I traffici marittimi tra Evo antico e Medioevo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Negli ultimi secoli della tarda antichità il commercio vive una fase di forte contrazione, causata dalla fine dell’unità mediterranea e dal venir meno della domanda e della navigazione statali. Nonostante i traffici non cessino mai del tutto e i mari del Nord conoscano un momento di crescita, l’Europa si avvia a una ripresa complessiva soltanto in epoca carolingia, quando il panorama del commercio e delle comunicazioni appare fortemente mutato.
Rutilio Namaziano
Preferire le vie del mare
Il ritorno
Si sceglie il mare, perché le vie di terra,
fradice in piano per i fiumi, sui monti sono aspre di rocce:
dopo che i campi di Tuscia, dopo che la via Aurelia,
sofferte a ferro e fuoco le orde dei Goti,
non domano più le selve con locande, né i fiumi con ponti,
è meglio affidare le vele al mare, sebbene incerto.
(p. 5)
Allora infine vado alle navi, per dove il Tevere,
che si apre in fronte bicorne, solca i campi a destra.
Il braccio di sinistra, inaccessibile per troppa sabbia, viene evitato;
accolse Enea, gli resta questa sola gloria.
(p. 15)
Restai stupefatto dal porto contiguo, che la fama affolla,
smercio di Pisa e afflusso delle ricchezze del mare.
Splendido aspetto ha il luogo: è battuto dal mare aperto e espone nudo il litorale ad ogni vento.
Non v’è recesso coperto da braccia sicure di moli
che siano freno alle minacce di Eolo,
ma si tessono dinanzi al suo fondale lunghe alghe: toccano morbide la chiglia e non le nuocciono
mentre, rigandoli, tagliano i flutti rischiosi ed impediscono
che dal largo si rivolvano alte onde.
(p. 39)
Rutilio Namaziano, Il ritorno, a cura di A. Fo, Torino, Einuadi, 1993
Negli ultimi secoli della tarda Antichità il commercio mediterraneo vive una fase di forte contrazione accelerata da bruschi mutamenti che nel loro complesso determinano, tra 400 e 800, la fine dell’economia antica. A partire dal V secolo il Mediterraneo non costituisce più un elemento di unità; quello che era stato il mare nostrum si presenta piuttosto diviso in microregioni con un ripiegamento della produzione verso l’interno e con un’intensificazione del piccolo traffico di cabotaggio – quello costiero da porto a porto – a discapito del grande commercio.
A dispetto delle letture più pessimiste su quella che talvolta è stata definita l’epoca buia dell’Europa, in questo bacino le comunicazioni e i trasporti non cessano mai del tutto. La connettività tra le diverse sponde dei paesi che si affacciano su questo mare si mantiene anche nel momento in cui il commercio mediterraneo tocca il suo punto più basso, tra la metà del VII e gli ultimi decenni dell’VIII secolo, animata dalla navigazione costiera, dall’invio di ambasciate e da pur sporadici viaggiatori. È il traffico a lunga distanza a divenire sempre più occasionale e, malgrado persista la circolazione dei beni di lusso, a diminuire in modo sostanziale è il volume degli oggetti ingombranti trasportati su larga scala e accessibili a una più ampia fascia di compratori.
Negli ultimi secoli della tarda Antichità le navi che circolano fanno parte del sistema più ampio di approvvigionamento dell’Impero romano, di quelle flotte granarie che congiungono l’Europa, l’Asia occidentale e l’Africa settentrionale. La fine dell’unità del Mediterraneo, provocata dalla disgregazione dell’impero e dalle migrazioni e conquiste delle popolazioni barbariche, ha una forte influenza sulla riduzione dei commerci. Di fronte alla necessità di contenere le aggressioni dei barbari e il crescente stato della pirateria, le grandi navi da trasporto dell’annona sono rimpiazzate da imbarcazioni più piccole e veloci che possano navigare in squadre. Con la contrazione della domanda statale le due grandi rotte di commercio utilizzate dal sistema annonario, quelle che dalle coste meridionali del Mediterraneo confluiscono su Roma e Costantinopoli, vengono sostituite da più piccole reti di comunicazione e scambio di beni a livello regionale in cui l’iniziativa commerciale non viene più sostenuta dalla struttura statale.
