SANNAZARO, Iacopo
– Nacque a Napoli il 28 luglio 1457 da Nicola (Cola) e da Masella di Santomango (di nobile famiglia salernitana). La data di nascita tradizionale del 1458 (tramandata dai biografi antichi) va corretta in 1457. La famiglia, di origine lombarda (da Sannazzaro de’ Burgondi, nella Lomellina pavese), si era stabilita a Napoli nel 1381 con Rosso Sannazaro (morto nel 1404), uomo d’arme al seguito di re Carlo III di Durazzo, che lo ricompensò con i feudi di Mondragone e Sinuessa. Il figlio di Rosso, Iacobo, ne fu spogliato da Giovanna II, e il figlio di Iacobo, Cola, si ridusse a vivere più modestamente in Napoli, sui proventi di un’allumiera ad Agnano, portata in dote dalla madre Cicella de Anna.
I Sannazaro, non napoletani, si inserirono nell’antica nobiltà cittadina dei ‘seggi’ grazie al matrimonio di Rosso con Maddalena Mormile, del Seggio di Portanova, ed edificarono un palazzo presso piazza di Portanova, in via San Biagio dei Taffettanari. In questa dimora nacque probabilmente Iacopo Sannazaro, e qui avrebbe composto l’Arcadia e le opere della giovinezza.
Le condizioni della famiglia, già precarie, si aggravarono con la morte di Cola il 7 ottobre 1462, restando la madre Masella sola con i figli Iacopo (di appena cinque anni) e Marcantonio (nato nell’aprile del 1461). Della situazione approfittò Guillaume le Moine (favorito da re Ferdinando in quanto fonditore e governatore delle artiglierie), che nel maggio del 1465 stipulò con il re un contratto per lo sfruttamento dell’allumiera di Agnano, sottraendone i diritti ai fratelli Sannazaro ancora bambini. La vedova Masella (con i figli) tornò prima nelle sue terre d’origine a San Cipriano Picentino e poi, a Napoli, trovò ospitalità nella casa di Iacobotto Mormile. In ogni caso, consentì a Iacopo l’inizio di un apprendistato umanistico presso due apprezzati docenti dello Studio napoletano, Luca Grasso e Giuniano Maio. L’ultimo documento che la registra in vita la presenta ancora accanto ai figli, nell’assisterli in un atto notarile stilato nella Rocca di Mondragone, il 3 maggio 1474.
Più che alla corte aragonese, Sannazaro si avvicinò alla grande feudalità del Regno, filoangioina. La prima attestazione di un’attività letteraria è infatti l’organizzazione della festa di nozze di Federico Del Balzo, conte di Acerra e primogenito del potente Pirro, duca di Venosa, con Costanza d’Avalos, appartenente al clan degli Avalos fedelissimi della dinastia aragonese (1477). Oltre alla supervisione delle allegorie e degli apparati scenici, Sannazaro compose i testi della rappresentazione teatrale, riferiti nella vita latina di Costanza scritta dall’umanista siciliano Giovanni Tommaso Moncada conte di Adernò (1495). Intorno al 1480, in contatto con Pietro Iacopo De Iennaro, compose le sue prime egloghe (la prima, la seconda e la sesta dell’Arcadia, più un pezzo estravagante intitolato Alfanio e Cicaro, e probabilmente un altro nel codice Marciano 4752, Aglao et Aglasto).
Nel febbraio del 1481 entrò al servizio di Alfonso d’Aragona duca di Calabria, con lo stipendio annuo di centoventi ducati. In qualità di cortesano seguì il duca nella campagna per la riconquista di Otranto (aprile - settembre 1481), presa e saccheggiata dai turchi nel 1480, nella guerra di Ferrara (gennaio 1483 - ottobre 1484) e nella campagna d’Abruzzo contro i baroni ribelli (maggio - luglio e settembre - novembre 1485); ne ottenne la reintegrazione nei diritti dell’antico feudo di Mondagone (1481).
