GUGLIELMO di Massa
Nacque probabilmente intorno al 1160, ignoriamo dove; si ritiene che suo padre fosse Oberto, figlio del marchese Alberto Corso (e fratello del marchese Guglielmo), e che la madre, Giorgia, fosse figlia del giudice di Cagliari Costantino (II), attestato in tale veste fra il 1130 e il 1163.
Nulla di lui è documentato prima della sua ascesa sul trono giudicale di Cagliari (1187), ma il fatto stesso che egli raggiungesse (e mantenesse per un venticinquennio) tale posizione induce ad accettare l'idea che non fosse privo di un titolo di legittimità, quale solo la madre avrebbe potuto fornirgli.
La famiglia paterna, di ceppo obertengo, detentrice di diritti signorili a Massa Lunense sin dal sec. XI, era riuscita a impiantare solide basi di potere anche in Corsica. Alberto Corso, figlio di Oberto Brattaporrata, rimase legato alla sede arcivescovile e alla città di Pisa, pur senza rinunciare ad ambizioni d'espansione nel Tirreno; ciò permetterebbe di spiegare il matrimonio di uno dei suoi due figli (l'Oberto sul quale non sappiamo peraltro quasi nulla) con una figlia del giudice Costantino, notoriamente assai legato a Pisa.
La figlia primogenita di costui aveva sposato Pietro, figlio di Gonario giudice di Torres, che subentrò al suocero sul trono giudicale cagliaritano con il nome dinastico di Torchitorio (III), rovesciando ben presto il tradizionale orientamento del Giudicato e legandosi strettamente a Genova. Alla metà degli anni Ottanta la situazione politica dell'isola tornò ad agitarsi in seguito alla morte del giudice d'Arborea Barisone. Pisa riconobbe come suo successore il figlio di primo letto Pietro, mentre Genova si accordò con la seconda moglie di Barisone, Agalbursa, che intendeva far salire sul trono di Oristano il giovanissimo nipote Ugo di Bas. Nel novembre 1186 Genova trasse dalla propria parte anche Barisone di Torres, innescando in tal modo una situazione di tensione, che sfociò in aperto conflitto nel 1187, quando i Pisani passarono in Sardegna e cacciarono i mercanti genovesi, dopo averli spogliati dei loro beni, da tutto il Giudicato di Cagliari.
Il principale risultato politico della spedizione pisana fu la cacciata del giudice cagliaritano Pietro (del quale non si hanno ulteriori notizie) e l'insediamento sul trono di S. Gilla di G., attestato esplicitamente come giudice solo a partire dal 1190. Alcuni studiosi hanno pensato che titolo e poteri giudicali fossero assunti dapprima da Oberto; ma ciò, oltre a non essere documentato, è smentito dal fatto che G. assunse il nome dinastico di Salusio (IV), spettantegli, per regolare alternanza, quale immediato successore di Pietro-Torchitorio.
L'iniziativa militare pisana del 1187 ebbe l'effetto di ribaltare in favore della città toscana l'equilibrio politico dell'intera isola. Quando, il 7 luglio 1188, i cardinali a ciò deputati da Clemente III emisero la sentenza che doveva riportare la pace fra Pisa e Genova, essi ordinarono ai Pisani (e solo a essi) di fare in modo che tutti i giudici di Sardegna giurassero di salvaguardare gli interessi dei Genovesi. È in effetti assai verosimile che proprio in tale anno, a Torres, a Barisone che poco prima s'era avvicinato a Genova subentrasse il figlio Costantino (II), che nel giugno 1191 avrebbe concluso anch'egli un accordo con Genova, a condizione che esso non fosse diretto contro G., con il quale intendeva mantenere la pace.
Negli anni Novanta G. fu molto attivo in Sardegna. Dopo il trattato con Costantino di Torres, nel febbraio 1192 Genova patrocinò un accordo fra i due pretendenti al trono giudicale d'Arborea, i quali accettarono un condominio paritetico sotto l'egida genovese.
