Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Franchino Gaffurio e Gioseffo Zarlino, i due più importanti teorici italiani del Cinquecento, sviluppano un’approfondita riscoperta dei trattati musicali greci e latini, in linea con le tendenze umanistiche dell’epoca, per confrontare i sistemi musicali antichi con quelli adottati nelle composizioni più recenti, delle quali analizzano in particolare la struttura dei modi, le regole del contrappunto e i rapporti degli intervalli.
Nell’ambito della trattatistica musicale del primo Cinquecento, Franchino Gaffurio, teorico musicale e compositore, è uno dei principali protagonisti del processo di graduale affrancamento dalla sudditanza nei confronti delle teorie medievali, rappresentate soprattutto dall’auctoritas di Boezio, e di riscoperta della saggezza antica, in linea con le tendenze umanistiche dell’epoca.
Le sue prime riflessioni, in chiave prevalentemente speculativa, vengono presentate nel Theoricum opus musicae disciplinae, pubblicato nel 1480 a Napoli, dove Gaffurio frequenta l’autorevole teorico Johannes Tinctoris, e nella Theorica musicae, versione riveduta e ampliata del precedente lavoro, pubblicata nel 1492 a Milano, dove egli è maestro di cappella del duomo dal 1484 fino alla morte.
In questi scritti Gaffurio, però, non sviluppa un’approfondita considerazione delle fonti antiche perché non conosce la lingua greca e quindi non può accedere ai principali trattati greci sulla musica che, in quel momento, non erano ancora stati tradotti. È di questi anni infatti la sua decisione di commissionare la traduzione degli scritti musicali di Tolomeo, Aristide Quintiliano, Briennio e Bacchio.
La lettura di queste e altre traduzioni di testi greci mostra i suoi primi frutti nella Practica musicae, pubblicata a Milano nel 1496, ma viene a incidere profondamente sulle opinioni dell’autore soprattutto nel De harmonia musicorum instrumentorum opus, stampato a Milano nel 1518 e terminato alcuni anni prima, dove Gaffurio cerca di raccogliere in modo ordinato, in un unico volume, quanto era stato scritto sulla teoria musicale in precedenza.
L’integrazione delle diverse teorie musicali da parte di Gaffurio porta a riflettere sulla questione della musica mundana, una teoria per la quale vi è la presenza di elementi musicali nella struttura del cosmo. Nella Theorica musicae, anche se l’accostamento proposto di frammenti della tradizione pagana e di quella cristiana non ricalca modelli precedenti, Gaffurio arriva all’affermazione, già più volte enunciata nel corso del Quattrocento, dell’equivalenza tra la musica degli angeli e quella degli astri: a tale riguardo viene sottolineata soprattutto la presenza dei rapporti numerici corrispondenti agli intervalli musicali nei rapporti delle distanze tra le sfere celesti. Questo porta ad affermare che l’universo è organizzato sulla base di rapporti musicali armonici ed è dunque l’organo di Dio, sul quale Egli suona melodie che, per la grandezza dei suoni e la limitatezza delle nostre orecchie, non sono udibili dall’uomo.
Molto più originale è la trattazione della musica mundana nel De harmonia musicorum instrumentorum opus, in cui Gaffurio, combinando in maniera inedita il commento di Ficino al Timeo con una serie di altri testi, ricava una cosmologia di stampo neoplatonico. In tale cosmologia – basata sull’idea che esiste un’anima mundi strutturata armonicamente che regola i rapporti tra la musica prodotta dall’uomo, la sua anima e l’universo – le muse, che sostituiscono gli angeli nella mediazione tra il cielo e la terra, vengono associate alle sfere, ai modi musicali e ai gradi della scala.
Gaffurio si distingue dai teorici precedenti anche nel tipo di approccio adottato per affrontare il confronto tra i “modi ecclesiastici” (le strutture scalari sulle quali si fonda il canto cristiano liturgico medievale e rinascimentale) e il sistema dei modi impiegato dalla musica greca antica.
Nel corso del Quattrocento, Johannes Gallicus, nel suo trattato Ritus canendi, aveva mostrato una fondamentale differenza tra i “modi ecclesiastici” e ciò che i teorici greci chiamavano “modi”, “tropi” o “toni”: mentre i primi sono “specie d’ottava”, e cioè articolano l’intervallo d’ottava in una successione di toni e semitoni che in ciascuno di loro è diversa, gli altri hanno tutti la stessa sequenza di toni e semitoni e si diversificano solo nel fatto che sono posti a diverse posizioni di altezza.