A corte, Sannazaro ebbe modo di frequentare la principessa Ippolita Sforza, moglie di Alfonso, e, grazie al sodalizio con Giovanni Pontano, il mondo dell’accademia umanistica. In quel contesto gli venne attribuito il nome di Accio Sincero (Actius Syncerus): ‘Accio’ dal diminutivo familiare Iacobaccio (e da un’ideale consacrazione poetica ad Apollo Actius) e ‘Sincero’ per la schiettezza e sincerità d’animo. Testimonianza dell’apprendistato umanistico, iniziato alla scuola del Maio, è il Repertorium rerum antiquarum, schedario di lettura da classici latini e da umanisti contemporanei. Affrontò da autodidatta anche lo studio del greco, giungendo a leggere direttamente e a tradurre le Olimpiche di Pindaro e gli idilli di Teocrito. Nel periodo in cui era a Ferrara con il duca Alfonso, iniziò probabilmente la composizione di un prosimetro bucolico, in cui inseriva le prime egloghe estravaganti e ne componeva di nuove. L’opera, in dieci prose e dieci egloghe precedute da un prologo, con il titolo Libro pastorale nominato Arcadio, completata all’inizio del 1486, fu copiata in un manoscritto di dedica per Ippolita Sforza e subito diffusa in tutta Italia.
Nel momento più critico della congiura dei Baroni (agosto 1486) Sannazaro era a Roma, accanto a Pontano incaricato di trattare la pace con il papa Innocenzo VIII (stipulata l’11 agosto). Continuò a restare legato a Pontano, nuovo segretario del re, dedicandosi maggiormente, negli anni successivi, alla poesia latina, con la composizione degli Epigrammata, delle Elegiae e di un poemetto mitologico, Salices; ma anche alla poesia lirica in volgare, con l’abbozzo di un canzoniere in cui la tematica amorosa incrociava quella politica. Partecipò al dibattito seguito alla pubblicazione dei Miscellanea di Agnolo Poliziano (settembre 1489) con violenti epigrammi contro l’umanista fiorentino (Epigrammata I 66-67). Negli anni Novanta riprese la composizione del Libro pastorale, con una giunta di due prose e due egloghe e un nuovo titolo, Arcadia.
Nel frattempo si incrinavano i rapporti con il fratello Marcantonio, sposatosi con Francesca Agnese senza l’approvazione di Iacopo. Il 21 luglio 1487 i due fratelli si accordarono per la divisione dei beni ereditari, con l’arbitrato dell’abate Carlo Rugio e di Roberto Bonifacio: a Marcantonio andarono la casa di Napoli e l’allumiera di Agnano, a Iacopo alcuni terreni a Torre del Greco, Resina e Bagnoli.
I pagamenti della Tesoreria reale attestano l’intensa attività presso il duca Alfonso. Sannazaro risiedeva nella stessa sede della corte, Castelcapuano, con il paggio Alfonso al suo servizio, affidatogli dal padre Onofrio di Giovanni Iacobo di Atino il 13 novembre 1489. Il 20 agosto 1489 organizzò a Castelcapuano, insieme al Cariteo, alcuni spettacoli teatrali chiamati farse per intrattenere il duca dopo una malattia. Tra le varie forme di intrattenimento, anche un monologo recitativo in dialetto chiamato gliòmmero (in napoletano, ‘gomitolo’), non privo di allusioni politiche e morali. Nel carnevale del 1490 a Castelcapuano fu messa in scena un’altra farsa, L’ambasceria del Soldano. Nel 1492, per celebrare la conquista di Granada, Sannazaro allestì le farse La presa di Granata (4 marzo) e Il Trionfo de la Fama (6 marzo, negli appartamenti di Federico d’Aragona), con una grande scenografia all’antica che comprendeva un arco di trionfo e due giganti di cartapesta eseguiti dallo scultore modenese Guido Mazzoni (come si legge in una relazione dello stesso autore alla principessa Isabella Del Balzo, moglie di Federico). Apprezzato anche per le sue competenze antiquarie e archeologiche, il 5 dicembre 1489 fu incaricato di accompagnare l’ambasciatore francese in visita alle antichità di Pozzuoli e dei Campi Flegrei, in un itinerario che ripeté a distanza di pochi giorni insieme all’architetto fra Giocondo da Verona, impegnato nel lavoro di costruzione della villa e dei giardini di Poggioreale.
