ARABO-ISRAELIANE, GUERRE
App. IV, I, p. 146
Le conseguenze del conflitto dell'ottobre 1973 furono sostanzialmente diverse sul fronte nord e sul fronte sud. Nel Sinai, infatti, dopo la cessazione dei combattimenti imposta dall'ONU, si addivenne, grazie alla congiunta disponibilità israeliana ed egiziana, a un rapido accordo per il disimpegno delle forze (18 gennaio 1974), che comportò un primo ritiro israeliano. Grazie all'assidua mediazione statunitense portata avanti dal segretario di stato H. Kissinger, fautore della tattica dei ''piccoli passi'', seguirono poi la riapertura del Canale di Suez e ulteriori arretramenti israeliani (5 giugno e 4 settembre 1975). Di contro nel Golan, dopo una pausa nell'attività bellica, gli scontri ripresero con un confronto d'usura sulle pendici del monte Hermon nel marzo-maggio 1974. Esso si concluse con la sigla dell'accordo di disimpegno tra Siria e Israele (Ginevra, 31 maggio 1974) che comportò la restituzione della città di Qunaitra e del territorio adiacente conquistati dagli Israe.
liani nel 1967 e l'insediamento di un contingente di controllo dell'ONU (UNDOF, United Nations Disengagement Observer Force). Da allora non si è proceduto a ulteriori mosse distensive.
Questo andamento già permette d'intravedere la successiva diversa evoluzione politica dei rapporti Egitto-Israele rispetto a quelli Siria-Israele, sebbene univoche tendessero a essere le valutazioni sul significato dello scontro appena concluso, che per la prima volta non aveva visto un vero successo delle forze israeliane. In ogni caso, quantunque dal 14 marzo al 13 giugno 1978 gli Israeliani riprendessero le armi per compiere una spedizione di vaste proporzioni nel Libano meridionale, con l'occupazione dell'intera area sino al fiume Litani, che ebbe termine con l'invio di 4000 militari dell'ONU, i risultati di lungo periodo della guerra del Kippur o Ramaḍān possono essere così riassunti: 1) la sorpresa con cui era stato colto l'apparato bellico israeliano dall'offensiva siro-egiziana, confermata dalla successiva decisione del presidente A. Sādāt di arrestare l'avanzata iniziale, indicò che, nonostante la controffensiva, Israele non poteva più considerarsi completamente garantita da una superiorità assoluta tattico-strategica e tecnico-scientifica; 2) considerando la qualità e l'entità dei modernissimi mezzi bellici utilizzati, si determinò una diffusa consapevolezza dell'impossibilità di ricorrere nuovamente a prove globali, a meno di non recedere dinanzi alla prospettiva di catastrofiche distruzioni reciproche; 3) il viaggio di Sādāt a Gerusalemme, le successive trattative e, infine, la pace siglata a Camp David il 26 marzo 1979 da Begin e dallo stesso Sādāt, avevano provocato l'uscita dallo schieramento anti-israeliano della massima componente araba e cioè l'Egitto, con un conseguente profondo riequilibrio delle forze a confronto; 4) in base a tale trattato di pace, s'installavano per la prima volta nel Sinai e nelle aree adiacenti forze armate occidentali, anzitutto statunitensi, con il compito di vigilare sull'attuazione dell'intesa e in genere di presidiare l'intero settore.
Questo tipo di valutazione (a parte la crescita dei rispettivi arsenali, che continuò) indusse di fatto gli schieramenti che si fronteggiavano a revi sioni di rilievo nei rispettivi piani politico-militari. Gli Arabi, in particolare, specie per pressione dell'ala moderata, s'impegnarono prevalentemente a proporre vie di compromesso (piano di pace presentato nel 1981 dal principe saudita Fahd), mentre gli Israeliani si sforzarono di affrontare la nuova realtà emersa elaborando una strategia per gli anni Ottanta che contemplava l'allargamento della loro sfera di interessi oltre il Vicino Oriente (sino al l'Africa settentrionale, al Golfo e al Pakistan), e un lavorio volto a intaccare la compattezza etnico-religiosa degli stati avversari. Sul piano concreto, per altro, sia gli uni che gli altri cercarono di evitare il ripetersi di confronti militari di grandi proporzioni che minacciassero di degenerare in conflagrazioni incontrollabili.
Tali pericoli, con i tentativi di autolimitazione e con le contraddizioni che comportavano, si evidenziarono in occasione dell'attacco israeliano in Libano (operazione ''Pace in Galilea'') del 6 giugno 1982, che determinò il congelamento delle relazioni con l'Egitto da poco ripristinate. L'attacco puntava a ottenere un ampliamento dell'area egemonica israeliana in una direzione verso cui da sempre sussistevano storiche aspirazioni. In tal senso andavano gli episodi di violenza e sconfinamento reiterati per anni lungo la frontiera libanese; così pure la creazione da parte di Israele di un corpo di miliziani mercenari per il Libano meridionale capeggiati da S. Ḥaddād e poi da A. Laḥad, sino al piano per la distruzione della rete di autogestione civile e militare costituito da tempo in territorio libanese dall'OLP e al meticoloso accordo stipulato con la fazione falangista per l'instaurazione di un governo favorevole all'alleanza con Israele. Tutto ciò stava a indicare come l'obiettivo delle autorità israeliane fosse quello di provocare un cambiamento radicale nell'assetto politico e negli orientamenti internazionali del Libano, facendo leva sulla fragilità interna di questo paese determinata da un decennio di guerra civile, e limitando il più possibile gli scontri diretti e frontali con gli eserciti arabi meglio preparati.
