GUELFI e GHIBELLINI
La tradizione narra che i nomi di guelfo e ghibellino (Hye Welff! Hye Waiblingen!) risuonarono per la prima volta, come gridi di battaglia, sotto le mura di Weinsberg, roccaforte della resistenza dei duchi di Baviera, assediata dall'imperatore svevo Corrado III (1140). Molto probabilmente però tali denominazioni sorsero più tardi, quando cioè i due partiti, nati in Germania dalle lotte per la successione al trono, dopo la morte di Enrico V, vennero a contrapporre anche come rappresentanti di due indirizzi politici antitetici, l'uno coerente alle tradizioni dell'Impero germanico, ostili alla supremazia papale, l'altro incline a una politica d'accordo coi pontefici, da una parte gli Hohenstaufen, signori diWaibling e duchi di Svevia, eredi, per parte di Aguese, delle ricchezze di Enrico V e fautori della politica della casa di Franconia, dall'altra i discendenti di Guelfo duca di Baviera, imparentati e legati dapprima con gli Svevi, poi divenuti loro nemici fin da quando Enrico il Nero, appoggiandosi al partito ecclesiastico tedesco, e tradendo la causa di suo genero Federico II di Svevia, rese possibile l'elezione a re di Germania di Lotario di Supplimburgo, candidato dei vescovi tedeschi e della Chiesa di Roma.
L'alleanza della casa di Baviera con Lotario, duca di Sassonia, era stata cementata con il matrimonio tra Enrico il Superbo, figlio di Enrico il Nero, e la figlia di Lotario, e aveva portato come conseguenza il costituirsi di una formidabile potenza feudale nelle mani di Enrico il Superbo, che al titolo di duca di Baviera, veniva ad aggiungere quello di duca di Sassonia, e alla morte del suocero avanzava pretese persino alla successione imperiale. La sua eccessiva potenza spinse i principi tedeschi ad accostarsi alla casa di Svevia e ad elevare al trono di Germania lo svevo Corrado III che riusciva a vincere definitivamente Guelfo VI di Baviera a Weinsberg, e ad abbattere per il momento la potenza della casa nemica, lasciando al piccolo Enrico il Leone, figlio di Enrico il Superbo, la sola Sassonia e concedendo la Baviera alla casa di Babenberg.
Se la competizione fra le due case traeva così la sua origine dalla debolezza intrinseca della monarchia elettiva germanica e dalla rivalità di grandi famiglie feudali aspiranti al trono, in un secondo momento rientrava nell'ambito della lotta sostenuta dall'istituto monarchico contro il particolarismo feudale e veniva ad assumere in parte il carattere di una reazione dello spirito nazionale tedesco, impersonato negli Svevi, contro la politica d'invadenza negli affari interni della Germania largamente attuata dai pontefici, con la complicità della casa Guelfa, dopo il concordato di Worms. Tali atteggiamenti, naturale retaggio della lotta per le investiture, non riescono però a nascondere del tutto il fitto viluppo di interessi feudali e dinastici che si addensano intorno alle due grandi famiglie rivali in unioni spesso occasionali e contingenti.
Con l'elevazione al trono di Federico I Barbarossa, e con l'orientamento della sua politica, volta più a restaurare la potenza dell'impero che non ad assodare il potere monarchico in Germania, la lotta tra guelfi e ghibellini andò sempre più perdendo il suo carattere di competizione strettamente legata alle condizioni particolari dell'ambiente politico germanico, per assumere sempre più decisamente il significato di un conflitto combattuto fra i due massimi poteri. Il Barbarossa infatti, con un atteggiamento conciliante verso la casa di Baviera, aveva sopito la guerra in Germania, per scatenarla con maggiore violenza e maggiore ampiezza d'intenti in Italia, contro il papato e i Comuni. E appunto durante il lungo periodo del regno di Federico Barbarossa notiamo in Italia la tendenza delle forze politiche in contrasto a differenziarsi secondo gli atteggiamenti fondamentali dell'azione dell'impero e della chiesa. Se infatti all'inizio della contesa con il Barbarossa, i comuni italiani non avevano assunto un atteggiamento decisamente antimperiale, ma avevano combattuto unicamente per salvare le autonomie loro riconosciute da Enrico V, il fondersi della lotta tra impero e comuni con la contesa tra papato e impero contribuirono a determinare ben presto il prevalente orientamento guelfo delle città italiane.
