MONCADA, Guglielmo Raimondo
– Nacque presumibilmente nel secondo quarto del sec. XIV, primogenito di Matteo; fu sua matrigna Allegranza di Arrigo Abbate e di Alvira d’Arbes, di famiglia catalana trapiantata in Sicilia. Fu terzo conte di Augusta, di cui amministrava la giustizia per un privilegio concesso a un suo avo da Federico III d'Aragona re di Sicilia. Fu, inoltre, conte di Agata, Adernò, Caltanissetta, Sclafani, barone di Fiumesalato, Curcuraci, Sortino e di Castelluccio dal 1391.
Era uno dei più potenti signori di Sicilia ma, escluso dalla responsabilità vicariale, si sentiva minacciato dallo strapotere dei quattro vicari i quali, accordatisi a Castrogiovanni (14 ott. 1362), si erano garantiti il possesso di terre e città occupate e, di fatto, amministravano l’isola dopo la morte di re Federico IV nel 1377.
Il più influente di questi, Artale (I) Alagona, che aveva possedimenti in Val di Noto e a Damona, oltre che a Catania, era anche tutore della figlia di Federico IV, la quattordicenne Maria, che teneva nel castello Ursino di Catania. Proprio quando la offrì in moglie al duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, il M. con l’aiuto di un altro vicario, l'ammiraglio del Regno Manfredi Chiaramonte, rapì Maria. Approfittando dell’assenza di Artale che si era recato a Messina, liberò la regina la notte del 23 genn. 1379 e la condusse ad Augusta. Il papa Urbano VI, che aspirava a darla in moglie al nipote Francesco Prignano, si compiacque dell’avvenuta liberazione e inviò al M. un breve, per evitare il matrimonio della giovane con un aragonese. Nel 1381 il M. consegnò invece Maria agli emissari del re d’Aragona Pietro IV, nonno della principessa, che, giunti nel porto di Augusta a bordo di 5 galee, la portarono nel castello di Licata. Pietro IV d’Aragona, infatti, mirava a estendere il suo dominio sull’isola, basandosi sul testamento di Federico III che escludeva le donne dalla linea di successione; per raggiungere i suoi scopi progettava il matrimonio di Maria con Martino, figlio del suo secondogenito Martino, duca di Montblanc. Poiché la sicurezza di Maria era nuovamente minacciata da Manfredo Chiaramonte che possedeva feudi nella zona, la principessa fu portata ancora ad Augusta. Il M. con tutta la sua famiglia si recò in Catalogna per chiedere soccorso contro l’Alagona, sollecitare un intervento del sovrano in Sicilia e ottenere il riconoscimento dei suoi meriti nel rapimento. Poiché Augusta fu a lungo posta d’assedio da Artale, nell’agosto 1382 una flotta catalana guidata da Filippo Dalmon (Dalmao) Rocaferti condusse la principessa a Cagliari. Intanto, dopo che Artale si era impadronito della contea di Augusta insieme con i castelli di Curcuraci e Melilli, il M. in cambio ricevette da Martino d’Aragona, duca di Montblanc e futuro suocero di Maria, i feudi aragonesi di Granolles, Caldes di Montbuy e S. Vicente, poi scambiate col conte d’Urgel ricevendo in cambio la baronia di Chiva nel Regno di Valenza.
In Sicilia la situazione politica si faceva sempre più confusa, con l’assenza di un potere centrale e lo strapotere dei baroni che si opponevano alla successione siciliana dell’omonimo figlio di Martino, conte di Exerica. Così, quando Martino (detto poi il Giovane) nel 1391 si sposò con Maria, i baroni si riunirono a Castronuovo, dichiarando fedeltà alla regina Maria, ma rifiutando Martino I come nuovo sovrano di Sicilia e, quindi, l’annessione della Sicilia alla Corona d’Aragona.
Dal 27 nov. 1391 i Martini cominciarono ad allestire una flotta che da Port Fangós si sarebbe diretta verso la Sicilia per sottometterla all’autorità del re. Tra gli altri nobili catalani, aragonesi e valenzani militava anche il M. con i suoi fratelli Pietro e Antonio e i figli Giovanni e Matteo. Il 22 marzo 1392 la flotta approdò a Favignana da dove partirono le operazioni per sottomettere i baroni ribelli. Il M. conquistò molte città e concorse a recuperare l’isola ai Martini; perciò in un diploma fu chiamato il conquistatore. Il 2 aprile a Salemi, che il M. aveva preso in nome di Martino, gli furono concessi tutti i feudi confiscati al ribelle Andrea Chiaramonte, figlio di Manfredi: il contado di Malta e Gozzo, l’isola di Lipari, le città di Naro, Mineo, Sutera, le terre di Delia, Mussumeli, Manfrida, Gibellina, Favara, Sant'Angelo Muxaro, Montechiaro, Guastanella, Misilmeri, il castello di Mangiolino.
