GUITERA DE' BOZZI, Carlo
Nacque il 6 luglio 1809 su una fregata inglese in viaggio verso Malta, da Antonio, cittadino corso, e da Margherita Mifsud, nobile maltese.
All'epoca il padre, discendente da una famiglia spagnola trapiantata in Corsica dall'inizio del XIV secolo, combatteva al servizio degli Inglesi non avendo mai accettato la cessione dell'isola alla Francia (tanto che in passato aveva collaborato al tentativo di secessione messo in atto da P. Paoli subito dopo la Rivoluzione francese): dopo avergli fatto fare carriera in Marina, gli Inglesi lo ricompensarono nominandolo governatore di Cefalonia e poi di Itaca, due delle isole Ionie che egli resse fino al 1814, quando, dopo Waterloo, fu messo a riposo con il titolo di baronetto. Trasportati allora a Livorno i beni che gli assicuravano una certa agiatezza, vi si stabilì con la famiglia in forma definitiva.
Affidato ai barnabiti per la prima formazione, il G. completò gli studi inferiori in un collegio pisano; lasciato il quale, prese a frequentare i corsi di giurisprudenza con l'obiettivo - poi conseguito - di diventare avvocato. Erano quelli gli anni in cui nell'ateneo pisano crescevano i futuri esponenti del liberalismo toscano. Suggestionato dalla lettura degli scritti di U. Foscolo e dal fervore delle prime cospirazioni, anche il G. si accostò agli ambienti della carboneria; ma - raccontò lui stesso - quello che all'inizio era sembrato solo un modo per "divertirci" (E. De Rossi, p. 12), peraltro al fianco di personaggi quali C. Bini, F.D. Guerrazzi e G. Gherardi, divenne presto, nel dispiegarsi del settarismo, un impegno serio, sia sul piano organizzativo sia su quello del proselitismo, al punto che già con i moti del 1831 il G. si trovò inserito in una legione di volontari approntata precipitosamente per difendere la rivoluzione antipapale delle Legazioni dalla controffensiva austriaca. L'esito infelice dell'impresa costrinse il G. a tornare in Toscana, a Livorno, e subito dopo a cercare rifugio il 25 apr. 1831 a Bastia, da dove le autorità francesi gli imposero di passare sul continente, nel campo di raccolta profughi di Mâcon. Successive altre vicissitudini videro il G. prima coinvolto in una rissa tra emigrati e gente del posto, quindi assunto come segretario nella prefettura di Auxerre: non riuscendogli gradita tale sistemazione, si risolse a trasferirsi a Parigi.
Fu qui che, anche tramite il conterraneo G. Gherardi, prese contatto con F. Buonarroti e con la sua società dei Veri Italiani, fondata sul finire del 1831 per perseguire sullo sfondo di un programma risolutamente democratico-egualitario di matrice giacobina l'obiettivo della costituzione di un'Italia una, indipendente e libera. Il G. non esitò ad affiliarsi, ricevendo dal Buonarroti l'incarico di diffondere l'organizzazione settaria facente capo alla giunta centrale di Parigi e strutturata per cellule denominate "famiglie": col nome di battaglia di Galileo Galilei, prese allora a viaggiare, passando dal Belgio alla Corsica, da qui alla Toscana, per finire poi a Londra, dove nel marzo del 1832 si abboccò con G. Mazzini per gettare le basi di una fusione dei Veri Italiani con la Giovine Italia. L'accordo andò in porto nell'autunno del 1832 ma non tardò a rivelare l'incompatibilità di fondo tra il progetto nazional-unitario di Mazzini e la linea del Buonarroti, neobabouvista e da Mazzini considerata subalterna agli interessi della Francia.
A ogni modo, finché l'intesa funzionò, il G. si dimostrò assai abile nella sua opera di proselitismo: perfino quando, a Livorno, fermato, processato e condannato, il 27 apr. 1832, a un periodo di residenza coatta a Montepulciano per aver importato da Genova una fantomatica setta denominata I figli di Bruto, ne approfittò per diffondere cellule cospirative nella Val di Chiana.
