GRATAROLI (Gratarolo), Guglielmo
Nacque a Bergamo il 16 maggio 1516 da Pellegrino, di una famiglia originaria di San Giovanni Bianco in Val Brembana e trasferitasi a Bergamo nel corso del XV secolo con Antonio, padre di Pellegrino, che acquistò in città abitazione e terreni. Pellegrino, ascritto fra i cittadini di Bergamo il 12 nov. 1507, conseguì il titolo dottorale in medicina; morì nel 1528.
Il G. ricevette i primi rudimenti nella città natale dal bresciano Giovita Ravizza (Rapicio), che fu maestro comunale a Bergamo dal 1508 al 1523; nel 1531 iniziò gli studi all'Università di Padova, dove rimase per sei anni attendendo ai corsi di arti e medicina e frequentando anche le lezioni di Francesco Bonafede, medico e botanico, fondatore dell'orto dei semplici. Per un anno tenne la lettura del terzo libro di Avicenna presso la cattedra di medicina pratica. Il 10 maggio 1539 conseguì a Venezia la laurea presso il Collegio dei fisici della città e il 16 giugno fu aggregato, dopo aver tenuto una lezione dottorale, al Collegio dei medici fisici di Bergamo. La sua attività sanitaria fu peraltro interrotta da frequenti viaggi, nel corso dei quali raccolse manoscritti di alchimia e di scienze naturali.
Accusato di avere sostenuto proposizioni contro l'ortodossia della fede, il 4 febbr. 1544 il G. pronunciò l'abiura di fronte all'inquisitore di Milano (città in cui si trovava ancora nell'anno successivo, come risulta da un accenno del suo De regimine omnium iter agentium, pubblicato a Basilea nel 1561 e poi a Strasburgo nel 1563), ma continuò a perseverare nelle proprie opinioni, anche dopo il rientro nella città natale. Sul finire del 1548 il doge di Venezia, informato che a Bergamo erano attivi nuclei di eterodossi che cercavano di fare opera di propaganda, diede disposizione ai rettori della città di agire, d'intesa con il potere ecclesiastico, per circoscrivere il focolaio ereticale. Contro il G., già tenuto sotto stretta osservazione, nel 1550 fu quindi messo in moto un nuovo procedimento poiché aveva "molto straparlato dele cose pertinenti a la fede et di essa fede et de la potestà del papa" (Arch. di Stato di Venezia, S. Uffizio, b. 10, f. Gratarolo). Convocato per discolparsi, il G. si era già rifugiato in Valtellina, ma aveva avvisato due procuratori, che a suo nome avevano prima sollevato obiezioni sulla correttezza formale della costituzione del fascicolo processuale e, in seguito, avevano richiesto ripetute deroghe ai termini di presentazione dell'imputato. Inoltre i procuratori, dopo la scadenza della data del rinvio, avevano presentato una lettera autografa del G., datata Tirano, in Valtellina, 27 nov. 1550, con la quale egli dava atto di avere ricevuto notizia e copia della convocazione, ma al tempo stesso affermava di non volersi presentare, in quanto non riconosceva il potere della Chiesa romana né quello del pontefice; anzi egli dichiarava di appellarsi al futuro concilio generale e al tribunale di Cristo e concludeva con un appello esplicito alla tolleranza confessionale e alla non punibilità di chi si faceva interprete di dottrine eterodosse ("haeretici non sint comburendi nec puniendi sed ab Ecclesia tolerandi", ibid.). Anziché sottomettersi e ricorrere al "paterno affetto" del vescovo e dell'inquisitore, il G. non rinunciava alle proprie convinzioni e attaccava apertamente dall'esilio valtellinese l'autorità ecclesiastica. La reazione non poté non essere di estrema durezza, come dimostrano le misure adottate nei confronti del G. e i termini con cui venne dipinto: "heretico pertinace et relapso et schandaloso et infame", insomma una vera "peste contra la fede" (ibid.). D'altro canto, le obiezioni mosse dai procuratori del G. e le deroghe sollecitate avevano creato uno stato di viva preoccupazione nell'inquisitore cittadino, il domenicano Domenico da Bergamo, che ne aveva scritto il 27 genn. 1551 al nunzio apostolico a Venezia, Ludovico Beccadelli, invitandolo a intervenire con vigore e tempestività presso il Consiglio dei dieci e il Senato per rintuzzare e neutralizzare le possibili manovre degli agenti del G. (e aggiungendo, a buon conto, che avvertiva della sua lettera la congregazione del S. Uffizio): si trattava infatti di un caso di indubbia gravità - proseguiva l'inquisitore -, seguito dal papa e dai cardinali del S. Uffizio che avevano a cuore la sorte di Bergamo. La sentenza, pronunciata in contumacia il 23 genn. 1551 dal vescovo Vittore Soranzo e dall'inquisitore fra Domenico, qualificava il G. come "relapso", intimava la confisca del patrimonio (devolvendolo al pagamento delle spese processuali e destinando il residuo alla Camera fiscale della Repubblica) e lo dava in consegna al braccio secolare, attuando una procedura che non poteva che condurre alla condanna capitale. La ratifica della sentenza da parte veneziana, datata 4 luglio 1551, indicava esplicitamente come pena la decapitazione e il rogo del corpo, e riportava il premio di una cospicua taglia a chi procurasse la consegna del ricercato.
