ḤANBALITI
. Sono i seguaci di quella, tra le quattro scuole (o riti o sistemi) di rituale e diritto riconosciute dai musulmani sunniti (ortodossi), che si fonda sugl'insegnamenti di Aḥmad ibn Ḥanbal (cfr. II, p. 18), morto a Baghdād nel 241 èg., 855 d. C.
La scuola ḥanbalita ebbe subito numerosissimi seguaci a Baghdād e suo territorio; presto si diffuse anche in Siria, e penetrò in Egitto e in Persia. Ma Ibn Ḥanbal, oltre che giurista e profondo studioso di tradizioni canoniche (hadīth), fu anche teologo assai stimato e contrario all'applicazione, che al suo tempo si faceva sempre più strada in taluni ambienti, di ragionamenti filosofici all'interpretazione dei dogmi rivelati: perciò i ḥanbaliti si ritennero legati al suo sistema e ai suoi metodi anche in teologia, furono accaniti oppositori di tutte le novità e concessioni a usi o superstizioni popolari per le quali altre scuole teologiche si mostravano indulgenti, e nel loro zelo apparvero un elemento turbolento, che più volte portò a disordini pubblici. Nella lotta violenta contro ogni sorta d'innovazioni biasimevoli e di abusi si distinsero in Siria ed Egitto due fecondissimi ḥanbaliti: Ibn Taimiyyah, morto nel 728 èg., 1328 d. C. e il suo discepolo Ibn Qayyim al-Giawziyyah, morto nel 751 èg., 1350 d. C. Il rigorismo estremo finì col nuocere alla scuola, che oggi ha seguaci numerosi nella Mesopotamia centrale e meridionale, meno in Siria e Palestina, mentre regna sovrana nell'Arabia centrale e presso gli ahl al-ḥadīth o Wahhābiti indiani. In nome appunto del rigorismo ḥanbalita nacque nel sec. XVIII, nel cuore dell'Arabia, il movimento politico dei Wahhābiti (v.). La questione del tipo delle tombe, delle visite pie ad esse, del culto dei santi, della credenza nell'intercessione di questi presso Dio, della parte mistica del ṣūfismo, delle pratiche delle confraternite religiose, e simili usanze o credenze estranee all'islamismo primitivo sono i precipui oggetti della polemica ḥanbalita antica e moderna.