GOZZANO, Guido
Nacque a Torino il 19 dic. 1883, da genitori entrambi canavesani, più precisamente di Agliè. Il padre, Fausto, ingegnere (1839-1900), e la madre, Diodata Mautino, figlia del senatore Massimo (1858-1947), si erano conosciuti qualche anno prima, interpretando ad Agliè i ruoli del paggio Fernando e di Jolanda nella Partita a scacchi di G. Giacosa.
In un precedente matrimonio, il padre aveva avuto cinque figli; nel secondo, oltre al G., una figlia (di nome Erina) e un figlio (di nome Renato); altri due figli morirono prematuramente. Il G. fu battezzato il 10 febbr. 1884, presso la parrocchia di S. Barbara a Torino con i seguenti nomi: Guido Davide Gustavo Riccardo; è bene ricordare che non pochi dei primi componimenti vennero firmati utilizzando il terzo. Ad Agliè tanto il padre quanto la madre possedevano tre case: la villa Amarena della Signorina Felicita, proprietà del padre, la casa Mautino (vicino al castello di Agliè, poi effigiata sulla copertina della Via del rifugio, 1907) e la villa Il Meleto, dove sono ambientate le Primavere romantiche.
Ottenuta la licenza elementare a Torino presso la sezione Moncenisio, la scuola del Cuore di E. De Amicis, con "la seconda miglior votazione su 20 alunni" (Masoero, p. 19), nell'autunno del '95 si iscrisse al ginnasio Cavour, frequentandovi le prime due classi e trasferendosi per la terza a Chivasso. Lì conobbe Ettore Colla, anch'egli di Agliè (1883-1936).
Le lettere a lui indirizzate consentono di entrare nell'adolescenza del poeta, di sorprenderlo, più che durante i suoi studi, nei divertimenti, negli scherzi, negli sport (la bicicletta, in particolare), nei primi e raramente convenzionali incontri femminili e nelle prime letture.
Perso il padre il 3 apr. 1900 per una polmonite doppia, con l'iscrizione al liceo Cavour il G. entrò in un periodo di studi particolarmente accidentato, sul quale si è fatta luce solo di recente. L'anno dopo, infatti, non avendo superato a ottobre l'esame di greco, passò a un istituto privato specializzato in corsi di recupero. Di qui nel 1902 si presentò - per l'ammissione alla terza - all'altro importante liceo torinese, M. d'Azeglio, per concludere poi gli studi a Savigliano, nel 1903, ospite del locale convitto civico. Nel 1904 si iscrisse alla torinese facoltà di legge, ma il titolo di avvocato se lo conferirà lui stesso in poesia nelle Due strade e, ripetutamente, nella Signorina Felicita (Rocca, pp. 168, 170, 173, 175).
Aveva intanto individuato la sua vocazione autentica: scrivere versi. I primi erano di evidente e quasi voluta fattura dannunziana. L'esordio pubblico era avvenuto nel Venerdì della contessa fra l'ottobre e il dicembre del 1903, con sei componimenti lirici (La Vergine declinante, L'esortazione, Vas voluptatis, La parabola dell'autunno, Suprema quies, Laus Matris) e il racconto La passeggiata; ma anche la produzione poetica dell'anno 1904 rimane fortemente debitrice nei confronti del D'Annunzio. Nel Venerdì della contessa apparvero La parabola dei frutti (27 gennaio), La falce (6 aprile) e La preraffaellita (25 giugno); la seconda, modellata sulla celebre Passeggiata del Poema paradisiaco, è comunque di gusto rossettiano. A essa si può confrontare L'antenata, di eguale fattura, uscita nel Piemonte il 3 settembre e subito dopo in Forum. Un altro tema "paradisiaco", il parco di un giardino illustre frequentato ancora da una "bisavola" che legge Byron, è declinato nel Viale delle statue, uscito nella Gazzetta del popolo della domenica del 23 ottobre, preceduto da L'incrinatura (1° maggio). Piuttosto carducciana invece appare la lunga descrizione del castello di Agliè, a stampa il 20 marzo nel Ventesimo: mancano possibili ricordi autobiografici, i quali si affacciano, invece, nelle terzine dedicate A Massimo Bontempelli, che aveva pubblicato le Egloghe e le aveva dedicate ad A. Graf: esplicitamente il poeta ammette che "troppo m'illuse il sogno di Sperelli" (Rocca, p. 244). D'altro canto, il G. stava frequentando il corso di letteratura italiana tenuto alla facoltà di lettere dal Graf; quasi certamente partecipava anche alle lezioni del sabato pomeriggio, aperte al pubblico (le cosiddette "sabatine"), sviluppando la capacità di orientare i gusti e le abitudini dei suoi amici, uno dei quali, Mario Vugliano, lo ricorda, al momento del loro incontro, "inchinevole, cerimonioso, timido, biondino tirato a lucido dai capelli alle scarpe", con una "cravatta nera a farfalla". Opportunamente è stato fatto rilevare che in una novella, I benefizi di Zaratustra (ne Il Piemonte, 19 febbr. 1905) il G. si raffigura piuttosto come "scialba personcina biondiccia", uso a "cravatte provinciali" (De Rienzo, pp. 31 s.). Un altro racconto, La novella romantica, esce nella Nuova Lettura del 15 giugno - 1° luglio; nel frattempo appaiono sue recensioni di libri appena usciti nel settimanale torinese Il Campo (rispettivamente il 14 maggio e il 24 dicembre).
