FAVORINO, Guarino (Varino, Guerrino)
Nacque, secondo lo Zeno ed altre fonti, nella pieve di Favera, castello nei pressi di Camerino (od. Pievefavera, prov. di Macerata), verso la metà del sec. XV, probabilmente tra il 1445 ed il 1450, ed avrebbe assunto il nome di Favorino, in allusione al suo luogo di nascita, per distinguersi da Guarino di Verona. Preferiva però chiamarsi Varino, e così lo chiamano il Poliziano, il Carteromaco, suo nipote Giuseppe Favorino Clavari. medico illustre e lettore di medicina nelle università di Perugia e Ferrara, ed altri. La forma Guarino ricorre invece nel sigillo episcopale e in vari documenti. La famiglia apparteneva alla nobiltà; suo fratello Antonio divenne generale della Congregazione silvestrina di Fabriano.
Forse soggiornò a Padova, dove avrebbe studiato fisica con Gaetano Thiene, letteratura greca con Demetrio Calcondila e filosofia morale con Bartolomeo Cipolla. Queste notizie, riportate soltanto dal Papadopoli (Historia..., II, cap. XV, pp. 192 s.) sulla base di alcune lettere scritte in greco dal F. stesso, non hanno però grande conforto di prove.
Sicuro è invece il suo trasferimento verso il 1480 a Firenze, dove fu discepolo del Poliziano, insieme col Carteromaco, e dei Cancoldila. A Firenze fu accolto nella casa di Tommaso Antinori come precettore dei suoi figli. Uno di questi, Carlo (1470-1503), gli fu di valido aiuto nella sua prima impresa lessicografica, il Thesaurus cornucopiae et horti Adonidis, secondo quanto dichiara lo stesso F. nella dedica dell'opera a Piero de' Medici. A Firenze conobbe e fu allievo di Giovanni Lascaris. Il Poliziano lo considerava uno dei suoi migliori discepoli, e nel 1492-93, 1494-95 e 1495-96 il F. fu chiamato ad insegnare nello Studio fiorentino come magister grammaticae. Una interessantissima descrizione del suo metodo didattico si trova in una lettera da Firenze di un suo alunno, Girolamo Amaseo, al fratello maggiore Gregorio (G. Pozzi, Da Padova..., p. 193).
Nel 1493 circa entrò in relazione con la famiglia dei Medici, che lo tenne presto in gran conto, tanto che, alla morte del Poliziano o forse anche prima, divenne precettore di Giovanni, il futuro papa Leone X, e di Giuliano, figli di Lorenzo il Magnifico, e di Lorenzo di Piero, poi duca di Urbino. Ebbe come allievo anche Angelo Colocci.
Dopo la cacciata dei Medici da Firenze (1494) il F. vi rimase per qualche anno e quindi si recò a Roma. Qui nel 1499 risulta stipendiato a casa di Bernardino Carafa, nipote del cardinale Oliviero. Quando il card. Giovanni de' Medici si trasferi a Roma, il F. entrò al suo servizio quale precettore dei suoi nipoti, in particolare di Lorenzino. In seguito il card. Giovanni gli affidò la cura della celebre biblioteca privata dei Medici, recuperata da Firenze nel 1508 dopo lunghe trattative: di essa il F. fu bibliotecario già dal 1510.
A Roma, a parte l'attività di bibliotecario, si dedicava ai suoi studi, agevolato anche dalla completa disponibilità di una biblioteca come quella medicea.
Iniziò allora a preparare una raccolta delle principali opere grammaticali, lessicografiche e scolastiche antiche e bizantine, con l'idea di fornire agli studiosi un dizionario, di carattere quasi enciclopedico, che fosse di sussidio alla lettura dei testi della grecità Primo risultato di tali ricerche fu una raccolta alfabetica di precetti e di osservazioni grammaticali riguardanti la lingua greca pubblicata nel 1496.In questo periodo il F., oltre ad essere alle dipendenze dei Medici, curava gli interessi di Giovanni Maria Varano, signore di Camerino, di cui era rientrato in possesso alla fine del 1503, ed ottenne per lui Visso e Sanginesio.
Nel 1508 fu nominato da Giulio II commissario e castellano delle rocche di Jesi, Osimo e Offida, in vece di Lodovico Clodio, chiamato a reggere la diocesi di Nocera, ma è probabile che gli stretti legami con i Medici l'abbiano convinto a rimanere a Roma.
Nel Natale 1513 cantò nella cappella pontificia l'epistola in greco. Nel marzo 1514 l'abate dei monastero di Vallombrosa, accusato di alcuni falli commessi, ma più probabilmente perché inviso ai Medici, fu rinchiuso in Castel Sant'Angelo, e si pensò di affidare l'abbazia al F., che nell'occasione si fece monaco benedettino della Congregazione silvestrina; la cosa però non ebbe seguito.
