I giochi dei bambini romani
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I giochi. Non si può vivere senza. Dai tempi dei tempi, i bambini e gli adulti hanno giocato dappertutto: in Mesopotamia, Egitto, Grecia e certamente anche a Roma. Qui parleremo dei giochi più prettamente adatti ai bambini, senza addentrarci nella discussione sui giochi d’azzardo con i dadi, o sul ludus latrunculorum, sorta di antenato degli scacchi, giocato su un tavoliere di 12 linee verticali tagliate da una sola linea verticale: tutti passatempi cui indulgevano soprattutto gli adulti.
Naturalmente a Roma molto amata è la palla e con essa giocano ragazzi e adulti. Molto noto è il gioco del trigon, che potremmo tradurre come il gioco dei tre cantoni. Lo giocano i bambini: ma, subito dopo aver sbrigato al Foro i propri pressanti impegni, anche i cittadini adulti amano recarsi al Campo Marzio per praticarlo.
Per il gioco del trigon, i tre partecipanti si pongono ai vertici di un triangolo. Quando sono tutti pronti, uno dei giocatori getta la palla a un compagno che la respinge con la mano aperta, e si continua così fino a che uno di loro non la fa cadere. Dopo di che si ricomincia da capo. Sappiamo che il trigon è uno dei giochi preferiti di Mecenate; durante un viaggio a Brindisi, egli cerca di coinvolgere persino Orazio e Virgilio, ma i due poeti, stanchi del viaggio, non sembrano apprezzare questo passatempo, e riescono a esimersi: uno riparandosi dietro alla sua congiuntivite e l’altro ai suoi guai allo stomaco.
Con la pila, la palla, si può giocare anche in modo estremamente semplice: Petronio ci ha trasmesso l’immagine di Trimalcione che alle terme gioca insieme ai suoi schiavetti con delle pilae di colore verde. Si fa accompagnare da uno dei servitori che lo segue con una abbondantissima provvista di queste palle perché, quando una di esse sfugge alle mani dei giocatori e cade per terra, Trimalcione la fa subito buttar via e sostituire.
Esiste anche la paganica, una palla grande e leggera piena di piume, particolarmente adatta ai bambini. Marziale ce la descrive così: “Questa paganica gonfia di piume ben compresse / è meno molle del follis, ma è meno compatta della pila. Essendo paganica una parola derivata da pagus, è possibile che si tratti di un gioco di origine campagnola”.
Abbiamo poi il follis o folliculus. A quel che ci dice Ateneo, esso è stato inventato e fabbricato da un certo Attico il Napoletano, allenatore di Pompeo, e lo si usa per certe speciali partite. Si tratta di una palla gonfiata di aria: quindi leggera e adatta a giochi poco faticosi. Anche Svetonio ci conferma che il gioco del folliculum è più agevole degli altri e ce lo fa capire quando nella Vita di Augusto scrive che “coll’andar degli anni, avendo questi dovuto ridurre gli esercizi fisici ai quali fino allora si era dedicato, era passato dalla pila al folliculus”. Ce lo conferma poi anche Marziale quando scrive “Giovanotti allontanatevi! A me convengono le età miti: / col follis possono giocare i bambini; col follis i vecchi.” Col follis, poi, che essendo pieno di aria rimbalzava, ci si può giocare anche da soli e passare il tempo palleggiandolo in terra, o facenodolo rimbalzare contro le pareti.
Ovviamente, i bambini romani praticano molti altri giochi. Al solito, li troviamo descritti nella letteratura e nell’arte. Un poemetto attribuito a Ovidio e chiamato Nuces, "Noci", è dedicato a una serie di giochi con le noci, che i bambini e le ragazze romane amano molto e praticano soprattutto durante i Saturnali, sorta di antenato del nostro Natale. Nei tempi più antichi queste feste duravano un solo giorno, il 17 dicembre; poi, in età repubblicana, i giorni vengono portati a tre; durante l’impero Caligola li aumenta a cinque, ma a essi si aggiungono i giorni di festa detti sigillaria in cui ci si regala piccole figure in rilievo: quindi i Saturnalia finiscono per durare sette giorni. Sono periodi molto allegri e in essi gli adulti possono giocare a tutti quei giochi d’azzardo che a Roma sono proibiti per tutto il resto dell’anno, quindi possono sfogarsi con dadi, astragali e morra.
Le nuces dei bambini non sono certo giochi di azzardo, ma per via delle scuole che essi devono frequentare anche questi giochi sono confinati ai giorni di festa dei Saturnalia, finiti i quali i maestri richiamano a gran voce i loro alunni e agitano la frusta per quelli che non sono pronti a obbedire.
Ma quanti giochi si possono fare con un pugno di noci? Il poemetto che abbiamo citato ce ne descrive ben sei. Uno di essi è realmente semplice e non sembra nemmeno un gioco. Il poeta ci spiega che presa, una noce, la si deve porre su un tavolo tenendola dritta con due dita della mano sinistra e poi con la mano destra si dà a queste due dita un forte colpo. La noce si divide nei suoi due gusci.
Un altro è il gioco che tra quelli con le noci non solo è il più interessante, ma è anche quello che troviamo più spesso rappresentato nell’arte figurata; si chiama il gioco delle Nuces castellatae: si prendono tre noci e le si pongono per terra in modo da formare una base triangolare, poi uno dei ragazzi, posto ad una certa distanza, getta su questa costruzione la sua noce cercando di farla restare in bilico sopra la base. Piuttosto difficile, ma se ci riesce le quattro noci sono sue.