L'anno 1906 annovera ancora una novella, La novella bianca, nella Gazzetta del popolo della domenica dell'11 novembre, e soprattutto le due coppie di sonetti affidati alla importante rivista simbolista di F.T. Marinetti Poesia: L'esilio e Casa paterna (luglio-agosto-settembre), solo la prima non raccolta nel volume del 1907. Risale certo a questo periodo la lettura intensa dei poeti simbolisti francesi e fiamminghi, raccolti nella famosa antologia Poètes d'aujourd'hui di A. Van Bever e P. Léautaud (Paris 1900). In particolare è F. Jammes ad attirare il G., sebbene i versi trasposti l'anno dopo nel cosiddetto Albo dell'officina dimostrino un'attenzione non limitata a un poeta solo, ma estesa sino a S. Mallarmé.
Nella primavera del 1907 esce presso l'editore Streglio di Torino la già annunziata Via del rifugio, ampia silloge della precedente produzione poetica riveduta tuttavia, e abbastanza drasticamente, come risulta dal componimento eponimo, che nel Piemonte del 12 febbr. 1905 recava il titolo dannunziano di Convalescente. L'aver inserito ora, in questo componimento che racconta di una crudele caccia alle farfalle da parte delle giovani nipotine del poeta, le strofe di una filastrocca infantile reperibile nei Canti popolari del Piemonte di C. Nigra, permette infine al G. di presentarsi in una posizione nettamente antitetica a quella che conclude Maia. Ma l'influenza più significativa, determinante per gli sviluppi della poesia del G., appare compiutamente nell'Amica di nonna Speranza, che esce, simultaneamente al volume, nella Donna del 20 maggio 1907.
Non se ne fa il nome, ma è la presenza di Jammes a garantire la novità dell'ispirazione. La si avverte sin dalla presentazione iniziale della villa e della sala piena di "buone cose di pessimo gusto", che rievocano, alla data del 1850, la breve villeggiatura sul lago Maggiore di una compagna di collegio della ipotetica nonna del poeta. Nei conversari con gli zii austriacanti emerge pure la natura non facilmente patriottica del componimento, che anzi può considerarsi il primo di un ciclo che si dirà, con P. Gobetti (peraltro ostile al G.), del "Risorgimento senza eroi". La straordinaria abilità metrica di cui è dotato il G. riprende dalle Elegie romane del D'Annunzio il distico di ottonari e novenari doppi con rima al mezzo; ma è un distico che, congiungendo spesso parole dissonanti e discordi, ottiene effetti ironici quasi irresistibili, tanto più se fatti emergere nel linguaggio parlato dei conversatori. A questa altezza non si collocano i componimenti ulteriori della Via del rifugio, testimoni di una fase di apprendistato in parte già percorsa e, per quel che si è detto, ora in via di contenimento. Fa eccezione, innanzitutto, Le due strade, componimento metricamente identico all'Amica di nonna Speranza ed egualmente dimostrativo, vale a dire quale illustrazione di un amore impossibile. Ma questa volta la fanciulla vagheggiata, di nome Grazia, malgrado la disinvolta allusione alla donna angelicata degli stilnovisti, ha tratti e modi di una giovane moderna nei vestiti, nelle movenze, nello sport stesso che pratica (la bicicletta); parimenti, la donna che accompagna il poeta, se pur segnata dal tempo, reca non difformi segni di appartenenza al costume attuale.
Le recensioni favorevoli che La via del rifugio ebbe non sono particolarmente qualificanti. Al G. interessavano, soprattutto, le testate sulle quali erano apparse: il 13 sett. 1907 ricordava al Vallini essere, quella del fiorentino Marzocco, una sede in cui si "detestano i ribelli alle cattedre dannunziane e pascoliane", ossia chi, come lui, ammetteva di "riecheggiare" piuttosto il Graf. Nel poemetto coevo Un giorno il Vallini aveva appena parlato di una possibile "scuola dell'ironia", facendone di G. il maestro, ma nel contempo proponendone una versione non immune da esiti irriverenti e sarcastici, che il G. alla fin fine non tollerava.
Il 3 ag. 1907 il G. confidava ad Amalia Guglielminetti - da poco conosciuta e a lui legata da un rapporto amoroso durato sino alla primavera del 1908 e poi trasformato in un rapporto di amicizia tale da sublimare l'amante in "sorella" -, di aver conosciuto nella località montana di Ceresole Reale "una servente indigena e prosaicissima", non propriamente "una Mila" di Codro, la protagonista della Figlia di Jorio del D'Annunzio.
