Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei secoli XV e XVI si registra una diffusa migrazione di musicisti dai Paesi Bassi verso i grandi centri europei. I documenti archivistici testimoniano che in Italia, in particolare, la loro presenza è massiccia e dovuta alla crescente richiesta da parte delle corti signorili di musici professionisti, che non poteva essere soddisfatta né nella quantità né nella qualità da quelli autoctoni. La storiografia italiana li ha denominati genericamente “oltremontani”, mentre quella tradizionale li qualifica come “fiamminghi”, creando un’analogia fra la grande corrente musicale e le arti figurative.
La prima generazione
Martin le Franc
Tapissier, Carmen e Cesaris stupiscono Parigi
Champion des dames
Tapissier, Carmen, Cesaris non molto tempo fa cantarono così bene da stupire l’intera Parigi e tutti coloro che li conoscevano: ma mai avrebbero eseguito il discanto in melodia tanto eccellente (mi ha detto chi li conobbe), quanto quella di G. Dufay et Binchois perché questi hanno una nuova tecnica di fare una nuova concordanza in musica alta e bassa, in alterazioni, pause, mutazioni, e hanno accolto l’uso inglese, e seguito Dunstable, sicché un mirabile piacere produce il loro canto gioioso e celebre.
Una miniatura del 1451 contenuta nel poema cortese Le Champion des Dames di Martin Le Franc, ritrae Guillaume Du Fay e Gilles Binchois; entrambi, ci informa il poeta, accolgono le sonorità del compositore inglese John Dunstaple, raggiungendo nella loro musica una “meravigliosa eleganza”. Contemporanei, certamente si incontrano nel 1449 per la convocazione dei canonici di Sainte Waudru a Mons; forse si frequentano nel decennio 1440-1450, quando entrambi si trovano a Cambrai, o forse il primo incontro risale al 1432, in occasione del matrimonio di Ludovico di Savoia con Anna di Lusignano, l’uno in qualità di direttore della cappella di Amedeo VIII di Savoia, l’altro come affiliato alla cappella musicale di Filippo il Buono, duca di Borgogna. Tuttavia nulla è più differente delle loro carriere e del loro stile compositivo.
Guillaume Du Fay
Loyset Compère
Testo della secunda pars del mottetto a quattro voci Omnium bonorum plena
Omnium bonorum plena
«Rivolgi da parte mia una preghiera a tuo Figlio per la salvezza dei cantori fra cui, soprattutto, Guillame Du Fay, luna di tutta la musica e faro dei compositori. E pregate per Johannes Dussart, Busnois, Caron, maestri compositori, Georges de Brelles, Tinctoris, strumenti della tua devozione, e Ockeghem, Des Pres, Corbet, Hemart, Faugues e Molinet e Regis che cantano insieme a me, Loyset Compere... Amen»
Non si conoscono con certezza il luogo e la data di nascita di Guillame Du Fay. Sembra convincente l’ipotesi, sostenuta da Alejandro Planchart, che la data di nascita sia il 5 agosto 1397, mentre non ci sono ancora ipotesi sufficientemente dimostrate per stabilire se il luogo di nascita sia Bersele, Wodecq o Mons.
Du Fay riceve la prima educazione musicale nella collegiata di Mons e nel 1409, tredicenne, entra a far parte dei pueri cantores della cattedrale di Cambrai. È ragionevole supporre che abbia partecipato al concilio di Costanza (1414-1418) al seguito del cardinale Pierre d’Ailly, dove si suppone sia stato apprezzato dal legato e portavoce papale Carlo Malatesta e per suo tramite convocato al servizio dell’importante famiglia. Lo dimostrerebbe la prima composizione nota, il mottetto Vasilissa ergo gaude, in onore di Cleofe dei Malatesta di Rimini in occasione delle sue nozze con Teodoro II Paleologo. Il legame con questa famiglia è suggerito da altre composizioni, quali il mottetto Apostolo glorioso, che celebra la nomina di Pandolfo dei Malatesta di Pesaro a vescovo di Patrasso (1426) e la Mon chier amy ballade che commemora la morte dello stesso Pandolfo (3 ottobre 1437).