Non è ben chiaro se la reazione di G. a tali novità fosse immediata, o egli si muovesse solo un paio d'anni dopo. Quel che è certo è che nel marzo 1195 (data del primo documento utile a chiarire gli sviluppi della situazione) egli si trovava in Arborea, e già da qualche tempo era in guerra con Costantino di Torres, che, tramite alcuni pisani a lui legati da vincoli di parentela e rapporti d'affari, s'era rivolto ai consoli di Pisa perché inducessero G. a far pace con lui. Poiché nel documento in questione si legge che Costantino aveva chiesto a Pisa di far lo stesso anche nei confronti di Pietro giudice d'Arborea, dobbiamo ritenere che G. fosse allora alleato di quest'ultimo, e che la sua presenza in Arborea fosse giustificata dall'avvenuta cacciata di Ugo di Bas (o comunque dal disconoscimento dei diritti di costui sul Giudicato). Ma prima del marzo 1195 G. aveva attaccato il Giudicato di Torres, s'era impadronito dell'importante castello del Goceano e soprattutto aveva catturato la moglie di Costantino (Prunisinda), portandola prigioniera nel Cagliaritano (dove in seguito sarebbe morta) insieme con altre donne del suo seguito. Qualche anno dopo questa circostanza sarebbe stata duramente rimproverata a G. da Innocenzo III, che lo accusò di aver disonorato Prunisinda. La mediazione del Comune pisano configurata dal documento del marzo 1195 avrebbe dovuto comportare (oltre alla liberazione della sposa del giudice) il pagamento da parte di Costantino di un forte riscatto per riavere il castello del Goceano (o un altro di pari importanza). Ma la prevista missione in Sardegna di un console pisano probabilmente non ebbe luogo, o fu inefficace; sappiamo infatti che a recarsi nell'isola, e a intervenire energicamente nelle sue complicate questioni politiche ed ecclesiastiche, fu l'arcivescovo pisano Ubaldo, che - secondo quanto asseriscono più fonti - esercitò le proprie prerogative di legato apostolico in Sardegna con il consenso (e forse uno speciale mandato) di papa Celestino III.
Forse già prima che Ubaldo arrivasse nell'isola, G. mosse dunque contro l'ex alleato Pietro d'Arborea, lo catturò insieme con il figlio Barisone e assunse il pieno controllo del Giudicato, facendosi concedere lo scettro da alcuni vescovi, dai canonici della cattedrale di Oristano e, probabilmente, dai maggiorenti laici. Di lì a poco intervenne Ubaldo, che si mosse di conserva con G. che sarebbe arrivato a impedire con la forza all'arcivescovo arborense Giusto di lasciare l'isola per recarsi a Roma. Ubaldo riservò attenzione ancor maggiore al conflitto fra G. e Costantino di Torres: si interpose fra i due e si fece consegnare da G., come pegno, il castello del Goceano; ma Costantino rioccupò il castello, e fu punito da Ubaldo con la scomunica. Poco dopo il giudice morì, senza poter essere assolto da tale sanzione; il titolo di giudice passò a suo fratello Comita, il quale non solo dovette accettare i buoni uffici di Ubaldo e concludere rapidamente la pace con G. (nel quadro di un accordo che prevedeva anche il matrimonio fra suo figlio Mariano e una figlia di G., Agnese), ma dovette anche pronunciare nelle mani di Ubaldo un giuramento di fedeltà che implicava l'obbedienza a lui come legato apostolico permanente nell'isola, e l'impegno a seguire le direttive politiche impartite da Pisa. Un simile giuramento Ubaldo ottenne allora anche da G.: l'egemonia pisana sull'isola sembrava così ristabilita, e il fatto che essa si fondasse - almeno formalmente - sulle prerogative ecclesiastiche della sede arcivescovile cittadina le conferiva una certa legittimità.
Genova, ovviamente, non poteva non reagire a quanto stava accadendo. Nello stesso 1196 una flotta genovese si presentò davanti al litorale cagliaritano, facendovi sbarcare e accampare un esercito. G. tentò di ributtare a mare i Genovesi, ma fu sconfitto da rinforzi giunti da Genova che distrussero quasi completamente il palazzo giudicale di S. Gilla. Qualunque ne sia stata l'effettiva portata militare, quest'episodio non provocò alcun cambio della guardia alla testa del Giudicato.
