iconografia
La grandezza di D. s'impose così impetuosamente da portare fin nei contemporanei un interesse vivissimo anche su quella che era stata la sua persona. L'i. dantesca si stabilisce fin da principio essenzialmente su ricordi scritti; vale a dire sulle brevi allusioni al suo aspetto qua e là nell'opera di D. medesimo e soprattutto sulla precisa descrizione di lui nel Trattatello in laude di D. del Boccaccio. Il quale, sebbene non abbia mai conosciuto D., attinse a Ravenna, in tempi non lontani dalla morte di lui (1346; 1353) indicazioni e commenti di prima mano da persone che lo avevano avvicinato o gli erano state amiche: dà perciò l'immagine dell'ultimo Dante. " Fu adunche " - scrive il Boccaccio - " questo nostro poeta di mediocre statura e poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto; e il suo andare grave e mansueto; d'onestissimi panni sempre vestito. Il suo volto fu lungo, e 'l naso aquilino; e gli occhi anzi grossi che piccoli; le mascelle grandi; e dal labbro disotto era quello di sopra avanzato; e il colore era bruno; e i capelli e la barba spessi, neri e crespi: sempre in faccia malinconico e pensoso ".
Il 27 maggio 1865 si ritrovarono per caso le ossa di D. ritenute perdute e invece nascoste dai francescani del convento attiguo al suo sepolcro, verosimilmente fra il 1515 e il 1519 quando si cercava di riportarle a Firenze. Le ricognizioni del 1865 e del 1921 confermarono le affermazioni del Boccaccio sia riguardo alla statura che alla figura e all'aspetto del volto del poeta. Qualche studioso cercò di confrontare quei dati coi vari ritratti più antichi ritenuti di Dante. Ma, a parte che un ritratto sicuro di lui pare non esista, raffronti di questo genere sono arbitrari, in quanto l'arte non è un prodotto scientifico: quella del Trecento, poi, fu altamente idealizzatrice. Antiche fonti (Giovanni e Filippo Villani, Giannozzo Manetti, Antonio Pucci, il Vasari, ecc.) ricordano ritratti fedeli di D.: di Giotto, anzitutto (spesso messo in relazione con D. e ritenuto suo amico), e di Taddeo Gaddi: l'uno nel palazzo del podestà (Bargello) nella cappella della Maddalena; l'altro nel coro cintato della navata maggiore di S. Croce, distrutto però nel 1566 dal Vasari. Il notissimo ritratto di D. affrescato nella cappella del Bargello (ridotta a deposito e in pessimo stato) fu riscoperto nel 1840 sotto lo scialbo dall'italo-inglese Giovanni Bezzi Aubrey, che l'aveva tenacemente ricercato basandosi sulle fonti. Queste però non sono concordi; parlando ora di un dipinto su tavola (Filippo Villani), ora di un affresco (Giannozzo Manetti). La pittura appariva più leggibile nel 1840 che non oggi (si vedano una copia e un lucido tratti allora da Seymour Kirkup e da Perseo Faltoni). D. vi è rappresentato giovane, cioè prima dell'esilio, verso il 1300-1302. Dopo quest'anno, d'altronde, Giotto non avrebbe potuto raffigurare uno sbandito proprio nel palazzo del podestà. L'edificio però fu devastato da un incendio nel 1322, e profondamente restaurato. Le pitture furono dunque totalmente distrutte? O le attuali sono state rifatte nel 1337 (data di un'iscrizione sotto una figura)? In pessimo stato, la critica ne esclude ormai il nome di Giotto stesso e lo attribuisce alla sua scuola. È però vero che vi si notano più mani; e che per l'appunto la zona col ritratto di D. è di una maggiore altezza e grandiosità stilistica. Si tratta, quindi, di un resto - devastato e completato - del ritratto dipinto da Giotto quando D. era ancora a Firenze; o è di un allievo che nel 1337 ricalcava o copiava un affresco (o un quadro) giottesco famoso? Questo ritratto, comunque, è l'eco di maggiore antichità e verosimiglianza delle fattezze di D. e concorda (salvo l'età giovanile) con la descrizione del Boccaccio.