Continuò a frequentare Costanza d’Avalos (vedova di Federico Del Balzo dal 1483), di cui fu ospite ad Acerra nel 1493. Fu in relazione con il medico umanista nolano Ambrogio Leone, che il 14 dicembre gli scrisse per chiedergli un carme per un florilegio celebrativo di Beatrice de Notariis, di cui lo scultore Giovanni Tommaso Malvito da Como aveva eseguito il monumento; e con Piero Leoni da Spoleto, medico di Lorenzo il Magnifico e amico di Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola e Poliziano. In una visione in terzine, Sannazaro ne denunciò l’assassinio (avvenuto subito dopo la morte di Lorenzo, 8 aprile 1492), indicando come mandante Piero de’ Medici. L’ostilità verso il figlio del Magnifico era acuita dal fatto che re Alfonso II gli aveva ceduto l’allumiera di Agnano (circa 1494).
Mentre Carlo VIII invadeva il Regno (1495), Sannazaro non dimenticò la vecchia questione dell’allumiera, e l’8 febbraio, dal campo militare di San Germano, ne ottenne dal nuovo re Ferdinando II la restituzione, in un atto firmato da Pontano e Pascasio Diaz Garlon. Il 9 marzo anche il re invasore, Carlo VIII, su istanza di Sannazaro, confermò la restituzione dell’allumiera, pochi giorni prima assegnata a un soldato francese. Il 7 settembre, partecipando all’assedio di un ridotto francese a Pizzofalcone, Sannazaro fu testimone della morte di Alfonso d’Avalos, celebrato in un’altra visione in terzine.
Il 7 ottobre 1496 a Ferdinando, prematuramente scomparso, successe lo zio Federico, e Sannazaro entrò al suo servizio con uno stipendio di 600 ducati. Il 27 gennaio 1497 prestò denaro al re, in difficile situazione finanziaria, e il 14 novembre la Tesoreria reale registrò il pagamento di restituzione di 21 ducati, 3 tarì e 10 grana. Coinvolto nella cerchia dei più intimi del sovrano, il 18 maggio 1498 fu padrino di battesimo di Ramiro, secondogenito di Federico e Isabella. Il re dimostrò in diverse occasioni la sua riconoscenza per la fedeltà e la lealtà di Sannazaro. Il 12 giugno 1499 gli donò la villa di Mergellina (detta Mergoglino); e il 24 marzo 1500 si presentò a Pozzuoli per testimoniare in favore dei fratelli Sannazaro nella causa contro Gaspare Scotio, cui Marcantonio aveva affittato l’allumiera di Agnano per soli 34 ducati annui. Nella nuova ambientazione di Mergellina il poeta iniziò la composizione delle Eclogae piscatoriae, felice ma incompiuto esperimento di superamento del genere bucolico, mentre (influenzato dalla presenza a Napoli del frate agostiniano Egidio da Viterbo) si rivolgeva anche alla poesia religiosa, componendo una De morte Christi Domini lamentatio ad mortales, e alcuni inni latini in onore di san Nazaro e san Gaudioso.
Nell’imminenza della conquista del Regno da parte di francesi e spagnoli, il 26 luglio 1501, Sannazaro vendette la gabella del Gaudello e altri due possedimenti per 15.000 ducati al fine di sovvenire re Federico, donò tutti i suoi beni al nipote Giovan Francesco figlio di Marcantonio, e affidò al fratello i suoi libri e i manoscritti delle sue opere (tra le quali l’Arcadia ancora incompiuta). Il 4 agosto il re si rifugiò nel castello di Ischia (governato da Costanza d’Avalos), confermando a Sannazaro il possesso dei diritti sull’allumiera, e donandogli il feudo di Caposele. Il poeta raggiunse il sovrano a Ischia e con lui partì il 2 ottobre, con una flottiglia di galee che raggiunse Marsiglia il 10 ottobre. Il corteo reale arrivò a Lione il 2 novembre, e infine a Blois, alla corte di Luigi XII, che offrì allo spodestato sovrano (in cambio della rinuncia dei diritti su Napoli) la Contea del Maine e uno stipendio annuo di 20.000 lire. Presso la corte francese Sannazaro incontrò il dotto bizantino Giano Lascaris, lo storico veronese Paolo Emili, i poeti Fausto Andrelini e Bernardino Dardano.