Gaffurio, nella trattazione sui modi antichi presente nel Theoricum opus e nella Theorica musicae, pur affermando di conoscere il trattato di Gallicus, confonde lo studio dei modi basato sul concetto di “specie d’ottava” con quello fondato sulla trasposizione d’altezza di un unico modulo.
Nel De harmonia musicorum instrumentorum opus lo studio delle “specie d’ottava” viene distinto dalla classificazione dei modi antichi sulla base della loro altezza; dato, però, che i modi ecclesiastici vengono classificati con gli stessi nomi che erano applicati ai modi antichi (Dorico, Frigio, Lidio ecc.), i discorsi sulle caratteristiche di ciascuno dei modi antichi, sulla relazione con i pianeti e altri elementi dell’universo e sulla capacità di provocare determinati effetti vengono applicati anche al modo ecclesiastico dotato dello stesso nome. Questa operazione ha due conseguenze particolarmente importanti per la cultura musicale dell’epoca: induce a credere che la musica più recente sia dotata di elementi in grado di suscitare gli stessi effetti provocati dalla musica antica, e – nella considerazione degli elementi di una composizione musicale – il “modo” sul quale un pezzo è costruito arriva ad acquisire un’importanza molto maggiore di quella che gli era accordata in precedenza.
Lo studio del contrappunto è il terzo ambito all’interno del quale Gaffurio elabora un’originale sintesi di diversi scritti precedenti. Questo tema viene affrontato soprattutto nel terzo dei quattro libri della Practica musicae, il trattato che Gaffurio dedica all’enunciazione delle regole sulle quali vertono le musiche del suo tempo, partendo da assunti filosofici di stampo aristotelico.
Dopo aver sviluppato una trattazione sistematica delle consonanze, Gaffurio sintetizza gli studi sull’arte del contrappunto in otto regole, che funzioneranno a lungo come termine di riferimento fondamentale per i musicisti e i teorici che intendano affrontare l’argomento.
Gioseffo Zarlino, il più rinomato teorico musicale della seconda metà del Cinquecento, è il principale continuatore del processo di riscoperta della trattatistica musicale greca, iniziato da Gaffurio e altri umanisti musicali, quali ad esempio Ludovico Fogliano e Heinrich Glareanus. Nato a Chioggia il 22 aprile 1517 e trasferitosi nel 1541 a Venezia, dove è allievo del grande compositore fiammingo Adriano Willaert, nel 1558 pubblica a Venezia il suo scritto più importante, Le istitutioni harmoniche; sempre a Venezia egli fa pubblicare nel 1571 le Dimostrationi harmoniche e nel 1588 i Sopplimenti musicali. Nel 1565 succede a Cipriano de Rore come maestro di cappella di San Marco, carica che ricopre fino alla morte, avvenuta il 14 febbraio 1590.
Rispetto a Gaffurio, Zarlino si interessa molto meno delle antiche trattazioni sulla musica mundana, alle quali dedica un unico capitolo delle Istitutioni harmoniche: dopo aver riconosciuto l’idea tradizionale che il mondo sia composto armonicamente, egli afferma che lo studio di tale materia è di pertinenza non della musica, ma della filosofia.
Piuttosto che occuparsi di tali questioni, Zarlino approfondisce ulteriormente il tentativo elaborato da Gaffurio di sviluppare una teoria che renda conto delle regole adottate dalla musica del suo tempo.
Un primo ambito è costituito dallo studio degli intervalli: la tradizione pitagorica, nell’ambito degli intervalli contenuti in un’ottava, considerava come consonanti solo quelli corrispondenti ai rapporti 2:1 (l’ottava), 3:2 (la quinta) e 4:3 (la quarta); con l’avvento della polifonia poi (a partire più o meno dal XII secolo d.C.), i musicisti avevano spesso considerato consonanti anche gli intervalli di terza e di sesta; Gaffurio riconosce che questi ultimi sono degli intervalli consonanti utili per la pratica contrappuntistica, ma li considera come consonanze “imperfette”, “irrazionali” e “indefinite”, perché non corrispondono ai rapporti che la tradizione pitagorica considerava “armonici”. Zarlino riesce a mostrare che il considerare consonanti gli intervalli di terza e di sesta non è incompatibile con l’idea pitagorica che siano consonanti solo gli intervalli corrispondenti a un rapporto armonico fondato su un “numero perfetto”; egli infatti sostiene che gli intervalli di terza e sesta considerati consonanti dai musicisti corrispondono ai rapporti 5:4 (terza maggiore), 6:5 (terza minore), 5:3 (sesta maggiore) e 8:5 (sesta minore), e che tanto questi rapporti quanto quelli delle altre consonanze (l’ottava, la quinta e la quarta) si fondano su un’unica entità numerica “perfetta”, il “senario”, e cioè l’insieme dei numeri dall’uno al sei.
