MALASPINA, Guglielmo
Nacque probabilmente nel 1596 da Francesco Guglielmo - indicato spesso solo col primo nome - marchese di Tresana (minuscolo feudo in Lunigiana), e da Susanna di Vincenzo Malaspina dei marchesi di Monteregio (picc0lo feudo situato nell'alta Maremma).
Il padre del M. ebbe nel 1571 il privilegio imperiale della Zecca, che da lui e poi dal M. fu usata per la falsificazione delle monete, cosa che portò alla rivolta dei Tresanesi e alla scomunica tanto di Francesco che del Malaspina. Il M. ebbe tre fratelli (Alfonso, Giulio Cesare e Jacopo) e tre sorelle (Matilde, Eleonora e Taddea, che andò sposa al marchese Ippolito Malaspina della Bastia). Fuori dal matrimonio il padre del M. ebbe ancora Ercole e Orinda.
Non si hanno notizie dell'infanzia e adolescenza del M. fino al settembre 1613, quando sposò Anna di Lazaro Malaspina, marchese di Olivola - oggi un piccolo Comune in provincia di Alessandria - in coerenza con la strategia endogamica che legava i vari rami del casato Malaspina. La dote fu fissata in 1800 scudi di moneta di Fivizzano. Il M. ricevette 300 scudi subito e altri 1200 nel febbraio del 1616, da Lazaro Malaspina d'Olivola, fratello della moglie. I beni della moglie dovettero essere un'utile risorsa per le alte spese del Malaspina, perché l'11 ag. 1634 assegnava ad Anna le entrate del feudo denominato Giardino, attualmente frazione di Pontedera, in compenso e reintegro di mille scudi. Da Anna il M. non ebbe figli, ma aveva una figlia naturale, Lucrezia, che andò in moglie a Giovanni Vannini di Tresana.
Il 10 sett. 1613, dopo la morte del padre, il M. ricevette l'investitura a Milano dal governatore don Juan Hurtado de Mendoza in nome di Filippo III, re di Spagna e duca di Milano, da cui i feudi della Lunigiana erano formalmente dipendenti. In quegli anni il M., non avendo ancora raggiunto i 25 anni, era sottoposto alla tutela della madre, che morì nel 1616, lasciandolo solo alla guida del feudo.
La vita del M. fu una lunga teoria di delitti e di violenze. Fin dagli anni della tutela materna le testimonianze concordano nel descrivere il M. come un uomo di brutale condotta. Numerose furono le violenze fisiche che consumò a danno dei suoi sudditi, in special modo le donne. In questi abusi fu spalleggiato dal fratello minore, Iacopo, che nel 1650 sarà ucciso dagli uomini di Tresana.
Nel 1618 fu imputato al M. l'omicidio di un tal Pisella, un giovane di Lusuolo ucciso nel territorio della Repubblica di Genova, per il quale fu processato a Castiglione del Terziere, in territorio mediceo. Nello stesso anno fu accusato di essere il mandante dell'omicidio del prete Francesco Pasqualino Meneghetti, curato di Tresana. Nel 1619 fece imprigionare Domenico di Prunentino di Fontanedo e sua moglie per godere della loro figlia e, ancora nel 1619, si macchiò dello stupro di una quattordicenne, violentata prima dal M. e poi dai suoi servitori. Nel 1623 davanti alla corte imperiale e a quella spagnola gli furono imputati altri numerosi reati, tra cui quello di aver fatto battere falsa moneta nella Zecca del Marchesato.
Anche sul piano dell'azione amministrativa il suo governo fu odioso ai sudditi, vessati dal ripristino di onerose e ormai decadute contribuzioni, le dadie, che colpirono i 300 fuochi costituenti la base fiscale del Marchesato. Proprio le continue violenze e vessazioni spinsero i Tresanesi a sollevarsi contro di lui. Fin dal 1617 essi cercarono di sottrarsi alla sua giurisdizione e di essere accolti sotto il dominio della Repubblica di Genova. Il M., da parte sua, si adoperò per conservare il suo feudo ricorrendo all'appoggio di Ferdinando II de' Medici. Prendendo le mosse da queste premesse, le due signorie iniziarono la procedura per la confisca del feudo. Nel 1627 il M. fu imprigionato nel castello di Malgrate su istanza del granduca di Toscana, e nel 1634 fu processato a Milano per l'omicidio del marchese Rinaldo Malaspina di Suvero, ucciso a colpi di archibugio. In quell'occasione fu sancita la confisca dei suoi beni allodiali e feudali che, sebbene non eseguita al momento, fu la base giuridica su cui il Ducato di Milano, alla morte del M., acquisì i feudi del Malaspina.
