FIESCHI, Ibleto (Ibletto, Obietto)
Nacque nel 1435, probabilmente a Genova, da Gian Luigi del ramo di Torriglia della potente famiglia genovese e da Luisetta (o Lucetta) di Rollando Fregoso; suoi fratelli furono Giovanni Filippo, Orlando, Gottardo (che poi assunse il nome di Gian Luigi), Antonio Maria; sue sorelle Franchetta e Violante.
Studiò presso l'università di Siena (il Federici ricorda una lettera a lui inviata nel 1452 dal doge Pietro (II) Fregoso, suo cognato, in quanto aveva sposato Franchetta: cfr. Alberi geneal.);qui dovette venire a contatto con gli ambienti umanistici, coi quali rimase in rapporti per tutta la vita; a lui L. Maioli dedicò l'opuscolo De conversione propositionum cuiuscumque generis secundum peripateticos (Venetiis, A. Manutius, c. 1497). Abbracciata la carriera ecclesiastica, fu già nel 1461 notaio apostolico e poi protonotaio. Divenne l'ecclesiastico più importante all'interno del ramo di Torriglia; la posizione fu sancita dal conferimento del patronato sulle chiese gentilizie di S. Maria in Vialata di Genova e di S. Adriano di Trigoso, titolo che tradizionalmente spettava al membro destinato a guidare la politica della famiglia.
Nonostante il suo abito ecclesiastico, il F. fu fino in fondo uomo d'azione, impegnato nella difesa e nel consolidamento del feudo rivierasco; tale proposito, tuttavia, si scontrava con la politica di espansione perseguita dalla Repubblica di Genova, di cui diventava per i Fieschi vitale il controllo, diretto o indiretto, onde bloccarne le iniziative ostili.
Nel 1459 egli si trovava nel campo dei ribelli che assediavano Genova, guidati da suo fratello Giovanni Filippo; ucciso costui da un colpo di colubrina, nel febbraio, il F. abbandonò precipitosamente il campo, insieme con l'altro fratello Orlando, per dirigersi verso i castelli della famiglia, minacciati dal loro nipote Giacomo (o Giacopone), figlio di Antonio Maria. Odando fu catturato dai soldati francesi, dopo la sconfitta di Pietro Fregoso, capo dei ribelli, e venne decapitato; tale avvenimento portò il F. a guidare la famiglia, decisa ad approfittare della confusa situazione genovese per controllarla in modo più stretto.
Negli anni turbinosi che intercorsero tra la fine della signoria francese (1461) e l'inizio della dominazione sforzesca (1464), il F. collaborò con un altro inquieto prelato e uomo d'azione, Paolo Fregoso, arcivescovo di Genova, che, si era impadronito della città nel gennaio del 1463. Determinante fu l'aiuto del F.; i due esercitarono un controllo ferreo sulla città, condannato dai cronisti contemporanei, in un momento di profonda crisi economica, mentre i domini genovesi in Oriente si stavano sgretolando sotto l'avanzata del Turco. Dietro sollecitazione della nobiltà genovese, Francesco Sforza, duca di Milano, convocò i capifazione (Prospero Adorno, Spinetta Fregoso e il F.), ottenendo il loro appoggio per abbattere l'arcivescovo. Con uno dei tanti cambiamenti di fronte di cui la sua azione politica fu costellata, il F. abbandonò Paolo Fregoso, che preferì fuggire e darsi alla pirateria.
Fu lo stesso F. a entrare nella città, controllata dalle milizie fedeli al doge deposto; egli si asserragliò nel palazzo-fortezza di Carignano e vi attese l'arrivo delle truppe sforzesche, guidate da Gasparo di Vimercate. Il 14 aprile la città fu attaccata: il F. occupò il palazzo ducale, ma non poté impedire che la fortezza del Castelletto restasse nelle mani di Bartolomea, vedova di Pietro Fregoso, e di Pandolfo, fratello dello stesso. L'assedio terminò dopo quaranta giorni e segnò l'inizio della dominazione sforzesca, appoggiata dal Fieschi.