Le composizioni di Du Fay testimoniano che egli è chiamato a celebrare presso le corti più prestigiose alcune delle vicende, di differente importanza, che animano la vita sociale e religiosa d’Europa. A Bologna, dove è ordinato prete nel 1428, scrive la Missa Sancti Jacobi, dedicata alla chiesa di San Giacomo Maggiore: si tratta di una missa plenaria (ovvero una messa che prevede l’intonazione polifonica sia per l’ Ordinarium, sia per alcune parti del Proprium) di particolare interesse in quanto attesta, per la prima volta in continente, il fauxbourdon di derivazione inglese. L’anno successivo è cantore nella cappella papale e compone il mottetto di insediamento per Eugenio IV, Ecclesiae militantis (1431). Una volta abbandonata Roma a seguito delle questioni che coinvolgono Eugenio IV e i Colonna, suoi oppositori, dirige per alcuni anni (1433-1435) la cappella del duca Amedeo VIII di Savoia. L’anno successivo compone il mottetto Nuper rosarum flores / Terribilis est locus iste per la consacrazione di Santa Maria del Fiore a Firenze. Tra il 1439-1449 Du Fay si stabilisce a Cambrai, dove revisiona la musica liturgica locale e organizza la compilazione di nuovi codici musicali, nei quali raccoglie le opere dei più rinomati musicisti del momento.
Nel 1450, dopo la morte di Eugenio IV, si reca nuovamente in Italia e soggiorna a Torino, Padova e fra il 1452 e il 1458 si stabilisce in Savoia presso Ludovico, come maestro di cappella e consigliere di corte: qui probabilmente scrive la Missa Se la face ay pale, per Amedeo IX, figlio di Ludovico, in occasione delle sue nozze, nel 1452, con la principessa Jolanda di Francia. Tornato a Cambrai compone gli ultimi capolavori: la Missa Ecce ancilla Domini, la terza e ultima intonazione dell’Ave Regina caelorum e l’omonima messa, la Missa L’homme armé. Muore nel 1474. L’alta considerazione che dell’arte di Du Fay avevano le persone più influenti d’Europa potrebbe spiegare il fatto che la maggior parte della sua opera si sia conservata, per quanto ciò sia più probabilmente dovuto alla permanenza di Du Fay per lunghi periodi in Italia, dove sono stati compilati i più importanti manoscritti musicali quattrocenteschi sopravvissuti. Della produzione di Du Fay ci sono giunte sette delle nove messe di cui si ha notizia, più di 80 chansons, mottetti con e senza struttura isoritmica, tre Magnificat, inni e antifone. I mottetti isoritmici (13 in tutto) sono celebrativi e su testo latino, mentre i mottetti destinati alla liturgia o per occasioni non ufficiali, sempre su testo latino – fatta eccezione unicamente per il mottetto che lamenta la caduta di Costantinopoli con tenor in latino e motetus in francese (O tres piteulx/Omnes amici eius) – non contemplano l’isoritmia a favore di una pianificazione legata più alla segmentazione del testo in versi. Du Fay introduce l’uso dello stesso cantus firmus, (il “canto fermo”, cioè la melodia intonata dal tenor, che fa da “base armonica” per lo sviluppo polifonico delle voci) in tutte le cinque parti fisse della messa, offrendo così i primi esempi di quella che poi verrà definita “messa ciclica”. In altre parole Du Fay concepisce – seguendo l’esempio dell’inglese Leonel Power – l’unità fra i movimenti della messa non per la loro pertinenza liturgica, ma da un punto di vista musicale, ossia legando le varie parti attraverso uno stesso motivo tematico, che è tratto sia dal canto piano (Missa Ecce ancilla Domini, Missa Ave Regina caelorum), sia da melodie profane (Missa Se la face ay pale, Missa L’homme armé, Missa Resvelliés vous).
