Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia repubblicana italiana ha la poco lusinghiera particolarità di essere caratterizzata dalla presenza di poteri segreti e sotterranei che hanno spesso incrociato il loro destino con quello delle istituzioni ufficiali della politica e della società. Il risultato più evidente è una lunga stagione di stragi che va dal 1969 al 1993. Negli ultimi anni, in un sistema mondiale in cui gli assetti si sono ridefiniti e in cui il “grande nemico” ha cambiato il proprio volto, la “guerra a bassa intensità” contro il comunismo si è spenta, ma le pratiche per il controllo del potere emergono ripetutamente attraverso la cronaca italiana.
Il potere tra i poteri
Norberto Bobbio (1909-2004), in una delle ultime interviste concesse prima di morire, confessava di avere “sottovalutato il potere occulto. Abbiamo fatto finta di non vederlo, pensavamo di essere arrivati con la democrazia alla trasparenza. Intendiamoci, non eravamo così ingenui da ignorare che il potere è di per sé segreto. Il controllo degli altri senza essere controllati è sempre stato un fine più che un mezzo del potere: il potente dei potenti, Dio, è colui che vede tutto senza essere visto; gli arcana imperii hanno fatto la storia, anche la nostra unità, da Cavour a oggi. Ma non siamo stati capaci di prevedere”, concludeva Bobbio, “la sua diffusione trasversale e neppure il suo intreccio con la criminalità”.
Nella storia italiana recente hanno agito forze segrete e sotterranee che si sono di volta in volta incrociate, sommate o scontrate con le forze visibili della politica, dell’economia, della società. Il risultato più clamoroso, ma non l’unico, è costituito da una serie di stragi che dal 1969 al 1993 hanno provocato centinaia di morti e feriti, rimanendo per lo più senza una completa e definitiva soluzione giudiziaria: un fenomeno senza pari negli altri Paesi dell’Occidente industrializzato.
Per individuare almeno le tracce delle forze sotterranee che hanno agito dentro la storia italiana, una prima direzione di ricerca è comprendere la particolare situazione geopolitica dell’Italia al termine della seconda guerra mondiale: terra di confine tra il blocco occidentale e quello sovietico, Paese sconfitto, diventato alleato degli Stati Uniti, ma con al suo interno il più forte Partito Comunista dell’Occidente; e per questo oggetto di particolari attenzioni da parte della nuova potenza mondiale che, dopo aver vinto la guerra contro nazismo e fascismo, si avvia a combattere la nuova guerra contro il comunismo, anche utilizzando mezzi segreti e confliggenti con i riti della democrazia.
Il 12 marzo 1947 il presidente degli Stati Uniti Harry Truman (1884-1972) pronuncia di fronte al Congresso USA il celebre discorso sulla disponibilità degli Stati Uniti a intervenire in qualsiasi zona del mondo minacciata dai Sovietici e intossicata dal comunismo. La “dottrina Truman” per l’Italia viene declinata nei successivi documenti del National Security Council (NSC). Nel documento NSC numero 1/2 del 10 febbraio 1948 il governo degli Stati Uniti, nell’ipotesi che l’Italia cada in mani comuniste per effetto di un’invasione sovietica o di un’insurrezione interna, prevede l’immediato dispiegamento di forze militari statunitensi in Sicilia o in Sardegna. Nel successivo NSC (il numero 1/3 dell’8 marzo 1948, alla vigilia delle cruciali elezioni italiane del 18 aprile) si pone direttamente il problema della possibile conquista del potere dei comunisti “attraverso sistemi legali”: anche in questo caso gli Stati Uniti devono reagire immediatamente, fornendo “assistenza militare e finanziaria alla base anticomunista italiana”, e “anche a rischio di una guerra civile”. Nella direttiva NSC 10/2 del 18 giugno 1948 (a pericolo scampato: la DC ha appena battuto il Fronte Popolare) si afferma che comunque le attività ufficiali all’estero saranno affiancate da covert operations, operazioni coperte da cui non deve essere possibile risalire alla responsabilità del governo degli Stati Uniti.
