Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Settecento la cultura del giardino registra profondi mutamenti. I primi decenni del secolo vedono da una parte il prolungato persistere del giardino barocco francese e dall’altra l’irrompere di una nuova sensibilità per le forme più spontanee della natura. In Inghilterra si sviluppa così il modello del giardino paesistico che, pur nelle sue diverse forme, si impone in Europa nella seconda metà del secolo.
L’idea di natura nel Settecento
L’idea di natura è centrale per la cultura europea del Settecento: la formula “secondo natura” è usata con frequenza in ambiti diversi e con molti possibili significati. Un’analisi della cultura del giardino può quindi essere facilitata dalla conoscenza di alcuni concetti semplificati.
L’estetica illuminista si fissa nell’idea di beau absolu: per Denis Diderot questo è presente nelle opere della natura (Traité du beau, 1750) ed è solo il nostro universale senso interno a dotarci della capacità di coglierlo; anche per Jean-Jacques Rousseau il bello, oltre che il buono, ha radice universale nella natura (La nouvelle Heloïse, 1761). Questa generica e radicata tendenza a cercare principi estetici fondanti nel mondo della natura porta, nel giardino ma anche negli interni, a una diffusa naturalizzazione del disegno, in forme imitative come anche di forte astrazione. Per gli interni è il rocaille, genere decorativo propulsore per il rococò, a elaborare stilemi naturalistici a partire da forme di conchiglie e rami, fiori e festoni, inventando anche interni dipinti come scene agresti o di giardino.
Fenomeno centrale per l’estetica settecentesca è poi l’idea del sublime, sviluppata in Inghilterra, e in particolare nel pensiero di John Baillie (Un saggio sul sublime, 1747) ed Edmund Burke (Indagine sulle origini delle nostre idee del sublime e del bello, 1756). A partire da suggestioni letterarie il sublime si fissa come una visione della natura che attraverso il sentimento scavalca la razionalità. Motori dell’immaginazione sono la sorpresa, lo stupore, ma anche il terrore e l’orrore. L’estetica del sublime scopre allora la dimensione infinita del paesaggio, il gusto per il tremendum, l’immenso e l’incontrollabile forza della natura.
Permanenza del giardino barocco
Il giardino barocco, espressione dell’assolutismo, segna la cultura europea almeno fino alla metà del secolo. Il modello francese, ora dominante, era stato perfezionato nella seconda metà del Seicento da André Le Nôtre per Luigi XIV, il Re Sole, secondo principi di massima grandiosità e rigore geometrico, simmetria e artificialità delle forme.
In secondo piano vengono poi i modelli olandesi – in particolare per l’Inghilterra – e italiani, soprattutto romani. Questi esempi si intrecciano in vario modo con i diversi esiti locali. La permanenza del disegno regolare, comunque, è particolarmente evidente per i giardini pubblici urbani, anche in fase di giardino paesistico (la Fontaine, Nîmes, 1730; le Peyrou, Montpellier, fino al 1766; Kensington Gardens, Londra, 1728).
Nel 1709 Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville pubblica La teoria e la pratica del giardinaggio, manuale per la progettazione e la realizzazione di giardini alla maniera di Le Nôtre, destinato ad avere considerevole influsso europeo (la traduzione inglese è del 1712, la tedesca del 1731). Per la continuità del gusto in Francia, inoltre, sono importanti i molti ampliamenti dei giardini seicenteschi, come quelli delle Tuileries (1715-22), di Versailles (bacino di Apollo, 1735-40) e di Chantilly (fino al 1780). Ma anche nei nuovi giardini prevale il grand style che guida ancora i disegni di Jacques-Ange Gabriel (Choisy, 1739; La Muette, 1753; Compiègne, 1755), Jean Lassurance (Bellevue, 1748-50) e Jacques-Germain Soufflot (Ménars, 1764).
In Inghilterra i grandi giardini barocchi francesi e olandesi sono i modelli di riferimento anche fino al 1740. La scena inglese è dominata da George London che aveva incontrato Le Nôtre e Henry Wise, quest’ultimo royal gardener dal 1714.
Insieme disegnano e realizzano i più importanti giardini di corte e di campagna (fra gli altri Longleat, Chatsworth, Melbourne Hall, Blenheim e Canons): lo stile adottato nel disegno è formale, con lunghe allées, ampi parterres regolari e terrazzamenti geometrici. Insieme gestiscono, inoltre, un grande vivaio (Brompton Park) che fornisce di piante la maggior parte dei giardini inglesi.