Morto Francesco Sforza (1466), i rapporti tra il nuovo duca, Galeazzo Maria, e la famiglia Fieschi si incrinarono, per motivi non conosciuti; il F. fu ben presto privato di tutti i suoi castelli e condotto a Milano, dove venne tenuto in stato di semiprigionia. Riuscito a fuggire, riparò in Francia alla ricerca di aiuti e passò poi a Roma, dove altri membri della famiglia (tra cui il fratello minore Gian Luigi) erano protetti da Sisto IV. Il papa, alleato col Ducato di Milano, ostacolò il progetto di un colpo di mano su Genova. voluto dal F., ma non poté impedire che alcuni cardinali lo favorissero. Nel 1477 scoppiò nella città e nella Riviera orientale una sommossa antisforzesca, guidata da alcuni giovani membri della famiglia Fieschi; il timore che di tale incertezza politica approfittasse la rabbia dei ceti meno abbienti (che già si era manifestata col saccheggio del palazzo ducale) fece sì che unanimemente si invitasse il F. a raggiungere Genova, per assicurare una guida autorevole alla rivolta. Il 20 marzo egli assunse la carica di capitano generale, sostituendo Carlo e Matteo Fieschi, che avevano fino ad allora diretto le operazioni. La situazione, tuttavia, rimase grave: le milizie sforzesche, asserragliatesi nel Castelletto, tennero la città sotto la minaccia di bombardamenti.
La reazione sforzesca, tuttavia, fu efficace: a capo delle truppe milanesi venne posto R. Sanseverino, mentre si raggiunse un accordo con Prospero Adorno (che era prigioniero a Milano), perché collaborasse alla riconquista della città. Il F. riuscì, nel frattempo, ad occupare il Castellaccio, ma non la fortezza del Castelletto; intavolò trattative col Banco di S. Giorgio, promettendo la cessione di Lerici, qualora fosse stato finanziato per la conquista di tale castello (3 aprile); respinto un primo attacco sferrato dagli uomini di Prospero Adorno, non fu, però, in grado di opporsi ulteriormente. L'11 aprile l'Adorno entrò a Genova, proclamandosi governatore per il duca di Milano; il F. si rifugiò nel suo feudo, riuscì a raccogliere 5.000 uomini e a tentare azioni di disturbo nelle zone appenniniche, saldamente sotto il suo controllo. Un suo tentativo di liberare dall'assedio milanese Savignone fallì; pesantemente sconfitto, venne costretto a consegnarsi al Sanseverino e a cedere Montoggio, mantenendo il possesso degli altri centri; mandato a Milano, fu sottoposto a rigida sorveglianza, benché gli venisse concesso un appannaggio annuo.
Alla fine di maggio egli prese parte alla congiura ordita dal Sanseverino per uccidere Bona di Savoia e Cieco Simonetta; scoperta la trama per la delazione di D. Del Conte, tentò la fuga insieme col Sanseverino; mentre il primo riuscì a rifugiarsi ad Asti, il F. venne intercettato, riportato a Milano e chiuso nel castello di Porta Giovia. Messo a confronto col Del Conte, dovette ammettere le proprie responsabilità. Inutilmente il fratello Gian Luigi ne sollecitò la liberazione; sconfitto dalle truppe comandate da Gian Giacomo Trivulzio, nel giugno, egli dovette rifugiarsi nel Finale. In seguito, tra la Reggenza milanese e Gian Luigi si aprirono trattative per riportare all'obbedienza i due fratelli.
Tuttavia nel giugno 1478 la situazione precipitò: Prospero Adorno, forte dell'appoggio aragonese, si ribellò a Milano e si proclamò doge. Il governo sforzesco, in crescente difficoltà, dopo aver tentato di ottenere l'aiuto di Gian Luigi, decise di giocare la carta rappresentata dal F.: nel settembre gli vennero promessi, oltre alla liberazione immediata, il titolo di governatore ducale a Genova, il controllo della fortezza di Luccoli, una località di importanza pari a Borgotaro (se non questa stessa), e l'appoggio per la nomina a cardinale, se egli avesse collaborato nella riconquista della città. Il 7 settembre l'accordo fu accettato.