All'inizio del 1198 salì al pontificato Innocenzo III. Appena un mese dopo essere stato consacrato, egli confermò all'arcivescovo Ubaldo le prerogative di primate delle tre province ecclesiastiche sarde e di legato apostolico; ma nell'agosto successivo, nella prima lettera da lui dedicata alle questioni isolane, incaricò l'arcivescovo di Cagliari, il vescovo di Sorres e l'arcivescovo eletto di Torres (il pisano Bandino) di verificare la fondatezza del resoconto inviatogli dall'arcivescovo Giusto d'Arborea sul comportamento tenuto a suo tempo da G. nei confronti suoi e del giudice Pietro, nel frattempo deceduto, nonché sul comportamento dell'arcivescovo pisano durante la legazione del 1195-96. La situazione in Sardegna era nuovamente in movimento. Sappiamo che nell'agosto del 1198 Ugo di Bas, a Genova, rinnovò il patto d'alleanza con la città che lo ospitava ormai da alcuni anni. Poco dopo (prima degli inizi del 1200), avendo chiesto inutilmente al pontefice un avallo al predominio conseguito in Arborea dopo l'eliminazione del giudice Pietro, G. strinse - all'insaputa di Innocenzo III - un accordo diretto con Ugo, promettendo di dargli in sposa la propria figlia Preziosa, che avrebbe portato in dote metà del Giudicato d'Arborea (anche se G. si riservava il controllo delle principali fortezze). Nel medesimo periodo G. intervenne pesantemente nella questione della successione del trono giudicale di Gallura, vacante per la sopravvenuta morte del giudice Barisone e, dopo aver fatto prigioniere la vedova e la figlia Elena (portatrice dei diritti di successione), impegnò quest'ultima a contrarre matrimonio (non appena avesse raggiunto l'età sufficiente) con il marchese Guglielmo Malaspina (cognato di G., in quanto fratello di sua moglie Adalasia, figlia di Moroello Malaspina).
G. stava quindi sviluppando un disegno di penetrazione in tutti gli altri Giudicati sardi attraverso unioni matrimoniali (mentre Benedetta, la primogenita, per il momento non era stata data in sposa, in previsione di sviluppi futuri). Ma proprio quest'intervento nella successione gallurese suscitò la forte opposizione di Innocenzo III, ben deciso a dar forza alla rivendicazione del dominio temporale della Sede apostolica sull'isola. Nel 1200 (probabilmente nei primi mesi) egli inviò a G. una dura lettera, nella quale non solo ne stigmatizzava l'ultima iniziativa, ma dimostrava anche di conoscerne tutto l'operato precedente rievocando con toni aspri la cattura e l'imprigionamento sia della moglie di Costantino sia del giudice Pietro d'Arborea, come pure il più recente accordo con Ugo di Bas.
Il papa ricordava a G. che egli, quando un tempo s'era trovato "in orientali provincia", aveva lodevolmente militato per Gesù Cristo (Migne, CCXIV, col. 917), riferendosi forse a una partecipazione di G. alla terza crociata, forse al seguito dell'arcivescovo pisano Ubaldo.
Invero, era stato lo stesso G. a rivolgersi al pontefice, chiedendogli di appianare una discordia insorta con il giudice Comita di Torres; e Innocenzo ne approfittò per convocare davanti a sé entrambi i giudici entro il successivo 29 giugno.
Alla fine del 1202 Innocenzo III scrisse a Comita, rassicurandolo sul fatto che il giuramento da lui pronunciato a suo tempo nelle mani di Ubaldo non poteva in alcun modo andare a discapito della superiore autorità della Sede apostolica. A quel punto il papa aveva già trovato l'esecutore della sua politica sarda: era il nuovo arcivescovo di Torres, Biagio, che giunse nell'isola nel marzo del 1203. Già nell'estate successiva l'azione di costui ottenne un primo significativo risultato: come sappiamo da una lettera papale del 15 sett. 1203, G. aveva sottratto al cognato Guglielmo Malaspina l'amministrazione del Giudicato gallurese, e si dichiarava anzi disposto a proteggere Elena da altri pretendenti sgraditi al pontefice. G. aveva dunque compiuto un passo importante, rinunciando a completare il proprio disegno egemonico e accettando di assecondare l'azione del pontefice e di Biagio. Si lasciò però un certo spazio di manovra: da un'altra lettera innocenziana con la stessa data della precedente apprendiamo che, richiesto da Biagio di pronunciare un giuramento di fidelitas in favore del papa, egli aveva preso tempo, asserendo di aver già pronunciato un uguale giuramento nelle mani dell'arcivescovo Ubaldo (sia pure con la clausola della salvaguardia dell'onore della Sede apostolica). G. non intendeva evidentemente rischiare d'inimicarsi l'arcivescovo pisano (e con lui il Comune); ma proprio l'atteggiamento da lui assunto nella questione della Gallura avrebbe finito per metterlo in difficoltà nei confronti della città toscana.
