Handling: l'orientamento delle Sezioni Unite
Il contratto in base al quale l’operatore aeroportuale di handling provvede alla custodia ed alla riconsegna della merce oggetto di trasporto aereo è stato qualificato per circa un trentennio dalla Cassazione come deposito in favore del terzo, con conseguente mancata applicazione dei limiti risarcitori previsti dal diritto internazionale uniforme in caso di danni alla merce verificatisi mentre questa era sottoposta a custodia dell’handler. La sentenza, Cass., S.U., 20.9.2017, n. 21850, ha segnato l’abbandono dell’orientamento seguito sino ad allora, ritenendo che l’handler agisca quale ausiliario del vettore nell’esecuzione del contratto di trasporto aereo ed estendendo al periodo in cui la merce è sotto la sua custodia l’applicazione dei limiti della Convenzione di Montreal del 1999, come auspicato dalla dottrina.
Con il termine inglese handling si indicano, in ambito aeronautico, tutte quelle attività di assistenza a terra che sono complementari o strumentali al trasporto aereo e che vengono effettuate nelle aeree aeroportuali1.
I servizi in questione, pur essendo accomunati dal fatto di essere funzionalmente legati al trasporto aereo e, quindi, forniti a vettori aerei, constano di attività molteplici e di diversa natura.
L’handling comprende infatti servizi di assistenza ai passeggeri, ai bagagli, alla merce e alla posta, nonché all’aeromobile.
Con riferimento all’assistenza alla merce, il servizio si traduce in una serie di operazioni di movimentazione e custodia delle cose in ambito aeroportuale che consentono il loro passaggio dal caricatore all’aeromobile e dall’aeromobile al destinatario.
Tali forme di assistenza a terra sono fornite da un operatore in esecuzione di un contratto da questi stipulato con il vettore aereo, il cosiddetto contratto di handling, il cui contenuto viene solitamente determinato in base al formulario predisposto dalla IATA (International Air Transport Association), denominato Standard ground handling agreement (spesso abbreviato SGHA).
Il contratto di handling, proprio a causa della molteplicità di prestazioni che coinvolge e della loro diversità, non trova una qualificazione univoca, dividendo la dottrina fra quanti riconducono la fattispecie all’appalto di servizi e autori che vi ravvisano un contratto innominato.
In giurisprudenza, è andato consolidandosi un orientamento secondo cui il contratto stipulato tra il vettore e l’impresa di handling avente ad oggetto l’assistenza a terra della merce trasportata integrava una forma di deposito in favore del terzo.
Da siffatta interpretazione derivava un regime di responsabilità per il caso di danni alla merce verificatisi nel periodo in cui questa era affidata all’handler che aveva destato più di una perplessità in dottrina, risultando artificioso e in conflitto con altre norme in materia di trasporto.
Ciononostante, l’orientamento in questione è stato più volte confermato da pronunce successive e puntellato con ulteriori corollari, mentre il contesto normativo sia interno che sovranazionale in materia stava mutando radicalmente.
In particolare, l’intervento di riforma della parte aeronautica del codice della navigazione operata dal d.lgs. 15.3.2006, n. 151 ha messo in crisi la ricostruzione dei rapporti sottostanti all’handling operata dalla giurisprudenza di legittimità2. Sebbene le disposizioni introdotte dalla novella del 2006 possano essere applicate solamente ai fatti posteriori alla loro entrata in vigore, la Corte di cassazione, nel decidere una controversia sorta nel contesto normativo anteriforma, ha espresso l’opportunità di congedare il precedente orientamento sull’handling, evidenziandone le principali criticità, e ha pertanto rimesso la questione all’esame delle Sezioni Unite3.
Ai fini di una migliore comprensione degli effetti della nuova interpretazione, di seguito si darà conto dell’ormai superato orientamento giurisprudenziale in materia di handling e della normativa sopravvenuta.