Un delicato documento NSC del 1951 (il numero 67/3 del 5 gennaio) è disponibile ancor oggi soltanto in una redazione pesantemente mutilata: vi si prevedono iniziative degli Stati Uniti, tutte coperte da omissis, “nel caso che i comunisti guadagnino la partecipazione al governo italiano con mezzi legali”. Successivamente (NSC 5412 del 15 marzo 1954) si stabilisce la creazione, in ambito NATO, di Stay-behind assets: sono le strutture della pianificazione segreta anticomunista che in Italia sarà chiamata Gladio.
Viene così formalizzata l’anomalia strutturale delle catene di comando politico-militari italiane: il direttore del servizio di sicurezza militare, da cui dipende la pianificazione Stay-behind, dal punto di vista istituzionale e visibile dipende dal presidente del Consiglio, oltre che dal ministro della Difesa; però dal punto di vista effettivo, ma invisibile, in quanto capo di Stay-behind è legato a una catena di comando esterna, in ambito NATO, e risponde ai capi dei servizi di sicurezza degli Stati Uniti. Così il direttore del servizio ha il potere di decidere se comunicare oppure no l’esistenza della pianificazione Gladio al presidente del Consiglio da cui dipende – ad Amintore Fanfani (1908-1999), per esempio, la comunicazione non fu fatta. E ha addirittura il potere di concedere o rifiutare il nullaosta sicurezza, senza il quale nessun politico in Italia poteva diventare capo del governo: dunque il direttore dell’intelligence italiana aveva un potere cruciale su quella presidenza del Consiglio da cui avrebbe dovuto dipendere.
Un documento americano top secret del 1952 rivela poi l’esistenza del piano Demagnetize, che ha l’obiettivo “di ridurre le forze dei partiti comunisti, le loro risorse materiali, la loro influenza nei governi italiani e francesi e in particolare nei sindacati [...]. Del piano Demagnetize i governi italiani e francesi non devono essere a conoscenza, essendo evidente che esso può interferire con la loro rispettiva sovranità nazionale”.
Vista dall’Italia, la politica invisibile si concretizza in atti, fatti e scelte concrete. Nel 1948 vi erano piani militari segreti pronti a scattare nel caso il Fronte Popolare (l’alleanza elettorale di comunisti e socialisti) avesse vinto legittimamente le elezioni: Francesco Cossiga (1928-2010) ha parlato apertamente di armi in circolazione, anche nella disponibilità di civili anticomunisti. Vincenzo Vinciguerra, un militante fascista poi condannato all’ergastolo per la strage di Peteano, ha raccontato che il 18 aprile 1948 “nella sede centrale del MSI campeggiava una mitragliatrice Breda 37, dotata di adeguato munizionamento”: non estratta da segreti arsenali fascisti, ma semplicemente “fornita dall’esercito italiano sulla base dei piani di difesa (e di offesa) previsti per quel giorno”.
Un Paese a sovranità limitata
Gli Stati Uniti si attrezzano per combattere in Italia un conflitto invisibile, una “guerra non ortodossa”. Da una parte stringono rapporti istituzionali privilegiati (e segreti) con i militari italiani e con gli addetti ai servizi di sicurezza; dall’altra utilizzano in funzione anticomunista i reduci del fascismo (come fanno, su scala più ampia, con alcuni gerarchi e gruppi nazisti). Sottotraccia permettono, e anzi propiziano, la nascita del MSI, il Movimento Sociale Italiano, cercando di ridurre o almeno circoscrivere le pur forti pulsioni anticapitalistiche e antiamericane che sopravvivono al suo interno. Contemporaneamente favoriscono l’utilizzo di gruppi e organizzazioni a destra del MSI per la realizzazione di operazioni non ortodosse.
Sarebbe comunque semplicistico spiegare la situazione italiana con la sola influenza americana e lo stato di “sovranità limitata” in cui l’Italia si viene oggettivamente a trovare nel mondo disegnato a Jalta. È dentro il Paese che si afferma un forte e composito movimento anticomunista che teme l’Unione Sovietica e i comunisti interni: l’URSS ha per altro formalizzato, nel dopoguerra, piani segreti d’invasione da Est dell’Italia, affidati all’Ungheria; quanto al PCI, da Mosca riceve a lungo sostegno e finanziamenti occulti. In entrambi i campi c’è chi è disposto – per fermare il comunismo, o per farlo vincere anche in Italia – a forzare, nell’ombra, i confini della Costituzione repubblicana. Nel variegato fronte anticomunista italiano convivono poi forze diverse e disparate intenzioni: scelte ideologiche, amore per la libertà, difesa del libero mercato, paura del bolscevismo, ma anche ricerca di potere e, non di rado, voglia d’affari. Come ogni conflitto, anche questo ha i suoi profittatori di guerra.