Nasce qui il personaggio destinato, più di ogni altro del suo tempo, a rovesciare la maniera illustre del maggior poeta, il personaggio che diverrà famoso della Signorina Felicita, per ora affidato a L'ipotesi (autunno 1907) e poi sviluppato e modificato sensibilmente nella Nuova Antologia del 16 marzo 1909. Può dirsi questo il fulcro della nuova raccolta di versi a cui il G. pensa in questi anni, sino a quando la pubblica presso Treves (Milano) nel febbraio 1911, nel volume I colloqui, copertina di L. Bistolfi.
Non erano anni facili, soprattutto in relazione alla vita domestica del poeta: colpita la madre da paralisi (2 genn. 1909), divenne arduo per il G., costretto a lasciare l'abitazione centrale di Torino per una più periferica e modesta, occuparsene, mentre intanto doveva badare alla propria salute polmonare, incrinata da una grossa crisi nella primavera del 1907 (nei mesi stessi della simpatia per Amalia) e bisognosa di continui controlli: per inciso, il soggiorno a Ceresole, e quelli successivi a Ronco Canavese (1908), a Bertesseno, in una delle valli di Lanzo (1909), e a Fiéry in Valle d'Aosta (1910), obbedivano tutti alla necessità di risiedere in località climaticamente favorevoli; tali saranno anche i soggiorni marini futuri (dal 1909 sino alla fine della vita): Genova (S. Francesco d'Albaro, Sturla) e i suoi pressi (Bogliasco, 1914). In queste condizioni la preparazione del volume secondo dei versi subì qualche rallentamento, non tale però da incrinare l'itinerario previsto.
Lo chiarì il G. medesimo in una intervista al direttore del quotidiano torinese Il Momento del 22 ott. 1910 in cui affermò che i Colloqui avrebbero dovuto rappresentare "l'ascensione dalla tristezza sensuale e malsana all'idealismo più sereno", parole cui si deve fare qualche tara, essendo destinate a un giornale cattolico poco favorevole al G., ma dalle quali emerge il disegno di un racconto esistenziale, a capitoli, distinto in tre sezioni, o fasi, così nominate: "Il giovenile errore", "Alle soglie", "Il reduce". Nel nuovo organismo trovano posto due componimenti della Via del rifugio, ora ritrascritti con varianti non decisive: Le due strade, nella prima sezione, L'amica di nonna Speranza, nella seconda. Le altre liriche del "Giovenile errore" dicono di amori mondani, in apparenza leggeri, ma talora percorsi da improvvise aperture sull'amore e sulla morte, non facilmente eludibili (si vedano in specie Il gioco del silenzio e Invernale); non a caso, forse, s'intersecano nelle parole della mondanità echi non malaccorti di Dante e di Petrarca, da qualche tempo selezionati per altro in due quaderni appositi. Nella sezione "Alle soglie" il componimento eponimo di apertura affronta subito il tema della malattia e della morte, in termini sì esistenziali, ma attenti anche ai nuovi strumenti di diagnosi (è messa in versi una visita presso un radiologo - è possibile conoscerne il nome e l'indirizzo, in Torino -, che si vale dei da poco impiegati raggi Röntgen). Non meno importa riconoscere che il malessere denunciato è uno di quelli per eccellenza tipici della letteratura del primo Novecento, sino al punto di farci proporre il nome di Thomas Mann, anche perché esiste una prosa più tarda (Guerra di spetri, in Aprutium, dicembre 1914) che ha come ambiente un sanatorio all'inizio della Grande Guerra (Contorbia, pp. 177-190). Amore e morte concorrono pure nel prediletto dall'autore Paolo e Virginia. I figli dell'infortunio, poemetto in versi liberi cavato dal libro celebre di Bernardin de Saint-Pierre, con variazioni suggerite non una volta sola da Dante, spesso inopinatamente, e da Petrarca. L'aver scelto, quale sottotitolo, quello goethiano di "idillio" - Arminio e Dorotea, s'intende -, non esclude il palese riferimento a Jammes, sin dall'epigrafe da calendario liturgico ("10 luglio: Santa Felicita"). Ma ora meno raffinata risulta l'ispirazione del G., come in specie attesta il dialogo amoroso e goffo a un tempo intrattenuto dal poeta con la signorina Felicita, spinto sino al punto della finzione matrimoniale. Grazie a un'altra rima inconsueta e ironica (fu R. Serra a notarla, come segno dell'efficacia della poesia del G.), la signorina Felicita diventa l'esponente di una maniera di vivere che ignora l'altra malattia di cui soffre il poeta, e con lui tutti quanti stanno cercando di opporsi con armi non impari al D'Annunzio, la malattia della letteratura: "Tu non fai versi. Tagli le camicie / per tuo padre. Hai fatta la seconda / classe, t'han detto che la Terra è tonda, / ma tu non credi…E non mediti Nietzsche…" (Rocca, p. 178). Conclude questa sezione Cocotte, non meno provocatoria nel suo esito poetico. A farne le spese, è sempre la famiglia borghese tradizionale, di estrazione cittadina, che espunge anche il nome di un'altra "signorina", però "cattiva" questa volta, sebbene rivesta nella mente del protagonista, tornato bambino, sembianze fatate e omeriche: "Co-co-tte… La strana voce parigina / dava alla mia fantasia bambina / un senso buffo d'ovo e di gallina… / Pensavo deità favoleggiate: / i naviganti e l'Isole Felici…" (ibid., p. 191). L'apparente dimissione di ruolo, in specie dai "letterati che detesto", facilita la coraggiosa e provocatoria maschera anti-dannunziana, che il poeta calza nei Colloqui. In questa direzione è da leggersi il ritratto della propria città, Torino, con saporosi inserti dialettali culminanti in una affermazione esistenziale messa sulla bocca della maschera popolare, al tempo stesso teatrale e carnevalesca, di Gianduia: "Buona è la vita senza foga, bello / goder di cose piccole e serene…" (ibid., p. 211). Sempre sul piano delle affermazioni provocatorie si ricordi, infine, il triplice interrogativo di Pioggia d'agosto: "La Patria? Dio? l'Umanità? Parole / che i retori t'han fatto nauseose! …" (ibid., p. 215).