Nell’ambito della polifonia profana, le chansons di Du Fay ricalcano le forme fisse di ascendenza trecentesca (rondeau, ballade, virelai), con netta preferenza per il rondeau. Esse sono per la maggior parte a tre voci e, rispetto al modello, risultano arricchite sotto il profilo contrappuntistico da imitazioni motiviche e dall’elaborazione ritmica di ciascuna voce. L’assetto prevalente prevede l’esecuzione strumentale delle due voci che solitamente accompagnano il canto. Giustamente famosa è l’intonazione della canzone petrarchesca Vergene bella, non assimilabile a nessuna delle forme sopraccitate, che testimonia la conoscenza da parte di Du Fay della tradizione improvvisativa, favorita e coltivata dagli umanisti in Italia, e che è fondata sugli aeri, ovvero motivi musicali, appartenenti al repertorio non scritto, che potevano essere abbelliti a piacere. Il motivo iniziale di Vergene bella è assimilabile a un aere recentemente rintracciato da Francesco Rossi, nel suo volume su Du Fay, nel codice Tr.87 (Trento, Museo Provinciale d’Arte, Castello del Buonconsiglio, ms. 1374, c.119r). Du Fay ha composto anche sette chansons su testo italiano.
Gilles Binchois
Johannes Tinctoris
Prohemium
Liber de arte contrapuncti
Proprio in questo periodo [...] sono attivi moltissimi compositori come Johannes Ockeghem, Johannes Regis, Antoine Busnois, Firmus Caron, Guillaume Faugues che possono vantarsi di aver avuto come maestri Johannes Dunstaple, Gilles Binchois, Guillame Du Fay recentemente deceduti.
La carriera di Gilles Binchois, a differenza di quella di Du Fay, si svolge quasi interamente in Borgogna presso la corte di Filippo il Buono. Nato probabilmente a Mons nel 1400, nel 1419 sembra essere già attivo come organista della chiesa Sainte Waudru. Non risulta che sia stato ordinato prete, sebbene gli siano assegnate dal duca alcune prebende, la più importante delle quali a Soignies, dove dal 1452 è prevosto della collegiata di Saint Vincent. Binchois muore il 20 settembre del 1460. Benché molto apprezzato in vita – riceve alla sua morte l’omaggio di Du Fay e di Ockeghem (1405/1415-1497) – la maggior parte delle sue composizioni sono tramandate da singoli codici tutti compilati in Italia, ben lontano quindi dai luoghi dove la corte borgognona soggiornava.
La storiografia musicale si è per lungo tempo applicata alle composizioni che hanno reso celebre Binchois in vita, ovvero alle chansons, tralasciando di approfondire le ricerche per verificare se altre composizioni di Binchois siano sopravvissute, eventualmente anonime. Per questo solo di recente gli sono state ascritte numerose chansons contenute nel codice dell’Escorial (Madrid, Real Biblioteca de El Escorial, E-E V.III.24) e alcune composizioni sacre tramandate anonime nel codice trentino Tr. 93 (Trento, Archivio Diocesano, ms. 93). Di Binchois non ci sono pervenute messe cicliche, ma solo tre coppie di Credo e Gloria, cinque coppie di Sanctus e Agnus, sei Magnificat e altri movimenti di Messa, inni e antifone. Rimane un frammento del solo mottetto isoritmico conosciuto, Nove cantum melodie, composto nel 1431 per la nascita di Antonio di Borgogna, figlio di Filippo il Buono: seppure frammentario, esso è sufficiente a testimoniare l’assoluta padronanza di questa tecnica compositiva di ascendenza trecentesca. Binchois formalizza la chanson borgognona a tre voci con un superius cantabile e dotato di testo sostenuto da tenor e contratenor bassus sine litteris, adatti quindi a essere eseguiti con strumenti. La sua produzione consta a oggi di circa 50 rondeaux, e di poco meno di dieci ballades. La sensibilità spiccata per il connubio tra il testo e la musica è manifesta nelle chansons, alcune delle quali potrebbero essere su testo dello stesso Binchois.