Nel 1949 l’Italia aderisce alla NATO e, contemporaneamente, viene costituito il SIFAR, Servizio informazioni Forze Armate, da subito legato ai servizi americani (CIA e NSA) da catene di comando non ostensibili, da accordi e protocolli segreti. Rinasce anche l’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, che
da subito favorisce l’organizzazione di formazioni armate come il MACRI (Movimento Anticomunista per la Ricostruzione Italiana), il Fronte Antibolscevico, l’Armata Italiana di Liberazione, che riuniscono piccoli gruppi monarchici e fascisti.
Negli anni Cinquanta comincia anche l’attività sotterranea di dossieraggio. Lo testimonia, tra l’altro, un rapporto CIA del 1963 pubblicato nel 1967 dal settimanale “L’Astrolabio” di Ferruccio Parri (1890-1981), che fa riferimento a “una serie di fascicoli su personalità di primo piano nei campi politico, sindacale, degli affari e intellettuale”, “parecchie migliaia di nomi”, e ne attribuisce la paternità a Fernando Tambroni (1901-1963), ministro dell’Interno dal 1955 al 1959. La realizzazione è curata da un prefetto, l’ex fascista Giuseppe Pièche, che secondo il rapporto CIA utilizza “alcuni giornalisti suoi stretti associati” e fonda “l’agenzia Eco di Roma che servì come paravento”. All’uscita di scena di Tambroni, i fascicoli passano a Mario Scelba (1901-1991), ministro dell’Interno dal 1960 al 1962.
Anche il SIFAR inizia una robusta attività di dossieraggio, che si incrementa enormemente a partire dal 1959. Sotto il controllo del generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo (1907-1973), il servizio segreto militare arriva a formare e a custodire ben 157 mila fascicoli per nome e 40 mila per argomento. Microfoni segreti sono piazzati dal SIFAR persino dentro il Quirinale e nelle stanze vaticane – qui sono poi scoperti e smantellati dai collaboratori di papa Giovanni XXIII (1881-1973). La vita italiana cresce all’ombra di questi formidabili strumenti di controllo e di ricatto, mentre negli apparati e nella politica si consumano scontri feroci e invisibili tra gruppi e cordate.
Nel 1964 avviene in Italia la prima grave crisi istituzionale sotterranea. Entra nel governo il partito socialista, che con la DC costituisce il primo gabinetto di centrosinistra. Il leader del PSI Pietro Nenni (1891-1980) sosterrà di aver subito avvertito “un rumor di sciabole”, che avrà come effetto quello di ridimensionare pesantemente il programma di riforme che la nuova formula di governo aveva varato (non vedrà mai la luce, per esempio, la riforma del regime dei suoli, che avrebbe colpito la proprietà fondiaria). Che cos’era quel “rumor di sciabole”? Erano i segnali ai partiti che, se si fosse troppo forzato il quadro politico, era pronto a diventare operativo quello che sarà poi conosciuto come Piano Solo: una pianificazione militare segreta che prevedeva l’attivazione dei soli carabinieri e l’arresto preventivo di molte centinaia di persone (gli “enucleandi”) tra cui parlamentari del PSI e del PCI, sindacalisti, militanti di partito e intellettuali.
L’anno seguente, nel maggio 1965, l’istituto di studi strategici Pollio, finanziato dagli ambienti militari e dai servizi segreti italiani, organizza il celebre convegno all’hotel Parco dei Principi, a Roma, che teorizza l’inizio della “guerra rivoluzionaria”. Indica come nuovo nemico dell’Occidente la “distensione”, il “dialogo”, la “coesistenza” fra i due blocchi, che si andavano affermando in quegli anni di grandi speranze: il campo comunista non si sta aprendo, sostengono invece i promotori del convegno, ma sta soltanto utilizzando mezzi più raffinati e subdoli per indebolire il mondo libero. La terza guerra mondiale è già iniziata, seppure non nelle forme tradizionali del conflitto dichiarato: il fronte comunista è all’opera con mezzi politici e psicologici. A questi bisogna contrapporsi, subito, con strumenti adeguati, sullo stesso terreno, per sua natura sotterraneo e segreto. Fra i partecipanti al convegno vi sono molti appartenenti alle gerarchie militari, accanto ad alcuni dei protagonisti, a vario titolo, della successiva stagione di bombe e depistaggi: Guido Giannettini, Pino Rauti (1926-2012), Stefano Delle Chiaie (1936-), Mario Merlino (1944-).