I Colloqui ottennero recensioni favorevoli da E. Cecchi nella Tribuna (6 marzo 1911) e da S. Slataper nella Voce del 16 novembre, mentre non apparvero del tutto convinti G.A. Borgese - responsabile della assegnazione dei poeti come il G. a una linea "crepuscolare" - nella Stampa del 27 febbraio, e soprattutto V. Cardarelli nell'Avanti! di Roma del 26 marzo e G.P. Lucini nella Ragione del 14 luglio. Ma gli attacchi più consistenti arrivarono da A. Palazzeschi e da G. Papini, particolarmente accaniti nel segnalare i plagi da Jammes, seguiti da F. Tozzi nella Torre, rivista della cosiddetta "reazione spirituale italiana", dove, nel rifiuto, il G. è in compagnia della Guglielminetti.
Poco dopo l'uscita dei Colloqui si aprì nel parco del Valentino a Torino, in occasione del cinquantenario dell'Unità nazionale, l'Esposizione internazionale del lavoro. Nel Momento, al quale collaborava assiduamente dall'inizio dell'anno, e, soprattutto, nel Bollettino ufficiale dell'Esposizione, il G. ne diede notizia in una serie di saggi che sottolineavano specialmente la provvisoria parvenza di città internazionale suscitata dai padiglioni.
I saggi più significativi, che possono interessare gli ospiti della mostra ma che si allargano anche ad altri luoghi della città, si intitolano Un vergiliato sotto la neve, Torino suburbana, La Gran Cuoca, Superga, Il padiglione della città di Torino, I crisantemi alla mostra dei fiori, tutti pubblicati, tranne il primo, nel Bollettino; nel Momento appaiono invece L'aquarium e La città moritura. Non tutte queste prose sono originali. Da segnalare, sempre nel 1911, la conferma, in un annuncio di La Vita cinematografica, dell'intenzione, espressa il 20 dic. 1910, di collaborare con la casa di produzione cinematografica Ambrosio, scegliendo i soggetti tra le novelle e le fiabe allora avviate e proseguite in quest'anno.
Risale al 1910 anche la collaborazione al Corriere dei piccoli con una lunga serie di favole cui si affiancavano quelle scritte tra il 1910 e il 1911 per il giornale per ragazzi Adolescenza. Mentre le prose dell'Esposizione non furono raccolte, le fiabe videro la luce subito sotto il titolo di I tre talismani nel 1914, nella collana scolastica di A. Mondadori, cui si deve aggiungere la successiva raccolta postuma La principessa si sposa, coi disegni di Golia (E. Colmo).
È palese che il G. riconosceva a questa produzione una dignità maggiore rispetto a quella delle altre opere in prosa, pur trattandosi di soggetti non originali ma attinti alla miglior tradizione fiabesca europea (in particolare si sottolinei la presenza di Marie-Catherine d'Aulnoy, l'autrice dei Contes nouveaux ou Les fées à la mode). Rimangono inoltre, ma sono poca cosa, alcuni versi infantili, riuniti anch'essi postumi nel 1937 e il cui titolo riprende quello di una poesia apparsa nel Corriere dei piccoli del 5 ott. 1913, Ledolci rime.
Il 16 febbr. 1912 il G. si imbarcò con un amico, G. Garrone, anch'egli tubercolotico, per un viaggio in India, terapeutico e per niente turistico, da tempo progettato e sempre rinviato per la salute precaria. Toccata Napoli il 18 febbraio, Porto Said il 21, Aden il 28, l'8 marzo giunse a Bombay e poco dopo a Kandy, dove il G. incontrò A. Castellani, specialista in malattie tropicali, che gli mise a disposizione la sua macchina "nella speranza di un articolo su di lui" (D'Aquino, pp. 135-143); quindi, dopo una sosta a Ceylon, riprese la via del ritorno portando con sé un ricordo assai vivo dell'esperienza di viaggio.