A Napoli, invece, approfittò della sua assenza Scotio, su istanza del quale il 13 novembre 1501 il Regio Fisco avviò una causa contro i fratelli Sannazaro per i diritti sull’allumiera. Informatone, Sannazaro ottenne addirittura l’intervento di Luigi XII, che il 7 maggio 1502, da Blois, scrisse personalmente al viceré duca di Nemours affinché il poeta fosse mantenuto nei suoi possessi di Agnano. Pochi giorni dopo, il 27 maggio, il re partì per l’Italia, e al suo seguito furono anche Federico e Sannazaro. Nel corso del viaggio, Sannazaro rivide l’amico Filippino Bononi di Lodi, già segretario regio a Napoli, e gli fece trascrivere il De reditu suo di Rutilio Namaziano, scoperto pochi anni prima nella biblioteca di Bobbio.
Tornati dall’Italia, Federico e Sannazaro si stabilirono a Lione (ottobre 1502 - gennaio 1503). Il 20 ottobre 1502 Aldo Manuzio dedicò al poeta l’edizione della Vita et sito dei Zichi del viaggiatore genovese Giorgio Interiano, forse con la speranza di ottenerne l’autorizzazione a una stampa delle sue opere. Il 28 gennaio Federico e Sannazaro arrivarono a Blois, presso la corte di Luigi XII, dove furono visitati da Iacopo d’Atri, corrispondente di Isabella d’Este, il 3 febbraio. In marzo si spostarono nella valle della Loira, a Tours, dove Federico prese possesso della residenza assegnatagli, il castello di Montils du Plessis-les-Tours.
Il 12 aprile Sannazaro ripartì per Lione, dove l’8 maggio lo ritrovò d’Atri. Nell’estate si portò probabilmente a Parigi, dove compose un epigramma in lode di fra Giocondo, ricostruttore del ponte di Notre-Dame, e frequentò gli ambienti intellettuali francesi. Presso di loro lasciò una copia della De Christi morte lamentatio ad mortales, che sarebbe stata pubblicata dal maestro Simon Charpentier a Parigi presso Denis Roce nel 1512 (con falsa attribuzione a un Nicolas Chappusot), e poi dall’umanista Jacques Toussaint, allievo di Budé, presso Josse Bade il 13 marzo 1513 (con corretta attribuzione a Sannazaro, e ricordo della sua visita a Parigi dieci anni prima). Dal novembre del 1503 fino al marzo 1504 soggiornò a Lione, dove il solito d’Atri lo visitò il 16 novembre 1503 e il 29 gennaio, il 19 febbraio 1504 e il 17 marzo (trovandolo spesso ammalato e alieno dallo studio), e il poeta Jean Lemaire de Belges compose Le Temple d’Honneur et de Vertus, liberamente ispirato all’Arcadia.
L’umanista ebbe anche modo di esplorare antiche biblioteche di monasteri e cattedrali, scoprendovi manoscritti di testi classici ancora sconosciuti o codici autorevoli di testi già noti: ne scrisse a Francesco Poderico, ricevendone un biglietto di felicitazioni da parte del vecchio Pontano (Napoli, 13 febbraio 1503). La notizia della morte del maestro (settembre 1503) lo raggiunse con una lettera del medico salentino Antonio De Ferrariis detto il Galateo (già frequentato nella corte aragonese).
Dall’Italia giungeva notizia delle prime edizioni (scorrette e non autorizzate) del Libro pastorale nominato Arcadio. A Blois, il 3 febbraio 1503, Sannazaro ne discorreva con d’Atri, chiedendogli di fargliene avere una copia. Fu probabilmente in seguito a queste vicende che compose la conclusione dell’opera (Congedo a la sampogna) e la inviò agli amici napoletani, autorizzandoli a pubblicare il testo definitivo dell’Arcadia. L’edizione, curata da Pietro Summonte, uscì per i tipi di Mayr a Napoli nel marzo 1504, con privilegio decennale e lettera di dedica al cardinale Luigi d’Aragona.
