FANTONI, Iacopo
Figlio di Domenico, fiorentino, nacque probabilmente nel 1614. Della sua vita è nota solo la parte relativa al processo dell'Inquisizione intentato a Firenze nel 1641 contro il canonico Pandolfo Ricasoli e i suoi seguaci. Dalla sentenza emanata dall'inquisitore, infatti, e da alcune cronache successive emerge che egli fu ordinato sacerdote nel 1639 e che forse fin dall'inizio del 1640 cominciò a frequentare, a Firenze, un educandato per fanciulle intitolato a S. Dorotea e diretto da Faustina Mainardi, una vedova già stata tessitrice. Compito del F. sarebbe stato coadiuvare il direttore spirituale dell'educandato, il dotto e rispettato canonico Pandolfo Ricasoli. Ma, presumibilmente sedotto dalla Mainardi, il F. fu presto coinvolto nelle pratiche di una piccola setta che faceva capo all'autorevole figura del Ricasoli.
Questi aveva infatti sviluppato, a partire dal 1632, una dottrina consistente in una sorta di misticismo che prevedeva l'elevazione dell'anima a Dio attraverso i rapporti sessuali. Questo tipo di atteggiamento religioso e la dichiarazione del Ricasoli (riportata nella sentenza contro di lui) di aver agito "con quiete di coscienza e lume d'intelletto et senza scrupolo alcuno, intendendo di far attione heroica e simile a quella che facevano i gran servi di Dio quando erano tentati" (Firenze, Bibl. naz., Gino Capponi, ms. 237, p. 794) hanno indotto il Pastor a classificare il Ricasoli e il F. fra gli esponenti del quietismo italiano. In realtà, se la dottrina e la figura del Ricasoli possono essere significative in questo senso, non sembra possibile, sulla base dei documenti, affermare altrettanto del F.: egli frequentò l'educandato della Mainardi per diciotto mesi, ma vi fu probabilmente spinto (come suggerisce il Lami, I, pp. CXLV s.) più dalla giovane età e da un temperamento esuberante che da profonde considerazioni teoriche. Una descrizione fisica contenuta in uno dei resoconti della vicenda sembra voler sottolineare proprio questo aspetto della figura del F.: "era di ventisette anni, grasso, traversato, buono spirito e robusto". Tuttavia, dalla sentenza contro di lui emerge che, nel corso di una discussione con "un religioso" che gli obbiettava che le pratiche erotiche non sono citate nella Sacra Scrittura come strumento di perfezione, egli rispose "multa fecit Iesus quae non sunt scripta in libro hoc", parafrasando il Vangelo di Giovanni (XXI, 25; Firenze, Bibl. naz., Gino Capponi, ms. 237, p. 838); e va anche ricordato che egli sosteneva che i rapporti sessuali fossero "esercizi di virtù", purché praticati "con l'animo lontano da ogni dilettazione sensuale" (ibid., p. 845). Aveva inoltre scritto "una composizione in versi" in lode degli esercizi erotico-spirituali della Mainardi (ibid., p. 840) e alcune ottave, ma "tanto copertamente che chi non era capace non poteva intendere" (ibid., p. 847). Di questa produzione non sembra comunque essere rimasta alcuna traccia.
Verso la metà del 1641 il Ricasoli, forse intimorito da alcune denunce che erano state sporte contro di lui, si presentò spontaneamente all'Inquisizione e confessò tutto. È probabile che poco dopo si verificasse l'arresto del F. e degli altri seguaci del Ricasoli. Sia il F. sia il Ricasoli e la Mainardi furono rinchiusi nelle carceri fiorentine del S. Uffizio.
Il F. confessò solo dopo alcune settimane di carcere, allorché chiese di deporre davanti all'inquisitore. Questi, pur ritenendolo colpevole, gli concesse l'attenuante di essere stato "sedotto da persone accreditate" (ibid., p. 854) e la sentenza emanata il 20 nov. 1641 prevedeva per lui la condanna all'ergastolo, ma con la possibilità di appello al Supremo Tribunale del S. Uffizio e la grazia dalla confisca dei beni.