La strategia della tensione
Seguono gli anni della cosiddetta “strategia della tensione”, aperta dai numerosi attentati del 1969 – per cui sono stati condannati in via definitiva i neonazisti del gruppo di Franco Freda (1941-) –, che culminano con le bombe del 12 dicembre in piazza Fontana, a Milano, e all’altare della Patria, a Roma: eventi destabilizzanti da attribuire ai “rossi”, per innescare nel Paese una forte richiesta d’ordine e il successivo intervento autoritario militare e politico (“destabilizzare per stabilizzare”). Nella realizzazione delle stragi di questa stagione (piazza Fontana a Milano, 1969; Gioia Tauro, 1970; questura di Milano, 1973; piazza della Loggia a Brescia, 1974; treno Italicus, 1974) sono coinvolti militanti di piccoli gruppi eversivi, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Costanti e ricorrenti sono gli interventi e i depistaggi del servizio segreto militare (il SID, nuovo nome del SIFAR) e civile (Ufficio Affari Riservati).
Numerosi sono i segnali emersi di interventi militari di tipo golpista pronti a scattare in seguito alle stragi: nel 1970 è mobilitato il Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese (1906-1974); nel 1973 è pronta a intervenire una galassia di organizzazioni detta Rosa dei Venti; nel 1974 scendono in campo i militari e i civili che Edgardo Sogno (1915-2000) confesserà con orgoglio di aver preparato per il suo “golpe bianco”.
I piani golpisti non arrivano fino al compimento. Perché non passa nel Paese la convinzione che le stragi siano “rosse”. Ma anche perché il composito “partito del golpe” è sconfitto dal partito della stabilizzazione realizzata dentro i confini costituzionali. Il contesto eversivo pesa però comunque, determinando il clima del Paese e provocando una selezione delle élite (politiche, militari e dell’allora vastissima industria di Stato) basata su criteri quantomeno opachi. Si formano contrapposte cordate in lotta tra loro, il ricatto diventa un normale strumento di potere, si affermano sotterranee solidarietà trasversali che trovano il loro luogo di saldatura in riservate logge massoniche, ufficiali o irregolari. Si consolida un complesso sistema occulto di finanziamento dei partiti, quello che sarà poi chiamato Tangentopoli. In questo contesto di scontri e opacità, anche le grandi organizzazioni segrete criminali, prima fra tutte la siciliana Cosa Nostra, diventano potere tra i poteri, forze con cui dialogare e da utilizzare, di volta in volta, per operazioni politiche, affaristiche o militari (a Cosa Nostra, trattata come una sorta di Gladio siciliana, viene chiesto, pur senza successo, di partecipare al golpe Borghese del 1970).
La P2 e il prezzo della “guerra a bassa intensità”
Intanto, dopo il 1974, si esaurisce la stagione delle stragi e dei tentati golpe, anche per il mutato clima internazionale e per la svolta politica dell’amministrazione americana. Molti dei gruppi e delle persone che in Italia avevano partecipato a quelle avventure eversive si ricollocano nel nuovo contesto. Licio Gelli (1919-) – che aveva già realizzato centinaia di affiliazioni massoniche segrete negli alti gradi dell’esercito e aveva poi avuto un ruolo di rilievo nel piano golpista del 1970 – organizza una loggia massonica “riservata”, la P2, che funziona come un club dell’oltranzismo atlantico: in un periodo di diversi equilibri internazionali, alla contrapposizione frontale si sostituisce una selezione del personale fidato su cui poter contare in ogni settore dello Stato e della società civile, esercito, servizi segreti, magistratura, polizia, politica, industria, comunicazione eccetera. Per occupare (foucaultianamente, invece che golpisticamente) i posti di potere in ogni settore e trasformare dal di dentro l’involucro istituzionale.