Il 9 novembre 1504 Federico d’Aragona morì di febbri nel castello di Montils, assistito da Francesco di Paola e da Sannazaro. Sannazaro tornò in Italia all’inizio del 1505, passando per Venezia, dove incontrò Aldo Manuzio per discutere di vari progetti editoriali. Appena rientrato a Napoli, lo raggiunse una lettera di Pietro Bembo (Venezia, 13 aprile), che si rammaricava di non averlo potuto incontrare nel corso di quel breve passaggio e gli inviava una copia degli Asolani pubblicati in marzo da Manuzio.
A Napoli trovò una situazione politica completamente mutata, con il nuovo dominio spagnolo instaurato da Consalvo di Cordoba nel 1503. Tra i primi incontri, quello con il Galateo, che inserì alcuni versi di Rutilio Namaziano nell’opera da lui appena completata, il De educatione (1505), un trattatello pedagogico che doveva essere inviato in Spagna a Crisostomo Colonna, precettore di Ferdinando d’Aragona figlio di Federico.
Difficili furono i rapporti con Consalvo: secondo gli antichi biografi, Sannazaro dovette accompagnare il conquistatore in una gita archeologica nei Campi Flegrei, e ne approfittò per esaltare la grandezza della civiltà romana e italiana nei confronti di quella iberica. Partecipò invece all’omaggio al re Ferdinando il Cattolico, a Napoli dal 1° novembre 1506 al 4 giugno 1507, e rappresentò il seggio di Portanova alla solenne cerimonia funebre per Filippo il Bello, re di Castiglia, marito di Giovanna la Pazza e genero del Cattolico (10 novembre 1506).
Diventato guida morale dell’umanesimo napoletano, promosse l’eredità intellettuale di Pontano con una serie di edizioni curate dal Summonte presso Mayr a Napoli. Compose epigrafi latine per sepolcri di giovani aristocratici napoletani nella chiesa dei Santi Severino e Sossio: per Giovan Battista Cicaro, scomparso il 30 novembre 1504, e per il piccolo Andrea Bonifacio, figlio di Roberto e Lucrezia Cicara (i legami con i Bonifacio si rinsaldarono nel 1514 con il matrimonio del nipote Giovan Francesco Sannazaro con Costanza Bonifacio figlia di Roberto). Un’altra epigrafe fu scritta a nome del figlio Camillo in memoria dell’amico Giovan Francesco Caracciolo, di cui Girolamo Carbone pubblicò i canzonieri Amori e Argo presso Giovanni Antonio de Caneto (aprile 1506).
Tornato a Napoli, Sannazaro dedicò la raccolta di rime volgari a una dama della regina Giovanna d’Aragona, vedova di Ferdinando II, Cassandra Marchese, sposa di Alfonso Castriota Scanderberg marchese di Atripalda (1499). Si era intanto interessato per trovare un precettore alla principessa Bona Sforza, figlia di Isabella d’Aragona duchessa di Bari. Il 30 marzo 1507 Iacopo d’Atri gli trasmise la richiesta di Isabella d’Este di inviarle alcuni suoi versi. Il 31 gennaio 1519 l’umanista napoletano Iacopo Perillo, allievo di Francesco Pucci, scrisse a Isabella a proposito del tentativo di far riavere a Mario Equicola i possessi aviti di Alvito con l’aiuto di Sannazaro. Sannazaro era in rapporto anche con il figlio di Isabella, Federico II Gonzaga marchese di Mantova, che ringraziava della benevolenza accordata a Ferrante di Sangro, gentiluomo napoletano a Mantova, coinvolto in una questione di duelli (luglio 1523).