Nelle deposizioni raccolte tra l'agosto e l'ottobre del 1550 durante il processo inquisitoriale contro il notaio Vincenzo Marchesi, i testimoni bergamaschi si soffermano sul nome del G., indicandolo ora come un sospetto di eresia ora come un vero e proprio "lutherano". Proprio il confronto fra le testimonianze consente di datare con una certa precisione la fuga del G., che, ancora presente a Bergamo in occasione di un convito di nozze durante il carnevale 1550, a metà settembre era considerato ormai "fugito de la presente cità per esser lutherano" (Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Mss., GG.3.a., R.4-d, c. 764r): anzi, proprio nel corso di quel pranzo nuziale, il G. aveva inveito pubblicamente contro un predicatore cappuccino, dichiarando che lo voleva "spazar zoso del pulpito perché era papale et non predicava se non heresie" (c. 763v). Inoltre un libraio riferì di avere rilegato per conto del G. tra il 1546 e il 1547 (dunque in coincidenza con la presunta data di conversione) una copia del Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione e una della Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri da Bassano. Nella sua Confessione di fede, stampata nel 1552 a Basilea sotto forma di foglio volante, il G. faceva risalire la sua conversione a sei anni prima, dunque appunto al 1546, cioè a un periodo intermedio tra l'abiura milanese del 1544 e le nuove accuse che l'inquisitore e il vescovo di Bergamo formularono contro di lui nel 1550.
Nel maggio 1550 il G. transitò per la Valcamonica, nel novembre si trovava a Tirano, in quella Valtellina soggetta al potere delle Leghe grigie che era divenuta "l'asilo di tutti i più arditi genj amanti di pensare e di parlare con libertà" (Gallizioli, p. 37). Da qui svolse un'attività di propaganda ereticale, trasmettendo in Italia "stampe false di continenze diverse, tutte però di materie scandalose, infami et venienti da queste sette luterane" (Rotondò, 1970, p. 504) e frequentò uomini come Federico von Salis, con il quale mantenne in seguito relazioni epistolari.
Agli inizi del 1552 il G. era a Basilea, segnalato dal concittadino Girolamo Zanchi a Théodore de Bèze, che in quell'anno risiedeva colà, e nel marzo informò G. Calvino del suo soggiorno in città. Basilea rappresentò una seconda patria, per il G. così come per altri esuli provenienti dalla penisola, i quali scorgevano nella città svizzera un'immagine di cultura, di libertà e di zelo cristiano - come scriveva Pietro Martire Vermigli a Heinrich Bullinger -, che si contrapponeva al clima di persecuzione in atto contro le deboli comunità riformate italiane. Nell'anno accademico 1552-53 il G. si immatricolò presso l'Università di Basilea, dove nel 1558, insieme con altri, tra cui A. Carlostadio e Heinrich Pantaleon (con il quale collaborerà poi nella redazione dell'indice dell'edizione frobeniana delle opere di Galeno), fu accolto nel consiglio della facoltà di medicina, della quale fu anche nominato decano nel 1566.
Tra il 1557 e il 1561 non mancano le testimonianze di un rapporto epistolare del G. con Théodore de Bèze, nel quale le informazioni sul consolidamento delle chiese ugonotte di Francia si alternano con lo scambio di testi classici e di novità librarie. Nel 1561 il G. spediva, fresco di stampa, il suo De regimine omnium iter agentium a Bèze, invitandolo però a non mostrarlo a Calvino, in quanto nella prefazione aveva fatto ricorso a citazioni tratte dagli scritti del riformatore di Ginevra senza farne esplicitamente il nome.