La strage di Bologna, nell’agosto 1980, è il culmine visibile e tragico di questa politica sotterranea. È uno dei pochissimi episodi eversivi italiani ad aver trovato una definitiva soluzione giudiziaria: strage fascista e piduista, secondo le sentenze. Estremo tentativo, a tempo scaduto, dei gruppi eredi della strategia della tensione, ormai attraversati dal nuovo “spontaneismo armato” di destra, quello affascinato dalle esperienze di lotta armata che dopo il 1977 si affermano a sinistra. I nuovi guerrieri neri tentano d’imporre, nello scenario segreto delle vecchie complicità e dei nuovi ricatti, una loro egemonia militare e politica. Gli apparati dello Stato, completamente in mano agli uomini della P2, coprono e depistano, facendo perfino ritrovare su un treno esplosivo dello stesso tipo di quello usato a Bologna, insieme a biglietti che indirizzano le inchieste verso un’inesistente pista internazionale. Ma ormai la storia ha preso un’altra direzione. Anche questa volta, come già durante la stagione delle stragi e dei tentati golpe, il risultato di spinte occulte e battaglie palesi è diverso da quanto sperato da entrambi i fronti di questa guerra asimmetrica, è un esito imprevisto e intermedio.
La “guerra a bassa intensità” combattuta in Italia ha fatto in quindici anni, dalla strage di piazza Fontana del 1969 a quella del rapido 904 del 1984, 150 morti e oltre 600 feriti. Le cifre crescono fino a 400 morti, se si considerano anche la prima strage politica italiana, quella di Portella della Ginestra nel 1947, la strage di Ustica del 1980, e se si aggiungono le vittime di alcuni suicidi misteriosi (come quello del colonnello del SIFAR Renzo Rocca, morto nel 1968) e di alcuni omicidi maturati in questo clima torbido – tra cui quello di Mino Pecorelli (1928-1979). Ma gli effetti di questa guerra segreta vanno ben al di là dei morti e dei feriti: comprendono anche la germinazione di sistemi illegali che s’impiantano stabilmente dentro la società italiana. Non solo il sistema di finanziamento dei partiti e di corruzione politica, ma anche l’utilizzo di organizzazioni criminali: sono ormai documentati i rapporti tra la politica e Cosa Nostra siciliana; certi sono i contatti avuti da alcuni uomini dei partiti e dei servizi di sicurezza con un’agenzia criminale operante a Roma, la Banda della Magliana; e nella strage del rapido 904 sono coinvolti insieme ambienti eversivi e personaggi della camorra. I due più importanti banchieri privati italiani, Michele Sindona (1920-1986) e Roberto Calvi (1920-1982), muoiono entrambi in circostanze drammatiche, dopo crac clamorosi in cui sono coinvolti ambienti massonici, personaggi politici, organizzazioni criminali (che avevano utilizzato i canali offerti dai due banchieri per riciclare capitali mafiosi).
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che anche il terrorismo rosso sia stato infiltrato o sotterraneamente utilizzato da apparati dello Stato, ma su ciò non sono state ancora raggiunte certezze.
Le nuove forme dell’opera di intelligence
Quando poi, dopo il 1989, si dissolve il mondo di Jalta, l’Italia vive una crisi che incrocia un radicale indebolimento del sistema dei partiti, con una situazione insostenibile per i conti dello Stato, che ha il debito pubblico ormai fuori controllo. Politica debole e fine delle risorse finanziarie permettono alla magistratura, per la prima volta nella storia del Paese, di condurre fino in fondo indagini giudiziarie che rivelano le sotterranee complicità tra partiti e imprese nella spartizione degli appalti pubblici. La magistratura affronta in maniera incisiva anche il nodo dei rapporti tra mafia e politica, avviando processi a personalità di primo piano come Giulio Andreotti (1919-2013), di cui è poi processualmente accertata (ma coperta da prescrizione) la contiguità con Cosa Nostra almeno “fino alla primavera del 1980”.
L’implosione del sistema dei partiti lascia per un biennio campo libero ai più diversi poteri che cercano di indirizzare la transizione. Alcune logge massoniche irregolari tentano di ricostruire il sistema politico anche promuovendo un nuovo partito, la Lega Meridionale, che vorrebbero affiancare alla Lega Nord. Ma è un’altra organizzazione segreta, Cosa Nostra, ad attuare in quegli anni il piano più ambizioso e drammatico. Nel 1992 elimina i politici che considera “traditori” – Salvo Lima (1928-1992), Ignazio Salvo (1887-1992) – e i magistrati che ritiene più pericolosi per il suo potere – Giovanni Falcone (1939-1992), Paolo Borsellino (1940-1992). Nel 1993 prosegue la stagione delle stragi attaccando con le bombe obiettivi che fanno parte del patrimonio artistico italiano (l’Accademia dei Georgofili a Firenze, le basiliche di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro a Roma, il Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano) e minacciando di colpire e distruggere perfino la Torre di Pisa.