Da questo tipo e da altri simili deriva tutta o quasi tutta la successiva i. dantesca. Vediamo formarsi due tipi di rappresentazioni di D.: l'uno giovanile, sereno, chiaro d'incarnato; l'altro più maturo, con lineamenti segaligni e marcati e aspetto più tormentato e cupo. Bellissima, poco dopo il 1350, l'immagine dipinta da Nardo di Cione nella cappella Strozzi in S. Maria Novella, già col volto tipico, sebbene idealizzato. Anche in affreschi di seguaci riminesi di Giotto in S. Agostino a Rimini e in S. Francesco a Ravenna si è creduto di riconoscere D.; e forse si voleva davvero alludere a lui; ma con una tipologia abbastanza generica. Tale essa è anche in affreschi frammentari in S. Domenico a Pistoia, di pittore locale, in cui D. è raffigurato con altri poeti: i. piuttosto frequente. Giovanile e sereno egli appare nel bel disegno del primo '400 nel codice Palatino 320 della Nazionale di Firenze, che si riattacca al D. del Bargello. E disteso e pieno è nel volto in un rapido disegno del codice Eugeniano di Vienna. Mentre l'esile figurina in piedi, appena accennata, col libro della Commedia, nel codice Strozziano 174 della Laurenziana è già il Dantino ‛ macro ' e quasi sofferente dell'età matura.
Del tipo ‛ severo ' invece, e fra gli antichi il più bello, è il notissimo profilo del cod. Riccardiano 1040, dei primi del '400, attribuito a Giovanni del Ponte. I lineamenti acuti e netti, il volto amaro e chiuso, e il " color bruno " delle carni ci riportano alla descrizione del Boccaccio. Del consueto tipo ‛ severo ' è anche una tavoletta di Giovanni dal Ponte nel Fogg Museum a Cambridge, Mass.; e un D. della collezione Trivulzio a Milano.
In queste come nelle raffigurazioni che seguiranno, D. ha sempre una veste ampia, lunga, con grandi maniche fino al gomito sopra ad altre più strette; e costantemente una berretta bianca aderente alla testa con punte coprenti gli orecchi, cui è sovrapposto un berretto con fascia al sommo della fronte e un ricasco a cappuccio sul dorso. Dalla seconda metà del '400 un serto di alloro allude alla sua postuma incoronazione a poeta. Quasi sempre, poi, ha vicino o in mano uno o due libri: la Commedia e le altre sue opere. Il Boccaccio parlava di capelli e barba " spessi, crespi e neri "; ma nella prima Egloga a Giovanni del Virgilio D. sembra accennare a un suo imbiancarsi in confronto con l'antico flavescere, che pare alluda qui a capelli, più che biondi, chiari; è verosimile che da ultimo fosse brizzolato (così in antiche raffigurazioni). Quanto poi alla barba, essa non è mai rappresentata nelle sue immagini: sembra che la portasse saltuariamente. Nella massima parte dei ritratti è di profilo, anche quando il busto è di fronte, e questo tanto nel '300 che in seguito: quasi non ci si volesse scostare da un comune prototipo fededegno per la sua somiglianza.
La più grande, e celebre, raffigurazione di D., è quella dipinta da Domenico di Michelino per il duomo di Firenze nel 1465, in occasione del secondo centenario dantesco. D. appare in piedi, triste, coronato di alloro, fra Firenze e le immagini dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Quadro divenuto celebre, come dimostra un'incisione coeva, con qualche variante. Ma si noti, come segno dell'alta fama del poeta, che già prima del D. di Domenico di Michelino, verso il 1430 il duomo di Firenze aveva voluto un'altra immagine di D. (ora perduta): questa, tuttavia, di un mediocrissimo artista, fra Antonio Neri.
Ma se fin qui è stato generalmente ben riconoscibile il caratteristico volto di D., va detto però che spesso egli viene anche rappresentato con fattezze generiche e di fantasia. Questo soprattutto in miniature e incisioni; perfino in alcuni dei celeberrimi disegni del Botticelli per la Commedia; anche se l'artista in altri - e sono i più belli, immagini di un'emozione intensa - ripeta i noti lineamenti del poeta. Di scarsa tipizzazione è il D. di Giusto di Gand, già nel Palazzo Ducale di Urbino e ora al Louvre; che siede macilento e triste. Un D. imponente e severo è quello, probabilmente su disegno del Botticelli, fatto a intarsio da Giuliano da Maiano sopra una porta della Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio (1481). E si citi, fra i tanti, anche un D. dipinto da Benozzo Gozzoli in un affresco in S. Francesco a Montefalco. Ma, nel tardo '400, fra le raffigurazioni più belle di lui sono gli affreschi di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto; sia che D., nei tondi, venga rappresentato in movimento o in colloquio, sia che egli appaia isolato nel suo studio, amaro e triste nel profilo aguzzo, china la testa sulle pagine aperte della Commedia: immagine fra le più alte ideate per il poeta. Andrea del Castagno (c. 1450), nel notissimo affresco già nella Villa Pandolfini, ora agli Uffizi, lo presenta invece con fattezze piuttosto generiche, calmo nel gesto della mano aperta, visto in scorcio nell'ampio riquadro.
