GUITTONE d'Arezzo
Poeta, nato poco dopo il 1230 da Viva di Michele, camerlengo del comune di Arezzo, nel cui ufficio egli lo coadiuvò giovinetto. Benché di parte guelfa, addolorato delle tumultuose condizioni della sua patria, dove "gente noiosa e villana" distruggeva quell'ideale di pace che aveva aleggiato sulla "dolze terra aretina", si trasse in volontario esilio (1256), e rimpianse la caduta delle sue speranze al trionfo ghibellino su Firenze a Montaperti (1260). Dopo una giovinezza di lieti amori, abbandonando la consorte e i figli, vestì l'abito dei cavalieri di Santa Maria (1268) e volle opporsi alla vita mondana di quelli ch'eran detti dal popolo i "frati gaudenti". Nel 1285 era a Bologna a sbrigarvi faccende del suo ordine. Per la pace di Pisa, dov'ebbe lunga dimora e contrasse amicizie poetiche, esortò Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti a stringersi in unione (1288). Nel 1293 donò le sue sostanze per la fondazione del monastero degli Angeli a Firenze e quivi, pare, morì nel 1294.
Nella storia letteraria italiana anteriore a Dante, G. è la figura più rappresentativa per la larga onda di simpatia che suscitò la sua arte e per i numerosi poeti che si strinsero attorno a lui, tra i quali anche il Guinizelli (v.), e lo acclamarono maestro. Per lui la lirica provenzaleggiante, tutta d'imitazione e aliena dalle tradizioni italiane di civiltà e di cultura, s'inserisce profondamente nello spirito italiano e si colora di elementi borghesi. Un nuovo contenuto politico informato a moralità e scaturito dalla vita attuale, in quell'agitato e appassionato contrasto di gare cittadine e comunali, tende a esercitare un'efficacia concreta sul costume. Il gusto della forma, elaborata e complicata quanto si vuole, sia nel verso sia nella prosa numerosa delle sue Lettere, dove s'appalesa l'esperto conoscitore dei maestri latini di dettare, non è che l'espressione di uno spirito che s'affina e svolge le sue facoltà di ragionamento e di astrazione. La poesia di G., dove non si oscuri nei bisticci e negli equivoci verbali, è la manifestazione di un'anima appassionata che non riesce mai a possedersi con piena chiarezza e che s'indaga e si tormenta, sovrapponendo continuamente all'impeto del sentimento l'analisi intellettiva che lo frange e lo dissolve. G. non è un grande poeta lirico: le facoltà discorsive predominano in lui; ma è una forte personalità morale. La sua poesia riesce dove l'animo si apre agli affetti di patria e di carità cittadina, e dovunque la vita morale lo prende e dà modo alla sua vena oratoria di espandersi liberamente nella salda quadratura logica di periodi in tumulto. Nelle sue Lettere balza l'oratore civile del comune guelfo che parla dall'abbondanza del cuore e che richiama fatti e persone dinnanzi al giudizio morale. Le raffinatezze formali della lirica cortese sono le scorie della sua arte; nella quale palpita la nuova sostanza spirituale della letteratura italiana, già avviata a essere specchio di un'anima nazionale.
Ediz.: L. Valeriani, Le rime di fra G. d'A., Firenze 1820; F. Pellegrini, Le rime di G. d'A., I (Versi d'amore), Bologna 1901; F. Meriano, Le lettere di frate G. d'A., Bologna 1922.
Bibl.: A. Pellizzari, La vita e le opere di G. d'A., Pisa 1906; F. Torraca, Fra G., in Studi di storia letteraria, Firenze 1923, pp 108-152.