Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Primo movimento di avanguardia del Novecento, il futurismo si oppone al culto del passato per celebrare il moderno attraverso il nuovo sublime tecnologico. Si assiste così a una vera e propria rivoluzione che coinvolge ogni espressione artistica, estendendosi anche al costume e alla moda. Motivo comune ai diversi futurismi è il rifiuto delle forme tradizionali e la ricerca di un linguaggio adeguato alla civiltà delle macchine, nonché al vitalismo dell’epoca moderna.
L’ebbrezza della modernità
Filippo Tommaso Marinetti
Manifesto tecnico della letteratura futurista
In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!...
Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse:
1. Bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono.
2. Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce.
3. Si deve abolire l’aggettivo perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L’aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è incompatibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione.
4. Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l’una all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.
5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguìto, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto.
Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza del mondo, la percezione per analogia diventa sempre più naturale per l’uomo. Bisogna dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l’oggetto coll’immagine che esso evoca, dando l’immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale.
6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo, che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s’impiegheranno i segni della matematica: +--x: =, maggiore, minore, e i segni musicali.
F.T. Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, 11 maggio 1912
Con il termine futurismo si definisce il primo movimento di avanguardia europeo, prototipo di ogni successiva avanguardia storica, contraddistinto da un programma artistico e ideologico esteso a tutti i campi dell’esperienza, dalla letteratura alle arti figurative, dal teatro al cinema e alla musica, sino al costume, alla morale e alla politica. A una costellazione così ampia di fenomeni si addice piuttosto la definizione futurismi, più adatta a esprimere la molteplicità delle forme che si diramano dall’estetica del fondatore Filippo Tommaso Marinetti , il quale inaugura ufficialmente il movimento pubblicando Fondazione e Manifesto del Futurismo sulla rivista parigina “Le Figaro” (20 febbraio 1909). Forse suggestionato da una recensione dell’opuscolo El futurisme (1905) dell’intellettuale catalano Gabriel Alomar apparsa sul “Mercure de France” nel 1908, Marinetti contrappone futurismo a passatismo (“stato d’animo statico, tradizionale, professorale, pessimistico, pacifista, nostalgico, decorativo ed esteta”, come si legge in Guerra sola igiene del mondo del 1915), ovvero al passato e alla tradizione classica, ora colpiti da una volontà eversiva che si traduce in una vera e propria furia iconoclasta contro biblioteche, musei e accademie, considerati come ostacoli a ogni nuova creazione o azione nata dalla “bellezza della velocità” (“perché vogliamo liberare questo Paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii”). Questo manifesto di “violenza travolgente e incendiaria” congiunge lo spirito anarchico e sovversivo (“Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”) a una sorta di ebbrezza della modernità, sino all’esaltazione di un sublime per così dire tecnologico: “Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia”.
Estetica della velocità e culto della macchina costituiscono l’essenza della modernolatria futurista, vale a dire l’adesione incondizionata al moderno che non per caso nasce a Milano, la grande città dei tram, dell’elettricità, dei cantieri industriali: “Canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi”. Le immagini del paesaggio industriale nutrono il mito tecnologico che trasfigura in senso quasi mistico l’universo meccanico, secondo un’idea in parte prefigurata da Mario Morasso nella Vita moderna dell’arte del 1904 e La nuova arma (la macchina) del 1905. Il mito della macchina, sinonimo di energia e slancio vitale, viene celebrato da Marinetti negli anni Dieci in L’uomo moltiplicato e il Regno della Macchina: “Bisogna dunque preparare l’imminente e inevitabile identificazione dell’uomo con il motore, facilitando e perfezionando uno scambio incessante d’intuizione, di ritmo, d’istinto e di disciplina metallica”. E in effetti questa modernolatria ispira À mon Pégase, l’inno all’automobile dello stesso Marinetti, ma anche l’Aviatore Dro (1920) di Francesco Balilla Pratella; Il canto dei motori (1912) di Luciano Folgore; L’angoscia delle macchine (1923) di Ruggero Vasari e il Manifesto dell’arte meccanica (1922), dove Enrico Prampolini esorta ad adorare la nuova divinità: “Sentiamo meccanicamente. Ci sentiamo costruiti in acciaio, anche noi macchine, anche noi meccanizzati. […] Dalla macchina e nella macchina si svolge oggi tutto il dramma umano”. Simbolo del futurismo è invero l’automobile, la quale diviene il soggetto favorito dei pittori, da Giacomo Balla – ad esempio Automobile in corsa, Velocità d’automobile, Velocità astratta: l’auto è passata – a Luigi Russolo – Dinamismo d’un’automobile –, per visualizzare l’energia direzionale e la spinta dinamica attraverso una serie di immagini moltiplicate e accavallate che creano la sensazione della velocità e del moto.
