verticale. Nelle due posizioni, quella di equilibrio e quella deviata, lo specchio di acqua taglia il galleggiante secondo piani cui si dà nome di piani di galleggiamento, corrispondendo ad ognuno di essi ugual volume di carena. Questi due piani (uno è il piano di galleggiamento in situazione di equilibrio, l'altro è uno degl'infiniti piani di galleggiamento in situazione deviata da quella di equilibrio), supposti solidali col galleggiante, formano fra loro un angolo diedro θ, e s'intersecano secondo una retta cui si dà nome di asse d'inclinazione. La figura rappresenta la sezione trasversale del galleggiante fatta con un piano verticale normale all'asse d'inclinazione e contenente i punti G, C. Alla posizione deviata da quella di equilibrio dell'angolo θ attorno all'asse d'inclinazione corrisponde un nuovo centro di carena C′, che può essere fuori del piano della figura: in tal caso il punco C′ della figura è la proiezione ortogonale del nuovo centro di carena. Il galleggiante deviato dalla posizione di equilibrio si trova soggetto a due forze: il peso la cui retta d'azione è la verticale per G, la spinta dell'acqua (per la condizione sopra posta, uguale al peso del corpo) la cui retta d'azione è la verticale per il nuovo centro di carena. Si consideri ora il punto M, intersezione della GC con la verticale per il nuovo centro C′ di carena, se questo si trova nel piano della figura, intersezione con la verticale per la proiezione ortogonale C′ del nuovo centro di carena sul piano della figura, se il centro di carena è fuori di detto piano. Il punto M si chiama metacentro corrispondente alla considerata deviazione angolare θ, relativa alla sostituzione del piano di galleggiamento di equilibrio con altro piano di galleggiamento.
È ovvio che, se il metacentro è più alto del centro di gravità, la coppia (peso-spinta) tende a ricondurre il corpo in posizione di equilibrio, se il metacentro è più basso del centro di gravità, la detta coppia tende ad aumentare la deviazione. Si dirà quindi che l'equilibrio di un galleggiante è stabile nei riguardi di una data rotazione θ che sostituisce al piano di galleggiamento di equilibrio altro piano di galleggiamento, se il corrispondente metacentro è più alto del centro di gravità.
Indicato con V il volume di acqua spostato, quindi con ωV il peso del galleggiante, con v il volume emerso di carena uguale al maggior volume sommerso dopo la deviazione, con d la distanza fra i baricentri dei due volumi v proiettata nella direzione orizzontale contenuta nel piano della figura, con a l'altezza del centro di gravità G sul centro di carena C in posizione di equilibrio, il corpo galleggiante si trova soggetto a un momento:
che può scriversi:
ricordando che, per un noto teorema sui centri di gravità, è appunto
Per quanto si detto, l'equilibrio è stabile ove sia
Per piccole deviazioni angolari l'altezza metacentrica può calcolarsi come per θ = 0. Si trova:
essendo I il momento d'inerzia della sezione di galleggiamento rispetto all'asse d'inclinazione, che in tal caso si dimostra passare per il baricentro di detta sezione.
Agli effetti pratici, pur restando nel campo di piccole deviazioni, si deve considerare il più basso dei metacentri, e perciò per I si assumerà il momento d'inerzia della sezione di galleggiamento rispetto all'asse maggiore dell'ellissi centrale d'inerzia.