In questa prima fase che va dal V al VII secolo è riscontrabile una certa continuità nell’andamento di alcuni porti, almeno finché questi non vengono conquistati dai nemici dell’impero. Sulle coste del Nord Africa il sistema di scali collegato a Cartagine continua a funzionare anche sotto il dominio vandalo e conosce un tentativo di restauro delle infrastrutture portuarie e delle mura dopo la riconquista bizantina (535). Se nella parte sud dell’impero, e prevalentemente in Egitto e in Levante, la situazione rimane sostanzialmente invariata, a nord del Mediterraneo i porti e le città costiere romane attraversano un momento di forte decadenza. In tali condizioni appaiono agli occhi di un viaggiatore appartenente alla classe senatoria della Gallia Narbonese, Rutilio Namaziano, che tra il 415 e il 417 deve far ritorno a casa da Roma per arginare le perdite nelle sue proprietà procurate dal passaggio dei Goti. Il quadro che tratteggia la costa tirrenica della penisola è quello di una terra di antica gloria ormai in disfacimento, in cui i fasti si possono ancora scorgere negli antichi monumenti delle città morenti. Rutilio sceglie insieme ad altri di partire per mare perché le strade e i ponti sono ormai inagibili e tuttavia anche la situazione delle infrastrutture portuarie sembra in rovina. Se in Gallia dal VI secolo i porti di Narbona e Arles sono sostituiti da quello di Marsiglia, attivo fino al VII secolo, nell’alto Tirreno ha ancora rilievo Genova, a cui fanno capo diversi piccoli scali liguri. Rutilio Namaziano, sostando a Pisa, rimane stupefatto dalla posizione naturale del porto e dall’afflusso di merci. Pisa è rinomata per le ricchezze che giungono dal mare e, anche sotto il dominio longobardo, mantiene una certa capacità di iniziative marittime autonome.
Nel VI secolo Roma rimane il porto più importante del Tirreno in cui l’arrivo delle merci in città è facilitato dalla navigabilità del Tevere, mentre tra i porti attivi a Sud si annovera ancora quello di Napoli. Nelle isole maggiori alcuni scali come Cagliari, Nora e Sulci in Sardegna ricoprono un’importanza strategica almeno fino all’VIII secolo. La Sicilia, che ha fatto parte del regno vandalo, continua ad avere rapporti con il Nord Africa dopo la riconquista da parte di Belisario, anche se da questo momento si rivolge a Oriente: città come Siracusa e Catania guardano a Costantinopoli, mentre Palermo rimane il collegamento con l’Italia peninsulare. Sulla costa adriatica oltre a Bari, contesa fra i Bizantini e i Longobardi, i porti di Pescara, Ancona, Rimini, Ravenna, Aquileia e Grado costituiscono il punto di raccordo con gli scali dell’Istria e fanno capo all’area di influenza bizantina. È il ruolo politico di sede imperiale che Ravenna assume dal 402 a favorire un notevole sviluppo economico, ulteriormente facilitato dal sistema di canali che la collegano al porto di Classe e al Po.
Gli effetti dell’espansione araba sul commercio
Tra VII e VIII secolo un altro evento interviene ad alterare il sistema degli scambi nel Mediterraneo: l’espansione araba. A seguito della predicazione del profeta Maometto nel giro di pochi decenni vengono spazzati via il regno vandalo nel Nord Africa, quello visigoto in Spagna, il secolare Impero persiano e Bisanzio vede fortemente ridimensionati i propri possedimenti. Tuttavia quelli che erano i fulcri del commercio e dell’approvvigionamento per l’Impero romano rimangono centri attivi sotto il dominio del Califfato, anche se sono sempre più orientati verso il Levante e l’oceano Indiano.
L’Egitto, punto di confluenza delle carovane transahariane, diventa il centro del sistema commerciale del califfato e si avvia a congiungere la Mezzaluna fertile con la Sicilia, con la costa occidentale del Nord Africa e quindi con la Spagna. Tra le merci di lusso esportate sulle coste settentrionali del Mediterraneo dal porto di Alessandria si annoverano le spezie provenienti dall’estremo Oriente e la seta cinese, trasportate per mare dai mercanti egizi; l’oro, l’avorio e le piume di struzzo giungono dall’Africa orientale, mentre l’Egitto stesso produce vetro e ceramiche, gioielli e tessuti. I tramiti dell’area islamica con Bisanzio sono Amalfi, considerata l’avamposto cristiano più a nord del califfato, e Venezia, che acquista un ruolo sempre più rilevante. In quest’epoca la marineria veneziana non è ancora specializzata, come sarà in seguito, su una determinata area del Mediterraneo, ma opera in un raggio d’azione che comprende il Nord Africa, l’Italia del Sud e la Sicilia, Alessandria, la Terrasanta e Costantinopoli. A partire dal IX secolo la Sicilia viene completamente islamizzata e si appresta a ricoprire un ruolo di mediazione commerciale tra il mondo arabo, la penisola italiana e l’Impero bizantino.