Appunto nel quadro della incerta collaborazione con la Giovine Italia, il 9 genn. 1833 il G. costituì a Livorno con l'appoggio di Guerrazzi e Bini la famiglia XVII (tutte le famiglie erano numerate) dei Veri Italiani, seguita presto da altre consimili a Firenze, Lucca, Pisa. A Livorno si ebbero molte affiliazioni tra i lavoratori del porto, attirati da un programma che mescolava le aspirazioni patriottiche a quelle egualitarie; la pressione esercitata da Mazzini era però in favore di un'organizzazione più esplicitamente rivoluzionaria, e forse fu per andargli incontro che nel maggio del 1833 il G. creò nell'ambito della famiglia livornese una sezione militare i cui componenti erano addestrati all'uso delle armi. L'inizio della repressione, che un mese prima aveva colpito alcuni mazziniani senesi, bloccò sul nascere il tentativo: arrestato il 3 sett. 1833 e detenuto per alcuni mesi a Firenze in condizioni di estrema durezza, il G. respinse tuttavia ogni addebito, cercando al contempo di far valere la propria origine maltese o, in alternativa, quella corsa; fu tutto vano perché le confessioni di un coimputato, A. Foggi, in merito al suo ruolo direttivo soprattutto come organizzatore della sezione militare convinsero i giudici a imputargli il reato di lesa maestà, a chiedere per lui, nel corso del processo apertosi il 6 ott. 1834, la pena di morte e a condannarlo un mese dopo a cinque anni di lavori forzati e alla gogna. Successivamente, il granduca Leopoldo II commutò la pena in "semplice carcere nel maschio di Volterra" (Francovich, 1951, p. 107): il G. vi fu rinchiuso il 17 marzo 1835 e vi restò fino al 2 apr. 1836, allorché un nuovo atto di clemenza del granduca trasformò il rimanente della pena in esilio perpetuo. Prima di avviarsi verso la Francia, il G. dovette impegnarsi formalmente a non più cospirare contro il sovrano: mantenne la promessa e rientrò nell'anonimato restandovi fino al momento della morte, che lo colse a Livorno il 20 marzo 1884, pochi giorni dopo aver terminato di dettare a un congiunto le proprie sintetiche memorie.
Un qualche peso politico e culturale ebbe anche il fratello Michele, autore nel 1838 di uno scritto antiprotezionista di Osservazioni sul commercio libero di Toscana e nuove strade di ferro (Firenze) e traduttore nel 1851 delle Memorie autografe di M. Robespierre (I-II, ibid.); a metà anni Cinquanta montanelliano, filobonapartista e federalista dichiarato, tanto da offrire i propri servigi a Napoleone III per la costituzione di un Regno dell'Italia centrale; quindi esponente di punta della mazziniana Società di mutuo soccorso di Livorno, fondata il 12 dic. 1860 e da lui diretta fino al 21 apr. 1861, quando si dimise per una serie di contrasti con G. Gherardi; infine pubblicista dai molti interessi: letterari (Dante Alighieri e Alfonso di Lamartine: una revisione, Livorno 1857), politici (Del nostro stato sociale e politico, Siena 1859; Il monarcato rappresentativo è il solo governo condizionato alla vita sociale, Livorno 1865) e di costume (Spiritismo pratico, ovvero Comunicazioni spiritiche: lettura, Firenze 1877).
Fonti e Bibl.: Oltre le notizie non sempre sicure fornite dallo stesso G. e raccolte da E. De Rossi in un opuscolo intitolato Io Hymen Hymenaee, 23 dic. 1897 (per nozze De Rossi - Castagna), s.n.t., la più informata ricostruzione della vita del G. è quella tentata in vari articoli e saggi da C. Francovich, del quale sono da vedere in particolare: C. G. e il processo dei "Veri Italiani", in Boll. stor. livornese, n.s., I (1951), pp. 73-110; Biglietti dal carcere di C. G., ibid., II (1952), pp. 101-107; Idee sociali e organizzazione operaia nella prima metà dell'800, Milano-Roma 1959, pp. 65 s.; Albori socialisti nel Risorgimento. Contributo allo studio delle società segrete, 1776-1835, Firenze 1962, ad indicem. Poche le notizie ricavabili da altre fonti e da testi più datati: R. Guastalla, La vita e le opere di F.D. Guerrazzi (1804-1835), Rocca San Casciano 1903, ad ind.; G. Stiavelli, Antonio Guadagnoli e la Toscana dei suoi tempi, Torino 1907, pp. 109 s.; Edizione naz. degli scritti di G. Mazzini, V, pp. 240, 301; G. Montanelli, Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, Firenze 1963, ad indicem. Diverse le interpretazioni storiografiche in rapporto al buonarrotismo e al mazzinianesimo: S. Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia" (1831-1834), Pisa 1960, ad ind.; A. Galante Garrone, Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento (1828-1837), Torino 1972, pp. 358 s., 365, 379, 512, 530; A. Saitta, Filippo Buonarroti. Contributo alla storia della sua vita e del suo pensiero, I-II, Roma 1972, ad indicem. Sul fratello Michele: Edizione naz. degli scritti di G. Mazzini, LXXXI, ad ind.; N. Badaloni, Democratici e socialisti livornesi nell'Ottocento, Roma 1966, ad ind.; e cfr. la lettera del G. a G.B. Laffond del 23 genn. 1854 (Roma, Museo centr. del Risorgimento, b. 714/35/1).