La competizione fra guelfi e ghibellini accentua di nuovo il suo carattere nazionale germanico nella lotta per il trono tra Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick, ma già nei primi anni del 1200 dilaga anche in Italia per le ripercussioni notevolissime che le vicende dell'impero e della nazione tedesca esercitano ormai sulla complessa e multiforme struttura della vita politica italiana.
Ma quando si riaccende la grande lotta, al tempo di Federico II, i nomi di guelfo e ghibellino, ormai diffusissimi in tutte le città italiane, non indicano più nemmeno genericamente l'atteggiamento specifico di forze politiche ben definite di fronte al conflitto tra impero e papato, ma la concorrenza o la discordanza di certi interessi particolari d'individui, di fazioni, di città con gl'intenti dell'azione politica degli Svevi, nella guerra contro la chiesa e il papato. Ciò del resto era in stretta dipendenza delle condizioni della vita italiana nel sec. XIII. La lotta continua e incessante che nel primo comune italiano dentro e fuori le mura cittadine è sintomo ed espressione della vitalità stessa del nuovo ordine di cose, già nei primi anni del sec. XIII, quando la vita comunale si è fatta più complessa, rigogliosa e potente, e più varia e più ricca di sempre nuove forze politiche ed economiche, che aspirano in gara sfrenata al dominio della città, assume i caratteri di una guerra selvaggia e senza quartiere che porterà fatalmente al dissolversi della vita comunale stessa nella nuova unità della signoria. Alle forze che agiscono nell'interno delle mura cittadine si aggiungono poi le tendenze espansionistiche del comune, che dànno origine a interminabili guerre fra città e città, e i primi tentativi di signoria che si affermano nell'Italia settentrionale già nella prima metà del sec. XIII. Tutte queste forze varie e tumultuose, al disopra della varietà e della mobilità degli interessi che dànno loro origine, trovano un'unità occasionale nei tradizionali nomi di guelfi e ghibellini e alla contesa politica si mescolano atteggiamenti religiosi, sia per la diffusione dell'eresia nel sec. XIII, sia per le necessità della lotta che spingeva comuni, signori e impero contro i privilegi e la proprietà del clero.
Da ciò deriva come non sia possibile parlare nel senso vero e proprio di una storia del guelfismo o del ghibellinismo che pure forniscono gli schemi esteriori della lotta politica specialmente nell'Italia dei secoli XIII e XLV. Così Ezzelino da Romano e Uberto Pelavicino, al tempo degli Svevi, e poi Cangrande della Scala, Tommaso di Savoia, Guglielmo di Monferrato, Matteo Visconti, Guido da Montefeltro, Uguccione della Faggiuola, Castruccio Castracani, si appoggiarono all'impero per assodare le basi del loro potere signorile. Così contro gli Svevi, rappresentanti dell'ideale ghibellino, gli Angioini saranno i tradizionali capi del guelfismo italiano, e, scomparsi gli Svevi, gli Aragonesi, Alfonso di Castiglia, Rodolfo d'Asburgo, Enrico VII, Giovanni di Boemia e Ludovico il Bavaro saranno a volta a volta i capi intorno ai quali si raccolgono tutte le forze politiche avverse alla Chiesa e agli Angioini. Così le città italiane ondeggeranno tra l'una e l'altra parte, a seconda del prevalere nel loro interno dell'una o dell'altra fazione, e a seconda delle necessità di adattarsi alle contingenze politiche del momento. Solo alcune di esse, come Pisa e Firenze, rimarranno tradizionalmente le une tenacemente ghibelline e le altre prevalentemente guelfe. Ma Pisa è rivale di Genova, legata a sua volta agli Angioini e alla Chiesa, e deve difendersi da Firenze che tende irresistibilmente a estendere il suo dominio fino al mare; Firenze, le cui origini comunali si ricollegano alle concessioni della contessa Matilde, era andata stringendo sempre piû i suoi legami con la Chiesa, sì che al tempo di Manfredi i maggiori banchieri e mercanti fiorentini erano i finanziatori delle imprese politiche del papato, gli esattori e gli uomini d'affari della S. Sede. E appunto in Firenze, città il cui dominio costituisce una delle chiavi per il dominio di tutta l'Italia settentrionale, la lotta tra le fazioni interne, e le influenze sveve o angioine, e la guerra contro le città vicine di Arezzo, Siena, Pisa, Lucca assumono caratteri di particolare violenza. Le battaglie di Monteaperti (1260), di Campaldino (1289), di Montecatini (1315), di Altopascio (1325), e lo scindersi del partito guelfo nelle nuove fazioni dei Bianchi e Neri e il prevalere dei Neri al tempo di Bonifacio VIII, con l'aiuto di Carlo di Valois (v. firenze, XV, p. 445) sono gli episodî salienti e notissimi della lotta, che divampa dove più dove meno in tutta Italia.