L’orientamento che l’ordinanza di rimessione definisce “tradizionale” trova il proprio preludio in una decisione del 1987. In quell’occasione la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi su una domanda di risarcimento del danno derivante da perdita della merce trasportata avvenuta mentre questa era affidata all’handler, affermò la responsabilità di quest’ultimo, in aggiunta rispetto a quella del vettore, in virtù di un rapporto – quello derivante dal contratto di assistenza a terra – riconducibile al negozio a favore di terzi4. Pochi anni dopo, tale ricostruzione – nonostante le puntuali critiche che questa aveva ricevuto da taluna dottrina5 – è stata posta a fondamento di un’ulteriore pronuncia con cui la Cassazione prese una più netta posizione sulla responsabilità dell’handler, elaborando una compiuta, seppur complessa, definizione dei rapporti in gioco tra caricatore, vettore, operatore di handling e destinatario6. La Corte negò espressamente che il soggetto che prestava servizi di handling potesse essere considerato un ausiliario del vettore aereo e affermò che il rapporto in base al quale il vettore affidava le cose trasportate all’handler costituisse un contratto di deposito in favore del terzo, destinatario della merce. Era stato infatti ritenuto che il (“servizio di”) trasporto aereo terminasse con l’arrivo della merce in aeroporto e più precisamente nel momento in cui il vettore consegnava la merce all’handler7. A partire da quel momento – secondo tale interpretazione – iniziava l’esecuzione del contratto di deposito a favore del terzo avente ad oggetto l’opera autonoma dell’handler.
La conseguenza principale dell’applicazione della disciplina del contratto di deposito prevista dal codice civile era quella di non consentire all’operatore di handling di invocare le norme della Convenzione di Varsavia sul trasporto aereo a lui astrattamente favorevoli, quali la previsione di un termine di decadenza più breve rispetto a quello prescrizionale del deposito8 e le disposizioni relative ai limiti risarcitori contemplati dal diritto uniforme9. Inoltre, l’attribuzione della natura di contratto in favore del terzo al rapporto tra vettore e impresa di handling determinava la legittimazione del terzo, ossia l’interessato al carico danneggiato, ad agire ex art. 1411 c.c. direttamente contro l’handlerpromittente10.
La complessa costruzione interpretativa sopra descritta, come già osservato, si fondava sull’assunto che l’handler non fosse un preposto né un ausiliario del vettore.
Secondo l’orientamento tradizionale, infatti, le compagnie aeree, al momento del conferimento dell’incarico di svolgere le operazioni a terra, non avevano in concreto la possibilità di compiere un’autonoma determinazione del soggetto di cui avvalersi – come avrebbe invece richiesto l’art. 2049 c.c. ai fini della sussistenza di un rapporto di preposizione – poiché i servizi in questione venivano svolti in regime di monopolio11.
Inoltre, si riteneva che la struttura organizzativa autonoma dell’impesa di handling rispetto a quella del vettore fosse incompatibile con la qualifica della prima quale ausiliario del secondo12.
Tuttavia, mentre si succedevano le decisioni che sono andate a consolidare l’orientamento tradizionale sull’handling, la materia veniva fatta oggetto di rilevanti interventi normativi13.
Infatti, con la dir. 96/67/CE del 15.10.1996 e il d.lgs. 13.1.1999, n. 18 che vi da attuazione, almeno negli aeroporti che superino un determinato volume di traffico, la prestazione dei servizi di handling è stata liberalizzata. Conseguentemente, è venuto meno l’argomento secondo cui la posizione monopolistica dei soggetti che svolgevano detti servizi impedisse la configurabilità del rapporto di preposizione, assunto fondante dell’orientamento tradizionale.
Inoltre, il legislatore della riforma della parte aeronautica del codice della navigazione, ha sostituito l’art. 953 introducendo la seguente disposizione: «il vettore è responsabile delle cose consegnategli per il trasporto fino al momento della riconsegna al destinatario, anche se prima della riconsegna le cose siano affidate, o nell’interesse del vettore per esigenze della scaricazione o per ottemperare a un regolamento aeroportuale, a un operatore di assistenza a terra o ad altro ausiliario».