Una conferma di questi intendimenti furono le discussioni che divisero i dirigenti israeliani alla vigilia dell'azione, e cioè se sviluppare l'offensiva sino a Beirut, cogliendo l'occasione per infliggere un colpo al sistema missilistico installato dai Siriani sul suolo del Libano, oppure limitare la penetrazione a circa 40 km dal confine evitando il contatto con le truppe di Damasco. Com'è noto, il governo israeliano scelse la prima opzione con tutti gli inconvenienti a essa inerenti. L'avanzata lungo la costa, dove in particolare erano insediati i guerriglieri palestinesi, fu sì rapida, ma non risultò agevole, né riuscì a evitare che la maggioranza dei guerriglieri ripiegasse sulla capitale, asserragliandovisi, mentre coinvolse pesantemente le popolazioni civili. L'offensiva che da Est s'indirizzò contro le posizioni siriane incontrò, invece, tenace resistenza, e non riuscì a bloccare l'accorrere di contingenti da Damasco; essa ottenne che gli aerei israeliani colpissero con forza le postazioni missilistiche, ma fallì l'obiettivo di tagliare la strada Beirut-Damasco e bloccare l'afflusso di uomini, armi e merci.
Sul piano politico, Israele riuscì a imporre il 23 agosto 1982, in Beirut assediata, l'elezione a presidente della Repubblica dell'amico Bašīr Ǧumayyil (Gemayel), capo del partito della Falange: tuttavia la sua uccisione in un attentato, la successiva strage di ritorsione nei campi profughi palestinesi di Ṣabrā e Šātīlā sotto gli occhi dei soldati israeliani, e l'elezione del più cauto fratello Amīn Ǧumayyil furono altrettanti elementi che imposero il protarsi e il complicarsi dell'occupazione israeliana rendendola al tempo stesso più costosa per gli occupanti e meno sopportabile per le masse dei territori occupati. Anche per questo Tel-Aviv accettò l'arrivo a Beirut della Forza multinazionale composta da contingenti di Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna che permise l'evacuazione dei combattenti palestinesi e, anche se non evitò la strage nei due campi profughi, determinò un relativo sganciamento dell'esercito israeliano dal movimento di resistenza nazionale libanese in piena ascesa.
La spedizione israeliana, che avrebbe dovu to durare tre settimane, si concludeva solo a me tà del 1985, dopo che già dal febbraio 1984 i contingenti multinazionali avevano dovuto abban donare il paese, lasciando un territorio ostile, devastato dalla guerriglia e dalla controguerriglia, al prezzo di centinaia di morti e di migliaia di feriti. Le forze armate israeliane, di fatto, non era no riuscite a conquistare il Libano e, pur continuando a mantenere stretti rapporti con le destre cristiane, decidevano di ripiegare sull'occupazione della cosiddetta ''fascia di sicurezza'', cioè di un territorio di circa 1000 km2 che si esten de lungo il confine con Israele: oltre che di notevole importanza militare per la possibilità di puntate offensive nel cuore del paese, ha rilevanza economica favorendo l'esportazione di merci israeliane e lo sfruttamento dei fiumi ḤāṢbānī e Wazzānī.
La più persistente manifestazione di ostilità arabo-israeliana può considerarsi la cosiddetta intifāḍa, cioè la ''rivolta'' non violenta mediante scioperi, manifestazioni, disobbedienza civile, della popolazione palestinese dei territori occupati. Essa accentra, nella forma di una risposta vivace e collettiva, le iniziative di opposizione e resistenza verificatesi con l'occupazione israeliana della striscia di Gaza e della Riva occidentale del Giordano (Cisgiordania) sin dal 1967 e sempre duramente represse. Questo movimento di protesta di un'intera popolazione, avviatosi nel dicembre 1987 e guidato da un Comitato clandestino, è una sorta di prolungato stato insurrezionale, in collegamento con le indicazioni dell'OLP, che è costato centinaia di vittime, migliaia di feriti e decine di migliaia di imprigionati.
Imponenti i mezzi impiegati da Israele per stroncarlo ed elevati i costi economici, come le ore lavorative sottratte dal servizio militare dei riservisti, gli scioperi dei lavoratori palestinesi in aziende israeliane e degli arabi con cittadinanza israeliana, il mancato introito delle tasse non pagate dai Palestinesi, il crollo degli acquisti di merci israeliane nei territori occupati, ecc. L'esito dell'intifāda rimane, per altro, incerto a causa del collegarsi con le vicende po.
litiche nello scacchiere e in primo luogo la proclamazione d'indipendenza da parte del Consiglio nazionale dell'OLP avvenuta ad Algeri il 15 novembre 1988.
Gli attacchi missilistici iracheni contro Israele durante la guerra del Golfo (v. in questa App.) del gennaio-febbraio 1991 hanno suscitato gravi preoccupazioni in Israele. Affidatosi del tutto agli Stati Uniti con il patto militare speciale del 22 gennaio 1991 (fornitura degli ordigni antimissilistici Patriot), Israele ha subito comunque danni di un certo rilievo, ma specialmente ha dovuto constatare il superamento della tradizionale dottrina di sicurezza fondata sull'uso dello spazio dei territori occupati nel 1967.
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