Un altro ambito strettamente legato allo studio delle consonanze, all’interno del quale Zarlino elabora una posizione più originale rispetto a quella di Gaffurio è costituito dall’indagine sui sistemi di intonazione degli intervalli adottati dagli strumentisti e dai cantanti nella pratica esecutiva. La tradizione pitagorica, sancita dal De musica di Boezio, considerava come miglior sistema per intonare gli intervalli la cosiddetta “scala pitagorica”, che permetteva di far corrispondere tutte le ottave, le quinte e le quarte ai rapporti più perfetti (2:1, 3:2 e 4:3), ma che rendeva dissonanti le terze e le seste; questo sistema non poteva, però, essere usato nella pratica polifonica, nella quale le terze e le seste dovevano essere consonanti. Gaffurio riconosce che nella pratica vengono adottati dei sistemi diversi da quello della “scala pitagorica”, ma li considera inaccettabili dal punto di vista teorico, rimanendo in questo fedele a Boezio.
La sua posizione conservatrice viene pesantemente attaccata da Giovanni Spataro, allievo del grande teorico spagnolo Bartolomé Ramos de Pareja, contro il quale Gaffurio rivolge la sua Apologia adversum Ioannem Spatarium et complices musicos bononienses, pubblicata a Torino nel 1520; a tale scritto Spataro risponde con due volumi, pubblicati a Bologna nel 1521, Delucide et probatissime demonstrationes contra F. Gaffurio ed Errori de Franchino Gaffurio da Lodi subtilmente demonstrati.
Nelle Istitutioni harmoniche Zarlino, cercando di conciliare le osservazioni sulla pratica musicale svolte da Ramos de Pareja e Spataro con le trattazioni sui sistemi di intonazione degli intervalli sviluppate dai teorici antichi, nota che il sistema chiamato da Tolomeo “sintono diatonico” permette di far coincidere quasi tutte le ottave, le quinte e le quarte con i rapporti più perfetti, ma soprattutto permette di far corrispondere a quasi tutte le terze e le seste i rapporti consonanti basati sul “senario”. La conclusione cui egli giunge è che questo sia il sistema più perfetto tra quelli adottati dagli strumenti accordati “artificialmente” dall’uomo, e che i cantanti, nella musica “naturale”, ne adottino una versione ancora più perfetta, nella quale tutti gli intervalli consonanti corrispondono ai rapporti basati sul “senario”.
Analogamente a quanto avviene nella Practica musicae di Gaffurio, anche nelle Istitutioni harmoniche di Zarlino il terzo dei quattro libri è interamente dedicato all’arte del contrappunto, con un’approfondita trattazione che segue da vicino gli insegnamenti impartiti oralmente all’autore da Adriano Willaert. Lo scritto di Zarlino vede la luce tre anni dopo la pubblicazione a Ferrara del trattato L’antica musica ridotta alla moderna prattica, scritto da Nicola Vicentino, un altro allievo di Willaert.
In quest’opera vengono illustrati i principi della musica “cromatica” ed “enarmonica”, e cioè una serie di innovazioni che, secondo l’autore, dovrebbero permettere alla “moderna prattica” di ottenere i “meravigliosi effetti” che la musica greca antica provocava nei suoi ascoltatori.
Nel suo studio sul contrappunto Zarlino, senza mai citare apertamente il nome di Vicentino, attacca le sue argomentazioni a favore della musica “cromatica”, proponendo come modello, utile per dilettare e giovare, non le musiche dei “chromatisti”, che “non osservano i buoni precetti dell’Arte”, ma la “maniera” delle composizioni di Willaert, dotate di “gravità” e “maestà”.
Dopo aver studiato l’arte del contrappunto, Zarlino dedica il quarto libro delle Istitutioni harmoniche all’indagine sui modi. Nell’affrontare questo tema, egli si confronta con le trattazioni sull’argomento di Gaffurio e con il trattato Dodekachordon, pubblicato da Glareanus a Basilea nel 1547. La principale innovazione introdotta da quest’ultimo trattato consiste nel mostrare che i “modi ecclesiastici” sui quali si fonda la musica polifonica dell’epoca non sono otto, come di solito veniva sostenuto, ma dodici. Rifacendosi poi sotto molti altri aspetti a Gaffurio, anche Glareanus parla dei modi ecclesiastici classificandoli con gli stessi nomi che erano applicati ai modi antichi, finendo con l’attribuire le caratteristiche e gli effetti di ciascuno dei modi antichi al modo ecclesiastico dotato dello stesso nome. Dato che Gaffurio considera solo otto modi, egli si trova però costretto a dimostrare la presenza dei quattro modi da lui aggiunti anche nella musica greca antica, rifacendosi a una nuova lettura dei trattati musicali di Marziano Capella, Cleonide e Ateneo.