La seconda generazione
Vincenzo Borghetti
La carta fa crescere la produzione di manoscritti
I manoscritti di polifonia tra Quattro e Cinquecento
La presenza della carta accanto alla pergamena, con la sua maggiore accessibilità in termini economici, ha come risultato un incremento della produzione di manoscritti, che dà ragione della crescente diffusione della musica scritta – scilicet della polifonia d’arte – testimoniata oggi dalla enorme consistenza numerica e dalla vasta disseminazione geografica dei manoscritti nati nel Quattrocento. Tuttavia il materiale sopravvissuto in forma di “libro manoscritto” è rappresentativo solo in modo parziale dei processi di produzione e consumo della musica polifonica: come in epoche precedenti, la circolazione della musica era affidata in larga parte anche a supporti più informali come singoli fogli, rotoli e in special modo fascicoli slegati, che tranne in rarissimi casi non hanno retto in questa forma all’usura del tempo.
Il libro di musica. Per una storia materiale delle fonti musicali in Europa, a cura di C. Fiore, Palermo, L’Epos, 2004
Johannes Ockeghem e Antoine Busnoys sono i maggiori rappresentanti della cosiddetta seconda generazione di compositori, che comprende fra gli altri Johannes Regis, Guillaume Faugues, Philippe Basiron.
Johannes Ockeghem
Nato a Saint -Ghislain, un paese vicino Mons, forse tra il 1405 e il 1415, Ockeghem riceve la sua educazione musicale con buona probabilità nella collegiata di Saint -Germain o in quella di Sante -Waudru a Mons, dove ha modo di incontrare Binchois, lì attivo come organista fino al 1423. Nel 1443 ottiene un impiego come musicista ad Anversa: si suppone quindi che il suo apprendistato fosse ormai concluso.
Per oltre 40 anni è al servizio dei re di Francia: tra il 1446 e il 1448 è cantore nella cappella di Carlo I, duca di Borgogna; dal 1451 è cantore e poi maestro di cappella alla corte di Carlo VII, re di Francia; nel 1458 è nominato tesoriere della chiesa di Saint -Martin a Tours, una delle cariche di maggior responsabilità nel regno. Continua la sua attività musicale all’interno della cappella di corte anche durante il regno di Luigi XI . Frequenta Du Fay a Cambrai, presso cui soggiorna nel 1464, e risiede nelle città di Tours nel periodo di apprendistato di Busnoys. Nel 1470 si reca in Spagna, in missione diplomatica presso la corte di Enrico IV di Castiglia e nel 1472 ha contatti con la corte milanese allorquando Galeazzo Maria Sforza gli chiede consiglio per il reclutamento dei cantori della propria cappella. Alla sua morte, nel 1497, Ockeghem gode di tale stima e notorietà che molti musicisti e poeti (tra cui Jean Molinet, Guillame Crétin, Erasmo da Rotterdam, Loyset Compère) gli rendono omaggio dedicandogli una loro opera. Le composizioni sacre di Ockeghem sono tramandate in particolare da un codice del fondo Chigi conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Ai 13 cicli completi di messa si aggiunge un Credo e una Missa Pro defunctis a quattro voci, la prima conosciuta.
Nelle messe Ockeghem sperimenta diverse soluzioni sia per il numero di voci (due messe sono a tre voci, nove a quattro voci, due a cinque voci), sia per l’impianto compositivo, tanto con l’impiego del cantus firmus (sette) quanto senza di esso (le rimanenti). Il cantus firmus, quando è profano, è ripreso da chansons dello stesso Ockeghem (Ma maîtresse e Fors seulement) o da melodie di altri compositori – la Missa Au travail suis, su tema di una chanson di Barbignant; la Missa L’homme armé su tema di Busnoys; la Missa De plus en Plus presenta all’inizio di ogni movimento la citazione del rondeau di Binchois; solo due sono le messe con cantus firmus tratto dal canto piano, ovvero la Missa Ecce ancilla Domini e la Missa Caput.
