GAMBONE, Guido
Nacque a Montella, presso Avellino, il 27 giugno 1909 da Gaetano e Teresa Volpe. Adolescente, si trasferì con la famiglia a Vietri sul Mare, località nota per la produzione di ceramica di uso comune. A quindici anni, nonostante l'opposizione del padre, abbandonò il ginnasio per entrare come apprendista nella fabbrica di ceramiche di Francesco Avallone.
Sin dagli esordi il G. subì l'influenza dello stile importato nella cittadina campana dai ceramisti tedeschi attivi nell'Industria ceramica salernitana (ICS) dell'imprenditore Max Melamerson. La presenza di un nutrito gruppo di maestranze straniere segna un contributo decisivo al rinnovamento del linguaggio ceramico di Vietri, pur nel rispetto delle tecniche, dei colori e delle condizioni lavorative locali. Nelle poche ceramiche che sono rimaste del periodo giovanile del G. si evidenzia il processo di assimilazione dei nuovi stilemi, improntati all'essenzialità della raffigurazione e carichi di suggestioni medievali, derivate da R. Dölker (Napolitano, 1989). Altrettanto importante per il lavoro del G. fu l'esempio della ceramica di Irene Kowaliska (D'Andria, 1985-88, p. 507), il cui influsso stilistico si riscontra, per esempio, in un orcio istoriato del G., riferito al 1932-33 (Napolitano, 1989, p. 258).
Una particolare attenzione ai modelli iconografici di Dölker dimostrano i due piatti dell'Industria ceramica Avallone, attribuiti al G., che nel 1928 apparvero sulla rivista Domus (n. 10, pp. 34 s.) tra gli esempi migliori della produzione ceramica esposta in quello stesso anno alla II Quadriennale di Pesaro (Napolitano, 1990). La mano del G. è riconoscibile anche nelle ceramiche che Avallone presentò alla IV Esposizione internazionale d'arte decorativa e industriale di Monza del 1930.
Nel 1928 il G. realizzò i primi dipinti, prove iniziali di una produzione pittorica che si fece cospicua nel corso degli anni e che appare stilisticamente vicina a quella ceramica, benché circoscritta a un ambito di ricerca privato e non destinata alle esposizioni (la pittura del G. è stata presa in considerazione a partire dalla mostra postuma, tenutasi a Salerno nel 1979).
Nel 1933 il G., in seguito a un incidente stradale, perse una gamba. Nonostante il grave infortunio, seguitò a lavorare e, nel 1935, quando Dölker lasciò Vietri, assunse l'incarico di capo pittore decoratore presso l'ICS di Melamerson. L'anno seguente il G., insieme con i fratelli Vincenzo e Salvatore Procida e Francesco Solimena, si trasferì a Firenze dove lavorò nell'impresa che Melamerson aveva impiantato con la ditta Cantagalli. Appartengono a questa fase i quattro pezzi in maiolica policroma del Museo della ceramica di Raito a Vietri sul Mare (Cefariello Grosso, 1994), in cui si osservano ancora retaggi della cultura tedesca.
Rientrato a Vietri nel 1939, il G. riprese il suo posto nell'impresa di Melamerson che, diretta ora da Luigi Negri, aveva cambiato il nome in Manifattura artistica ceramica salernitana. Cinque anni più tardi, nel 1944, si mise in proprio e, con Andrea D'Arienzo, aprì una piccola fabbrica, denominata La Faenzarella.
In questa impresa il G. trovò le condizioni favorevoli per esprimere il personale patrimonio di conoscenza dei linguaggi e delle tecniche e per avviare quell'approfondimento sugli smalti e sui procedimenti di smaltatura che lo portarono a interessanti effetti di screziatura e di craquelé; la produzione della Faenzerella si caratterizza proprio per questo particolare smalto, denominato Gambone, imitato anche da altre fabbriche locali, e per la rielaborazione dei motivi più tradizionali di Vietri, quali il celebre asinello, creato da Dölker, e i fiori (D'Andria, 1985-88, p. 510).