Il M. si diresse con il resto dell’esercito regio verso Palermo e il 5 aprile da Monreale si organizzarono le operazioni d’assedio alla città, roccaforte dei Chiaramonte. Il 13 maggio, poiché i Palermitani erano ormai stremati dalla fame, si avviarono le trattative per l’accordo. Il 21 maggio Martino con Maria entrò trionfalmente nella città e concesse al M. la carica che tradizionalmente era stata dei Chiaramonte, il Gran Giustizierato. Il 1° giugno il M. pubblicò la sentenza di morte di Andrea Chiaramonte. Artale d’Alagona, il nipote dell’omonimo vicario ormai morto, si arrese e la contea di Augusta ritornò nelle mani del M. che fu chiamato «regio consanguineo». Artale ricette l’indulto che gli permetteva, in cambio delle terre perse sull’isola, di guadagnare Malta e Gozzo, a sua volta il M. riceveva delle terre equivalenti in Sicilia.
Con privilegio a Catania del 19 ott. 1392 il M. ricevette ancora Calatafimi, Alcamo, Calatuvo, le isole di Favignana, Levanzo e Marettimo. In qualità di giustiziere fu sempre a fianco del Montblanc nella guerra che questi intraprese nel 1394 contro Artale che aveva tentato di organizzare una nuova insurrezione e che fu privato di Malta e Gozzo che tornarono nelle mani del M. che ebbe anche il titolo di marchese. Il M. nel 1394 acquistò Sortino e poi gli furono ancora concesse dal sovrano Ferla e Monteclimaco che furono comprese nella Contea di Augusta.
Nel 1395 fu chiamato a sostituire il governatore generale di Sardegna, Joan de Montbuy, che si era ritirato, ma alla fine la carica passò al figlio del governatore uscente, Francesco.
Quando, nel maggio 1396, morì Giovanni re d’Aragona, Martino, suo fratello e padre del Martino re di Sicilia, gli succedette nell’Aragona e, nel lasciare la Sicilia, raccomandò al M. di assistere il giovane re suo figlio. Martino continuò a ricompensarlo di beni e terre anche negli anni seguenti: il M. ottenne 500 once annue sulla tratta di Augusta, un tarì sul porto di Brucoli, fu nominato gran connestabile e capitano generale di tutta la cavalleria siciliana.
Nel 1397 scatenò una ribellione contro la monarchia, che aveva sempre appoggiato, e ruscì a coinvolgere anche altri baroni, tra cui Antonio Ventimiglia, conte di Collesano e Bartolomeo d’Alagona, conte di Cammarata. Pesava sui suoi malumori contro i Martini l’esclusione dal Consiglio regio che si era formato quado Martino il Vecchio era tornato in Aragona e il peso crescente che era dato all’almirante del Regno, Bernardo Cabrera, conte di Modica.
Fu dichiarato ribelle da una sentenza della Gran Corte riunitasi alla presenza di re Martino che lo dichiarò «ingran e desconosgent», gli fu tolta la carica di gran giustiziere e gli furono confiscati tutti i beni, tra questi la Guastanella, il feudo di «Rayalthurco», la terra di «Petra Jancasii», la «terra et castrum Muxari» (Sant’Angelo Muxaro) che fu infeudata alla famiglia de Marinis, «Petra Calathasunderij» che andò a Tommaso de Azinellis.
Il M. morì a Lentini nel 1398.
Il M. ebbe due mogli: Beatrice di Giovanni Alagona e di Isabella Palizzi, che gli portò in dote il contado di Noara, la baronia di Tripi e di Saponara e i due feudi di Militello che appartenevano ai Palizzi e che gli diede due figli, Matteo e Giovanni; la seconda moglie fu Stefania Carroz, sorella di Giovanni e Berlinghiero, condottieri morti al seguito di Martino durante la riconquista della Sicilia, che gli diede Guglielmo Raimondo, Sibilla, Eleonora, Giovanna. Ebbe anche un figlio naturale, Simone.
La famiglia dei Moncada era catalana e, secondo la genealogia di Mugnos, era discendente di un principe di Baviera che, combattendo contro i Mori al servizio di Carlo Martello, conquistò Montecateno.
Fonti e Bibl.: F. Mugnos, Teatro geneologico [sic] delle famiglie de' Regni di Sicilia Ultra e Citra, Palermo 1647-70, s.v.; F. Aprile, Cronologia universale della Sicilia, Palermo 1725, pp. 179, 195 s., 200-206; C. Cipolla, Storia delle signorie italiane dal 1313 al 1350, Milano 1881, pp. 190, 312 s.; I. La Lumia, I quattro vicari. Studi di storia siciliana del XIV secolo, in Archivio storico italiano, s. 3, 1867, t. 5, parte 1a, pp. 138, 145, 150, 163, 177, 180, 220 s.; B. Anatra, La Sardegna dall’unificazione aragonese ai Savoia, in Storia d’Italia (UTET), X, Torino 1984, p. 306; V. D’Alessandro, La Sicilia dal Vespro a Ferdinando il Cattolico, ibid., , XVI, ibid. 1989, pp. 21 s., 25-27, 30-45; I. Mineo, Nobiltà di Stato: famiglie e identità aristocratiche del tardo Medioevo, Roma 2001, p. 257; M.S. Rizzo, L’insediamento medievale nella valle dei Platani, Roma 2004, pp. 38, 41, 43; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, p. 278; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, IV, pp. 635-637.