Il G. non soggiornò costantemente a Basilea; è accertato tra l'altro un suo viaggio in Savoia e Borgogna, e la sua presenza è ugualmente testimoniata ad Augusta, come anche a Moempelgard presso il conte Georg zu Württemberg nel febbraio e nel maggio 1555. Qui conobbe il medico Alexander Peyer di Sciaffusa, al quale dedicò, come "frater in Christo", la nuova edizione di un trattatello De cometis da lui rivisto, ripulito e pubblicato a Basilea nel 1556. Tra i suoi temporanei trasferimenti soggiornò per la durata di circa un anno a Marburgo in qualità di professore di medicina presso la locale accademia. Nel gennaio 1562 era a Strasburgo, come risulta da una lettera di presentazione scritta il 26 gennaio di quell'anno da Zanchi a Jean Garnier pastore in quella città (che lo descrive "cute et barba subniger"), e rientrò a Basilea tra l'ottobre e il novembre 1562.
A differenza di tanti eretici italiani emigrati nelle terre svizzere, il G. rimase fedele nel tempo all'ortodossia riformata, tanto da spingersi talora a denunciare quanti potevano avere facilitato la circolazione di scritti di dissenzienti, accentuando la sua posizione filoginevrina e isolandosi dalle tendenze culturali e religiose prevalenti a Basilea. I costanti rapporti intrattenuti anche in questo senso con Calvino e Heinrich Bullinger emergono dalla sua corrispondenza: una lettera al riformatore di Zurigo il 28 ott. 1553 si sofferma sul caso di M. Serveto, compiacendosi della sua carcerazione e sottolineando come alcuni uomini di cultura della città avrebbero definito Calvino "carnefice"; e ancora, il 19 dicembre, rileva le diversità di opinioni in proposito dei dotti basileesi. Fu forse grazie al G. che Calvino apprese, in una lettera del 5 apr. 1554, che gli autori del De haereticis an sint persequendi erano Sebastiano Castellione e Celio Secondo Curione. La speciale ostilità del G. nei riguardi delle posizioni di M. Serveto, identificato come "strumento di Satana", e dei suoi seguaci emerge anche da un'informazione trasmessa da Basilea a Bullinger il 24 dic. 1554 sull'arrivo a Zurigo di un discepolo di Castellione qualificato come "servetiano e pelagiano", nonché da una più tarda lettera al rettore dell'Università di Basilea Ulrich Iselin, databile al 1560, in cui il G. rievocava fra l'altro con rancore l'opera di diffusione da parte di Pietro Perna, in anni precedenti, dei testi servetiani. Nonostante la fama che si era guadagnata per l'impegno e la competenza nella professione medica, il G. sulla fine del 1567 si scontrò con il Senato dell'Università cittadina, che aveva anche discusso la proposta di depennarlo dai ruoli per la sua difesa intransigente delle tesi calviniste e per le polemiche mai sopite sul conto del Castellione.
I rapporti del G. con Calvino dovevano essere abbastanza stretti ancora nel 1559, quando il G. prescrisse al riformatore di Ginevra una terapia per le sue emorroidi. La sua attività sanitaria al servizio della città di Basilea e i suoi consigli medici elargiti ai maggiori esponenti della Riforma dovevano del resto essere consueti e apprezzati. Del resto, anche tra le composizioni poetiche del G. dedicate all'esule Giovanni Bernardino Bonifacio marchese d'Oria risalenti al 1558 (e conservate manoscritte presso la Universitätsbibliothek di Basilea) si leggono alcuni rimedi contro l'intolleranza al consumo del vino. Allo stesso Amerbach il G. trasmise nel 1556 l'indicazione della ricetta di un collirio ricavato dal De rerum varietate di Girolamo Cardano, un testo che il G. aveva rivisto ai fini della stampa basileese per l'officina di H. Petri del 1557; peraltro il G. aveva conosciuto di persona il Cardano quando questi era transitato da Basilea sullo scorcio del 1552 e, avvertito tempestivamente dal G., era riuscito a evitare una locanda contagiata dalla peste. Il Cardano ricordò in seguito il G., oltre a Konrad Gessner e a Lycostenes, nel suo De libris propriis.
Il G. morì a Basilea di tifo petecchiale il 16 apr. 1568.