Nel corso del 1514 il F., che non versava in buone condizioni economiche, dato che il 15 giugno di quell'anno scriveva a Lorenzo de' Medici pregandolo di inviargli il denaro per far ricopiare il De morbis epidemicis di Ippocrate, di cui lo aveva incaricato, dovette rivolgersi a Leone X per ottenere degli uffici che gli permettessero di risolvere i suoi problemi. Ne ricavò una serie di benefici e di incarichi: anzitutto il F., che nella corte papale ricopriva la carica di cubicularius, ebbe dal pontefice, che sotto l'influsso di Giovanni Lascaris cercava di dare impulso allo studio del greco, una prestigiosa e redditizia cattedra di greco alla Sapienza di Roma, dove gli fu riservato l'insegnamento diebus festis, mentre ai colleghi Augusto Valdo e Basilio Calcondila toccava rispettivamente quello de mane e de sero. Riceveva per tale ufficio la considerevole somma di 300 fiorini d'oro. Inoltre, il 23 giugno 1514 Leone X scrisse al viceré di Napoli e al vicario di Caiazzo perché gli conferissero un beneficio. Infine, dopo la morte del Clodio, il 30 ott. 1514 il F. fu preposto alla diocesi di Nocera. Rimase qualche tempo a Roma prima di recarvisi e nel frattempo fu inviato a Camerino nel giugno 1515 per l'incoronazione ducale di Giovanni Maria da Verona insieme col cardinale Innocenzo Cibo, nipote del papa e fratello di Caterina, promessa sposa del neo duca. Il 20 luglio si recò finalmente a Nocera.
Negli anni 1514-1515 mantenne una corrisporidenza con Lorenzo de' Medici. Nel Natale 1516 e nella Pasqua del 1517, sebbene fosse già vescovo, svolse ancora le funzioni di diacono greco nella corte pontiflcia. In questi stessi anni ritornava spesso a Roma per partecipare alle varie sessioni del concilio lateranense: alla sessione X nel maggio 1515 e il 15 dic. 1516, alla XI il 19 dic. 1516 e poi ancora il 13 marzo 1517- In quest'ultima occasione fu il primo ad usare il cappello con il fiocco verde, distintivo concesso da Leone X ai vescovi regolari, che prima avevano lo stesso cappello degli altri prelati. Il 7 giugno 1517 era ancora a Roma, da dove scriveva a Lorenzo de' Medici per raccomandarglì Leonardo Tornabuoni.
Nel 1520 Giovanni Maria da Varano si servì dei F. per trattare un accordo col cugino, Ercole da Varano, che si era recato alla corte dei papa per reclamare i suoi diritti sullo Stato di Camerino.
Sin dal 25 nov. 1521, essendo il F. in età avanzata, gli venne affiancato da Leone X, come coadiutore e successore, Angelo Colocci, carica confermata da Paolo III l'8 dic. 1534. In realtà, al di là dell'aspetto formale, tra i due vi fu una sorta di intesa di carattere economico, che si prolungò tra accordi e disaccordi negli anni (L. Berra, Come il Colocci...).
Nel maggio 1522 il F. fu nominato governatore luogotenente di Cingoli per sostituire il cardinale Egidio da Viterbo. Tenne quell'incarico per breve periodo. Il 7 apr. 1523 si trovava a Camerino per battezzare Giulia, figlia di Giovanni Maria da Varano e di Caterina Cibo. È questo l'anno nel quale fu pubblicato il suo dizionario greco.
Nel marzo 1528 fu eletto da Clemente VII governatore di Fabriano, carica che trovò a lui contraria una parte dei componenti del Consiglio comunale di quella città, memore che già nel 1515 Leone X aveva voluto imporre a Fabriano come perpetuo signore il card. Innocenzo Cibo, suo nipote. Il 15 nov. 1528, comunque, il F. vi si recò. L'anno successivo tornò a Nocera, da dove il 5 aprile scriveva a Bartolomeo de' Medici chiedendogli notizie del papa, che si era ritirato ad Orvieto dopo il sacco di Roma. A seguito dell'accordo raggiunto, Clemente VII mosse da Roma alla volta di Bologna, per incoronare Carlo V imperatore, ed il 13 ott. 1529 passò da Nocera, dove fu accolto dal F. con tutti gli onori.
Il 16 maggio 1536 il F. donò le sue suppellettili al capitolo di Nocera. Morì nel 1537, forse nell'ottobre, in luogo imprecisato.
Il Colocci, in una lettera al duca di Camerino, chiede di poter riportare a Nocera il corpo del F., che avrebbe dovuto essere sepolto nella cattedrale della città umbra, in una cappella che egli stesso aveva fatto costruire e dove era stato eretto un sepolcro descritto dal Morici (Due umanisti..., p. 146) e riportato in immagine dal Mestica (Varino...). Secondo il Morici, però, tale desiderio non fu soddisfatto, il che spiegherebbe anche la facilità con la quale il monumento fu tolto e disperso all'inizio del sec. XIX, durante i restauri della cattedrale. Le iscrizioni facenti parte del monumento vennero comunque ricopiate nel 1628 con qualche imperfezione da Francesco Felicissimi (Mestica, Varino…, pp. 51 ss.).