Quanto alle sculture, la maggior parte dei ritratti di D. si vorrebbe far risalire alla perduta sua maschera funebre, non identificabile però con alcuna delle cosiddette ‛ maschere ' di D. esistenti (oltre una ventina); nessuna delle quali mostra gli aspetti inconfondibili di un calco preso direttamente sopra un morto. Non si può tuttavia escludere che esistesse davvero una volta un'autentica maschera funebre del poeta. Fra quelle più celebri si ricordino la cosiddetta ‛ maschera Kirkup ', già appartenente allo scultore L. Bartolini e ora in Palazzo Vecchio; e la ‛ maschera Torrigiani ', di cui si ha notizia fin dal 1735 e che venne donata agli Uffizi nel 1865 dal marchese Pietro Torrigiani e ora è al Bargello, posta nella cappella vicino agli affreschi già attribuiti a Giotto. Corrado Ricci le suppose tutte derivanti da una testa, o busto, in antico presso la tomba di D.; il Piattoli, invece, calchi di una statua giacente sul suo sarcofago e adesso perduta. Difficile dire a quando queste ‛ maschere ' possano risalire; ma non certo a grande antichità. Il Cinelli (sec. XVIII) racconta di una ‛ testa ' di D. sulla sua tomba; passata dall'arcivescovo di Ravenna (Pier Donato Cesi?), al Giambologna, al Tacca, alla " duchessa Sforza "; e poi perduta. Si è pensato d'identificarla col magnifico busto bronzeo di D. nel museo di Napoli, già dei Farnese, attribuito perfino a Donatello e che sembra dell'ultimo '400 o del primo '500; opera di grande qualità. Le note sembianze hanno un'altera forza suggestiva; nello stesso tempo la notevole sensibilità del modellato raggiunge sottili effetti di luminosità. Nel 1483 un'altra celebre scultura, di Pietro Lombardo, sulla tomba dell'Alighieri a Ravenna rappresentò D. nel suo studio, col gomito appoggiato al libro sul leggio; il profilo rigido e dritto del naso fa supporre che il marmo sia stato rotto in quel punto svisandone così il caratteristico aspetto. Un bassorilievo al Castello Sforzesco di Milano ne dà una riproduzione con qualche variante.
Il Cinquecento si apre con le più splendide e alte rappresentazioni di D. dipinte da Raffaello nella stanza della Segnatura (due magnifici disegni preparatori sono a Vienna). Nel Parnaso il suo aspetto dai caratteristici lineamenti ormai codificati è quieto e pensoso; ma nella Disputa ha un piglio fiero, tagliente: sembra la testa di un'aquila pronta a colpire. Mai si erano viste immagini di D. di quella forza.
Le edizioni della Commedia e del Convivio ripetono nel sec. XVI (ediz. 1521; 1529, ecc.) le fattezze ormai fissate in una ben riconoscibile iconografia. Ma di poco passata la metà di quel secolo compare per breve periodo un'immagine di D. un poco variata nel profilo con il naso di una forma più massiccia, quasi ‛ a zoccolo di cavallo '; e questa si ritrova ad esempio in un dipinto attribuito al Vasari nell'Oriel College di Oxford (inciso poi da Girolamo Cock), dov'egli, col libro della Commedia, addita a poeti e scrittori celebri il globo celeste e quello terrestre: chiara allusione ai famosi versi sul poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra. Questo tipo è ripreso per es. nel D. di Cristofano dell'Altissimo nella collezione Gioviana agli Uffizi; e nell'incisione della Commedia stampata a Venezia nel 1564. Ma soprattutto, di questo tipo, si ricordi il bellissimo D. ora nella Galleria Nazionale di Washington (collez. Kress) e già in una raccolta inglese; attribuito sia al Bronzino, identificandolo con uno citato dal Vasari (ma era una lunetta), sia a un manierista fiorentino o toscano del XVI secolo. Il poeta è seduto, col volto inclinato, fra una tempestosa immagine di Firenze e una, luminosa, della montagna del Purgatorio cui si avvicina una navicella a vele spiegate: chiara allusione al principio della seconda cantica. Di quest'opera esiste un disegno, che si suppone più tardo, agli Uffizi. Alla fine del Cinquecento molti artisti rappresentarono D. (Stradano, Rosso Fiorentino, Zuccari, Clovio); ma per lo più in illustrazioni della Commedia.