Su un sarcofago che si trova in Vaticano vediamo un gruppo di ragazzini che rumorosamente si affollano attorno a un giocatore che sta per tirare, mentre più in là un gruppo di ragazze più grandi preparano con calma il loro passatempo. Sembrano ragazze in età da marito, elegantemente vestite e ben pettinate come sono, e stanno disponendo il loro bersaglio mentre una di loro, seduta su uno sgabello, è pronta a iniziare.
Il terzo gioco consiste nel prendere un’asse e, poggiando una sua estremità su un sostegno, appoggiarla a terra: lo vediamo rappresentata sul sarcofago di una ragazzina, la povera Artemidora, che evidentemente a questo gioco si era appassionata. Davanti all’estremità dell’asse che sta per terra si mette un certo numero di noci e lo sfidante fa scivolare la sua giù lungo l’asse sperando che essa vada a colpirne qualcuna di quelle a terra. Se ci riesce aggiunge questa alle sue, altrimenti la sua noce resta lì e arricchisce il bottino dei successivi giocatori o giocatrici.
Per il quarto gioco un ragazzo nasconde nelle mani un certo numero di noci e si gioca a pari o dispari. Lo sfidante deve decidere quale delle due opzioni gli piaccia di più. Se indovina probabilmente si prende tutte le noci che l’altro ha in mano.
Il quinto, un altro gioco piuttosto divertente, si chiamava Delta perché ha la forma di tale lettera greca: un triangolo con la punta rivolta in alto. In esso si disegnano linee parallele alla base che, man mano che salgono, dividono la sua area in settori sempre più piccoli per arrivare poi al minuscolo triangolo finale. È in ognuno di questi settori che si pongono le noci da catturare. Lo sfidante, posto come sempre ad una certa distanza, prende un bastoncello e cerca di centrare un’area con molte noci. È probabile che questa sia il piccolo settore posto in cima al delta perché, anche se, date le sue dimensioni, è certamente il più difficile da centrare, è anche quello in cui le noci sono più fitte. Comunque, in qualsiasi di queste aree egli vada a finire, guadagna tutte quelle noci che il suo bastoncello tocca.
Infine c’è il sesto e ultimo gioco, molto simile a quello greco della tropa. Si pone per terra un vasetto e ognuno dei ragazzi vi mette una noce. Lo sfidante viene posto a una certa distanza e con la sua noce deve cercare di centrare il piccolo recipiente. Se ci riesce, tutte le noci sono sue. Questi giochi non sono solo per i bambini e le ragazze: sappiamo che ci passa il suo tempo anche un giocatore di eccezione come l’imperatore Augusto. Ottaviano aveva sempre adorato il gioco e se non aveva partite a dadi o ad astragali con cui occupare il tempo libero, si dedicava a qualsiasi altro genere di gioco tra cui c’era anche quello delle noci. Sappiamo anche che ingaggiava movimentate partite con vivaci ragazzini che si faceva portare dalla Mauritania o dalla Siria. Perché poi aveva bisogno di prendere i suoi compagni di gioco in terre così lontane? L’unica spiegazione è che forse per lui, imperatore, sarebbe stato imbarazzante farsi vedere per le strade mentre giocava alle noci con i suoi piccoli concittadini.
Nel mondo romano sono molto importanti le corse dei carri ed è naturale che i bambini si appassionino a questi sport tanto amati dai loro padri. Molti bambini sognano che da grandi correranno nel grande circo di Roma vincendone gli allori e che diventeranno gli idoli dei Romani. È quindi evidente che un padre ricco possa anticipare il sogno del figlio regalandogli un piccolo ma funzionante cocchio in cui, trascinato da qualche animale domestico, egli possa correre nei portici e nei giardini della loro casa. Così fa il padre del piccolo Marco Cornelio Stazio, un bambino che purtroppo non vive a lungo. Tutte le fasi della sua breve vita sono state rappresentate nel bassorilievo del suo sarcofago oggi al Louvre di Parigi ed è in esso che lo vediamo felice nel suo minuscolo e trionfale cocchio trascinato da un asinello.
Per le bambine, come per tutte le bambine di tutte le epoche, ci sono poi le bambole: per esse non si può certo parlare di un gioco romano. Bisogna però riconoscere che le bambole romane sono state più raffinate e belle di quelle che fino allora si erano vedute, quindi in un certo senso possiamo considerarle diverse dalle altre. Esse vengono rappresentate come belle ragazze in età da marito e sono completamente snodabili, compresi ginocchia e gomiti.
Ovviamente ognuna ha il suo corredo, ma gli eleganti vestiti di stoffa non ci sono pervenuti. Abbiamo invece trovato nei loro piccoli scrigni gioielli, rigorosamente in oro con qualche piccola perla o un frammento di pietra preziosa. Nel loro corredo poi ci sono servizi di toilette in tartaruga. Queste pupae hanno mobili, vasellame e servitori. Oggi le troviamo nelle tombe di quelle ragazze che non erano arrivate a sposarsi, o non si erano volute sposare come la Vestale Cossinia, che raggiunse un’età avanzata, ma era nubile e quindi fu seppellita con la sua bambola, come con la sua bellissima bambola fu seppellita la povera Crepereia già fidanzata, ma morta alla vigilia del matrimonio. Le altre, più fortunate, dovevano solo offrire i loro giocattoli a una dea (spesso Venere) e proprio prima delle loro nozze li depositavano nei templi a lei dedicati.