Nel 1947 il G. espose alla VIII Triennale di Milano - rassegna alla quale prese parte continuativamente dal 1951 al 1960 - e al VI Concorso nazionale della ceramica di Faenza - cui partecipò costantemente in seguito - dove presentò il pannello con l'allegoria Repubblica italiana al lavoro (Faenza, Museo internazionale della ceramica), segnalato sulla rivista Faenza per la ricchezza del colore, che si sposa con la voluta opacità dello smalto. L'anno seguente, nell'ambito del VII Concorso nazionale, il G. si aggiudicò il premio Faenza grazie anche a una coppa con ornati astratti in bruno e giallo su bianco. Nel 1949 vinse nuovamente il premio Faenza, ma ex aequo con A. Bucci, presentando una fiasca a forma di donna sdraiata, intitolata La Faenzarella (ibid.) che evidenzia una "lontana ispirazione esotica, resa mediterranea dalla cordialità della larga modellatura e dalla preziosità degli smalti vetrosi" (Liverani). Nel 1950 il G. prese parte alla XXV Biennale di Venezia con Nudo sul dorso (ceramica) e con la piastrella Ratto di Europa (Firenze, eredi Gambone). Nello stesso anno fu tra i ceramisti chiamati a rappresentare l'artigianato italiano nella mostra itinerante "Italy at work. Her renaissance in design today", organizzata dall'Art Institute di Chicago e dalla Compagnia nazionale artigiana, con la collaborazione dei più importanti musei americani e del governo italiano.
Sempre nel 1950, chiusa la Faenzarella, il G., seguito da D'Arienzo e dal torniante Vincenzo Procida, si trasferì definitivamente a Firenze, dove aprì una fabbrica che prese il suo nome. Nel laboratorio di palazzo dei Diavoli, in via B. Marcello, il G., ormai lontano dall'esperienza vietrese, orientò il suo stile verso i valori plastici dell'arte vasaria, oltre i limiti dell'aspetto decorativo che poté superare grazie anche all'introduzione del grès.
Negli anni Cinquanta il G., oltre a prendere parte a molte rassegne internazionali di ceramica (D'Andria, 1986-88, p. 519), allestì una personale alla galleria Il Milione di Milano, nel 1951; due anni dopo espose alla galleria Strozzina di Firenze e nel 1954, a Faenza, partecipando al XII Concorso nazionale della ceramica, vinse il premio G. Ballarini grazie a due pezzi in grès, La madre e Donna distesa (entrambi conservati al Museo internazionale della ceramica di Faenza), che evidenziano il suo interesse per una sintesi di matrice cubista. D'altro canto, proprio la produzione di questo periodo vede il G. orientato verso molti e diversi aspetti dell'arte moderna e contemporanea: da P. Picasso a P. Klee e J. Miró, fino alla pittura di G. Morandi e a quella informale (D'Andria, 1985-88, p. 520).
Negli anni Sessanta il G. continuò a privilegiare il grès, che abbinò alle più svariate tipologie e che gli consentì una approfondita ricerca sugli effetti delle superfici ruvide. Se nelle forme si riconosce ancora una particolare attenzione per oggetti di uso comune, come vasi, ciotole, fiasche e bottiglie, lo studio dei motivi antropomorfici rivela un'elaborazione che tiene conto unicamente dell'aspetto plastico. La libera esaltazione delle forme e il gioco plastico dell'oggetto raggiungeranno esiti sostanzialmente aniconici, per esempio, nel grande pannello bianco Arrotondamenti (Firenze, eredi Gambone) premiato a Faenza nel 1967.
Il G. si aggiudicò il premio Faenza ancora nel 1959, 1960, 1961 (XVII, XVIII e XIX Concorso nazionale della ceramica). Sempre nel 1960 vinse la medaglia d'oro alla quinta edizione del premio Mastro Giorgio (Gubbio) e, l'anno seguente, quello dell'Ente autonomo Mostra mercato nazionale dell'artigianato (Firenze). Nel 1962 gli fu conferita la medaglia d'oro al XX Concorso nazionale della ceramica (il lavoro premiato venne acquisito per il Museo internazionale delle ceramiche di Faenza) e partecipò al IV Concorso internazionale di arte ceramica di Gualdo Tadino, dove venne premiato ex aequo con A. Hovisari e G. Dragoni. Sempre nel 1962, partecipò all'Esposizione internazionale della ceramica contemporanea di Praga, ottenendo la medaglia d'oro. Nel 1963 vinse, ex aequo con L. Assirelli, il premio Città di Cervia, che si aggiudicò anche nel 1964 (ex aequo con B. Bagnoli e G. Dragoni). Sempre nel 1963 presentò due pezzi "di vera e propria scultura… informale" (Zetti Ugolotti) a Monza, nell'ambito del concorso ceramico. L'anno seguente partecipò alla collettiva "Ceramiche d'arte italiane", svoltasi a Roma presso la galleria Penelope. Nel 1968 prese parte con un lavoro in grès alla XIV Triennale di Milano.
