GUIDO
Assai scarse le notizie su G.: aretino di origine, nacque presumibilmente nel secondo quarto del secolo XI.
Con ogni probabilità subentrò a Graziano nel 1083 come vescovo di Ferrara, anche se il primo documento che lo indica come tale risale solo al 1086 (ed. Wilmans - Dümmler, p. 529). Fu presente al sinodo indetto da Gregorio VII nel marzo 1080, durante il quale il papa scomunicò e depose Enrico IV, incoronando re Rodolfo di Svevia. Mancano informazioni certe sulla natura dei suoi rapporti con l'ambiente riformatore, ma intorno al 1084 si schierò con l'antipapa Clemente III (Guiberto, arcivescovo di Ravenna, eletto pontefice da Enrico IV nel giugno 1080), divenendo un membro di spicco del suo entourage.
La sua presenza presso la diocesi ferrarese è attestata per l'ultima volta in un atto di donazione da lui rilasciato a favore della chiesa di S. Stefano nel 1092 (Barotti), malgrado l'elezione del suo successore Landolfo risalga solo al 1104. Per la data di morte di G. non vi è notizia sicura.
G. ricopre un ruolo importante nell'ambito della libellistica filoimperiale fiorita fra il 1080 e il 1090. Si trattava di un momento assai difficile della lotta per le investiture: lo scisma guibertino aveva, infatti, inasprito i toni dello scontro fra Regnum e Sacerdotium, dal punto di vista sia bellico sia della propaganda politica. Gregoriani e guibertisti erano divisi da una diversa visione dei rapporti fra le strutture della società cristiana, mentre si andava elaborando una nuova ecclesiologia incentrata sul primato della Chiesa di Roma che avrebbe approfondito la frattura in atto. La trattatistica polemica sorta intorno alla legittimità dei due papi mirava a ridefinire gli ambiti di competenza dello spirituale verso il laicale e a discutere i diritti della Chiesa nell'organizzazione della società.
Nella primavera del 1086 (ed. Wilmans - Dümmler, p. 530) G. compose il trattato De scismate Hildebrandi. Pro illo et contra illum su sollecitazione di Clemente III e dei suoi seguaci. Malgrado l'assenza di riferimenti espliciti, quasi con certezza egli intendeva rispondere alle accuse rivolte contro Clemente da Anselmo da Baggio vescovo di Lucca nel Liber contra Wibertum, pure risalente al 1086. Anselmo, oltre a delineare una società ierocratica identificando la Chiesa apostolica con la romana e a negare ogni soggezione dell'autorità spirituale alla laica anche riguardo alle res Ecclesiae e ai regalia (diritti e proprietà pubbliche), aveva condannato come illegittima l'elezione di Clemente e aveva codificato la teoria della giusta guerra, ammettendo l'uso di mezzi bellici da parte della Chiesa. La contiguità cronologica e l'analogia dei temi hanno portato a ritenere che il De scismate fosse una risposta implicita ma puntuale al Liber contra Wibertum. Panzer (pp. 10-17, 55-61) vi aveva individuato le tracce di un ipotetico trattato mai pervenuto scritto da Clemente per ribattere alle accuse, ma tale posizione è ora quasi del tutto abbandonata.
Il De scismate è diviso in due libri: il primo, articolato in venti capitoli, difende argomentando le azioni di Gregorio VII (pro illo) ed è scritto in forma biografico-narrativa. Si rifà al modello della Vita Gregorii di Giovanni Diacono, peraltro assai diffuso nella pubblicistica dell'epoca. Il secondo (contra illum), in forma di dialogo, ribalta le ragioni della difesa gregoriana, mettendo in campo due personaggi, un proponens e un respondens, a discutere sui singoli punti che opponevano i sostenitori di Gregorio ai guibertisti. È stato accostato (Berschin, p. 129; Heidrich, p. 154) alla Disceptatio synodalis di Pier Damiani (1062), caratterizzata da un'analoga struttura dialogica.
La cura formale è uno dei tratti salienti dell'opera accanto al suo spessore teorico, e ne connota il pubblico come ristretto, colto e ben informato degli eventi trattati, elemento tipico della produzione libellistica. È, peraltro, probabile che G. si volesse rivolgere anche alla parte gregoriana, poiché il De scismate fu elaborato nel momento di massima pressione da parte imperiale e guibertina per convincere il clero riformatore a salvaguardare l'unità dell'Ecclesia ricomponendo lo scisma nella persona di Clemente.