In Roma i Frangipane combattono le loro ultime battaglie, parteggiando per gli Svevi, contro Gregorio IX della famiglia dei Conti che avevano soppiantato la potenza dei Frangipane nella Campagna e Marittima; e la rivalità con gli Annibaldi, gli Orsini, i Caetani, sarà forse la causa del ghibellinismo dei Colonna, mentre la volontà d'indipendenza dai pontefici del comune romano prenderà decisi atteggiamenti ghibellini col senatorato di Brancaleone degli Andalò e di Enrico di Castiglia.
Papato e impero tenteranno più volte, nell'interesse supremo della loro politica universale, di alzarsi al disopra della lotta e Nicolò III, Gregorio X e Giovanni XXII tenteranno accordi fra gli Angioini e l'Impero, ed Enrico VII scenderà in Italia come pacificatore, e, sotto l'influenza del sentimento religioso, si verrà ogni tanto a pacificazioni clamorose di città e di fazioni (pace di Giovanni da Vicenza, pace di Gregorio X a Firenze), ma tutto ciò ha un carattere effimero e contingente: dopo brevissima sosta la lotta riprenderà più accanita e l'impero e il papato, ormai decadenti, vi saranno nuovamente travolti loro malgrado.
Ai principî del sec. XIV la lotta si va esaurendo nella polemica che conclude le discussioni sui rapporti dei due massimi poteri. E nella Monarchia di Dante e nel Defensor pacis di Marsilio da Padova e Giovanni di Jandun, prendono forme il vivo desiderio di pace della società medievale anelante a un nuovo assetto, e la tendenza dello stato e del laicato a sottrarsi a ogni ingerenza ecclesiastica.
Bibl.: Per l'origine dei nomi e dei partiti guelfi e ghibellini v.: l'opera classica di W. Giesebrecht, Geschichte der deutschen Kaiserzeit, Lipsia 1880-1895; gli studî più speciali di W. Bernhardi, Lothar von Supplinburg, Lipsia 1879; id., Conrad III., Lipsia 1883; e di U. Balzani, Italia, Papato e Impero nel sec. XII, Messina 1930. Per lo svolgersi della lotta tra guelfi e ghibellini in Germania e specialmente in Italia, v. anche la bibliografia speciale di Federico I, Enrico VI e Federico II, Innocenzo III, Innocenzo IV, e per gli anni dal 1250 al 1267, l'importantissima opera di E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, Parigi 1909; per quel che riguarda la lotta politica in Toscana, l'opera di R. Davidsohn, Geschichte von Stadt Florenz, Berlino 1896-1925; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922; F. Schneider, Kaiser Heinrich VII., Greiz i. V. e Lipsia 1926; F. Ercole, Dal comune al principato, Firenze 1929. Di carattere più speciale in quanto studiano figure e atteggiamenti particolari del guelfismo o del ghibellinismo nelle diverse regioni d'Italia, sono i lavori di S. Mitis, Storia di Ezzelino IV da Romano, Maddaloni 1896; A. Bozzola, Guglielmo VII marchese di Monferrato e Carlo I d'Angiò, in Archivio Storico Napoletano, 1912; id., Un capitano di guerra e signore subalpino: Guglielmo VII di Monferrato, in Miscellanea di storia Italiana (1920); E. Galli, Facino Cane e le guerre guelfo-ghibelline nell'Italia settentrionale (1360-1400), in Archivio storico lombardo, 1897; A. Tallone, Tommaso I marchese di Saluzzo (1144-1296), in Boll. stor. sub. (1916); G. Romano, La guerra tra i Visconti e la Chiesa (1396-76), in Boll. soc. pavese, 1903.