Anche nei Paesi di lingua tedesca il modello dei giardini è quello francese con influssi italiani e olandesi. Enrico Zuccalli, Guarnieri (o Guerniero), gli allievi di Le Nôtre Simeon Godeau, René Dahuron e Dominique Girard si alternano nel disegnare i grandi giardini di corte, quali il Wilhelmshöhe di Kassel, Schleissheim, Nymphenburg, Charlottenburg, Brühl e il Belvedere di Vienna. Dopo il 1730 si impone poi un gusto per le planimetrie asimmetriche e irregolari, per il contrasto e la varietà: è il cosiddetto giardino rococò che domina almeno fino al 1770. Oltre ai giardini dell’Eremitage e di Sanspareil, entrambi a Bayreuth, spicca il giardino di Veitshöchheim, una complessa composizione di sculture, allegorie, padiglioni e cineserie.
In Italia i modelli francesi si innestano facilmente sulla tradizione locale, dalla quale deriva l’originale impostazione. A Milano opera il romano Giovanni Ruggeri che tra 1707 e 1745 realizza grandiosi giardini di impianto francese con elementi desunti dai modelli romani; i suoi numerosi lavori sono ripresi da Marc’Antonio Dal Re nella diffusa raccolta Ville di delizia o siano palazzi camparecci nello Stato di Milano (1726-43). Filippo Juvarra, anch’esso formatosi a Roma, inventa una raffinata scenografia per il giardino di villa Mansi presso Lucca; chiamato da Vittorio Amedeo II a Torino (1714), propone per la città e i suoi dintorni un disegno paesaggistico di grande respiro, legando edifici di grandi dimensioni al territorio con lunghi allineamenti assiali (Stupinigi, Superga, castello di Rivoli). La tradizione italiana sembra prevalere in Veneto (Francesco Muttoni, villa Trissino) e a Roma, dove domina il classicismo (o neocinquecentismo) in chiave anti rocaille (Ferdinando Fuga, giardino Corsini; Carlo Marchionni, villa Albani). Il modello francese, invece, è dominante per la villa Pisani a Stra (1720-35) e per la reggia di Caserta (1752), dove Luigi Vanvitelli imposta il vasto giardino sul grandioso asse centrale con parterre, peschiere, fontane e cascata.
Il giardino paesistico in Inghilterra
Il gusto del giardino paesistico, o giardino inglese, si sviluppa in Inghilterra già dai primi anni del Settecento come reazione ai modelli francesi; nella prima fase l’idea guida per la loro progettazione è anche politica: libertà dalle regole e dalle costrizioni dell’assolutismo. Alcuni pensatori propongono un’estetica fondata sull’imitazione della natura e delle sue forme spontanee, in base al motto “secondo natura”.
La ripresa di pittori di paesaggio seicenteschi e di poemi epici classici, da una parte, le teorie estetiche del sublime e del pittoresco, dall’altra, contribuiscono alla definizione del nuovo gusto. Il disegno del giardino subisce allora una profonda, progressiva mutazione: dalle figure geometriche alle irregolari, dalla simmetria all’asimmetria, dalle linee rette alle curve sinuose. Elemento caratteristico – anche se non esclusivo – del giardino paesistico è la disposizione di piccoli edifici, o anche solo cippi e iscrizioni, come richiamo di determinati sentimenti: false rovine gotiche o classiche evocano valori storici e alti esempi etico-politici. Gli Inglesi definiscono il genere come landscape style o natural style, diviso in una fase serpentine e una irregular.
Nel 1718 un ex collaboratore di London, Stephen Switzer, pubblica l’influente Ichnographia rustica. Il trattato fissa in Inghilterra un’importante fase di trasformazione del modello francese verso un’apertura paesistica, il forest style (1700-50). Charles Bridgeman – già collaboratore di Wise – avvia l’evoluzione del gusto disegnando giardini ancora formali, aperti però al paesaggio campestre e sviluppati secondo le forme naturali del luogo; dal 1710 lavora a Blenheim, a Stowe, dove introduce lo haha, il fossato che sostituisce il muro di cinta, quindi lavora a Rousham e Claremont.
L’evoluzione del giardino viene poi influenzata dalla ripresa, in ambito letterario, dei grandi poemi classici di Omero, Orazio e Virgilio; il riferimento è l’atmosfera di Roma sotto Augusto, da cui il tentativo ideale di ricreare nei giardini il paesaggio antico, visivamente e simbolicamente. Si riscoprono allora i grandi pittori classicisti del paesaggio italiano e su tutti Claude Lorrain. Fondamentale per il nuovo gusto del periodo – detto appunto augusteo o poetico – è l’esperienza del Grand Tour che porta letterati e proprietari a contatto con le ville palladiane, Tivoli e la campagna romana. Pioniere del movimento è Lord Burlington che visita l’Italia nel 1714 e 1719, riportandone una prima idea di giardino naturale associato al palladianesimo in architettura.