Dopo il rientro dalla Francia Sannazaro rivolse sempre di più le sue energie verso gli studi umanistici e filologici. Trascrisse i testi classici scoperti in Francia, anche con la collaborazione di Summonte. Continuò gli studi greci e il 25 ottobre 1523 firmò la trascrizione in bella copia di una traduzione latina di Teocrito, condotta sull’aldina del 1496. Lesse gli storici antichi (Giustino, Floro, Plutarco) e i moderni umanisti (il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti nell’edizione curata da Poliziano a Firenze nel 1485, e gli Adagia di Erasmo appena pubblicati da Manuzio nel 1508), registrandone i luoghi notevoli in minuziosi indici alfabetici; allo stesso modo effettuò un radicale smontaggio dei testi dei poeti antichi (Orazio, Ovidio, Stazio, sempre sulla base delle edizioni aldine), compilandone vasti indici metrici. Evidente finalità di questo laboratorio era la ripresa della poesia latina, con la continuazione delle Eclogae piscatoriae e la sistemazione delle raccolte di elegie ed epigrammi, entrambe strutturate in tre libri. Scaduto il privilegio decennale di Mayr, Aldo Manuzio ripubblicò l’Arcadia (settembre 1514), con una lettera prefatoria indirizzata a Sannazaro e un testo ritoccato nella direzione della normalizzazione linguistica e ortografica promossa da Bembo. Ormai celebre, il suo nome veniva inserito nell’Orlando furioso, con esplicito riferimento alle Eclogae piscatoriae: «a le Camene / lasciar fa i monti, ed abitar l’arene» (XLVI 17, 7-8); e Giovanni Pierio Valeriano gli dedicava il XX libro degli Hieroglyphica (1522).
Rimase costante l’interesse per le arti figurative: oltre a dettare varie epigrafi, a Mergellina Sannazaro aveva ristrutturato la villa e iniziato la costruzione di una chiesetta dedicata a San Nazaro, con una cappella inferiore dedicata alla Natività (con un presepe in legno di Giovanni Merliani da Nola). La chiesa superiore, intitolata poi a Santa Maria del Parto, fu realizzata a navata unica, con ampie arcate laterali illuminate dall’alto, influenza dell’architettura di Alberti. La villa divenne luogo d’incontro degli umanisti napoletani: il giureconsulto Alessandro d’Alessandro ricordò i frugali conviti, mentre uno schiavo che portava lo stesso nome del poeta, Sannazaro, cantava versi di Properzio; Antonio Sebastiani detto il Minturno vi ambientò i dialoghi riferiti nel De poeta (Venezia, apud Franciscum Rampazetum, 1559).
Come Pontano, Sannazaro commissionò medaglioni con la propria effigie. Nel 1524 Girolamo Santacroce ne fuse uno con il profilo del poeta al recto e la scritta ACTIVS SYNCERVS, e al verso la scena di un presepe con la Vergine, San Giuseppe, il Bambino, il bue e l’asino. Un altro medaglione, identico nel recto, presentava al verso una scena di sacrificio intorno a un tempietto di Giano. Un terzo medaglione aveva al verso un giovane nudo che offriva una corona d’alloro su un altare ardente, con l’iscrizione APOLLINI ET MVSIS. Sannazaro ispirò anche la risposta di Summonte a una lettera in cui il patrizio veneziano Marcantonio Michiel chiedeva informazioni sulle opere d’arte presenti a Napoli; vi si accenna al piccolo museo privato del poeta, con un «Cristo in maiestate» del pittore fiammingo Petrus Christus, il suo ritratto eseguito dal pittore veneziano Giovanni Paolo degli Agostini allievo di Giovanni Bellini (oggi al Museo di New Orleans), e un altro ritratto «dal naturale» inserito in una composizione del giovane Rosso Fiorentino, accanto a Isabella di Requesens, Giovanna d’Aragona e Costanza d’Avalos junior. La sua effigie era già comparsa tra quelle di Ariosto, Boccaccio e Tebaldeo nel Parnaso dipinto da Raffaello nella Stanza della Segnatura in Vaticano (1511).