Prima del 1549 aveva sposato la concittadina Barbara Nicolai, che, per seguirlo nella fuga Oltralpe, aveva dovuto rinunciare alla dote di 800 coronati. Dal matrimonio non nacquero figli. La vedova curò la posa di una lapide funeraria nella quale era ricordata l'appartenenza del defunto al Collegio dei medici di Basilea e la motivazione della sua fuga dall'Italia ("ob religionem exul"); Barbara morì l'anno successivo. A Basilea restò la nipote Elisabetta, che aveva seguito gli zii nell'esilio, nonostante la minaccia da parte della città di Bergamo della confisca dei suoi beni ereditari, come risulta da una lettera del vescovo di Bergamo Federico Corner degli inizi del 1565.
Il nome e gli scritti del G. continuarono a tenere desta l'attenzione e la vigilanza dei tribunali, come è dimostrato dalla corrispondenza dell'inquisitore di Bergamo con la congregazione romana del S. Uffizio: nell'autunno del 1567 un'irruzione nella bottega del libraio Michele Ceresolo di Bergamo portò al ritrovamento di scritti di Melantone, di Münster e delle Alchimie spirituali (evidentemente si trattava invece del Verae alchimiae artisque metallicae citra aenigmata doctrina certusque modus, stampato a Basilea da P. Perna nel 1561) del G., definito "eretico relapso fugitivo da questa città", anzi un vero e proprio "anabaptista", il cui libro era giudicato "opera veramente diabolica" (Città del Vaticano, Arch. della congregazione per la Dottrina della fede, Mss., GG.3.a.). Ancora tre anni più tardi, nel settembre 1570, l'informazione raccolta a Bergamo sull'indirizzo romano ove si era rifugiato lo stesso libraio servì a rievocare la scoperta dei testi di Melantone e del G., che ormai era deceduto da più di due anni. Sorte paradossale dunque, quella del G., di essere classificato post mortem come un eretico rispetto alle nuove chiese della Riforma, presso le quali si era accreditato come un fedele seguace dell'ortodossia, integrato nella vita sociale e professionale di Basilea (al punto da qualificarsi nel frontespizio di un suo scritto del 1564 "italogermano"). Appare almeno parzialmente appropriata la sintetica valutazione data su di lui il 20 nov. 1552 da J. Parcus: "Ecce doctor ille Gratarolus, Paulinis literis aeque ac Aesculapiis peritissimus", un giudizio che salda l'impegno religioso e la competenza medica del Grataroli.
Sull'ampia e variegata produzione del G., di scritti originali e di edizioni e revisioni di testi antichi e moderni, occorre, in assenza di studi complessivi moderni, incrociare i dati offerti dal Gallizioli e dal Thorndike. In campo medico scrisse una Pestis descriptio, causae, signa omnigena et praeservatio, stampata nell'agosto 1554 a Basilea e dedicata ad Ascanio Marso ambasciatore imperiale presso gli Svizzeri (del quale elogia le virtù e l'amore "ergo omnem doctrinam pietatemque", c. a3r): il G. ammette il ruolo delle congiunzioni astrali sulle modalità dell'epidemia, anche se l'influenza determinante viene svolta dall'intervento di Dio e della sua volontà di punire i peccati degli uomini. Sull'argomento lo stesso G. pubblicò anni più tardi un opuscolo di tesi sulla peste, accompagnate da elenchi di rimedi per combattere il contagio (Theses hoc tam periculoso pestis ubique grassantis tempore ad disputandum inter philiatros propositae…, Basilea, G. Oporino, 1564).