È comunque nelle messe liberamente composte che Ockeghem dimostra la propria maestria tecnica e una spiccata inventività contrappuntistica: la Missa Cuiusvis toni, “in qualsivoglia tono”, può essere eseguita in uno qualunque dei quattro modi cambiando la combinazione delle chiavi in armatura. La Missa prolationum è costruita interamente su canoni mensurali: ad esempio un medesimo canto assume scansione ritmica differente anteponendo diversi segni mensurali e in questo modo sono generate le quattro linee melodiche simultanee, oppure la tessitura piena è ottenuta attraverso coppie di canoni simultanei. Il virtuosismo tuttavia è da rintracciare nella correttezza impeccabile del contrappunto e nella piacevolezza generata dall’insieme polifonico. Anche la Missa Mi-Mi, la Missa Sine nomine, e la Missa Quinti toni sono di libera composizione. Nel repertorio sacro di Ockeghem è possibile rintracciare i primi accorgimenti di retorica musicale atti a rappresentare quanto espresso dal testo, attraverso la scelta della tessitura, la densità polifonica e le figure melodiche.
Nei mottetti (nove e principalmente su testi mariani) la sua inventiva è ancora maggiore che nelle messe. La melodia di canto piano appare spesso nel basso, voce tenuta in gran considerazione da Ockeghem forse anche in virtù del fatto che egli stesso cantava come basso, come ci informa Johannes Tinctoris nel trattato De inventione et usu musicae. Canoni enigmatici molto complessi sono usati per lo sviluppo del tenor nei mottetti. Ockeghem scrive anche chansons (16 rondeaux, 4 virelais a tre voci), tutte su testo francese, nello stile della chasons borgognona, con una voce cantabile predominante. Si discostano da questo modello Prenez sur moi, che prevede tutte le tre voci a canone, L’autre d’antan e Fors seulement l’attente, dove canto e tenor costituiscono un duetto.
Antoine Busnoys
Johannes Tinctoris
Prohemium
Proportionale musices
Grazie a ciò, la musica del nostro tempo ha fatto tali progressi che vi si può vedere un’arte nuova, di cui la fonte e l’origine si devono cercare presso i musicisti inglesi che avevano per capo Dunstable. Questi ebbe come contemporanei in Francia Du Fay e Binchois ai quali sono succeduti i moderni Ockeghem, Busnoys, Regis e Caron, i migliori compositori che io abbia mai udito.
Nato nell’Artois, è discendente forse da una stirpe nobile, considerando la frequentazione della corte reale francese già all’inizio della sua carriera tra il 1450 e il 1461, quando viene nominato cappellano nella cattedrale di Tours. Nel 1465 ottiene la promozione a suddiacono presso la collegiata di Saint -Martin, dove conosce quasi certamente il più anziano Ockeghem.