Per scriverne aspettò però gli anni 1914-16 quando - precedute da un Natale a Ceylon nella Lettura del gennaio - nella Stampa apparvero La Torre del silenzio (9 marzo 1914), L'isola d'Elefanta (31 marzo), La danza d'una Devadasis (15 aprile), Golconda: la città morta (12 giugno), Il vivaio del Buon Dio (25 giugno), Il fiume dei roghi (10 luglio). Altre prose di viaggio uscirono nella Donna (il 20 apr. 1915 L'olocausto di Cawmpore, il 20 ag. 1916 Giaipur: la città rosea e il 20 settembre Da Ceilan a Madura) e in Bianco rosso e verde tra la fine del 1915 e il marzo 1916 (Goa: la Dourada, Le città della favola: Agra, L'Impero dei Gran Mogol). Nel 1917 G.A. Borgese introdurrà per l'editore Treves di Milano, e molto probabilmente disporrà in un ordine spaziale e temporale possibile per chi legge e non sa che molte tappe del viaggio non sono state raggiunte, il volume che riunisce tutte queste prose, con il titolo Verso la cuna del mondo. Lettere dall'India (1912-1913). Escluse rimarranno altre prose, ispirate al medesimo modo: nella Stampa del 30 gennaio e del 16 febbr. 1914, Un voto alla dea Tharata-Ku-Wha e Sull'Oceano di brace; in Bianco rosso e verde del 15 genn. 1916 con il sopratitolo esplicito di Lettere dall'India, Glorie italiane all'estero. Gli orrori del Paradiso.
Sono ben noti i volumi che il G. aveva avuto presenti nella circostanza: Le lettere di un viaggiatore nell'India dello scienziato e zoologo darwinista E. Haeckel, tradotte dal tedesco a Torino nel 1892, e un non precisato libro dell'orientalista I. Pizzi, forse Le novelle indiane di Visnusarma, tratte dal Pañcatantra, pure esse uscite a Torino, nel 1896. Certamente occorre aggiungere le Peregrinazioni indiane di A. De Gubernatis (3 voll., Firenze 1886-87), e l'India del medico e giornalista P. Mantegazza (2 voll., Milano 1884), ma, al momento della scrittura, agì sulla memoria del G. soprattutto P. Loti, autore nel 1903 di L'Inde (sans les Anglais), opera in un certo senso da lui sminuzzata e trasformata in un materiale su cui lavorare liberamente, senza la preoccupazione di dover nascondere l'estrapolazione. L'averlo fatto proprio, ma l'averlo declinato in termini filoinglesi, costituisce il tentativo maggiore da parte del G. di uscire dalla prospettiva impostata da Loti, che prevedeva la descrizione di un'India legata alla sua antica tradizione religiosa e sociale, non sopravanzata dai miti e dai modelli dell'Impero britannico. Non a caso la penultima prosa, ambientata a Benares, lungo le rive del Gange sacro, conserva un'affermazione di estraneità, tipicamente europea, dai riti di quell'antica civiltà.
Sempre all'esperienza indiana sono da riportarsi due "poemetti" che avrebbero dovuto intitolarsi Le disavventure di Totò. Il progetto annoverava titoli in latino, e forse rispondono a quello intitolato In barbaram puellam le terzine, pubblicate postume, che hanno per protagonista Ketty, un'americana di Baltimora conosciuta a Ceylon e della quale il G. descrive quasi sadicamente la moderna barbarie irridente ai due valori di cui Totò, il suo alter ego, fattosi viaggiatore, è fortemente convinto: la poesia e la spiritualità (di stampo buddistico). Altro poemetto indiano, uscito a stampa nel 1913 in Aprutium, è Il risveglio sul Picco d'Adamo, datato in un albergo di Ceylon, anno 1912. È in esametri rimati, e ha movenze che richiamano abbastanza Il cantico del gallo silvestre di G. Leopardi.
Il 4 marzo 1914 La Stampa ospitò due frammenti monografici, il Parnassus Apollo e la Macroglossa stellatarum (in volgare, Del Parnasso e Della passera dei santi) , di un poema sulle farfalle scritto per Treves; un mese prima, nella Grande Illustrazione di Pescara, mediatore Marino Moretti, era stato stampato uno dei due frammenti preliminari; infine, poco prima della morte del poeta, uscì, nell'Illustrazione italiana, il terzo frammento monografico, La messaggiera marzolina (in latino, Anthocaris cardamines).