Negli Opuscula, stampati nel 1554 (Basilea, apud N. Episcopium), ma più volte ristampati e tradotti anche in francese e in inglese) e dedicati a Edoardo VI d'Inghilterra e - a partire dall'edizione 1554 - a Massimilano di Boemia, il G. si sofferma (oltre che sui preparati utilizzati dai medici per accrescere la capacità mnemonica) sulle tecniche della memoria, rifacendosi alla tradizione medievale da Averroè ad Alberto Magno a Tommaso d'Aquino. Tra i contemporanei riporta l'opinione di Erasmo su Ficino e rinvia al lavoro di Andrea Vesalio per l'anatomia del cervello e la localizzazione della sede della memoria, evitando però il ricorso a libri magici e alchemici. In sintonia con questi temi si muoveva anche l'interesse per la fisiognomica, attestato dal De praedictione morum naturarumque hominum, compreso negli Opuscula e ritenuto per la chiarezza dell'esposizione un testo anticipatore delle tesi di Giovan Battista Della Porta; inoltre la fisiognomica, così come l'alchimia, per il G. veniva giudicata una tecnica conoscitiva importante ma non contrapposta alla religione, in quanto "solus Deus in corde videt". Curatore e prefatore di testi astrologici, come di un trattatello De cometis (Basilea, M.M. Stella, 1556) dovuto a un "Thurecensis phisicus" (dietro al quale è possibile adombrare un medico di Zurigo: Konrad Heingarter oppure Eberhard Schleusinger) e già stampato a Venezia nel 1474, il G. ha modo di richiamare gli studi di Cardano sull'argomento. Analogamente, il G. si impegnò nell'edizione di una ricca silloge, uscita nel 1561 presso il Petri e il Perna (e ristampata nel 1572) con il titolo di Verae alchimiae artisque metallicae citra aenigmata doctrina certusque modus…, in cui compaiono scritti sull'argomento raccolti dal G. sia in Italia, sia in Germania: la loro pubblicazione, anche se non priva di tagli e omissioni dovute al curatore, contribuì a una ripresa dei filoni paracelsiani. L'opera è dedicata al conte Ferdinand von Ortenburg, di cui l'esule era stato ospite ad Augusta, probabilmente fra 1558 e 1559. I testi presentati, da Aristotele a Lullo, da Arnaldo di Villanova ad Alberto Magno, a quelli di oscuri compilatori, contengono la parte più riposta della fisica e sono dunque indirizzati agli studiosi del ramo, anche se il G. si rendeva conto che l'operazione editoriale non gli avrebbe risparmiato le critiche di quanti erano per principio ostili alla lettura dei libri di alchimia, salvo poi praticarla in segreto. Anche qui non mancano le pieghe autobiografiche, quando il G. denuncia l'invidia dei nemici ipocriti e anticristiani, di cui tuttavia dichiara di non temere gli attacchi, in quanto il suo intento è quello di operare per la gloria di Dio e "in confusionem omnis Antichristi suorumque membrorum": per questo obiettivo è pronto a sacrificare la vita e i beni della fortuna. Va ricordato ancora un libro dedicato al vino, il De vini natura, artificio et usu deque omni re potabili…, uscito a Strasburgo nel 1565 e dedicato ai consoli e patrizi di Basilea, ai quali il G. rende riconoscenza per l'accoglienza ricevuta in città ove si era rifugiato "veritatis Evangelicae causa". Tra le pagine non mancano ricordi personali e spunti autobiografici.
Inoltre, in un'ampia trattazione a più voci intitolata De balneis, stampata a Venezia presso i Giunta nel 1553, compare (cc. 192r-193v) una relazione del G. sui bagni di Trescore e sulle fonti di acque sulfuree nei territori grigioni (dove il G. dimostra di conoscere direttamente le zone attorno a Poschiavo), che era stata concepita come risposta a una lettera di Konrad Gessner su una stazione termale contigua a Coira.
Tra gli scritti più originali del G. sono: il De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda praeservandaque valetudine… (Basilea, H. Petri, 1555), dove il tema, già toccato dal Ficino, della salute degli uomini di cultura viene associato a quello di quanti sono titolari di uffici pubblici; e il già segnalato De regimine iter agentium vel equitum vel peditum vel navi vel curru seu rheda… del 1561, un libro che alterna il carattere di guida pratica con la segnalazione degli itinerari e delle distanze da percorrere con i consigli sull'alimentazione più idonea e l'indicazione delle patologie più frequenti a carico dei viaggiatori. Anche se il nome del G. fosse stato tramandato soltanto per questi scritti pratici che miravano al bien public, egli - annotava Pierre Bayle - si sarebbe comunque meritato onore e fama nella repubblica delle lettere.
Nel 1561 tradusse in latino una relazione che Simone Fiorilli, pastore a Chiavenna, gli aveva scritto il 21 agosto sul massacro dei valdesi di Calabria avvenuto nel giugno. Di una sua presunta opera dottrinale intitolata De notis Antichristi, riportata dal Calvi nel 1664 e poi attestata nel 1726 dal Papadopoli come De votis Antichristi, non è rimasta traccia.