Continuava la corrispondenza con amici, confidenti e ammiratori nel resto d’Italia. Nel febbraio del 1511 gli scrisse da Venezia l’umanista Ludovico Vittore Falconio, lamentandosi della falsa amicizia di Aulo Giano Parrasio e di un furto di libri. Antonio Seripando, fratello di Girolamo e allievo di Francesco Pucci (a sua volta allievo di Poliziano), intrecciò una vivace corrispondenza con Sannazaro a partire dal 27 giugno 1517 da Roma, dove svolgeva le funzioni di segretario del cardinale Luigi d’Aragona. L’11 agosto 1520 Sannazaro scrisse a Bernardo Dovizi da Bibbiena ricordando la visita dell’editore Francesco Minizio Calvo. Nel 1525 inviò a Marcantonio Michiel una lettera risentita contro l’edizione di un florilegio di passi dell’Arcadia pubblicato a Venezia da un oscuro umanista pugliese. Nello stesso anno lo visitò a Napoli l’umanista veneto Lazzaro Bonamico, che ne ottenne di poter trascrivere alcuni dei testi classici scoperti in Francia.
Furono riallacciati i rapporti con Bembo, influente segretario della Cancelleria di papa Leone X a Roma. Sannazaro gli inviò una lettera di raccomandazione per un suo lontano parente, Girolamo Origlia (1° novembre 1515), e da parte sua aiutò Bembo nella riscossione dei benefici legati a una commenda gerosolimitana a Benevento. Altro tema importante, nelle loro lettere, fu la questione che da lunghi anni aveva reso infelice la vita di Cassandra Marchese, la causa di annullamento del matrimonio intentata contro di lei da Castriota. Bembo aveva promesso di sostenere in curia le ragioni di Cassandra, ma il suo aiuto fu inutile: Leone X concesse a Castriota una dispensa per contrarre nuovo matrimonio (con Camilla Gonzaga, settembre 1518), scatenando la violenta reazione di Sannazaro in alcuni feroci epigrammi contro il papa e nelle lettere a Seripando.
Negli stessi anni Sannazaro aveva portato a conclusione l’ultima grande sua opera, un poema latino sulla figura di Cristo, già annunciato nell’ottobre del 1507. Il progetto originario, con il titolo Christias, fu probabilmente offerto (o promesso) a papa Leone X nel 1513 (un abbozzo del primo libro, con il titolo De partu beatae Virginis quod Christeidos inscribitur, fu poi pubblicato a Venezia intorno al 1520, in una stampa non autorizzata). In seguito, il poema si focalizzò sulla figura di Maria e sulla vicenda della Natività, dall’annunciazione all’adorazione dei pastori. L’esercizio di un severo classicismo fu attuato in collaborazione con una ristretta cerchia di amici a Napoli (Francesco Puderico e Decio Apranio) e a Roma (Antonio Seripando, Antonio Tebaldeo, Iacopo Sadoleto ed Egidio da Viterbo). Il 21 aprile 1521 Giovanni Tommaso Tucca riferì del lavoro di correzione del De partu..., ma anche delle gravi condizioni di salute di Sannazaro. Fu intenso lo scambio di lettere con varianti al testo del poema (marzo - aprile 1521) con Antonio, che insieme al fratello Girolamo e ad Apranio lavorò a casa di Sannazaro nel 1523-24 come copista. Il 24 aprile 1525 lo stesso Bembo gli scrisse per chiedere la pubblicazione del poema, infine stampato a Napoli nel maggio 1526 dal tipografo Antonio Frezza nel palazzo di Andrea Matteo Acquaviva duca d’Atri: edizione curata dallo stesso autore, che presentava accanto al De partu beatae Virginis... anche le cinque Eclogae piscatoriae, il poemetto Salices e la De morte Christi domini lamentatio ad mortales, il tutto accompagnato da due lettere di Sannazaro a Egidio e a Belisario Acquaviva, e dal breve di Leone X redatto cinque anni prima (il 6 agosto 1521) a firma di Bembo.
Negli ultimi anni Sannazaro aveva sofferto di una forma di ulcera alla stomaco, con frequenti perdite di sangue, e per questo aveva cercato sollievo nelle cure termali a Pozzuoli (marzo - maggio 1518). Aveva dovuto continuare però a occuparsi delle noie della vita quotidiana: nel 1517, insieme al nipote Giovan Francesco, aveva fatto causa al Regio Fisco per l’esenzione dal dazio sull’allumiera di Agnano. Il 17 aprile 1526, presso il notaio Giovan Battista Della Valle, Sannazaro acquistò alcuni beni di Carlo Spinelli, tra cui un mulino di fronte a Porta Nolana, le rendite della terra di Santa Cristina e parte della gabella del bondinaro presso la Dogana Maggiore di Napoli. Le sue condizioni di salute erano così precarie che ogni tanto si diffondeva notizia della sua morte.