Influenti pensatori sostengono la nuova idea di giardino con la pubblicistica. Nel 1712 Joseph Addison scrive contro il giardino formale di London e Wise, proponendo la natura spontanea come modello per il giardino (The spectator); Alexander Pope, massimo poeta augustan, sostiene il disegno naturalistico, riprendendo il gusto degli antichi per la natura disadorna (Saggio sulla critica, 1711; Sui giardini, 1713; Lettera a Lord Burlington, 1731); Anthony Shaftesbury invoca uno stile basato sulla libertà (Lettera sull’Arte, o Scienza del Design, 1712), mentre James Thomson attacca il giardino francese come espressione di tirannia (Liberty, 1736).
Si tratta di una cultura diffusa e molti proprietari inventano i propri giardini, come il poeta omerico William Shenstone a The Leasowes e il banchiere Henry Hoare a Stourhead, sul modello della ferme ornée (termine introdotto da Switzer): una campagna adornata per il ritiro rurale.
L’interprete centrale di questa fase è William Kent: pittore di formazione, la letteratura coeva lo descrive come il primo a vedere l’intera natura come un giardino. Kent imbellisce il paesaggio esistente aprendo il giardino alla campagna, costruendo episodi di classicismo ideale, disegnando linee curve sul terreno per le rive dei laghetti e con fasce di alberi. In una prima fase si dedica ai giardini con lo stesso Burlington a Chiswick House (1719-25), dove collabora con Bridgeman che segue poi a Stowe, Claremont, Rousham, da Kent trasformati secondo le linee a serpentina.
In questa fase l’imitazione delle linee curve della natura si eleva a valore assoluto e William Hogarth, pittore e incisore, sottolinea la superiore perfezione delle linee a serpentina (Analisi della Bellezza, 1753).
Il serpentine style diventa canonico con l’architetto Lancelot Brown, detto “Capability” per la sua abilità a trasformare qualsiasi paesaggio o giardino esistente muovendo dai suoi caratteri naturali. Nel 1740 è aiuto di Kent nel grande giardino di Stowe che poi arricchisce considerevolmente. In seguito trasforma – il termine usato è improvement, “miglioramento” – quasi tutti i giardini inglesi, ripetendo sempre la stessa formula di successo: laghi sinuosi, ampie spianate erbose, morbide collinette, gruppi d’alberi disposti in cerchi. Gli sono attribuiti 211 tra trasformazioni e giardini ex novo, ed è perciò accusato della quasi totale cancellazione della tradizione formale inglese. La sua opera avrà un influsso notevolissimo in tutta Europa.
Gli ultimi anni del secolo in Inghilterra segnano un nuovo mutamento del gusto: la tendenza estetica rifiuta i modelli idealizzati di Brown e si indirizza verso le forme più irregolari e selvagge della natura, secondo le categorie del pittoresco e del sublime. Da una parte è William Gilpin, pittore e critico d’arte, a scoprire la bellezza di certo paesaggio inglese, scegliendo una natura di linee dure, scabre (On Picturesque Beauty, 1792). Dall’altra è ancora il Grand Tour a guidare la trasformazione della sensibilità: il passaggio delle Alpi che all’inizio del Settecento terrorizza i viaggiatori trova ora valore assoluto.
L’infatuazione per l’asprezza delle rocce come per il tremendum degli abissi propone nuovi soggetti per la pittura di paesaggio e per il giardino. Nel 1794 Sir Uvedale Price (Saggio sul pittoresco) e Richard Payne Knight (Il paesaggio. Poema didattico) traducono in principi applicabili le idee di Gilpin sul pittoresco, secondo un’idea di giardino irregolare, variato e intricato. Ma vi sono anche tentativi di giardino sublime: percorsi studiati tra precipizi selvaggi, grotte gotiche, false rovine druidiche trasfigurano le tenute di Hafod e Hawkstone. Alla nuova estetica concorrono poi anche suggestioni orientali: Sir William Chambers (Dissertazione sul giardino orientale, 1772) propone il modello cinese, fatto di complessità, contrasti, invenzioni e sorprese, anche contro l’influenza dominante di Brown.
Il giardino paesistico in Francia e nel resto d’Europa
Le Nôtre muore nel 1700 e a metà secolo Versailles è quasi un paesaggio incolto: la natura del luogo ha preso il sopravvento sui parterres e sulle prospettive geometriche. Anche l’Encyclopédie – alla voce “Jardin” – registra questo mutamento, sottolineando come il gusto della nazione sia ormai orientato verso i viali tortuosi e i prati spontanei.
La versione francese del giardino paesistico si sviluppa da metà secolo sotto la formula di jardin anglais o anche jardin anglo-chinois, se pur con accezione più irregolare, e da qui prosegue poi verso la Germania e l’Italia. Il modello riconosciuto è comunque l’Inghilterra, salvo diverse letture critiche di taglio nazionalistico.