Già apprezzato maestro di coro e compositore, nel 1466 Busnoys si sposta a Poitiers e l’anno successivo è cantore nella cappella di Carlo il Temerario; partecipa a molte delle imprese del duca borgognone, che durante le campagne militari non si fa mancare né gli agi né il conforto di composizioni nuove approntate per lui dai cantori della propria cappella; con ogni probabilità non è invece presente alla battaglia di Nancy (1477), nella quale Carlo trova la morte. Busnoys continua il suo servizio presso la figlia del duca, ed erede al titolo, Maria di Borgogna, nella cappella musicale istituita dopo il suo matrimonio nel 1478 con Massimiliano I d’Asburgo, fino al 1483. Da un documento redatto agli inizi del Cinquecento si apprende che Busnoys trascorre gli ultimi anni della sua vita – muore infatti nel 1492 – a Bruges come maestro del coro di Saint Sauveur. Probabilmente dotato di una cultura universitaria, in vita è acclamato come maestro in musica e in poesia e la tradizione manoscritta lo ritrae soprattutto come compositore di chanson, rondeaux in gran parte, di cui ci sono noti ben 75 esempi. Non è un caso quindi che molte delle melodie delle chansons di Busnoys siano alla base di composizioni di musicisti a lui contemporanei. Il resto della produzione sopravvissuta, dieci mottetti, un Magnificat, un Credo e due messe (L’homme armé, O crux lignum trionfale), è sempre stato a torto considerato meno rappresentativo della sua arte al punto che la prima moderna edizione della musica sacra compare solo nel 1990. Tra i mottetti, tutti su testo latino, spiccano per invenzione melodica e complessità tecnica In hydraulis e Anthoni usque limina, quest’ultimo particolarmente interessante per il gioco verbale che ingloba il nome del compositore nel testo (Anthoni us que limina...fiat omi bus noys).
La terza generazione
Le tecniche compositive e gli artifici contrappuntistici precedentemente sperimentati trovano maggiore spazio nelle composizioni dei musicisti della cosiddetta terza generazione e soprattutto in quelle dei suoi principali rappresentanti, Jacob Obrecht e Josquin Des Prez (1450/1455-1521). In particolare è sul canone fra le voci, in tutte le forme maturate nel corso del secolo (originale, inverso, retrogrado, inverso retrogrado, per diminuzione, per aumentazione, circolare, infinito, mensurale, enigmatico) e sull’imitazione motivica, che si concentrano gli sforzi dei compositori, altresì attenti alla pittura sonora della parola e al simbolismo visivo (la cosiddetta musica per gli occhi), esplorati soprattutto da Ockeghem e che nelle loro opere ricevono rilievo ancora superiore.
Jacob Obrecht
Claudio Annibaldi
Introduzione
La musica e il mondo
Il mecenatismo musicale si risolve essenzialmente nella produzione e nella gestione di simboli sonori di gruppi e di classe. Il baricentro del mecenatismo musicale quattro-cinquecentesco non era la produzione di partiture, ma la realizzazione di eventi sonori finalizzati, al di là delle più varie funzioni contingenti, all’ostentazione del rango sociale del committente. Un’intera gamma di prestazioni erano necessarie a realizzare un evento musicale: comprendendo fra esse non solo la realizzazione dell’evento stesso o il reclutamento degli esecutori a ciò necessari, ma anche la stesura di un’eventuale partitura, la copiatura delle relative particelle vocali e strumentali e simili. Certo il fatto che tali prestazioni oscillino fra impegno artistico e mansione amministrativa o che essendo espletabili in tempi diversi, possano talora essere distribuite fra più musicisti e talaltra accentrate da uno solo rischia di rendere il rapporto mecenatesco-musicale estremamente fluttuante e generico. E tuttavia proprio questo consente un rilievo decisivo. Se infatti associamo a questa tendenziale genericità di contenuti il fatto che il rapporto in questione correla immancabilmente persone di diversa estrazione sociale, esso diviene assimilabile agli infiniti scambi di protezione contro sottomissione che avviluppano tutta la società italiana quattro-settecentesca in una fitta rete di relazioni paternalistico-clientelari. Tale scambio è qualificato dalla competenza musicale del “cliente” nonché dall’uso che di tale competenza faceva il “padrino”, al fine di simboleggiare il proprio rango sociale attraverso acconci eventi sonori.
La musica e il mondo: mecenatismo e committenza musicale in Italia tra Quattro e Settecento, a cura di C. Annibaldi, Il Mulino, Bologna, 1993
Obrecht nasce a Gand nel 1457/1458. La prima formazione musicale avviene probabilmente in famiglia grazie al padre trombettiere, il cui impiego saltuario nelle corti collegate ai duchi borgognoni consente a Obrecht di conoscere Antoine Busnoys. La stima verso questo compositore si avverte nelle sue prime composizioni nelle quali gli tributa un omaggio imitandone lo stile (nella Missa Petrus apostolus) e cavando dalle sue chansons il cantus firmus per due messe (Je ne demand, Fortuna desperata).
