ALIGHIERI, Iacopo
Figlio di Dante di Alighiero e di Gemma di Manetto Donati. Compreso nel bando comminato al padre nel 1315, seguì il poeta nell'esilio, ottenendo dalla protezione di Cangrande un canonicato in Verona, oltre al godimento di benefici nella pieve di S. Giorgio di Valpolicella e in Sandrà, col reddito di sessanta lire veronesi. Rientrato a Firenze con Pietro, alla fine del 1322, ottenne, l'11 ott. 1325, una piena riabilitazione giuridica con il decreto di sbandimento allora deciso dal Comune. L'anno dopo (9 ott. 1326) il vescovo di Fiesole gli amministrò i primi due ordini minori e la tonsura. Nel 1332 egli ed il fratello separarono i loro beni da quelli dello zio Francesco e nel 1341 sistemarono le questioni patrimoniali sorte tra loro; l'A. tenne per sé i beni di campagna, mentre la parte della casa avita presso S. Martino del Vescovo toccò al fratello Pietro. Da estratti di alcuni documenti risulta che egli ebbe un figlio (Bernardo) e una figlia (Alighiera), ultima di questo ramo, che sposò il volterrano Angelo Balducci. Negli anni 1349-1350 il podestà di Firenze condannò i suoi eredi e i possessori dei suoi beni a pagare una multa di 200 fiorini d'oro a Domenico e Iacopa di Biliotto degli Alfani, per risarcire quest'ultima del danno fattole dall'A. col chiederla in moglie nel 1346, dopo che era rimasta vedova, e rifiutando poi di sposarla. Da questo gruppo di documenti si può desumere approssimativamente l'epoca della sua morte, che potrebbe essere avvenuta anche nel 1348, l'anno della grande pestilenza.
Anch'egli, come il fratello Pietro, si dedicò a chiosare l'opera paterna, scrivendo, con le note all'Inferno,il primo commento alla Commedia.Trascurando la lettera del testo e passando sopra ai riferimenti storici e politici, egli si soffermò sul contenuto allegorico, studiandolo minutamente. Il poema, per lui, è una meditata rappresentazione dei tre stati morali dell'uomo nella vita terrena. Inserendosi nella corrente degli ammiratori e dei ripetitori del poema, ne scrisse un sommario in terzine (la Divisione)dedicandolo (1322) a Guido da Polenta. Gli furono attribuiti una canzone augurale per la pace tra Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro (attribuita anche al fratello Pietro) e altri componimenti poetici di scarso pregio. Nel Dottrinale -zibaldone scientifico in settenari rimati due a due -egli tratta questioni fisiche, problemi morali e argomenti politici; non vi rivela qualità poetiche, ma si fa, piuttosto, eco delle dottrine morali e politiche paterne, dimostrando venerazione per la memoria di Dante, del quale afferma la perfetta ortodossia.
Fonti e Bibl.: Per i docc. cfr. il Codice diplomatico dantesco,a cura di R. Piattoli, Firenze 1950(cfr. Indice dei nomi),con la relativa bibliografia; v. anche G. Crocioni, Il "Dottrinale"…,Città di Castello 1895; Id., La materia del "Dottrinale" di I. A., in relazione con le teorie del tempo,in Riv. di fisica matematica e scienze naturali,III (1902); IV (1904); Id., Le rime di Pietro A.,Città di Castello 1903 (rec. di M. Barbi, in Boll. d. soc. dantesca,XI [1904], pp. 172 ss.); A. Della Torre, Un documento poco noto sul ribandimento di I. di Dante,in Arch. stor. ital.,s. 5,XXXII (1904), pp. 289-331 (ma ildocumento non èaccolto nel Codice diplomatico dantesco dal Piattoli); F. P. Luiso, Le chiose all'Inferno,Firenze 1915; Jarro (G. Piccini), Le chiose all'Inferno,Firenze 1915; N. Zingarelli, I figli di Dante,in Lectura Dantis,Firenze 1923; Id. La vita, i tempi e le opere di Dante,II, Milano 1933, p. 731; M. Barbi, Problemi di critica dantesca,Firenze 1934, pp. 359-393; N. Sapegno, Il Trecento,Milano 1942, pp. 114-116, 129, con le relative citazioni bibliografiche.