Anche per la cultura francese la trasformazione del gusto è aperta dagli interventi di pensatori e teorici. Voltaire critica la regolarità nei giardini, proponendo la natura libera e irregolare come modello (Lettera al Principe di Prussia, 1738), e Marc-Antoine Laugier sostiene il valore del giardino naturalistico contro le regole della simmetria e della geometria (Saggio sull’Architettura, 1753). Ma è Jean-Jacques Rousseau a fissare definitivamente la nuova visione estetica della natura.
Nel romanzo La nouvelle Héloïse (1761) lo scrittore descrive un ideale giardino naturalistico: alberi e piante cresciuti spontaneamente, una natura animata e sensibile; nelle Fantasticherie del viandante solitario (1776-77) racconta l’esperienza dell’osservazione della natura come è: colline, fiumi, boschi.
Segue poi una ricca letteratura specifica. Il pittore Claude Henri Watelet propone suggestioni generali più che chiari principi (Saggio sui giardini, 1774), tradotte nel Moulin Joli, lungo la Senna, ripresa dell’idea di ferme ornée. Il botanico Antoine-Nicolas Duchesne approfondisce invece l’aspetto tecnico del giardino naturalistico, sostenendo ancora la validità del giardino formale (Sulla formazione dei giardini, 1775).
Jean-Marie Morel è il primo a formulare in modo completo i principi del jardin anglais (Teoria dei giardini, 1776), proponendo un modello molto naturale, privo anche di architetture. Il disegno deve partire dal paesaggio esistente, dal suo carattere, limitandosi ad abbellirlo. Tra i suoi numerosi interventi, lavora per il marchese de Girardin (autore di Della composizione dei paesaggi, 1777) a Ermenonville, giardino assolutamente naturalistico: una campagna adorna, laghi, corsi d’acqua spontanei e monumenti sentimentali, come la tomba di Rousseau.
Queste e altre pubblicazioni guidano la realizzazione di giardini nel nuovo gusto, come anche la trasformazione di impianti formali seicenteschi (quello di Le Raincy, alta opera di Le Nôtre, è ridisegnato da Pottier tra 1769 e 1785). L’architetto François Joseph Belanger è il disegnatore alla moda. Dopo un viaggio di studio in Inghilterra, dal 1775 lavora a Beloeil per il principe de Ligne (autore di Colpo d’occhio su Beloeil, saggio sul nuovo gusto), disegnando un parco naturalistico, luogo per la meditazione. In seguito Belanger realizza a Parigi la Bagatelle, il più acclamato jardin anglais di Francia, le Folies Saint-James, modello per il jardin anglo-chinois, e Méréville, sviluppato sui due versanti di una valle.
La nuova sensibilità irrompe anche a Versailles e nel 1774 Antoine Richard propone a Maria Antonietta, per il giardino del Petit Trianon, un disegno molto complicato e fin troppo cinese, poi sostituito dalla più naturalistica proposta di Richard Mique. Nel 1782 ancora Mique disegna l’hameau, o finto villaggio pastorale, portando l’idea della ferme ornée al massimo grado della leziosità.
Nel 1779 Christiane Hirschfeld, professore di filosofia, pubblica a Lipsia Teoria dei Giardini, il trattato che diffonde e consolida in tutta Europa il giardino paesistico. Negli Stati tedeschi il modello naturalistico è in voga già da qualche anno: tra i primi i progetti di Johann Friedrich Eysenbeck per Wörlitz (1770).
In Italia è Francesco Milizia a riprendere Hirschfeld per alcune parti del suo Dizionario delle belle arti del disegno (1787).
Mentre Ippolito Pindemonte sostiene che il giardino paesistico nasceva già in Italia, facendo gli esempi del giardino di Armida e del cinquecentesco parco del Viboccone a Torino (Dissertazione sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia, 1792).
Anche qui, già dagli anni Ottanta, il nuovo gusto diventa patrimonio comune con realizzazioni anche importanti, come il parco nella reggia di Monza di Giuseppe Piermarini, il giardino inglese di John Andrew Graffer nella reggia di Caserta e la trasformazione di Giacomo Pregliasco del parco di Racconigi in giardino anglo-cinese. Un protagonista di punta è Francesco Bettini che, dopo un viaggio di studio in Inghilterra e un soggiorno di lavoro a Parigi, propone molti progetti per giardini anglo-chinois in Veneto e a Roma, come il giardino del cardinale Doria, ora villa Borghese. Si segnalano poi i lavori di Leopold Pollack (1751-1806; giardino Belgioioso, Milano) e di John Wallace, giardiniere scozzese che lavora in Piemonte (Villastellone e Montaldo Dora).