I temi affrontati in modo speculare nei due libri attengono ad alcuni punti essenziali: la legittimità dell'elezione papale di Clemente III e l'illegittimità di quella di Gregorio VII (ed. Wilmans - Dümmler - la cui indicazione è da ora in poi sottintesa -, pp. 534, 551-553, 564 s.); il problema dell'investitura imperiale da concedersi ai vescovi prima della consacrazione (pp. 547 s., 564-566); il problema della validità o meno dei sacramenti amministrati dal clero indegno, scismatico e scomunicato (pp. 544-547, 558-560). Pur essendo, questo, un tema pregregoriano, conosceva in quel momento una nuova attualità, poiché alla morte di Gregorio la posizione di Clemente, tacciato di eresia come simoniaco, era divenuta più difficile, soprattutto rispetto al suo desiderio di compattare il clero a lui favorevole e di attirare nuovi seguaci, che potevano esitare per il timore di essere poi ritenuti compartecipi dell'eresia.
Gli argomenti vengono sviluppati ricorrendo al materiale patristico, storico e canonistico tipico delle opere polemiche delle due parti, che si servivano delle stesse auctoritates per sostenere posizioni opposte, in un momento in cui, grazie all'azione di Gregorio VII, lo studio dei canoni conosceva uno slancio del tutto particolare.
Caratteristica è, soprattutto, la vis polemica e argomentativa del II libro, il contra illum, che contiene alcune elaborazioni teoriche destinate a incidere in profondità sulla dottrina dei rapporti fra Regnum e Sacerdotium.
Riguardo all'elezione di Gregorio VII, la parte guibertina sosteneva che egli non poteva essere considerato papa legittimo, poiché non era stata rispettata la procedura del decreto di elezione papale del 1059, che prevedeva il consenso dell'imperatore. Tale argomentazione, con l'ausilio del decreto probabilmente nella sua redazione imperiale, è assunta in toto da G. (pp. 551-553), che peraltro, come molti dei polemisti antigregoriani, appella sempre il papa Ildebrando quasi a negargli la qualità di pontefice.
Descrivendone la vita poco moderata e violenta - in opposizione speculare con l'idilliaco ritratto del I libro (pp. 534-536) - egli introduce poi la polemica contro le iniziative di carattere bellico assunte da Gregorio, cui si collega l'accusa di avere sciolto i sudditi dalla fedeltà a Enrico IV, fomentando la guerra contro i Sassoni e appoggiando Rodolfo di Svevia con l'invio di denaro della Chiesa (pp. 555-557). Si tratta di un punto significativo, poiché riprende accuse mosse al papa anche dall'interno della Curia: nel 1082 un gruppo di cardinali riformatori si era, infatti, opposto all'uso delle res Ecclesiae per la lotta contro l'antipapa.
Non è, peraltro, l'unico caso di temi trasversali, nei quali la libellistica riformatrice e quella imperiale si trovavano quasi a concordare: soprattutto sulla natura del potere papale e del suo evolversi in senso ierocratico, infatti, i due schieramenti spesso arrivavano a condividere gli stessi dubbi. A tale proposito, la libertà del papa di travalicare la legge canonica è messa in discussione da G. riguardo alla validità dei sacramenti amministrati da sacerdoti scomunicati e indegni: egli con l'ausilio di Agostino afferma con forza che sospendere tale clero dall'amministrazione equivale a sostituirsi a Cristo, poiché l'indegnità di un uomo non può essere più forte di un sacramento. Gregorio, sospendendo gli scismatici, è andato contro le norme dei Padri, che mantenevano invece la validità dei sacramenti (p. 558).
Ma è sulle investiture che G. esprime la sua posizione più originale e foriera di importanti sviluppi: egli è, infatti, uno dei primi polemisti antigregoriani a distinguere tra i poteri spirituali dei vescovi e le loro funzioni temporali, escludendo ogni intervento e autorità del sovrano sugli spiritualia, ma attribuendogli il potere sui regalia affidati ai vescovi dal sovrano, verso il quale essi avevano gli stessi obblighi dei laici. Veniva così introdotto a livello teorico il concetto di investitura puramente temporale (p. 564).