Più che a Mergellina, abitava ormai in una piccola casa con giardino ubicata nella strada di Santa Maria delle Grazie, ottenuta dagli eremitani presso la porta di Sant’Aniello (dall’11 gennaio 1521). Era una dimora sicuramente più tranquilla delle precedenti. Viveva modestamente, servito da due schiavi etiopi, chiamati Sannazaro e Jenzelo, l’uno con le funzioni di cameriere, l’altro di cuoco. Non lontano, di fronte alla chiesa di Regina Coeli, risiedeva Cassandra, ospite di palazzo Altomari.
Rumori di guerra turbarono però la sua tranquillità. Nel novembre del 1526, insieme al vecchio Poderico (ormai cieco) e al giovane Angelo Di Costanzo, dovette fuggire da Napoli, minacciata dalla peste, per rifugiarsi in un casale di Somma Vesuviana, nelle vicinanze di quello di Alfonso Sanseverino in cui si era rifugiata Cassandra. Tornato a Napoli, ricevette nel 1527 la visita di Paolo Giovio, fuggiasco da Roma a Ischia presso Vittoria Colonna e Alfonso d’Avalos, con cui discusse della letteratura contemporanea, emettendo aspri giudizi critici sugli Asolani e sulle Prose della vulgar lingua di Bembo.
Il 9 settembre 1529, nella casa di via Santa Maria delle Grazie, costretto a letto dalla malattia, fece apporre al notaio Sebastiano Canoro un codicillo al proprio testamento. Il 24 dicembre, in un atto rogato dallo stesso notaio, donò ai frati dell’Ordine dei Servi di Maria la chiesa di Santa Maria del Parto (non ancora completata) e la sua intera proprietà di Mergellina, più trecento ducati di entrata della Dogana Maggiore di Napoli (lasciandone altri trecento e un giardino di cedri sotto la villa al nipote Vincenzo), obbligando i frati alla celebrazione di messe in suffragio suo, di suo padre e sua madre e di re Federico, e a collocare il suo corpo in una tomba dietro l’altare maggiore, per la cui esecuzione furono destinati ben 12.000 ducati.
Nella primavera del 1530, per l’aggravarsi delle condizioni di salute, si diffuse la voce che il poeta fosse morto. In realtà, Sannazaro si spense il 6 agosto 1530, nel palazzo Altomari in piazza Regina Coeli, dimora di Cassandra.
Il giovane gentiluomo Ranieri Gualandi, testimone della morte, vestì il cadavere dei suoi abiti e lo fece portare per il compianto nella vecchia casa dei Sannazaro a Portanova, dove lo vide Angelo Di Costanzo. Il 18 agosto, in casa Sannazaro, si aprirono i codicilli del testamento, con l’assegnazione delle rendite ai Serviti. Il corpo restò in ‘deposito’ presso la chiesa dei Santi Severino e Sossio fino al completamento dei lavori della tomba in Santa Maria del Parto, dove lo scultore servita fra Giovannangelo da Montorsoli collocò il busto marmoreo del poeta (derivato dalla maschera mortuaria), un bassorilievo con Nettuno, Pan, le ninfe e il supplizio di Marsia, e l’epigrafe dettata da Bembo.
Opere. Poemata, a cura di G.A. Volpi - G. Volpi, Padova 1718 (con la vita di G.A. Volpi); Le opere volgari, a cura di G.A. Volpi - G. Volpi, Padova 1723 (con le vite e i commenti di G.B. Crispo, T. Porcacchi, F. Sansovino); Opera Latine scripta, Ex secundis curis Jani Broukhusii, Amsterdam 1728; Opere volgari, a cura di A. Mauro, Bari 1961; De partu Virginis, a cura di C. Fantazzi - A. Perosa, Firenze 1988; Latin poetry, trad. di M.J. Putnam, Cambridge (Mass.) 2009; Arcadia, a cura di C. Vecce, Roma 2013 (con bibliografia su edizioni e studi precedenti).
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