Complessa è la vicenda del feudo di Tresana dal 1648 al 1652, anno della morte del Malaspina. Nel 1648, nonostante le lamentele dei sudditi, il M. vide riconfermati i suoi diritti su Tresana dal governatore di Milano (dato che solo per il delitto di lesa maestà era prevista la confisca effettiva del feudo), ma sottoposto all'accomandigia (7 maggio 1648) di Ferdinando II de' Medici, che fino a quel momento lo aveva sostenuto nella lotta contro i ribelli. L'accordo era stato condotto e portato a termine nell'aprile precedente grazie alla mediazione del cognato Ippolito Malaspina della Bastia. Il piano d'intesa era dettagliatamente articolato e prevedeva la tutela del marchese presso il governatore di Milano da parte di Ferdinando II; il giuramento di fedeltà dei sudditi al marchese; l'esilio dei capi dell'ultima sommossa, a cui veniva però risparmiata la confisca dei beni fatta salva una composizione parziale; la cancellazione per il M. di ogni pregiudizio su quanto avvenuto in passato; la ratifica dell'accomandigia secondo i patti stabiliti anche con gli altri feudatari; il sostentamento da parte del granduca dei sudditi del M. e la delega dell'autorità granducale a un governatore. La resistenza dei Tresanesi, tuttavia, non venne meno; anzi i ribelli si rifugiarono sui monti dichiarandosi sudditi di Genova e continuando a chiedere il sostegno del Ducato di Milano. Nel 1648 Ferdinando II nominò governatore di Tresana Giovanni Baldassini da Stadano, che non fu accettato dai sudditi. Da Milano si fu allora costretti a inviare un commissario nel tentativo di riportare l'ordine. Nel 1649 si arrivò, infine, a una composizione secondo la quale i sudditi riconoscevano il M. come loro legittimo signore, mentre il granduca di Toscana ordinava il ritiro dei soldati che presidiavano il Marchesato. Il M. poté così fare finalmente il suo ingresso a Tresana da Olivola, dove a lungo aveva trovato rifugio presso i parenti della moglie. Quando rientrò in possesso del feudo, il M. era ormai in precarie condizioni di salute.
Il 7 genn. 1652 Paolo Pestalozzi, governatore di Fivizzano - altro feudo in Lunigiana dipendente dai Medici -, informò la segreteria del Granducato che quella sera, mentre cenava, il M. era stato colpito da apoplessia "e ha[veva] perso la favella" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2746). Il 10 gennaio dava a Firenze notizia della morte. Nella missiva il Pestalozzi scriveva che i sudditi, avuta la notizia della morte del M., erano immediatamente insorti e "hanno anchiato il castello", presidiato soltanto dalla moglie e dal marchese Ippolito della Bastia "con cinque o sei servitori al più senza viveri". Prudentemente Pestalozzi aveva spedito agli assediati un caporale con dieci o dodici soldati. La testimonianza di Pestalozzi infirma la notizia data da Litta e da Manni, senza supporti documentari, secondo cui il M. sarebbe stato ucciso il 6 ag. 1651 da un colpo di archibugio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2746-2747, 2767; Arch. di Stato di Massa, Archivio dei Malaspina di Olivola, bb. 2, ff. 3, 11; 5, ff. 7, 9-10, 23, 34; G.A. Zanetti, Delle zecche nella Lunigiana e specialmente della famiglia Malaspina, Bologna 1789, p. 12; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, II, Pistoia 1898, tav. XV, pp. 352, 378, 386-416 (con indicazioni archivistiche); L. Saffetti, Tresana e l'ultimo de' suoi marchesi Malaspina, Brescia 1955.