Per avvalorare la propria teoria sulle investiture, G. ricorse anche ai cosiddetti falsi ravennati, un insieme di atti spuri attribuiti ad Adriano I e Leone VIII (Märtl, in Die falschen Investiturprivilegien, pp. 137-212) con i quali si concedeva ai sovrani di intervenire previamente nelle elezioni papali e nell'investitura vescovile a garanzia della regolarità dell'elezione stessa. Essi riflettono il tentativo della propaganda imperiale di fondare nella tradizione papale la validità della investitura laica, mirando a individuare una continuità di atteggiamento nei pontefici romani. L'attuale critica storica ha in buona parte rivisto la tradizionale attribuzione dei falsi all'ambiente ravennate, dove si riteneva fossero stati elaborati a difesa dell'antipapa, per riferirli a un più ampio contesto legato all'episcopato tedesco e alla causa imperiale (Capitani; Dolcini; Heidrich; Robinson). La citazione nel De scismate (il riferimento, a p. 565, è all'Hadrianum, che suffragava il diritto imperiale di investire dei beni ecclesiastici i vescovi) costituisce una delle prime testimonianze della loro diffusione nella pubblicistica ed è utile a G. per respingere l'identità fra elezione episcopale e possesso dei beni ecclesiastici propugnata dai gregoriani. A tale proposito, una delle prime menzioni del De scismate si trova nel Liber de honore Ecclesiae di Placido di Nonantola del 1111 (p. 568) dove si sosteneva, invece, l'unità indissolubile di spiritualia e temporalia all'interno della Chiesa, negando che i regalia spettassero al sovrano poiché connessi in modo inscindibile all'ufficio vescovile.
Prendendo atto dell'esistenza di terre e diritti che la Chiesa deteneva dall'Impero e per i quali era necessario rinnovare l'investitura, G. postulava, dunque, una netta distinzione fra ius spirituale e ius temporale nell'ambito dell'officio vescovile, assegnando il secolare all'esclusiva competenza dell'imperatore e separando la disponibilità dei temporalia dei vescovi dagli elementi sacrali, pur senza la rinuncia da parte imperiale del diritto di nominare i vescovi. Si trattava, dunque, di una posizione in forte contrasto con l'ecclesiologia gregoriana di piena sacralizzazione di tutto ciò che competeva alla Chiesa.
Già intorno al 1046 Wazone di Liegi aveva distinto fra saecularia, di spettanza imperiale, e divinum officium, di ambito spirituale. Dopo il decreto del 1078 sulla proibizione della investitura laica, Egilberto di Passau aveva valutato i contenuti reali dell'investitura come insieme di regalia che nulla avevano in comune con gli spiritualia, non comportando perciò alcun rischio di scomunica. G. li ritiene, infine, due iura distinti, dei quali l'unico pertinente al vescovo è quello spirituale (Benson, pp. 208, 224-228; Capitani, 1990, pp. 252-254).
Il problema dei regalia divenne centrale nella lotta delle investiture, che si delineava sempre più come un contrasto di giurisdizione temporale e patrimoniale. Lo sdoppiamento dell'ufficio episcopale teorizzato da G. fu largamente accolto nella produzione teorica successiva, poiché corrispondeva alla linea di mediazione che si andava affermando presso le due parti come soluzione del conflitto. Esso verrà ripreso fra gli altri da Ivo di Chartres, con la tesi sulla non condannabilità dell'investitura laica dei beni temporali delle chiese, a condizione che in essa non si ravvisasse l'intenzione del conferimento di un potere spirituale.
Il De scismateHildebrandi è stato edito, a cura di R. Wilmans, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XII, Hannoverae 1856, pp. 148-179; a cura di R. Wilmans - R. Dümmler, ibid., Libelli de lite, I, ibid. 1891, pp. 529-567; Addenda et emendanda, ibid., III, ibid. 1897, pp. 731-733.