Contro la “decomposizione determinata dalla lentezza, dal ricordo, dall’analisi, dal riposo e dall’abitudine”, nasce la religione della velocità, annunciata da Marinetti nel manifesto La nuova religione-morale della velocità del 1916: “L’energia umana centuplicata dalla velocità dominerà il Tempo e lo Spazio”. Sintesi di tutte le forze in movimento e di “tutti i coraggi in azione”, la velocità “pura”, “aggressiva”, “guerresca” si identifica con il “desiderio di nuovo e d’inesplorato”, proponendosi come essenza della modernità. Il senso dell’“acceleramento della vita” enunciato nel manifesto Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà del 1913, agisce in maniera determinante nella letteratura e nell’arte, le quali diventano dominio della simultaneità, del dinamismo, dell’analogia. In particolare la legge della velocità regola la creazione poetica e trasforma il lirismo nella “facoltà rarissima di inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi”, da raggiungere attraverso l’“immaginazione senza fili” (“per immaginazione senza fili, io intendo la libertà assoluta delle immagini o analogie, espresse con parole slegate e senza fili conduttori sintattici e senza alcuna punteggiatura”) e le “parole in libertà”: “Ecco perché l’immaginazione del poeta deve allacciare fra loro le cose lontane senza fili conduttori , per mezzo di parole essenziali in libertà ”. In particolare, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), il culto della parola, l’attenzione all’autonomia espressiva del vocabolo, l’analogismo figurativo compongono una poetica della meraviglia di remota ascendenza barocca: “Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione”. Si propone qui la distruzione dei legami sintattici; l’abolizione delle forme verbali, degli aggettivi, degli avverbi, della punteggiatura; l’analogia fulminea condensata in una “parola essenziale” come “amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili”, insieme alla “liberazione delle parole, ali spiegate dell’immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un solo sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali”. Si raccomanda inoltre al poeta futurista di usare tutte le onomatopee, “anche le più cacofoniche, che riproducono gli innumerevoli rumori della materia in movimento”, secondo un concetto ribadito in Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica (1914): “Il rumore, essendo il risultato dello strofinamento o dell’urto di solidi, liquidi o gas in velocità, l’onomatopea, che riproduce il rumore, è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia”. L’approdo estremo di questa teoria è raggiunto da Fortunato Depero nei singolari poemi in onomalingua, dove si compie il passaggio dalla mimesi onomatopeica al fonema puro, astratto e autosignificante.