A seguito dell’ondata espansiva araba, nell’VIII secolo soltanto Costantinopoli ed Efeso sopravvivono alla scomparsa degli altri porti bizantini. La perdita della Siria e dell’Egitto assesta un grave colpo a Bisanzio e chiude l’impero intorno a Costantinopoli. Ciò nonostante, la città rimane uno dei più importanti centri commerciali e manifatturieri, favorita dalla collocazione geografica che la vede situata sul solo ponte di terraferma esistente fra Europa e Asia e sull’unico sbocco al Mar Nero, due rotte importantissime di approvvigionamento. Attraverso queste rotte le flotte mercantili greche portano dal Mar Nero a Costantinopoli le merci esportate dall’Europa settentrionale, come gli schiavi, le pellicce e la cera delle pianure russe, l’ambra, il pesce secco del Baltico, insieme a merci di provenienza orientale come la seta grezza cinese.
Già tra la metà del V e la metà del VII secolo i mercati del Mediterraneo orientale si muovono su una rotta che mette in comunicazione Alessandria con le isole britanniche e che passa attraverso le coste atlantiche della Spagna e della Francia. Per completare il quadro europeo del commercio dobbiamo quindi spostare lo sguardo verso l’Europa settentrionale.
Nel primo Medioevo i mari del Nord iniziano a giocare un ruolo essenziale nel sistema delle comunicazioni e dell’economia del mondo occidentale. Intorno alla fine del VI secolo e fino al IX, quando la situazione delle migrazioni barbariche si stabilizza e si placa anche la pirateria, le comunicazioni e l’economia del Nord conoscono una loro prima fase di sviluppo. L’interessamento delle nuove popolazioni nei confronti del mare e dei commerci si concretizza nella nascita di nuovi porti e città lungo le coste, mentre quelli di epoca romana si trovano già in decadenza dalla fine del III secolo. Le comunicazioni e gli scambi sono favoriti da un’omogeneità insediativa che vede i Celti a occidente e le altre popolazioni nelle aree centrali e orientali.
Se in una prima fase i rapporti sono sporadici e spesso legati allo scambio di doni per via di ambasciate, è a partire dal VII secolo che le fonti iniziano ad attestare la presenza di mercanti professionisti, la cui attività è favorita dal conio di nuove monete locali. Una prima ragione di questa rinascita commerciale viene quindi dalla stabilizzazione dei flussi migratori. Inoltre, il Nord Europa si trova libero dalle grandi epidemie dell’Antichità e l’area gode di un incremento demografico ed economico sin dal III secolo. Un altro elemento che incide positivamente sullo sviluppo del commercio e dei porti è costituito dal consolidarsi di potenti aristocrazie e monarchie, che hanno tutto l’interesse a controllare il mare e sviluppare il commercio e l’attività dei porti, anche per beneficiare dei diritti fiscali derivanti da approdi e dogane. Dall’VIII secolo inizia il fenomeno di espansione marittima di popolazioni del Nord che si fanno conoscere per le violente incursioni. Si tratta di un popolo misto di provenienza scandinava, che le fonti chiamano “Vichinghi”. Tra questi, i più attivi a Oriente nel commercio sono i Rus’ o Vareghi.
È in questo contesto che cresce l’attività di porti ed empori non conosciuti in epoca romana come Nantes, Londra e Rouen insieme ad altri che nascono tra l’Inghilterra sud-orientale e il grande delta della Mosa e del Reno. Tra VII e VIII secolo le rotte principali mettono in collegamento le coste dell’Irlanda e della Gran Bretagna occidentale con i porti della Bretagna e della Gallia atlantica. Gli approdi si moltiplicano anche grazie al perfezionamento delle tecniche della navigazione, al conio di nuove monete argentee e al legame di questi scali con i maggiori centri monastici che sorgono sul mare e che godono di privilegi ed esenzioni. Tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo arrivano dal nord del continente grano e legno; il vino delle valli della Loira, della Senna e del Reno; le manifatture e i semilavorati dall’Aquitania, dalla regione di Parigi e dalla valle del Reno; i lini dalla Frisia e le monete d’argento coniate dai Carolingi. Il Nord Europa è invece esportatore di schiavi, metalli, pelli e pellicce, oli di pesce e dei grandi mammiferi marini, di avori di tricheco e dell’ambra del Baltico.