Il suo primo impiego documentato è a Bergen op Zoom tra il 1480 e il 1484. I continui spostamenti rivelano una personalità irrequieta: nel 1484 è infatti maestro del coro della cattedrale di Cambrai, ma già nel 1486 si trasferisce a Bruges; nel 1487 è invitato a Ferrara dal duca Ercole I d’Este (1431-1505) e nel 1492 è di nuovo ad Anversa come maestro del coro della chiesa di Notre-Dame, dove rimane fino al 1497, quando ritorna a Berger-op-Zoom, per partire nel 1498 alla volta di Bruges come succentor in San Donato, incarico che lascia nel 1500 per una malattia. Tornato ad Anversa, vi rimane fino al 1503, quando è nominato maestro di cappella a Ferrara, città che raggiunge l’anno successivo. Appena un anno dopo Ercole d’Este muore, e qualche mese più tardi Obrecht rimane vittima di una delle periodiche epidemie di peste.
La produzione di Obrecht comprende 30 messe, 27 mottetti e 30 chansons, di cui più della metà sono in olandese (due sono su testo italiano, otto su testo francese), ed è caratterizzata dalla coerenza del discorso musicale, ottenuta attraverso l’uso del medesimo materiale melodico diversamente elaborato e distribuito in tutte le voci, nonché dalla chiarezza del decorso cadenzale attraverso cui si dipana la composizione. Nel suo repertorio non manca il gusto per la complessità costruttiva quale cifra di maestria. Paradigmatica è la Missa Sub tuum presidium, in cui ogni parte presenta nella voce di soprano la melodia dell’omonima antifona, associata a un’altra melodia, diversa per ogni movimento, ma sempre tratta dal repertorio dei canti mariani; a ciò si aggiunge il fatto che il numero delle voci aumenta progressivamente, passando dalle tre del Kyrie alle sette del Gloria. Nella Missa Maria Zart, il canto piano che costituisce il cantus firmus è intonato per intero solo nell’ Agnus, mentre nelle altre parti della messa viene utilizzato sempre in brevi segmenti.
Josquin Des Prez
Heinrich Glarean
Su Josquin des Prez
Dodecachordon
Parlerò prima di tutto di Josquin des Prez. Si narrano molti aneddoti su di lui... Tra i tanti anche questo: Luigi XII, re di Francia, gli promise non so che genere di beneficio ma, coma fanno di solito i re, non mantenne la promessa, allora Josquin scrisse il salmo Memor esto verbi tui servo tuo, e lo fece con tanta maestà ed eleganza che non appena fu sottoposto al giudizio del collegio dei cantori, fu ammirato da tutti. Il re allora, pieno di vergogna, non osò procrastinare più a lungo e mantenne la promessa; Josquin, a sua volta, apprezzata che ebbe la liberalità del principe, subito scrisse un altro salmo in segno di ringraziamento, dal titolo Bonitatem fecisti cum servo tuo Domine. ...Inoltre Josquin, desideroso di ottenere un beneficio da non so quale mecenate, poiché costui tardava nell’accontentarlo dicendo in gergo francese Laise faire moy, cioè lasciami fare, scrisse senza indugio un’intera ed elegante messa intitolata La sol fa re mi.
in C. Fiore, Des Prez
Fino al 1996 si identificava, erroneamente, Jodocus de Frantia, cantore a Milano negli anni Sessanta del Quattrocento, con Josquin Des Prez e si ipotizzava una data di nascita del compositore compatibile con questo impiego, data che oggi, grazie a nuovi documenti, è fissata tra il 1450 e il 1455. Poche sono le tappe certe della carriera di Josquin: si forma all’interno della maîtrise di Saint-Quentin, nel 1477 è cantore alla corte di Renato d’Angiò ad Aix-en-Provence, e alla morte di questi passa, insieme agli altri cantori rimasti senza impiego, alla cappella di Luigi XI di Francia.