Il poema, intitolato dall'ultimo editore Epistole entomologiche, dove trovano ospitalità anche altri frammenti, aveva origini lontane. La preistoria, testimoniata da due lettere alla Guglielminetti del 3 e del 17 sett. 1908, comportava prima "un libro di storia naturale", corredato da "illustrazioni", poi un "volume epistolare", più specificamente formato da lettere "un po' arcaiche come quelle che scrivevano gli abati alle dame settecentesche per iniziare ai misteri della Fisica, dell'Astronomia, della Meccanica; ma modernissime nel contenuto, fatte di osservazioni filosofiche nuove e di fantasie curiose e fanciullesche". L'intenzione di "arieggiare i didascalici settecenteschi", in particolare l'Invito a Lesbia Cidonia di L. Mascheroni, ma anche Le api del cinquecentesco G. Rucellai, è ribadita al Moretti nella primavera del 1914. Dimostrata è pure la presenza di un altro didascalico settecentesco, Z. Betti, l'autore di Del baco da seta, e, per venire ai contemporanei, quelle della Vie des abeilles e dell'Intelligence des fleurs di M. Maeterlinck e dei Filugelli, uno dei "nuovi poemetti" di G. Pascoli. Si tenga pure presente che, prima di partire per l'India, il G. aveva collaborato a un documentario filmico, tuttora conservato, nella Vita delle farfalle, per la casa Ambrosio di Torino, preparandone gli indici e l'argomento (Rocca, in particolare alle pp. 391 ss., 428-430); parimenti è da sapersi che esistono gli appunti preliminari ai testi poetici elencati, e che è possibile istituire utili confronti con la redazione in versi.
Nel 1914, allo scoppio della guerra, il G. stese tre prose che ne rappresentano una prima interpretazione: Le cicale sotto lo scroscio, nella Donna del 5 ottobre, dove si riflette sul rapporto poesia-guerra; La belva bionda, sempre nella Donna del novembre-dicembre, dove invece si guarda con maggior sofferenza allo scatenarsi della "barbarie" ovunque; e Guerra di spetri in Aprutium di dicembre, sull'istintiva tendenza degli uomini, sebbene malati di tisi, a farsi guerra. Di minore impatto riesce la lirica pacifista La messaggiera senza ulivo, nella Donna del 20 settembre, cui si aggiungono nel 1915, nella Lettura di agosto, La bella preda e, nella Donna del 20 dicembre, l'addirittura dannunziana La basilica notturna.
Con l'intenzione di coltivare la prosa narrativa il G. scrisse per La Stampa le novelle L'ultima traccia (3 giugno 1913), Il bel segugio (4 marzo 1915), Il giusto guiderdone (9 aprile), Le gemelle (30 aprile), La scelta migliore (14 luglio), L'incatenata (13 agosto), Gli occhi dell'anima (23 dicembre), cui si devono aggiungere, l'anno successivo, L'erede prescelto (21 gennaio), L'ombra della felicità (13 febbraio), Melisenda (23 giugno). Riunite postume nel 1919 sotto il titolo di L'ultima traccia, possono considerarsi, per la gran parte, d'intonazione ora fantastica, ora beffardamente comica, non senza qualche inflessione autobiografica (in questo caso si tenga conto che l'alter ego del G. prende il nome di Tito Vinadio, un sosia imperfetto di Totò Merumeni). Al filone della rievocazione sabauda sono invece riconducibili La marchesa di Cavour e La casa dei secoli, apparse nella Donna del 13 marzo e del 20 apr. 1914, seguite l'anno dopo da I sandali della diva nell'Illustrazione italiana del 28 marzo, da Garibaldina, nella Donna del 5 agosto, e da Torino del passato. "La Bela Madamin la völô maridè", nella Nuova Antologia del 1° settembre. Il volume postumo che avrebbe dovuto raccogliere questa produzione, L'altare del passato (1918), riunisce però anche cose indiane, già indicate, e testi novellistici. Fra le altre prose rimaste disperse meritano ancora attenzione quella sulla fotografia ("L'arte nata da un raggio e da un veleno!", nella Donna del 1913) e quella sul cinema Il nastro di celluloide e i serpi di Laocoonte (ibid., 5 maggio 1916).
Nel novembre 1914 il G. conosce due signorine di Trieste, Silvia e Alina Zanardini, organizzatrici di spettacoli, e scrive per loro un Prologo a cui seguirà il poemetto drammatico La culla vuota. Allo stesso periodo dovrebbe appartenere il poemetto dall'incipit dantesco Ah! Difettivi sillogismi! L'io, suggerito da un'altra prosa di Maeterlinck e contenente un ampio cenno alla trasmigrazione delle anime. Dei primi mesi del 1916 è invece il soggetto di un film sulla vita di s. Francesco, dal G. stesso letto il 13 maggio nel convento torinese di S. Antonio da Padova: tra le sue fonti, oltre Dante e I fioretti di s. Francesco, di cui possedeva un esemplare annotato, anche alcuni celebri biografi del santo, come H. Thode, P. Sabatier, J.J. Jørgensen; lo Zanzi ricorda anche le "ore di meditazione trascorse con Guido davanti al quadro di Macrino d'Alba della nostra Real Galleria col miracolo delle Stigmate" (Masoero, pp. VIII-XV).