In una lettera del luglio 1204 il papa ringraziò G. per aver provveduto, su sua richiesta, a liberare dalla prigionia il figlio di Pietro d'Arborea; non è peraltro possibile dire se dietro questo gesto vi fosse già il disegno (concordato con il papa) di fare di Barisone il futuro marito di Benedetta (quel che si sarebbe verificato nel 1214). Sembra che fra il 1205 e il 1206 Innocenzo maturasse la decisione di fare sposare Elena al proprio cugino Trasmondo; l'11 maggio 1206 scrisse a Elena per annunciarne il prossimo arrivo. Ma nei mesi successivi l'operazione fallì per le pressioni esercitate da Pisa su Elena e sua madre; un anno dopo, al più tardi, Elena sposò il pisano Lamberto di Eldizio Visconti, in spregio alla volontà del papa. Innocenzo considerò le autorità comunali di Pisa responsabili dell'iniziativa di Lamberto, che, come già il padre e gli avi, era vassallo dell'arcivescovato pisano, mentre suoi parenti fecero parte di quasi tutti i reggimenti succedutisi in città dal 1201 in avanti. Non sembra perciò una coincidenza che proprio all'inizio del 1206 i rapporti fra G. e Pisa entrassero improvvisamente in crisi.
A informarcene è ancora una volta una lettera di Innocenzo III (indirizzata il 14 marzo 1206 al vescovo di Firenze), dalla quale pare di capire che G. avesse cercato di riscattare certi diritti (sicuramente di tipo economico) detenuti in società da coloro che a suo tempo avevano sostenuto (ovvero finanziato) la conquista del Giudicato cagliaritano, facendoli acquistare da certi suoi amici non meglio specificati, e che le autorità comunali di Pisa avessero bloccato tale operazione. Questo fu peraltro solo l'inizio di un lungo contenzioso, destinato a riemergere periodicamente negli anni successivi.
G. non restò inattivo di fronte al fallimento dell'iniziativa papale per la Gallura; il 30 ott. 1206 stipulò un accordo con Ugo di Bas: il matrimonio fra costui e Preziosa era stato nel frattempo realizzato, e si procedeva alla formale delimitazione delle aree del Giudicato arborense poste sotto il controllo rispettivamente del suocero e del genero (definito qui esplicitamente giudice d'Arborea). Colpisce, al riguardo, che Innocenzo III nel giugno 1206 si pronunciasse a favore della conclusione di quel matrimonio, mentre nell'ottobre 1207 rimproverasse aspramente l'arcivescovo di Cagliari di averla permessa: è probabile che fra 1206 e 1207 G. fosse costretto a tenere una condotta politica oscillante. Degno di nota è altresì che, al momento di stipulare l'accordo con Ugo, G. avesse accanto a sé una nuova moglie (Adalasia era morta in data imprecisata): costei era Guisiana, figlia di Guido Guerra (III) dei conti Guidi, e proveniva dunque da una schiatta con grandi e ancor forti interessi in Toscana, ma sostanzialmente estranea a Pisa.
Proprio da Pisa continuarono a venire gravi problemi per Guglielmo. Il 22 dic. 1210 il papa scrisse al podestà e al Consiglio del Comune di Pisa, mostrando di accettare le giustificazioni inviate dai propri interlocutori dopo un suo precedente intervento: essi sostenevano che le numerose azioni giudiziarie intentate contro G. sia da parte del Comune sia da parte di privati non potevano essere discusse altro che nei tribunali pisani, perché G. era a tutti gli effetti cittadino pisano e aveva un'abitazione in città. È assai verosimile che a tale data G. si fosse già trasferito a Pisa (sua madre Giorgia dettò l'atto di fondazione di un nuovo ospedale che sarebbe dovuto sorgere vicino a Massa il 9 nov. 1210, nella sua casa pisana d'abitazione presso la cattedrale). A ogni modo, anche in terra toscana egli restava sempre il giudice Salusio (IV) di Lacon, come lo troviamo definito in un suo atto di concessione d'immunità in favore di una dipendenza sarda del monastero urbano di S. Vito, rogato il 10 maggio 1211.