È certo che gli attentati siano stati materialmente compiuti da uomini di Cosa Nostra, ma è ancora in gran parte oscuro il quadro in cui sono stati progettati: le bombe erano messaggi inviati durante una trattativa segreta che era in corso tra uomini di Cosa Nostra, uomini dello Stato e uomini della politica. Resta ignoto anche il suggeritore che ha indicato i raffinati obiettivi da colpire, certo sconosciuti prima d’allora ai “soldati” di Totò Riina (1930-) e Leoluca Bagarella (1942-), i boss che ordinano l’attacco allo Stato per trattare con lo Stato. Il biennio 1992-1993, fondativo del nuovo sistema politico italiano, ha dunque radici ancora in parte oscure. Su quelle oscurità si sono sviluppate nel decennio successivo nuove manovre sotterranee e si è realizzata una specie di privatizzazione dell’intelligence. Manca infatti ormai il Grande Nemico (il comunismo), solo in parte sostituito, dopo il 2001, dalla Grande Paura: quella per il terrorismo islamico, catalizzatore della nuova guerra segreta che l’Occidente si è attrezzato a combattere.
Anche agli uomini del SISMI (nuovo nome del servizio segreto militare) viene chiesto di dare il loro contributo alle operazioni segrete della nuova “guerra non ortodossa”, quella contro il terrore. Gli Italiani ufficialmente rifiutano di partecipare ad azioni illegali, ma nei fatti almeno non le ostacolano, come nel caso delle extraordinary renditions, i rapimenti di sospetti terroristi islamici che la CIA compie in Europa e anche in Italia, da cui il 17 febbraio 2003 sparisce l’ex imam Abu Omar (1963-).
Non solo. Uomini del SISMI e di una grande azienda privata italiana (Telecom), in contatto con agenti della CIA e insieme a personale di agenzie private d’investigazione, organizzano nei primi anni del nuovo millennio una sorta di superservizio segreto che un giudice preliminare definisce “multinazionale” dello spionaggio privato, “formidabile macchina per manovre e ricatti”: raccoglie fino al 2005 migliaia di dossier illegali su uomini politici, imprenditori, banchieri, personaggi pubblici e privati cittadini.
Ma la tradizione italiana dello spionaggio e del dossieraggio illegale continua anche dentro i tradizionali apparati dello Stato. Nel 2006 emergono infatti episodi d’accesso illegittimo nell’anagrafe tributaria realizzati da uomini della Guardia di Finanza, per attingere informazioni poi utilizzate in una campagna di stampa contro un leader politico, Romano Prodi (1939-). E viene scoperto un ufficio del SISMI, in via Nazionale a Roma, in cui sono organizzate operazioni d’intossicazione informativa, anche attraverso il rapporto con giornalisti controllati, blanditi o tenuti a libro -paga. In quell’ufficio, gestito da un funzionario di nome Pio Pompa, sono conservati dossier su magistrati, politici, intellettuali, funzionari dello Stato: ci sono rapporti del 2001 che propongono di “neutralizzare” e “disarticolare” (termine che fu usato dalle Brigate Rosse), anche con “eventi traumatici”, persone e gruppi indicati come “nemici” del presidente del Consiglio allora in carica.
Perfino alcune commissioni parlamentari d’inchiesta (quelle su Telekom Serbia e sul Dossier Mitrokhin) sono nella legislatura 2001-2006 inquinate dai maneggi di personaggi che appartengono al sottobosco dei servizi segreti. Confezionano e mettono in circolazione notizie false e calunniose che poi, affidate a organi di stampa poco accurati o compiacenti, sono utilizzate per infangare alcuni leader politici del centrosinistra. La guerra segreta contro il comunismo, che ha fatto tollerare tante forme di intervento occulto, è consegnata ormai agli archivi della storia, ma le pratiche sotterranee della lotta per il potere continuano.