Nel Sei e Settecento la fortuna figurativa di D. rimase per lo più sopita; né si aggiunse qualcosa di significativo a quanto avevano già portato i secoli precedenti. È con l'Ottocento che D. rientra nell'arte figurativa; a preferenza però non isolato, ma nel contesto d'illustrazioni delle sue opere o della sua vita. Era del resto il periodo dei quadri storici; e D., le sue vicende, le sue invenzioni poetiche, la Commedia così piena di spunti visivi e storici, vi si prestavano egregiamente. Basti citare di sfuggita il Paolo e Francesca di Ingres, il D. e Virgilio di Delacroix, il Sogno di Dante di D. G. Rossetti, e perfino il notissimo Incontro di D. e Beatrice di H. Holiday nel Museo di Liverpool. Senza parlare delle famose illustrazioni alla Commedia di Gustavo Doré. Ma si esula dal campo prefissoci. Un posto a parte ha in questo secolo la scultura (si noti il bel busto di D. di Vincenzo Vela a Torino) e soprattutto i numerosissimi monumenti a D.; fra cui si citino quello di Verona (di Ugo Zannon, 1865), di Trento (di Cesare Zocchi, 1896); e, a Firenze, quelli in S. Croce (Stefano Ricci, 1829), al loggiato degli Uffizi (Paolo Emilio Demi, 1842) e quello in piazza S. Croce (Enrico Pazzi, 1865); quest'ultimo voluto unanimemente da tutta l'Italia per il centenario dantesco di quell'anno. Con l'Ottocento infatti D. fu preso a simbolo unificatore di tutti gl'Italiani, mentre la patria era tuttora divisa. Nel nostro secolo egli è sentito ancora come tale simbolo nel Dante Adriatico di Adolfo De Carolis. E artisti diversi si cimentano con illustrazioni della Commedia (fra questi anche il Fattori); così, ai nostri giorni, ne abbiamo di Antony de Witt; e su D. hanno composto opere grafiche o pittoriche S. Dalì, E. Greco, R. Guttuso, Mirko Basaldella, R. Rauschenberg, ecc.: dimostrando così il perdurare del fascino dantesco quale fonte d'ispirazione per le arti figurative.
Bibl.- Oltre ai più noti repertori bibliografici, per es. quelli di Flsx e Coch, e del Fowler; gli Indici del " Bull. "; la bibliogr. in calce alla voce D. nell'Enciclopedia Italiana (a c. di M. Barbi); la Bibliografia dantesca, curata da N.D. Evola (1920-30), Firenze 1932; (1935-39), in " Aevum " XV (1941), si vedano in particolare: G. Vasari, Le Vite, a c. di G. Milanesi, I, Firenze 1878, 413 ss.; M. Missirini, Delle memorie di D. in Firenze, ibid. 1830; C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., Milano 1891 (ed edizioni seguenti, principalmente importante quella a c. di E. Chiarini, Ravenna 1965); A. Bezzi, Il vero scopritore del ritratto di D. in Firenze, in " Nuova Antologia " s. 5, XC (1900) 455 ss.; A. Chiappelli, Il ritratto di D. nel ‛ Paradiso ' dell'Orcagna, ibid., 16 aprile 1903; G.L. Passerini, Il ritratto di D., Firenze 1903 (1911²); C. Ricci, La D.C. nell'arte del '500, Milano 1908; R.T. Holbrook, Portraits of D. from Giotto to Raffael, Londra 1911 (di particolare importanza e con ricca bibl.); M. Besso, La fortuna di D. fuori d'Italia, Firenze 1912; O. Zenatti, D. e Firenze, s.a.; A. d'Ancona, Scritti danteschi, Firenze 1913, 533 ss. e 559 ss.; P.L. Rambaldi, Ancora su un ritratto di D., in " Studi d. " I (1920) 113 ss.; C. Ricci, La maschera di D., in " Rass. d'Arte " XXI (1921) 289 ss.; G. Biagi, E. Rostagno, G.L. Passerini, La D.C. nella figurazione artistica e nel secolare commento, Torino 1921; F. Frassetto, S. Muratori, G. Sergi, Ricognizione delle ossa di D. fatta nei giorni 28 - 31 ottobre 1921, in " Atti R. Accad. Lincei " CCCXX (1923) 30 ss.; F. Frassetto, Dantis ossa, Bologna 1933; W. Goetz, Das Dante-Bildniss, Weimar 1937; P.L. Rambaldi, D. e Giotto nella letteratura artistica sino al Vasari, in " Riv. d'Arte " XIX (1937) 286 ss.; R. Piattoli, In tema d'iconografia dantesca, in " Studi d. " XXIX (1950) 179 ss.; C. Marchisio, Il monumento pittorico di D. in S. Maria del Fiore, Roma 1956; Omaggio a D. degli artisti italiani d'oggi (VIII Quadriennale romana), Roma 1959; E. Carli, D. e l'arte del suo tempo, in D., a c. di U. Parricchi, ibid. 1965, 159 ss.