Fonti e Bibl.: Anselmus Lucensis, Liber contra Wibertum, a cura di E. Bernheim, in Mon. Germ. Hist., Libelli de lite, I, Hannoverae 1891, pp. 519-528; Placidus Nonantulanus, Liber de honore Ecclesiae, a cura di L. de Heinemann - E. Sackur, ibid., III, ibid. 1893, pp. 566-639; Die falschen Investiturprivilegien, a cura di C. Märtl, ibid., Fontes iuris Germanici antiqui in usum scholarum, XIII, ibid. 1986, pp. 57-61, 137-212; L. Barotti, Serie de' vescovi ed arcivescovi di Ferrara, Ferrara 1781, p. 15; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, II, Ferrara 1848, pp. 131, 140, 142; K. Panzer, Wido von Ferrara. De scismate Hildebrandi, ein Beitrag zur Geschichte des Investiturstreites, Leipzig 1880; C. Mirbt, Die Publizistik im Zeitalter Gregors VII., Leipzig 1894, pp. 40-45; C. Erdmann, Die Entstehung des Kreuzzugsgedankens, Stuttgart 1935, pp. 143 n., 144 n., 162, 238-241, 243; A. Fauser, Die Publizisten des Investiturstreites, Würzburg 1935, pp. 28-31, 97, 113-115; A. Fliche, La Réforme grégorienne, III, Louvain 1937, pp. 256-301; Id., La querelle des investitures, Paris 1946, pp. 95-108; K. Jordan, Die Stellung Wiberts von Ravenna in der Publizistik des Investiturstreites, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung, LXII (1954), pp. 155-164; R.W. Carlyle - A.J. Carlyle, Il pensiero politico medievale, II, Bari 1959, pp. 289-318; H.G. Krause, Das Papstwahldekret von 1059 und seine Rolle im Investiturstreit, in Studi Gregoriani, VII, Roma 1960, pp. 188-198 passim; C. Violante, Anselmo da Baggio, santo, in Diz. biogr. degli Italiani, III, Roma 1961, pp. 399-407; G. Miccoli, Chiesa gregoriana, Firenze 1966, pp. 17 n., 142 n., 165, 221 n., 357 n.; Z. Zafarana, Sul "conventus" del clero romano nel maggio 1082, in Studi medievali, s. 3, VII (1966), pp. 399-403 passim; Id., Ricerche sul "Liber de unitate Ecclesiae conservanda", ibid., pp. 559 n., 656 n., 679 n., 696-700; R.L. Benson, The bishop-elect. A study in Medieval ecclesiastical office, Princeton, NJ, 1968, pp. 219-228; O. Capitani, Per un riesame dei falsi ravennati, in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le provincie di Romagna, n.s., XXII (1971), pp. 21-42 passim; A. Fliche, Storia della Chiesa, VIII, La riforma gregoriana e la riconquista cristiana (1057-1123), a cura di A. Vasina, Torino 1972, pp. 235-248; J. Fried, Der Regalienbegriff im 11. und 12. Jahrhundert, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XXIX (1973), 2, pp. 502-506; I.S. Robinson, Authority and resistance in the investiture contest, Manchester 1978, pp. 14 s., 37 s., 44, 46 s., 96-99, 103, 108, 177; R. Schieffer, Die Entstehung des päpstlichen Investiturverbot für den deutschen König, Stuttgart 1981, pp. 59 n., 181, 188; C. Dolcini, Clemente III, antipapa, in Diz. biogr. degli Italiani, XXVI, Roma 1982, p. 185; O. Capitani, Hadrianum e Privilegium minus, in Aus Kirche und Reich… Festschrift für F. Kempf, a cura di H. Mordek, Sigmaringen 1983, pp. 173-186 passim; Id., La trattatistica ecclesiologica, in Le sedi della cultura in Emilia Romagna. L'Alto Medioevo, Milano 1983, pp. 53-63 passim; I. Heidrich, Ravenna unter Erzbischof Wibert (1073-1100), Sigmaringen 1983, pp. 41, 56, 74 n., 110, 118, 144-146, 154-156, 159, 161-163; G.M. Cantarella, Placido di Nonantola, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXXVII (1983), pp. 129 s. n., 408 n., 412 n., 417 s. n.; G.M. Cantarella - O. Tuniz, Il papa ed il sovrano. Gregorio VII ed Enrico IV nella lotta per le investiture, Novara 1985, pp. 28-32, 50-57; B. Szabó-Bechstein, Libertas Ecclesiae, in Studi gregoriani, XII, Roma 1985, p. 208; A. Brent, The investiture controversy…, in Ephemerides theologicae Lovanienses, LXIII (1987), pp. 59-89 passim; O. Capitani, Tradizione ed interpretazione: dialettiche ecclesiologiche del sec. XI, Roma 1990, pp. 237, 253-258; W. Berschin, Die publizistische Reaktion auf den Tod Gregors VII., in Studi gregoriani, XIV, Roma 1991, pp. 126-129; O. Capitani, Politica e cultura a Ravenna tra Papato e Impero dall'XI al XII sec., in Storia di Ravenna, III, Dal Mille alla signoria polentana, Venezia 1993, p. 189; K.J. Cushing, Papacy and law in the Gregorian revolution. The canonistic work of Anselm of Lucca, Oxford 1998, pp. 133-141; O. Capitani, Gregorio VII, santo, in Enc. dei papi, II, Roma 2000, pp. 188-212; C. Dolcini, Clemente III, antipapa, ibid., pp. 212-216; Lexikon des Mittelalters, I, coll. 679 s.; II, coll. 2139 s.; V, coll. 839 s.; IX, col. 70; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, V, p. 282.