Rispetto a queste posizioni, la trattazione dei modi elaborata nelle Istitutioni harmoniche di Zarlino è volta a sostenere la correttezza dell’idea che i modi ecclesiastici siano dodici, e la completa erroneità della tendenza ad assegnare a ciascuno di questi modi uno dei nomi dei modi antichi e a far coincidere gli elementi caratteristici e gli effetti degli uni con quelli degli altri.
Per giungere a tali conclusioni, Zarlino realizza la più approfondita indagine fino a quel momento dedicata alle trattazioni antiche sui modi greci. Ciò gli permette di mostrare l’irriducibile differenza tra il funzionamento dei modi antichi e il sistema di classificazione dei modi ecclesiastici proposto da Glareanus.
Segue poi un’accurata disamina dell’uso dei dodici modi ecclesiastici nelle musiche più recenti che, integrandosi con le regole del contrappunto esposte nel libro precedente, completano la presentazione dei “precetti dell’Arte” che, secondo Zarlino, il compositore deve rispettare. A tale proposito, Zarlino sostiene che, se i compositori moderni riusciranno ad applicare tutti questi precetti, essi non solo otterranno gli effetti che la musica antica riusciva a provocare, ma potranno raggiungere risultati ancora “più perfetti”.
Riguardo poi alla relazione tra i modi e gli effetti della musica, Zarlino ritiene che, come i modi antichi, anche quelli ecclesiastici abbiano un loro ethos e incidano sugli effetti provocabili sugli ascoltatori. Nella trattazione su ciascun modo ecclesiastico, Zarlino non si limita a definire quale sia la sua “natura” e quali parole convenga associargli (rifacendosi spesso ai discorsi analoghi di Gaffurio e Glareanus), egli introduce un’osservazione più originale, distinguendo i modi moderni in due classi: quelli nei quali, nella quinta inferiore, in basso, si trova una terza maggiore sono “allegri”, mentre quelli nei quali nella posizione analoga c’è una terza minore sono “mesti”. In questa distinzione è possibile vedere un’anticipazione della distinzione moderna tra l’ethos dei modi “maggiori” e quello dei modi “minori”.
Dopo aver enunciato le linee fondamentali della propria teoria nelle Istitutioni harmoniche e averne approfondito alcuni aspetti nelle Dimostrationi harmoniche, nei Sopplimenti musicali Zarlino replica alle critiche a lui rivolte da Vincenzo Galilei, suo ex allievo che aveva modificato le proprie opinioni dopo l’incontro con l’umanista Girolamo Mei. Vincenzo Galilei lo attacca violentemente nel Dialogo della musica antica et della moderna, pubblicato a Firenze nel 1581 e nel Discorso intorno alle opere di messer Gioseffo Zarlino de Chioggia, pubblicato a Firenze nel 1589 in risposta alle repliche di Zarlino contenute nei Sopplimenti musicali.
I due autori si trovano in disaccordo soprattutto su due argomenti: la riflessione relativa ai sistemi di intonazione degli intervalli e il confronto tra la musica antica e quella moderna.
Per quanto riguarda il primo ambito, Galilei contesta l’idea di Zarlino che il “sintono diatonico” venga utilizzato, nella pratica delle esecuzioni musicali, in una versione “artificiale” dagli strumenti e in una “naturale” dalle voci. Criticando tale concezione, Galilei finisce con il mettere in crisi anche l’idea che i rapporti numerici corrispondenti alle consonanze si fondino sul “senario”.
Nel secondo ambito, Galilei attacca l’idea di Zarlino che la musica polifonica moderna possa divenire migliore di quella antica, che entrambi ritengono fosse monodica. A tale proposito Galilei condivide l’idea di Mei che la musica moderna polifonica non possa che essere inferiore alla musica antica, perché l’utilizzo della polifonia e dei modi moderni impedisce i “meravigliosi effetti” che la musica antica provocava negli ascoltatori usufruendo di un altro sistema modale e limitandosi a un andamento monodico.
Lo scontro tra Vincenzo Galilei e Zarlino ha suscitato un dibattito molto sentito nella cultura dell’epoca in cui si confrontavano due tipi di pratica compositiva: da una parte la composizione polifonica, che si era sviluppata soprattutto a Venezia prendendo a modello le musiche di Adriano Willaert, dall’altra la composizione monodica, che cominciava a essere sperimentata soprattutto a Firenze, nell’ambito della Camerata de’ Bardi.