Aldobrandeschi, Guiglielmo
Il gran Tosco, il cui nome domina la terzina 58-60 di Pg XI, portando in un mondo in cui tutte le passioni, e particolarmente la superbia, sono sopite, anzi debbono essere espiate, un senso di grandezza che rivela l'ammirazione del poeta per il suo personaggio: ammirazione che si ritrova nel tono accorato con cui Sordello depreca la dissoluzione del feudo di Santafiora (Pg VI 111). L'animo con cui Omberto Aldobrandeschi ricorda il padre è stato variamente interpretato: l'attributo gran Tosco è stato inteso nel senso sociale da Barbi e Porena, i quali vedono nel dubbio che D. non abbia mai sentito nominare G.A. una dimostrazione di modestia. L'assoluto distacco dalla vita terrena e quindi da ogni passione è stato messo in luce, sulla scia del Vallone, anche dal Bertelli, il quale indica a prova della sua tesi l'uso dei verbi al passato fatto da Omberto nel ricordare la famiglia. Per il Sapegno, nell'enunciazione del nome senz'altro noto a un contemporaneo, affiora una scoria dell'antica superbia, non mitigata, anzi accresciuta dal non so se 'l nome suo già mai fu vosco, che assumerebbe quasi un significato ironico e di falsa modestia, e questo sostengono anche Torraca, Rossi e Mattalia.
G. A. fu figlio di Idebrandino VIII e padre di Omberto (Pg XI 58-59); morì nel 1254. Personalità di primo piano nella stirpe aldobrandesca, da secoli signora della Maremma senese, fu il primo conte di Soana e Pitigliano, mentre il fratello Bonifazio fu il primo dei conti di Santafiora. Trascorse la sua vita guerreggiando, nel tentativo di fermare il processo di dissoluzione cui, nella generale crisi del sistema feudale, non rimasero estranei i suoi vasti domini, soprattutto minacciati dall'intraprendente comune senese. Di Siena, che era impegnata in una politica espansionistica orientata in primo luogo verso la Marittima, il conte fu prigioniero nel 1227, dopo la conquista senese di Grosseto (1224), antico feudo aldobrandesco. Liberato per l'intervento di Gregorio IX, restò fiero nemico della repubblica, non esitando neppure a opporsi al suo grande alleato Federico II, dal cui esercito fu assediato a Soana, a Pitigliano e altrove, con ferrea risolutezza e indomita energia, sì da essere dichiarato " proditor et Imperii nominis inimicus ". Alleato della Chiesa, G. ebbe parte nell'insurrezione antimperiale di Viterbo del 1243 e nella conseguente sconfitta di Federico Il; né papa Innocenzo IV mancò di ricompensarlo. Così come, dopo il tramonto dell'ultima possanza della casa di Soave, poté rivendicare gli aviti domini. In essi non fu tuttavia reintegrato che nel 1254, pochi mesi avanti la sua morte, con la pace di Stomennano, che segnò la fine di un lungo periodo di lotte nelle quali s'erano fronteggiate le repubbliche di Firenze, Lucca, Orvieto (e, fuori di Toscana, Genova) da un lato, e Siena, Pistoia, Pisa, Arezzo dall'altro, essendo alleato di Firenze il conte G. e di Siena un altro A., Ildebrandino figlio di Bonifazio.
Non può meravigliare che le imprese di G., d'altronde amico di Firenze, avessero lasciato traccia nella tradizione cittadina, che D. riecheggia. Se, facendolo definire dal figlio Omberto gran Tosco, è probabile che D. altro non intendesse che " potente feudatario toscano ", è da credere che le opere leggiadre che resero arrogante Omberto (Pg XI 61-62) fossero soprattutto quelle del padre. L'accenno non consente d'intravedere il giudizio di D. sull'oppositore dell'autorità imperiale, che dovrebbe essere negativo, ma soltanto ammirazione per quanto vi fu, nella figura del conte e nelle sue azioni, di alto, di nobile, di valoroso, in sottintesa contrapposizione con la condotta imbelle degli A. di Santafiora.
Bibl. - D. Berlinghieri, Notizie degli A., Siena 1842; E. Repetti, Dizionario geografico storico fisico della Toscana, V, Firenze 1843, 143-149 e 410-415; B. Aquarone, D. in Siena, Città di Castello 1889, 95-105; Bassermann, Orme 327-330, 637; C. Altucci, Omberto A. nella poesia di D., Grosseto 1932; G. Ciacci, Gli A. nella storia e nella D.C., Roma 1935, voll. 2 (in particolare, I 65-119).