Non appena libero, il F. preferì però unirsi all'Adorno, al cui servizio si trovava il Sanseverino, che era rimasto in buoni rapporti con lui. Fattosi consegnare una forte somma in cambio del suo aiuto, oltre che la promessa di un intervento a Roma per il tanto sospirato cappello cardinalizio, il F. tentò di attaccare Borgotaro e Pontremoli, validamente difese dalle truppe milanesi. Nel frattempo a Genova arrivò un altro capofazione, Battista Fregoso, rendendo più complicata la partita: il 28 ottobre una solenne assemblea, cui partecipò anche il F., .sancì la spartizione del potere tra il Fregoso e Prospero Adorno. Fu un accordo di breve respiro: mentre le truppe sforzesche mantenevano il possesso del Castelletto, scoppiarono violenti scontri tra le due fazioni nemiche; quando la bilancia sembrò volgere a favore dell'Adorno, il F. (con l'appoggio napoletano) non esitò ad allearsi con il Fregoso in cambio di una forte somma. Il 26 novembre Prospero Adorno, sconfitto, si diede alla fuga; il F. si unì poi al Sanseverino, che era stato allontanato dal doge Fregoso, nel tentativo di conquistare la Lunigiana ed il retroterra appenninico.
Il F. ed il Sanseverino si allearono con Sforza Maria, duca di Bari, e con suo fratello Ludovico il Moro; tale accordo venne segnalato alla Reggenza milanese da F. Saccomano, ambasciatore a Firenze (3 gennaio). Vennero compiuti poi altri tentativi in Lunigiana.
Nel maggio 1479 il F. appoggiò il Sanseverino nel fallito tentativo di abbattere il doge Battista Fregoso; portò l'accampamento a Calliso, in territorio milanese, e venne affrontato dalle truppe sforzesche, di stanza a Parma.
Le vicende successive sono confuse. Il F. dovette tornare in buoni rapporti col doge, da cui ottenne la custodia della porta di Luccoli e del Castellaccio (1480); tuttavia, alla fine di ottobre, venne espulso da Genova; ritornata Sarzana in mano ai Fregoso, che la avevano ceduta al Banco di S. Giorgio, il F. riuscì, nell'ottobre, a catturare Marco de Pii, capitano, delle truppe fiorentine, spedite a recuperare la fortezza, e lo mandò a Ferdinando, re di Napoli.
Nel novembre ottenne dal Ducato milanese 1.000 soldati per fortificare Luccoli, che egli era riuscito a riprendere; in aiuto del doge Battista Fregoso arrivò il cognato Marsilio Torelli che, dopo violenti scontri in città, riuscì a sconfiggere i sostenitóri del F., molti dei quali furono condannati al remo. Nel gennaio 1481 si arrivò all'accordo che obbligò il F. all'esilio, in cambio di una provvisione annua. Alleatosi con Prospero Adorno, riuscì a rientrare a Genova, ma ancora una. volta il Torelli riprese il controllo della situazione; le truppe del doge occuparono Chiavari, roccaforte dei Fieschi, ed obbligarono il F. ad abbandonare la città; egli proseguì, però, nelle sue azioni di disturbo contro i Fregoso e contro i Rossi, che gli contendevano il controllo di alcuni centri appenninici.
Riconciliatosi il F., almeno apparentemente, con Paolo Fregoso, ritornato al potere il 25 nov. 1483, il doge scrisse l'anno dopo ad Innocenzo VIII, perché si adoperasse per garantire la fedeltà del F.; in una lettera del 18 dicembre, il Fregoso ne ricordò l'operato per impedire un colpo di mano dei ribelli a Sestri Ponente. In seguito il F. risiedette a Roma e fu accanto al papa nella malattia che lo colse nella primavera del 1485.