Intorno al 700 mercanti e viaggiatori circolano fra Occidente e Oriente attraverso nuove reti, collegamenti, rotte e infrastrutture supportate da cambiamenti nella percezione geografica degli spazi, dalle innovazioni tecnologiche legate allo stile della navigazione, dalla riorganizzazione carolingia dell’economia che passa anche per la riforma monetaria e dal sorgere di nuovi valori culturali di riferimento. La trasformazione è ormai avvenuta e l’economia carolingia si presenta assai distinta da quella tardoantica. Tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 sono anche la crescita demografica, l’espansione e la stabilizzazione delle strutture politiche, i nuovi metodi di gestione del lavoro a favorire una rinascita commerciale da parte dell’Europa latina.
L’intensificazione della navigazione si deve anche all’introduzione di un’innovazione importante dal punto di vista della marineria, come la vela latina triangolare, assai più veloce e maneggevole della quadrata. Una navigazione che si articola prevalentemente lungo-costa in acque più circoscritte e familiari prolunga la stagione della navigazione e la rende possibile, al contrario di quanto avveniva nell’Antichità, anche con il brutto tempo. Inizialmente sono Ebrei, Frisoni, Greci e Siriani a dominare il commercio nei principali porti del Mediterraneo settentrionale, mentre a partire dall’VIII secolo la situazione si capovolge a beneficio dei mercanti Franchi.
All’inizio dell’800 il Mediterraneo si presenta diviso in quattro principali regioni commerciali: l’Egitto, il Levante, la parte egea dell’Impero bizantino e l’Italia. Quella egea rimane una delle grandi regioni di scambio anche grazie al sussistere del sistema fiscale bizantino che alimenta la domanda di beni di consumo. È quindi a partire dall’800 che si ripristinano diverse vie di comunicazione che mettono in collegamento le economie agrarie dell’Europa occidentale tra loro e con l’Oriente. Il commercio attinge e stimola la produzione agricola e manifatturiera delle regioni più interne, che viene convogliata nei mercati periodici che si tengono nell’Europa franca, consentendo il movimento di persone, beni e informazioni. Si sviluppano mercati locali e fiere internazionali, come quelle di Saint-Denis, che vedono il loro apogeo tra la fine dell’VIII e il principio del IX secolo e che si integrano alle reti di commercio interregionale. Sono anche i grandi possessi ecclesiastici ad attirare mercanti professionisti, che non di rado operano al loro servizio.
In questo periodo Venezia è uno dei porti più importanti per il commercio a lunga distanza. I Veneziani si muovono anche sulla rotta che passa dal golfo di Corinto e che continua via terra attraverso la Grecia, o via mare attraverso l’Egeo. Oltre al sistema di canali legato all’economia del Po, vicino a Venezia si sono sviluppati vari corridoi via terra che congiungono il Mediterraneo con l’Europa dell’Est, l’area del Danubio, il Mar Nero e Bisanzio sulla via dell’ambra facilitando il traffico degli schiavi. Ravenna mantiene l’importanza acquisita come sede imperiale e insieme a lei crescono di importanza lungo la costa gli scali da Comacchio a Grado. L’Italia si va quindi integrando all’economia dell’Europa centro-settentrionale, anche grazie ai valichi transalpini che collegano la pianura padana con la valle del Rodano attraverso l’azione dei Veneziani e dei mercanti di Comacchio loro concorrenti. Più a nord vi è poi una via di terra che collega l’Europa mediterranea al mondo vichingo e all’Asia. Oltre al traffico di cabotaggio tra i porti dell’Adriatico, rimane attivo un certo commercio delle merci di lusso orientali che vengono convogliate su Pavia per rifornire la corte franca. Dalla metà del IX secolo Venezia si concentra su Bisanzio e sul Levante e il suo distogliersi dal Mediterraneo orientale consentirà lo sviluppo di altri porti italiani come Genova, Napoli e Amalfi.