F0nti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, S. Uffizio, b. 10; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Mss., GG.3.a., R.4-d; lettere del G. (oltre a richiami a lui a vario titolo) figurano nei carteggi dei riformatori di Ginevra e delle città svizzere: I. Calvinus, Opera quae supersunt omnia, XIV, Brunswick 1875, nn. 1840, 1843, 1873; XV, ibid. 1876, n. 2066; XVII, ibid. 1877, n. 3044; Die Amerbachkorrespondenz, a cura di B.R. Jenny, IX-X, Basel 1982-95, ad indices; H. Bullinger, Korrespondenz mit den Graubündnern, a cura di T. Schiess, I-II, Basel 1904-05, ad indices; Th. de Bèze, Correspondance, a cura di F. Aubert et al., I-IV, Genève 1965, ad indices; VIII, ibid. 1976, ad indices; L. Perini, Note e documenti su Pietro Perna libraio-tipografo a Basilea, in Nuova Rivista storica, L (1966), pp. 153, 162 (altre lettere); A. Rotondò, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea fra il 1570 e il 1580, in Id., Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento, Torino 1974, pp. 283-286, 491 s., 496-499 (altre lettere); G. Cardano, Della mia vita, a cura di A. Ingegno, Milano 1982, p. 89; D. Calvi, Scena letteraria de gli scrittori bergamaschi aperta alla curiosità de suoi cittadini, Bergamo 1664, pp. 307-310; P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, I, 2, Amsterdam 1697, p. 1284; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, II, Venetiis 1726, p. 213; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, p. 380; G. Gallizioli, Della vita, degli studi e degli scritti di G. G. filosofo e medico, Bergamo 1788; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, III, Napoli 1845, pp. 72 s. e passim; P.A. Saccardo, La botanica in Italia. Materiali per la storia di questa scienza, Venezia 1895, I, p. 84; II, p. 56; A. Battistella, Alcuni documenti sul S. Officio in Lombardia nei secoli XVI e XVII, in Arch. stor. lombardo, s. 3, III (1895), pp. 117-119; G. Antonini, I precursori di C. Lombroso, Torino 1900, pp. 82-91; A. Burckhardt, Geschichte der Medizinischen Fakultät zu Basel, 1460-1990, Basel 1917, pp. 53 s.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II, Milano 1940, pp. 295 s.; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York 1941, pp. 600-616; T. Elze - E. Lessing, Geschichte der protestatischen Bewegungen und der deutschen evangelischen Gemeinde A. C. in Venedig, Florenz 1941, p. 36; G. Busino, Italiani all'Università di Basilea dal 1460 al 1601, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XX (1958), p. 514; P.G. Bietenholz, Der italienische Humanismus und die Blütezeit des Buchdrucks in Basel. Die Basler Drucke italienischer Autoren von 1530 bis zum Ende des 16. Jahrhunderts, Basel 1959, pp. 131-133, 139-141, 148 s., 159 s.; L. Santini, La comunità evangelica di Bergamo. Vicende storiche, Torre Pellice 1960, pp. 240 s.; P. Rossi, Clavis universalis. Arti mnemoniche e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Milano-Napoli 1960, pp. 34, 94-96; L. Perini, La "Bibliotheca venalis" di G. G., in Rinascimento, VII (1967), pp. 293-308; A. Rotondò, recensione a L. Perini, La "Bibliotheca venalis"…, in Riv. storica italiana, LXXXII (1970), pp. 503-505; P.G. Bietenholz, Basle and France in the sixteenth century. The Basle humanists and printers in their contexts with Francophone culture, Genève 1971, pp. 64 s., 117, 223; F.A. Yates, L'arte della memoria, Torino 1972, pp. 77, 242; U. Plath, Calvin und Basel in den Jahren 1552-1556, Zürich 1974, pp. 45 s., 80-84, 145; M. Doni, Il "De incantationibus" di Pietro Pomponazzi e l'edizione di G. G., in Rinascimento, XV (1975), pp. 183 s.; P. Preto, Peste e società a Venezia nel 1576, Vicenza 1978, p. 60; R. Palmer, The Studio of Venice and its graduates in the sixteeenth century, Trieste 1983, pp. 43, 102; J. Tedeschi, The cultural contribution of the Italian protestant reformers in the late Renaissance, in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, Modena 1987, p. 97; M. Koerner, Profughi italiani in Svizzera durante il XVI secolo: aspetti sociali, economici, religiosi e culturali, in Città italiane del '500 tra Riforma e Controriforma, Lucca 1988, p. 6; M. Bundi, Frühe Beziehungen zwischen Graubünden und Venedig (15./16. Jahrhundert), Chur 1988, pp. 85-87; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, Torino 1992, pp. 169, 176, 182, 184; A. Arcangeli, Mestieri e professioni nella letteratura medica (secoli XV-XVII), in Le regole dei mestieri e delle professioni, a cura di M. Meriggi - A. Pastore, Milano 2000, pp. 259 s.