Si ipotizza che in questo frangente Josquin conosca Ockeghem, per il quale nutrirà grande ammirazione, come dimostra non solo il lamento composto per la sua la morte (Nymphes des bois / Requiem aeternam), ma anche gli omaggi che gli tributa nella Missa D’ung aultre amer, il cui canto fermo è tratto dall’omonima chanson di Ockeghem, e nella Missa Sine nomine, dove la complessità degli artifici ricorda molto da vicino la Missa Prolationum del più anziano compositore. Nel 1484 è richiesto come cantore nella cappella privata di Ascanio Sforza (1455-1505) e tra il 1489 e il 1494, durante il pontificato di Innocenzo VIII e poi di Alessandro VI, è a Roma membro del coro della Cappella Sistina. Nel 1503-1504, dopo lunga trattativa, grazie alla quale ottiene un compenso favoloso, si trova a Ferrara, chiamato da Ercole d’Este: per il duca, forse qualche anno prima al seguito di Ascanio Sforza, aveva composto la Missa Hercules Dux Ferrarie, nella quale il canto fermo è un “soggetto cavato” dalle vocali del nome del duca (e=re u=ut ecc.), e certamente presso il duca compone il mottetto Miserere a cinque voci. Morto il mecenate ferrarese, nel 1504 Josquin lascia l’Italia definitivamente alla volta di Condé-sur-l’Escaut, dove ottiene la carica di prevosto nella collegiata di Notre-Dame. Fino al 1521, anno della sua morte, non si hanno notizie di ulteriori incarichi.
La musica di Josquin, che ancora 30 anni dopo la sua scomparsa viene copiata e stampata in tutta Europa, è tramandata da un numero impressionante di testimoni sia manoscritti, sia a stampa disseminati nelle biblioteche di tutta Europa. Prova della fama di cui gode in vita e molto tempo ancora dopo la morte è il catalogo delle sue opere, che comprende in misura quasi uguale composizioni dubbie e autentiche. Le messe sperimentano tutte le tecniche compositive possibili: su canto fermo affidato al tenor (Missa L’homme armé super voces musicales), su canto fermo variamente abbellito e affidato di volta in volta a una voce differente (Missa Pange lingua, Missa De beata virgine, l’unica a cinque voci), su un’intera composizione altrui (Missa Mater patris basata su un mottetto di Brumel). In due casi il canto fermo è tratto da canzoni popolari il cui argomento non apparirebbe adatto alla destinazione sacra (Missa L’ami Baudichon, Missa Une musque de Biscaye), oppure è cavato dalle vocali di un nome o di una frase (Missa Hercules Dux Ferrarie, Missa Lasse faire a mi /’la sol fa re mi’). Nei mottetti, prevalentemente a quattro voci e su testi mariani, l’impiego dello stile imitativo, dell’omoritmia e la scelta della tessitura delle voci rivela a un’attenta analisi un coerente intento retorico-espressivo (indagato recentemente da Carlo Fiore nell’unico volume in italiano dedicato al compositore). La capacità di cambiare il timbro della compagine polifonica in relazione al tema o al testo è stata particolarmente ammirata nel mottetto Praeter rerum seriem, indicato come modello di “orchestrazione” corale.
Nelle chansons a tre voci Josquin sceglie anche testi che seguono le forme fisse (rondeau, ballade, virelai): tra esse la più famosa è Mille regretz, utilizzata come modello da molti altri compositori; nelle chansons a quattro o più voci la forma si avvicina più a quella del mottetto, tanto che alcune sono denominate proprio “motetto-chanson” (A la mort/Monstra te esse matrem, Que vous madame/In pace e Fortune destrange plummaige/Pauper sum ego). Tra le composizioni profane vi sono anche due frottole su testo italiano (El grillo è bon cantore, Scaramella va alla guerra).