Ben più severa fu la condanna del Ricasoli e della Mainardi che, considerati teorizzatori di asserzioni eretiche, furono reclusi a vita senza possibilità di appello, mentre al Ricasoli venivano imposte anche gravose pene pecuniarie. D'altra parte il F. fu considerato, forse perché sacerdote, assai più colpevole di altre persone coinvolte nel processo (Carlo Scalandroni, Niccolò Mozzetti, Girolamo Mainardi e Andrea Biliotti), che subirono pene lievi.
Il 28 nov. 1641 il F. fu costretto, insieme ai suoi compagni, ad un'umiliante abiura pubblica, che fu a lungo argomento delle cronache cittadine. La cerimonia si svolse nel refettorio maggiore di S. Croce con un apparato imponentemente funereo. I sette condannati (e una scritta col nome di fra' Serafino Lupi dei serviti, morto prima del processo) furono esposti al numerosissimo pubblico su di un palco, in abito da penitenti: prima che abiurassero un frate lesse dal pulpito i rispettivi capi d'accusa e le sentenze. L'insistenza di questi testi sui particolari più imbarazzanti fu da alcuni giudicata morbosa e provocò all'inquisitore fiorentino, fra' Giovanni Mazzarelli da Fanano, la riprovazione e in seguito la rimozione da parte del S. Uffizio, per lo scandalo provocato.
Una fonte presumibilmente ottocentesca (Firenze, Bibl. naz., Gino Capponi, cassetta 3, n. 8) informa, infine, dell'esistenza di un quadro, da essa attribuito a Justus Sustermans e datato 1641, raffigurante la scena dell'abiura di Pandolfo Ricasoli e dei suoi complici nel momento in cui il F., inginocchiato davanti all'inquisitore, pronuncia la propria ritrattazione. L'opera faceva parte della collezione del marchese Gino Capponi, ma non è stato possibile stabilire se esista ancora.
Il F. fu incarcerato nel monastero dei camaldolesi di S. Maria degli Angioli, al quali il S. Uffizio permise, il 5 luglio 1642, "la trasportatione in altre carceri di Giacomo Fantoni" (Firenze, Arch. della Curia arcivescovile, Inquisizione, filza 17, c. 168r). Alcuni anni dopo fu liberato e forse esiliato (Firenze, Bibl. naz., Gino Capponi, MS. 237, p. 872). Se ne ignora la data di morte.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. della Curia arcivescovile, Inquisizione, filza 17, c. 168r; Ibid., Bibl. Riccardiana, ms. 2120: Abiura di Pandolfo Ricasoli, la Faustina Mainardi, I. F. e altri complici seguita in S. Croce di Firenze nel 1641, cc. 471v, 474r-477v; Ibid., Biblioteca naz., ms. 11, 165: Abiurazione di eresie di Pandolfo Ricasoli, Faustina Mainardi e I. di Domenico F. et altri complici fatta nel convento di S. Croce di Firenze nel 1641, cc. 42r, 46r-51v; altri esemplari con molte varianti: Ibid., Conventi soppressi, ms. A.6.1248, cc. 25v, 31v-39v, 51v, 53v-56v; Panciatichi, ms. 117, vol. II, pp. 130, 134-139, 150-152; Palatino, ms. 882, opusc. III, cc. 20r, (22)v, (23)v-(24)v; Gino Capponi, ms. 237, pp. 765, 821 s., 836-856, 871 s.; ibid., ms. 178, cc. 58v, 63v-70r; ibid., ms. 306, pp. 624, 642-663; ibid., cassetta 3, n.8: Ristretto della vita di Pandolfo Ricasoli Baroni fiorentino. Osservaz. sul quadro unico nel suo genere rappresentante la di lui abiura e sentenza proferite nel convento di S. Croce di Firenze nel 20 nov. 1641. Serie delle opere dello stesso Ricasoli, cc. (4)rv, (5)v, (6)rv, (9)v; G. Lami, Lezioni di antichità toscane, Firenze 1766, I, pp. CXXXIV-CLV; II, p. 612; M. Rastrelli, Fatti attenenti all'Inquisizione è sua istoria generale e particolare di Toscana, Firenze 1782, pp. 150, 152-155; F. Moisè, S. Croce di Firenze. Illustraz. storico-artistica, Firenze 1845, pp. 388-391; C. Cantù, Gli eretici d'Italia. Discorsi storici, Torino 1866, III, p. 337; L.v. Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1932, p. 325.