Il 1° giugno 1916 il G. tornò per l'ultima volta a Sturla. Poche settimane dopo aver dato una lettura pubblica di Ketty e di brani del San Francesco e dopo la stesura di una lettera consolatoria dichiaratamente "buddistica" per la madrina, Adele Testa-Tapparo, che aveva perso un figlio in guerra, il 16 luglio fu colpito da un attacco violento di emottisi e ricoverato all'ospedale protestante di Genova. Rientrato a Torino il 21 in compagnia della sorella Erina e aggravatosi rapidamente, morì il 9 ag. 1916 assistito spiritualmente da M. Dogliotti, l'amico della giovinezza divenuto benedettino col nome di Silvestro. Terminata la cerimonia funebre, la salma fu trasferita e sepolta ad Agliè.
Fra coloro che lo commemorarono si ricordino E. Thovez nella Stampa del 10 agosto, G. Bellonci nel Giornale d'Italia dell'11 agosto, P. Pancrazi nella Gazzetta veneta del 12 agosto, G.S. Gargano nel Marzocco del 20 agosto; la rivista La Donna gli dedicò il numero del 5-20 sett. 1916, con interventi di Ada Negri, Amalia Guglielminetti, Térésah, C. Chiaves. Su Diana del settembre-ottobre 1916 intervennero, fra gli altri, M. Moretti, L. Fiumi, Auro d'Alba, G. Ravegnani; per ultimo, S. Solmi sulle Cronache latine del 15 genn. 1917. A parte è da collocarsi il necrologio apparso sull'Avanti! a due giorni dalla morte e attribuito ad A. Gramsci: il G. sarebbe stato "il primo poeta italiano che sedendosi a tavolino non imboccasse gli oricalchi dei furori eroici e dimenticasse la storia".
Opere: Le carte del G., manoscritte e dattiloscritte, sono ospitate presso il Centro, a lui dedicato, della facoltà di lettere dell'Università di Torino. Ne ha fornito l'elenco M. Masoero nel Catalogo dei manoscritti di G. G., Firenze 1984.
In vita il G. ha licenziato tre volumi: La via del rifugio, Genova-Milano-Torino 1907; I colloqui. Liriche, Milano 1911; I tre talismani, Ostiglia [1914]. Postumi appaiono in tre anni "altri quattro volumi di prose in larga misura predisposti dall'autore", a quanto scrive A. Rocca nella sua fondamentale Bibliografia compresa nel volume Tutte le poesie citato oltre: La principessa si sposa. Fiabe (con 12 disegni a colori e 8 in nero di Golia), Milano 1917; Verso la cuna del mondo. Lettere dall'India (1912-1913), con Prefazione di G.A. Borgese e il ritratto dell'autore, ibid. 1917; L'altare del passato, ibid. 1918; L'ultima traccia. Novelle, ibid. 1919.
Edizioni complessive, ma non complete e non pienamente soddisfacenti, delle Opere sono state curate da P. Schinetti in 5 voll. (Milano 1935-37), da C. Calcaterra e A. De Marchi in un solo volume (ibid. 1948), da A. De Marchi soltanto, sempre in un volume (Poesie e prose, ibid. 1961). Il testo critico di Tutte le poesie, condotto sui manoscritti conservati in larga parte nel Centro studi G. Gozzano, è stato stabilito da A. Rocca, con bibliografia e cronologia per sua cura, introduzione di M. Guglielminetti (ibid. 1980). G. Savoca ha allestito la Concordanza di tutte le poesie di G. G., Firenze 1984, comprensiva anche del testo, della lista di frequenza e degli indici; M. Masoero e M. Guglielminetti avevano in precedenza pubblicato gli Spogli danteschi e petrarcheschi, in Otto/Novecento, VI (1982), marzo-aprile, pp. 169-258; l'Albo dell'officina è stato edito da N. Fabio e P. Menichi, Firenze 1991.
In assenza di manoscritti, o quasi, l'edizione di tutte le novelle, col titolo I sandali della diva, Milano 1983, è stata condotta sulle prime stampe da G. Nuvoli; così pure l'edizione delle lettere dall'India, col titolo di Viaggio verso la cuna del mondo, a cura di A. D'Aquino Creazzo, presso Olschki (collana del Centro studi G. Gozzano), Firenze 1984.