Il G. morì a Firenze il 20 sett. 1969.
Fonti e Bibl.: Il VI Concorso nazionale della ceramica, in Faenza, XXXIII (1947), p. 98; Il VII Concorso nazionale della ceramica, ibid., XXXIV (1948), p. 74; G. Ponti, G. G. ceramista maestro, in Domus, 1950, n. 252-253, pp. 34-36; Id., G. G., ibid., 1951, n. 256, pp. 36 s.; Forme nuove in Italia. Stile forma colore nell'artigianato e nell'industria, Milano 1957, pp. 16 s., 110, ripr. pp. 76, 83; B.M. Ugolotti, Il mondo in ceramica, in La Ceramica, XIV (1959), 10, p. 33; G. Liverani, La moderna ceramica d'arte… allo specchio delle annuali manifestazioni di Faenza, in Faenza, XLVI (1960), p. 20; H. Blätter, La ceramica in Italia, Roma 1960, pp. 110 s.; B.M. Zetti Ugolotti, Il mondo in ceramica…, in La Ceramica, XVIII (1963), 10, pp. 60 s.; R. Biordi, Otto "grandi" della ceramica alla "Penelope" di Roma, ibid., XIX (1964), 12, pp. 38-40; R. Aloi, L'arredamento moderno, Milano 1964, p. 36; G. (catal.), Faenza 1970; Mostra omaggio a G. G. (catal.), Sesto Fiorentino 1971; 50 anni di arte decorativa e artigianato in Italia. L'ENAPI dal 1925 al 1975, a cura di R. Badas - P. Frattani, Roma 1976, pp. 265 s.; A. D'Arienzo, La Faenzarella, in Il "periodo tedesco" nella ceramica di Vietri, Salerno 1977, pp. 38-41; G. G. pittore (catal., galleria Il Catalogo), Salerno 1979; M. Bignardi, in Gazzetta di Salerno, 18 ott. 1979; Id., Aspetti della pittura di G. G., Salerno 1981; R. D'Andria, La sezione "G. G.": priorità di una iniziativa, in Apollo. Bollettino dei Musei provinciali del Salernitano, V (1965-84), pp. 215-220; Id., Contributo per la definizione dell'identità artistica di G. G., ibid., VI (1985-88), pp. 505-522; Artisti in ceramica e ceramica di artisti (catal., Fiera di Parma), Roma 1985, p. 58; A.C. Perrotti - C. Ruju, Ceramiche del Museo artistico industriale di Napoli (catal.), Firenze 1985, p. 96; G. Napolitano, G. G. alla Ceramica Avallone di Vietri sul Mare, in Faenza, LXXV (1989), pp. 254-260; Id., Il profilo del periodo tedesco (1925-1947) della ceramica vietrese attraverso la critica del tempo, ibid., LXXVI (1990), pp. 126-129; G. Conti - G. Cefariello Grosso, La maiolica Cantagalli e le manifatture ceramiche fiorentine, Roma 1990, p. 83; E. Alamaro, in G. La leggenda della ceramica (catal.), Napoli 1991; C. Samaritani, Il Museo della ceramica vietrese, Napoli 1991, pp. 60-63, 69; C. Caserta, Il Novecento della ceramica a Vietri sul Mare, Salerno 1994, pp. 45-53; Il "periodo tedesco" della ceramica a Vietri sul Mare nelle collezioni private 1923-1943 (catal.), Salerno 1994, pp. n.n.; C. Caserta - N. Scontrino, G. G. tra ceramica e pittura, Salerno 1994; G. Cefariello Grosso, in Il Museo della ceramica Raito di Vietri sul Mare, a cura di M. Romito, Salerno 1994, pp. 105-126; Id., Dall'esperienza del "periodo tedesco" vietrese alle nuove espressioni nella ceramica di G. G., di Andrea D'Arienzo e dei fratelli Procida, in La ceramica in Campania, Salerno 1996, pp. 253-261; P. Viscusi, Lo stile Vietri tra Dölker e G., Napoli 1996.