Nel marzo il doge Fregoso esortò gli oratori genovesi da lui spediti a Roma a ottenere l'appoggio del F. nella questione di Pietrasanta, impegnandosi a raccomandare al papa il cappello cardinalizio per il Fieschi. Nel maggio questi avrebbe avuto il governo di Todi; nel settembre era ancora a Roma. Nell'accordo stipulato tra Innocenzo VIII e Genova (24 novembre), il doge si impegnò a non molestare i fratelli Fieschi, che poterono continuare le loro attività piratesche nella Riviera. Nel 1487, insieme con Gian Luigi, il F. fu fatto prigioniero dalle truppe fiorentine presso Sarzanello, ma venne presto rilasciato.
Tuttavia l'ostilità tra il F. e Paolo Fregoso (a cui papa Sisto IV aveva assegnato la ricca commenda legata all'abbazia genovese di S. Stefano, togliendola al F.) riesplose. L'anno seguente, unitosi ai ribelli, il F. organizzò le sue truppe di montanari per attaccare Genova; il Fregoso tentò la strada dell'accordo col F., che finse di accettare, ma ne approfittò per occupare la porta degli Erchi e la chiesa di S. Stefano. Tra il 7 e l'8 agosto le milizie dei ribelli entrarono in città; il F. venne chiamato a far parte dei capitani, poi riformatori; scoppiarono, però, violenti contrasti tra le eterogenee file dei vincitori, che comprendevano anche l'ex doge Battista Fregoso: ad aver la peggio fu proprio costui, che venne cacciato. Un tentativo, compiuto da Innocenzo VIII per condizionare gli avvenimenti, fallì. Si decise, alla fine, di consegnare la città al dominio sforzesco, nominando Agostino Adorno governatore ducale, con l'assenso del Fieschi.
Secondo il Senarega, il F. si recò a Roma per avere quel cappello cardinalizio che gli era sempre stato negato, godendo dell'appoggio di Ludovico il Moro. Tale speranza svanì; non solo: il F. fu trattenuto dal papa, su richiesta milanese, per impedirgli altri colpi di mano. Ritornato a Milano, fu ospite del Moro a Vigevano. Nel 1490 dovette di nuovo risiedere a Roma, perché fu eletto tra gli assistenti del papa al pontificale dell'Epifania.
In questo lasso di tempo maturò la frattura tra il F. e il fratello Gian Luigi, che con maggiore lucidità politica seppe compiere le scelte giuste nell'aggrovigliata situazione italiana. Nel 1494, sceso in Italia Carlo VIII, infatti, il F. si schierò accanto al cardinale Paolo Fregoso in difesa del re di Napoli, mentre Gian Luigi restò fedele alla Francia. Fuggito da Carpi, dove il Moro lo aveva prudentemente relegato (lo Sforza fece esporre nelle piazze di alcune città il ritratto del F., definito "mancatore di fede"), raggiunse la flotta aragonese che, nel settembre, attaccò Rapallo. La violenta battaglia che ne seguì terminò con la pesante sconfitta delle truppe napoletane; il F. fu costretto a fuggire sui monti soprastanti insieme coi tre figli, ma, ormai privato di ogni appoggio nel feudo che era saldamente controllato dal fratello, fu più volte derubato dai montanari e riuscì a salvarsi a stento.
Non rinunciò alla lotta: l'anno seguente, dopo l'entrata vittoriosa di Carlo VIII a Napoli, egli non esitò a chiedere la sua protezione ed accompagnò il re nel tormentato viaggio di ritorno. Anche in questa occasione i due fratelli si trovarono su sponde opposte, perché Gian Luigi partecipò alla Lega che si era formata per bloccare la conquista francese. Giunto a Pontremoli, Carlo VIII incaricò il F., insieme con altri, di tentare un colpo di mano su Genova; le navi francesi, mandate ad appoggiare queste truppe, vennero catturate al largo di Rapallo, ponendo termine al tentativo.
La sconfitta fu definitiva. Il F. trovò rifugio ad Asti; secondo le fonti genovesi, morì a Vercelli nel 1497, forse avvelenato. Il 16 settembre vennero celebrati a Genova i suoi solenni funerali, ai quali partecipò anche il fratello. Suoi figli naturali furono Orlando, Lorenzo, Luca, Antonio Maria ed Ettorino.
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