Le Sezioni Unite con l’attesa sentenza n. 21850, pubblicata il 20.9.201714, pur rilevando la non applicabilità del nuovo art. 953 c. nav. alla controversia che erano state chiamate a decidere, hanno mostrato una certa sensibilità rispetto al sopra riferito cambiamento del contesto normativo, segnalato, tra le altre criticità, dall’ordinanza di rimessione. Attraverso un iter argomentativo che ripercorre le medesime critiche mosse dalla dottrina all’orientamento tradizionale, si è addivenuti ad una nuova definizione dei rapporti tra handler e vettore, che segna una altrettanto nuova interpretazione del contratto di handling (e di quello di trasporto) nonché dei regimi di responsabilità sottostanti. Secondo la sentenza delle Sezioni Unite, in modo coerente con il dettato degli artt. 1687 c.c. e 18 paragrafo 4 della Convenzione di Montreal del 1999, il trasporto aereo di cose inizia nel momento in cui il caricatore consegna la merce nell’aeroporto di partenza e termina quando il destinatario la riceve all’aeroporto d’arrivo15. Se non è il vettore a ricevere in consegna le cose e a riconsegnarle a destinazione (cosiddetta autoproduzione), egli si avvale – sempre nell’ambito dell’esecuzione delle obbligazioni derivanti dal contratto di trasporto – di un ausiliario, l’operatore di handling, dei cui fatti dolosi o colposi il vettore risponde ex art. 1228 c.c.16. L’unico soggetto responsabile per i danni alla merce intervenuti durante l’esecuzione del trasporto è quindi il vettore. L’handler, perciò, non risponde in via contrattuale per i danni patiti dal caricatore o dal destinatario della merce, in quanto non è parte di alcun rapporto obbligatorio nei loro confronti. Egli, tuttavia, può incorrere in responsabilità extracontrattuale in caso di danni alla merce dovuti a sue condotte dolose o colpose. In tal caso, egli beneficia delle disposizioni della Convenzione di Montreal che prevedono limiti risarcitori e termini per l’esercizio dell’azione più brevi17. In coerenza con la nuova ricostruzione dei rapporti sottostanti all’handling, le Sezioni Unite hanno ritenuto preferibile la qualificazione del negozio come contratto misto, composto da un appalto di servizi e da un mandato senza rappresentanza, avallando le conclusioni a cui era pervenuta tempo addietro la dottrina18. Far rientrare la custodia e la riconsegna della merce nell’esecuzione del trasporto anche quando concretamente prestate dall’handler appare senz’altro la lettura più esatta del rapporto, atteso che proprio la custodia e la riconsegna costituiscono obbligazioni tipiche del contratto di trasporto19. Inoltre, siffatta interpretazione, come osservato dalla stessa sentenza e dall’ordinanza di rimessione, si allinea a quella offerta dai giudici di altri paesi firmatari della Convenzione.
Uno degli effetti principali dell’individuazione dell’handling come servizio svolto da un ausiliario del vettore, come si è già visto, è quello di sottoporre la responsabilità dell’handler alle norme di diritto uniforme sul trasporto aereo, ossia la Convenzione di Montreal del 1999, con conseguente applicazione dei limiti risarcitori in esse previsti. Tale soluzione, del resto, è confermata dall’art. 30 della Convenzione, a norma del quale i dipendenti e gli ausiliari del vettore che provino di aver agito nell’ambito del proprio impiego possano far valere, se convenuti in giudizio per danni soggetti alla Convenzione, le stesse condizioni e limitazioni che spettano al vettore. In questo modo è stata eliminata, come da più parti auspicato, l’esposizione dell’handler ad un risarcimento integrale, nonché il problema ad essa connesso della possibile rivalsa – prevista dallo SGHA – dell’handler sul vettore, che non sarebbe stata soggetta ai limiti perché avrebbe trovato il proprio titolo nel contratto di handling e non nel trasporto. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno specificato che il beneficio del limite non si applica qualora il danno derivi da dolo o colpa temeraria e consapevole dell’ausiliario. Alcuni autori20 hanno puntualmente rilevato che tale principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite è figlio di un equivoco legato ad un errore nella traduzione non ufficiale contenuta nella legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Montreal 199921. L’errore in questione attribuisce alla versione italiana del testo il significato opposto rispetto a quello della convenzione in lingua originale (inglese). Infatti, se nella traduzione non ufficiale – citata nella motivazione delle Sezioni Unite – all’art. 30 paragrafo 3 della Convenzione si afferma che le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo, ossia quelle disposizione in virtù delle quali il limite è esteso all’ausiliario del vettore, «non si applicano al trasporto di merci qualora venga dimostrato che il danno deriva da un atto o da una omissione del dipendente o dell’incaricato commessi con l’intenzione di provocare un danno o temerariamente e con la consapevolezza che probabilmente ne deriverà un danno», il testo originale dell’art. 30 recita «Save in respect of the carriage of cargo, the provisions of paragraphs 1 and 2 of this Article shall not apply if it is proved that the damage resulted from an act or omission of the servant done with intent to cause damage or recklessly and with knowledge that damage would probably result». L’art. 30 in realtà, coerentemente con l’art. 22 paragrafo 5 della Convenzione, che nega la possibilità del vettore aereo di avvalersi dei limiti previsti per il ritardo e i danni ai bagagli nel trasporto aereo di persone, estende detta impossibilità nelle stesse fattispecie (vale a dire all’infuori del trasporto di cose) anche agli ausiliari.