Già elaborata nel primo manifesto tecnico, poi in Lo splendore geometrico, la teoria delle parole in libertà nasce da un’esigenza di rinnovamento espressivo, per fondare una scrittura inedita attraverso una vera e propria rivoluzione formale. Esempi di paroliberismo sono Battaglia Peso + Odore (1912), Adrianopoli assedio orchestra (1913), Zang Tumb Tumb (1914) di Marinetti; Ponti sull’oceano di Folgore (1914); Guerrapittura di Carlo Carrà (1915); Baionette di Auro D’Alba (1915); Equatore notturno di Francesco Meriano (1916); Firmamento di Armando Mazza (1920); Piedigrotta di Francesco Cangiullo (1916). In altri casi le parole in libertà, solitamente disposte come flusso rettilineo (ad esempio in Battaglia Peso + Odore : “Mezzogiorno 3/4 flauti gemiti solleone tumb tumb allarme Gargaresh schiantarsi crepitazione marcia”), si compongono sulla pagina in modo da formare ritmi figurativi, giocando sulla spazialità della scrittura: sono le tavole parolibere, opere da guardare e non più da leggere, spesso ai limiti dell’arte figurativa. Offrono esempi significativi di tavole parolibere non solo Zang Tumb Tumb, ma anche Otto anime in una bomba di Marinetti (1919); L’ellisse e la spirale di Paolo Buzzi (1915); Caffè-Concerto di Cangiullo (1916); Archi voltaici di Volt (1916). Tra gli scrittori futuristi si distingue Ardengo Soffici, il quale, nel 1913, fonda a Firenze con Giovanni Papini la rivista “Lacerba”, portavoce di un futurismo letterario per molti aspetti lontano dal marinettismo, poi enunciato programmaticamente nei Primi principî di un’estetica futurista (1916). Si ricordano tra le sue opere Cubismo e futurismo (1914) e la raccolta poetica Bïf e ZF + 18. Simultaneità – Chimismi lirici (1915), fondata sull’idea della simultaneità e del chimismo lirico come “distillazione di immagini contrastanti, dinamiche, rutilanti, sviluppanti una rete d’emozioni multiple dello spirito”. Né si può trascurare l’adesione al futurismo di Corrado Govoni nelle funamboliche correlazioni di analogie di Poesie elettriche (1911); Inaugurazione della primavera (1915) e Rarefazioni (1915), esempio di poesia visiva e paroliberismo. Del tutto originali risultano le opere del periodo futurista di Aldo Palazzeschi, in particolare i versi dell’Incendiario (1910), il romanzo Il codice di Perelà (1911), sino al singolare manifesto del Controdolore (1914), contraddistinto da un’ironia paradossale e dissacrante.
Arti dello spazio e del tempo
I precetti marinettiani del primo manifesto si estendono anche alle arti figurative, particolarmente nel Manifesto dei pittori futuristi (11 febbraio 1910), in cui si ripudia la tradizione e l’accademismo (“Via, archeologhi affetti di necrofilia cronica!”), per “esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima”. Non per nulla nel Manifesto tecnico della pittura futurista (11 aprile 1910), Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini si proclamano “i Primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata”, per i quali vale la “sensazione dinamica eternata come tale”: “Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono”. In particolare Carrà concepisce la pittura come arte “dei suoni, dei rumori, degli odori”, a rappresentare il “ribollimento e turbine di forme e di luci sonore, rumorose e odoranti”: è una pittura totale che esige la “cooperazione attiva di tutti i sensi, pittura-stato d’animo plastico dell’universale” (La pittura dei suoni, rumori e odori, 11 agosto 1913). Tali principi si traducono in opere come Compenetrazioni iridescenti di Balla; Forme plastiche di un cavallo di Boccioni; I funerali dell’anarchico Galli di Carrà; Solidità della nebbia di Russolo; Forme di una ballerina nella luce di Severini. Il canone dell’estetica futurista, fondato su sintesi, dinamismo, compenetrazione, simultaneità, si applica poi alla scultura intesa come “stile del movimento”, ovvero “sistematizzazione delle vibrazioni delle luci e delle compenetrazioni dei piani”, come spiega Boccioni nel manifesto La scultura futurista (11 aprile 1912): “Rovesciamo tutto, dunque, e proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente”. Significativo appare anche il tentativo di realizzare un’architettura futurista proposta da Antonio Sant’Elia nel manifesto dell’Architettura futurista (11 luglio 1914), al fine di valorizzare effetti dinamici e di continuità spaziale nella ricerca di “forme nuove, nuove linee, una nuova armonia di profili e di volumi, un’architettura che abbia la sua ragione d’essere solo nelle condizioni speciali della vita moderna, e la sua rispondenza come valore estetico nella nostra sensibilità”: “Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile a un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile a una macchina gigantesca”.