Nel settembre 1211 G. riappare nel registro di Innocenzo III in relazione a due richieste da lui fatte pervenire al pontefice: con la prima chiedeva di valutare se il suo secondo matrimonio con la figlia del conte Guido fosse legittimo dal punto di vista canonico (stante un certo grado di parentela fra i coniugi); con la seconda intendeva consigliarsi con il papa circa l'atteggiamento da assumere relativamente ai problemi dell'Arborea. Peraltro, il matrimonio con Guisiana non fu sciolto e soprattutto, nel periodo successivo, G. si dedicò a un'intensa attività politica in Toscana, di cui conosciamo solo l'esito spettacolare (sebbene a lui sfavorevole). Sappiamo infatti che verso la metà di gennaio 1213 egli partecipò a uno scontro armato di ampie proporzioni, svoltosi sul litorale prospiciente Massa. A quanto è dato ritenere, era riuscito a mettere insieme un vero e proprio esercito, formato da contingenti pisani, di Massa stessa, di Pistoia, nonché da milizie reclutate dal suocero Guido Guerra; mentre, dall'altra parte, combatterono contingenti lucchesi, signori di castelli posti vicino a Massa, nonché due esponenti della famiglia pisana dei Visconti: Ubaldo, fratello di Lamberto, e Goffredo Musto (già podestà di Pisa nel 1209-10). Nei mesi precedenti, a Pisa doveva essersi svolta una durissima lotta politica fra sostenitori e avversari dei Visconti (tanto che nel 1212 la città era rimasta senza governo), e forse proprio G. era stato il capo di questi ultimi; anche se, viste le parti coinvolte nello scontro del 1213, egli aveva cercato sostegno anche fuori della città (riuscendo, a quanto sembra, ad assumere il controllo del castello di Massa, che in precedenza era stato in mano ad altri esponenti della sua famiglia). Ma l'esito della battaglia fu negativo e di lì a poco il Comune di Pisa ebbe nuovamente un governo, impersonato da quattro rectores, uno dei quali era un parente di Lamberto e Ubaldo Visconti.
G. si ritrovò così sotto la spada di Damocle dei procedimenti giudiziari intentati contro di lui dinanzi ai tribunali cittadini per sottrargli diritti e cespiti economici nel Cagliaritano. Il 26 nov. 1213 Innocenzo III scrisse nuovamente al vescovo di Firenze in suo favore, perché era stato colpito da sentenze sfavorevoli, che stavano per trovare esecuzione attraverso l'invio in Sardegna di un messo giudiziario pisano, incaricato di sequestrare e assegnare ad altri i diritti economici del Giudicato. È notevole che in questa occasione il papa dicesse esplicitamente che G. teneva in feudo dalla Chiesa romana le terre che aveva in Sardegna (ossia, che era ormai divenuto a pieno titolo vassallo della Sede apostolica).
Poco dopo, fra la fine del 1213 e l'inizio del 1214, G. morì; nel maggio 1214, infatti, gli era ormai subentrata sul trono giudicale la figlia Benedetta.
Nella vera e propria occupazione di S. Gilla e delle zone circostanti, intrapresa manu militari nel 1215 dal Comune pisano (alla cui testa era ora, come podestà, Ubaldo Visconti), descritta da una lettera di Benedetta a Onorio III, si può forse vedere nient'altro che l'esecuzione di quanto disposto dai tribunali cittadini nell'ultimo periodo di vita di Guglielmo.
Protagonista per almeno un ventennio della politica sarda, G. fu altresì in contatto con trovatori provenzali, quali Peire de la Caravana e Peire Vidal, il quale lo cantò come il marchese di Sardegna che con gioia vive e con senno regna.
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