È pertanto auspicabile che, nei futuri giudizi, i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite in una sentenza molto pregevole e che fa propri i risultati della migliore elaborazione dottrinaria vengano applicati tenendo conto di tale equivoco legato ad un mero difetto della traduzione, consentendo così di dare piena attuazione al diritto uniforme.
1 Lefebvre d’Ovidio, A.Pescatore, G.Tullio, L., Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2016, 180. Secondo alcuni autori il concetto di handling riguarda «tutte quelle operazioni necessarie alla partenza, all’atterraggio ed alla sosta dell’aeromobile». Così Riguzzi, M., L’impresa aeroportuale, Padova, 1984, 41; Rinaldi Baccelli, G., Studi di diritto aeronautico, Milano, 1977, 169; cfr. Piras, M., L’assistenza a terra nel trasporto aereo - profili privatistici, Torino, 1999, 3.
2 Per Golda, C., Handling aeroportuale: un assetto privatistico definitivo tra giurisprudenza e riforme normative internazionali e nazionali. Dati acquisiti e problemi possibili, in Dir. mar. 2005, 1291, 1294, nt. a Cass., 26.11.2003, n. 18074, al contrario, la riforma del codice della navigazione e la Convenzione di Montreal del 1999 suggeriscono che l’attività di handling sia del tutto al di fuori del trasporto aereo.
3 Cass., sez. III, 19.2.2016, n. 3361, in Dir. trasp. 2016, 855.
4 Cass., 11.9.1987, n. 3482, in Dir. trasp. I/1989, 153. In precedenza, Cass., 23.2.1983, n. 1380, in Dir. aereo 1983, 138, aveva ritenuto che la custodia cui il vettore provvede, dopo che la merce è giunta allo scalo, costituisse un accessorio delle obbligazioni inerenti al contratto di trasporto aereo, soggetta alla disciplina propria del contratto di trasporto, non di quello di deposito, anche se la perdita si fosse verificata nella fase di quella custodia finalizzata alla riconsegna.
5 Bonfantoni, C., In tema di esercizio dei diritti incorporati nella lettera di trasporto aereo e responsabilità dell’operatore di handling, in Dir. trasp., 1989, I, 154 e 162, nt. a Cass. n. 3482/1987, cit.
6 Cass., 11.9.1990, n. 9357, in Dir. trasp., 1991, II, 256, che ha trovato seguito in numerose sentenze successive. Si discosta da tale orientamento l’isolata pronuncia resa in Cass., 19.6.1993, n. 6841, in Dir. trasp. 1994, 214.
7 Cass. n. 9357/1990. Il principio è stato poi ribadito e approfondito in Cass., 14.7.1992, n. 8531, in Dir. trasp. 1993, 905, 913.
8 Cass. n. 9357/1990, cit.
9 Cass., 26.11.2003, n. 18074, in Dir. mar., 2005, 1291.
10 Cass., 9.10.1997, n. 9810, in Dir. mar., 1998, 1114.
11 Cass. n. 8531/1992, cit., 905.
12 Cass. n. 9357/1990, cit., 259.
13 Appare opportuno precisare che la Cassazione, fino all’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite del 2016, non si era ancora trovata ad affrontare la questione dell’handling applicando la nuova normativa, ivi compresa la Convenzione di Montreal del 1999.
14 Cass., S.U., n. 21850/2017, in Dir. trasp. 2018, 159.
15 Cfr. Piras, M., L’assistenza a terra nel trasporto aereo, cit., 43.
16 Sotto la vigenza della Convenzione di Varsavia, cfr. Valbusa, S., Handling aeroportuale e regolamenti CEE, in Dir. trasp., 1992, 109, 113-114.
17 Cfr. art. 30 Convenzione di Montreal del 1999.
18 Piras, M., L’assistenza a terra nel trasporto aereo, cit., 96.
19 Cfr. Tullio, L., Il trasporto, in Lipari, N.Rescigno, P., a cura di, Diritto civile, III3,Milano, 2009, 227; La Torre, U., La definizione del contratto di trasporto, Napoli, 2000, 242; Ferrarini, S., I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, Roma, 1947, 70; Asquini, A., Il trasporto di cose, in Noviss. dig. it. XIX/1973, 586. In giurisprudenza cfr. Cass. n. 6841/1993, cit.
20 Tullio, L., Le sezioni unite della Corte di cassazione decidono in base alla traduzione errata della Convenzione di Montreal, in Dir. trasp., 2018, 113. Sul punto anche Piras, M., La Cassazione pone termine (forse) alle controversie sulla responsabilità delle imprese aeroportuali di handling, in Dir. trasp,. 2018, 180.
21 L. 10.1.2004, n. 12.