A partire dai primi anni della sua fondazione il futurismo si allarga a nuove tecniche e forme artistiche, sino a comprendere tutte le espressioni della cultura, come mostrano i manifesti teatrali, in particolare il Manifesto dei drammaturghi futuristi (1911) e Il teatro futurista sintetico (1915), che si proclama “atecnico-dinamico-simultaneo-autonomo-alogico-irreale”; il Manifesto della danza futurista, redatto da Marinetti nel 1917; i manifesti musicali di Pratella, teorico dell’enarmonia (Il manifesto dei musicisti futuristi, 1910; La musica futurista, 1911; La distruzione della quadratura, 1912), senza dimenticare la scienza (La scienza futurista, 1917); il cinema (il film Vita futurista e il Manifesto della cinematografia futurista, 1916); la fotografia, la radio, la pubblicità, la grafica, il disegno industriale e persino la moda, l’arredo e la cucina.
Per una società futurista
Propria del futurismo è tra l’altro l’intima connessione tra programma estetico e utopia di rivoluzione sociale e politica, che si traduce nell’esaltazione della guerra come espressione di estrema vitalità eroica. I fondamenti dell’ideologia futurista affiorano già nel Primo manifesto politico futurista per le elezioni generali del 1909, dichiarazione dell’“orgoglio, l’energia e l’espansione nazionale”, poi confermata alle elezioni del 1913 nel Programma Politico Futurista di Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, fautori dell’espansionismo coloniale, dell’irredentismo, dell’anticlericalismo, dell’antisocialismo, nonché promotori attivi dell’intervento nella prima guerra mondiale. La glorificazione della guerra, dell’esercito, del patriottismo, con l’idolatria del “bel gesto” eroico, continua in Movimento politico futurista (1915) di Marinetti, seguito dalla pubblicazione sulla rivista “Roma futurista” del Manifesto del partito futurista italiano (1918), una sorta di libello nazionalista, militarista, anticlericale e populista: “Il partito politico futurista che noi fondiamo oggi vuole un’Italia libera forte, non più sottomessa al suo grande Passato, al forestiero troppo amato e ai preti troppo tollerati: una Italia fuori tutela, assolutamente padrona di tutte le sue energie e tesa verso il suo grande avvenire”. È l’atto di fondazione del partito futurista che “intuisce i bisogni presenti e interpreta esattamente la coscienza di tutta la razza nel suo igienico slancio rivoluzionario”. Malgrado i motivi di dissenso e i contrasti di vari futuristi con il regime, resta indiscutibile l’adesione di Marinetti al fascismo, considerato l’incarnazione storica dell’ideale estetico futurista: “il fascismo nato dall’interventismo e dal futurismo si nutrì di principi futuristi” (Futurismo e fascismo, 1924). Tale fraintendimento si rivela però fatale nel determinare il declino dello spirito rivoluzionario e antiborghese del futurismo, il quale annulla nel fascismo le originarie aspirazioni anarchiche ed eversive. Peraltro la minaccia della reazione viene colta da Vasari – amico dell’ebreo Herwart Walden, direttore di “Der Sturm” e sostenitore dell’“arte degenerata” –, il quale scrive in Germania in piena epoca hitleriana che “non dobbiamo sottovalutare il pericolo che incombe sulla nuova arte e che è costituito dalla reazione” (Flugmalerei-Moderne Kunst und Reaktion).