Tra le edizioni commentate si segnala quella delle Poesie a cura di E. Sanguineti, Torino 1973, cui hanno fatto seguito quella dei Colloqui e di Verso la cuna del mondo, a cura di M. Guglielminetti, Milano 1974, e quella delle Poesie a cura di G. Barberi Squarotti, ibid. 1977. E. Montale aveva introdotto l'edizione Garzanti (Milano 1960) delle Poesie (contiene La via del rifugio, I colloqui, Le farfalle). La signorina Felicita ovvero la Felicità, è pubblicata e commentata, nelle redazioni a stampa e manoscritte, da E. Esposito (Milano 1983). M. Guglielminetti ha introdotto l'edizione della Via del rifugio (Alessandria 1997), secondo il manoscritto. Del Viaggio propone una diversa collocazione delle lettere G. De Rienzo, nell'edizione curata per gli Oscar Mondadori (Milano 1983), seguito da P. Cudini, che muta il titolo (Un Natale a Ceylon e altri racconti, Milano 1984). Le prose dell'Esposizione del 1911 sono riunite da G. Finocchiaro Chimirri, Un vergiliato sotto la neve… (Catania 1984). Le Fiabe sono state ristampate con "illustrazioni in nero e tavole a colori di Gizeta" (Milano 1970); si veda inoltre: R. Massano, "Si Versailles m'était conté…" (presentazione di una "favola" di Gozzano) - La corte del ballo (un inedito di…), in Studi piemontesi, XII (1983), pp. 171-179. Le recensioni sono state recuperate da M. Guglielminetti, G. recensore, in Lettere italiane, luglio-settembre 1971, pp. 401-430, e da F. Contorbia, Il sofista subalpino, Cuneo 1980 (comprende anche una poesia e prose disperse). Liriche e fiabe in facsimile ha riprodotto F. Antonicelli, La moneta seminata (Milano 1968). Ancora lontana dal compimento l'edizione dell'epistolario, parzialmente raccolto da A. De Marchi nell'edizione delle Poesie e prose da lui curata: non vi figurano molte tra le edite a quella data; tutte, per lo più segnalate da A. Rocca, sono disperse in giornali e riviste, non sempre facilmente reperibili. Soppresse dal De Marchi sono le risposte della Guglielminetti al G., rendendo così obbligatoria la consultazione del carteggio completo, non ben allestito da S. Asciamprener, Lettere d'amore (Milano 1951). Fra le lettere, recuperate in seguito, spiccano quelle a G. Gianelli (da P. Mauri in Persona, gennaio-febbraio 1969, pp. 23-25); a C. Vallini e ai familiari (da G. De Rienzo, Lettere a Carlo Vallini con altri inediti, Torino 1971: già spigolate le prime da C. Calcaterra in Con G. G. e altri poeti, Bologna 1944); ad A. Palazzeschi (da P. Prestigiacomo, in Galleria, marzo-agosto 1974, pp. 104 s.); a M. Moretti (da F. Contorbia in Il sofista subalpino, cit., pp. 107-122); a E. Colla (Lettere dell'adolescenza, a cura di M. Masoero, Alessandria 1993).
Fonti e Bibl.: Tra le biografie W. Vaccari, La vita e i pallidi amori di G. G., Milano 1958; G. De Rienzo, G. G. Vita breve di un rispettabile bugiardo, Milano 1983. Si vedano anche: G. G.: colloqui con l'immaginario, Torino 1983 (catal. della mostra iconografica allestita dalla Regione Piemonte e dal Comune di Agliè nell'occasione del centenario della nascita, per cura di E. Guglielminetti); un'altra mostra fotografica, Immagini di G. G. dalle carte di Franco Antonicelli, ha curato F. Contorbia (Livorno 1983).
Per l'elenco degli articoli di amici e conoscenti che rievocano singoli momenti della vita del G. si rinvia alla Bibliografia di A. Rocca citata. Per il rapporto con Amalia Guglielminetti cfr.: M. Guglielminetti, La rivincita della femmina, Genova 1986; A. De Toma, Lo sconosciuto unico incontro d'amore di G. G. e Amalia Guglielminetti, in Lettere italiane, ottobre-dicembre 1986, pp. 527-541; A. Guglielminetti, In memoria di G. G. (1916- 1941), a cura di M. Guglielminetti, in Il genio muliebre, a cura di M. Cerruti, Alessandria 1993, pp. 139-173. Per la Società di cultura: G. Bergami, Da Graf a Gobetti, Torino 1980, pp. 13-26. Per l'attività cinematografica: G. Rondolino, Torino come Hollywood (capitale del cinema italiano: 1896-1916), Bologna 1980, pp. 59-62, 66-68.
La storia della critica è stata esemplarmente tracciata da E. Ghidetti, nei Classici italiani nella storia della critica, III, Firenze 1977, pp. 217-237. In seguito cfr. M. Dillon Wanke, Altre schede per G. (1883-1983), in Studi piemontesi, XIII (1984), pp. 461-473. Il primo saggio complessivo di largo impianto è la tesi di H. Martin, G. G. (1883-1916), Paris 1968 (trad. it. di E. Vallini, Milano 1971). Seguono, tra i profili, pubblicati in collane economiche: L. Lugnani, G. G., Firenze 1973; P. Menichi, Guida a G., Firenze 1984; L. Lenzini, G., Palermo 1992; M. Guglielminetti, Introduzione a G., Roma-Bari 1993. Tutti recano una sufficiente informazione bibliografica specifica.
Tra i saggi che, se pure settoriali, hanno contribuito in maniera determinante all'incremento degli studi cfr. C. Calcaterra, Con G. G. e altri poeti, cit.; E. Sanguineti, G. G. Indagini e letture, Torino 1966; F. Contorbia, Il sofista subalpino, cit.; A. Casella, Le fonti del linguaggio poetico di G. G., Firenze 1982; G. G. I giorni, le opere. Atti del Convegno nazionale di studi. Torino… 1983, Firenze 1985.