Al contrario il futurismo russo, che pure condivide con quello italiano l’influenza di uno stile a slogan, quasi pubblicitario, con il gusto dello scandalo e della provocazione, porta a conseguenze estreme il connotato anarchico e sovversivo nelle opere letterarie, manifestandosi peraltro anche in pittura, dall’Arrotino di Kazimir Malevič; L’aeroplano sopra un treno e Il ciclista di Natal’ja Gončarova; La città e La passeggiata sul viale di Michail Larionov, a Incendio della città di Olga Rozanova. All’interno del movimento occorre però distinguere quattro gruppi diversi: il gruppo dei cubofuturisti, contraddistinto dall’ideologia più radicale, evidente nel pittore David Burliuk e nei poeti Vassilij Kamenskij, Velimir Chlebnikov , Aleksej Kručënych, Vladimir Majakovskij, uniti dalla partecipazione attiva alla rivoluzione del 1917 nel segno del LEF (Fronte di sinistra delle arti); il gruppo degli egofuturisti, guidati da Igor Severjanin, che si distingue per il rifiuto dell’impegno politico; il Mezzanino della poesia, con Vadim Cercenevic; la Centrifuga, con Sergej Bobrov, Boris Pasternak e Nikolaj Aseev, più moderati e legati alla tradizione. I principi del movimento sono dettati dalle raccolte e dagli interventi dei cubofuturisti (Vivaio dei giudici, 1910; Schiaffo al gusto corrente, 1912), i quali propugnano il distacco completo dalle forme del passato, l’assoluta libertà nell’uso di caratteri tipografici, formati, carte da stampa, impaginazioni, per un’arte condizionata dall’avvento dell’“uomo nuovo”.
Favorita dall’intensa propaganda di Marinetti e seguaci, l’avanguardia futurista si diffonde in tutta l’Europa: dal polacco Jerzy Jankovski con L’incendio dell’aviatore alla rivista tedesca “Der Sturm” di Herwarth Walden, particolarmente ospitale nei confronti degli interventi futuristi; da Guillaume Apollinaire, autore dell’Antitradizione futurista (29 giugno 1913) al manifesto belga Le futurisme et la philosophie (1912), sino al manifesto Vital English Art (1914), firmato da Marinetti e Christopher Richard Wynne Nevinson, fondatore con Windham Lewis del vorticismo, in sintonia con le “folgori” e i “cicloni” dei futuristi italiani. All’avventura futurista partecipano anche gli intellettuali catalani Josep M. Junoy, Joaquim Folguera, Joseph V. Foix e Joan Salvat-Papasseit con Contra els poets amb minuscola. Primer manifest catalá futurista (1920). Essi accentuano la carica sovversiva ideologica e formale per sottolineare il carattere nazionalista del movimento, sostenuto da riviste come “Un Enemic del Poble” (1917-1919); “Arc Voltaic” (1918); “Proa” (1921); “Trossos” (1918); “La cónsola” (1919-1920); “Monitor” (1921-1923). Dopo l’anticipazione di Gabriel Alomar, il primo a pubblicare in Spagna i manifesti futuristi – Proclama futurista a los españoles – è Ramon Gomez de la Serna, mentre in Portogallo si afferma la rivista “Portugal futurista” di José Sobral de Almada Negreiros, autore del Manifesto futurista alle generazioni portoghesi del XX secolo. Al tempo stesso le varianti cinesi, giapponesi e sudamericane del movimento sembrano confermare la realizzazione del sogno marinettiano di un futurismo mondiale, proclamato nel manifesto Futurisme mondial del 1924, il quale aspira a raccogliere tutte le tendenze avanguardistiche. Nonostante le contraddizioni, evidenti soprattutto nella sproporzione tra l’originalità delle premesse teoriche e la pratica creativa, il futurismo rappresenta il più coerente e convinto tentativo di un rinnovamento radicale non soltanto dei linguaggi espressivi, ma dell’intera vita, anticipando per molti aspetti lo spirito del XX secolo.