La prima opera stampata del F. fu una raccolta alfabetica di precetti e di osservazioni grammaticali riguardanti la lingua greca, scelti con somma cura dalle opere di grammatici antichi, che egli aveva iniziato a raccogliere intorno agli anni Novanta dietro incoraggiamento del Poliziano. La sua intenzione era di fornire agli studiosi di greco un prontuario delle forme verbali e nominali più difficili. Prima di stampare l'opera la sottopose al giudizio del Poliziano, suo maestro, che la lodò e lo esortò a pubblicarla. La prima edizione in-4º fu stampata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1496, con il titolo Thesaurus cornucopiae et horti Adonidis; al contenuto il F. aggiunse un'importante raccolta di antichi grammatici. All'opera vennero premesse quattro prefazioni: la prima, in latino. è di Aldo Manuzio; la seconda è un'epistola di lode del Poliziano; la terza un'epistola in greco del Carteromaco; la quarta, sempre sotto forma di epistola in greco, è la dedica del F. a Pietro de' Medici. Il Manuzio ci fa sapere che nella compilazione dell'opera il F. fu aiutato validamente da Carlo Antinori, allievo anch'egli del Poliziano, e dal Poliziano stesso. Nel 1504 fu eseguita dallo stesso Manuzio una seconda edizione, meno bella della prima. L'opera incontrò il favore della critica contemporanea (Mestica, Varino..., p. 64).
Altra opera del F. è la traduzione latina degli "apoftegmi" di vari autori greci raccolti da Stobeo: Apophtegmata ex variis auctoribus per Ioannem Stobaeum collecta Varino Favorino Camerte interprete, stampata a Roma, Giacomo Mazzocchi, 1517. La dedica è al papa Leone X. L'intento dell'opera è quello di fornire una serie di massime morali. Essa fu ristampata nel 1519 dallo stesso Mazzocchi, ampliata e con un titolo diverso. Una terza edizione, ancora ampliata, con alcune correzioni di Wenceslao Sobieska, fu eseguita a Cracovia nel 1522 in cinquecento esemplari, perché fossero distribuiti a tutti i magistrati del Regno di Polonia, dati gli intenti essenzialmente morali dell'opera.
L'opera maggiore del F. è il dizionario greco, al quale consacrò per parecchi anni le sue fatiche. Il F., favorito dalla carica di bibliotecario della Biblioteca medicea e dalla frequenza continua della Biblioteca Vaticana, nella quale sono attestate numerose sue fichieste di prestito, raccolse da materiale manoscritto un gran numero di termini e di locuzioni, che andò poi sistemando in ordine alfabetico. L'opera fu stampata nel 1523 a Roma da Zaccaria Calliergi con titolo greco e latino: Magnum ac perutile dictionarium quod quidem Varinus Phavorinus Camers Nucerinus piscopus ex multis variisque auctoribus in ordinem alphabeti collegit. Leone X ne autorizzò la stampa con privilegio decennale.
Il Dictionarium si può considerare il primo tentativo di costituire un lessico greco, che mancava. Il F. si attenne, come metodo, a una scrupolosa aderenza alle fonti. Fece soprattutto opera di redazione, selezionando, ritagliando e collegando il materiale a disposizione, intervenendo solo il minimo indispensabile. A volte dette correzioni ed emendamenti dove il materiale era evidentemente erroneo, ma lo fece sempre basandosi su altri documenti. Tali glosse, se osservate attentamente, rilevano nel F. un compilatore abile e preparato.
Il Dictionarium, che metteva a disposizione degli studiosi in un'opera di agevole consultazione le più importanti elaborazioni prodotte nel campo della lingua greca nella tarda antichità e soprattutto dalla lessicografia bizantina, riempiva realmente un vuoto per la scarsità e la non facile reperibilità di sussidi simili; riuscì inoltre assai utile ai filologi perché, oltre a mettere a disposizione un gran numero di testi inediti, consentiva di ernendare il testo di opere edite sulla base di codici di tradizione diversa e inferiore. Il F. utilizzò con ampiezza e sistematicità il Lexicon Vindobonense, in particolare la redazione manoscritta di esso contenuta nel Vat. gr. 12 della Biblioteca apost. Vaticana. Così in commenti ad opere classiche ed in edizioni di testi di carattere lessicografico fino a tutto l'Ottocento si fece sovente ricorso al F., oltre che per paralleli, anche per proporre sulla sua scorta emendamenti testuali.
L'opera incontrò grande favore presso i dotti contemporanei, con l'eccezione della censura fattane dall'ellenista francese Philippe-jacques de Maussac, tanto che ne fu fatta un'altra edizione nel 1538 a Basilea, presso Robert Winter, curata da Joachim Camerarius e corredata nel 1541, ad opera di Hieronymus Guntius di Biberach, di due indici: uno per le voci fuori ordine alfabetico ed uno per i proverbi. Una terza edizione si rese necessaria nel 1712, a Venezia presso Antonio Bortoli, perché le prime due erano divenute introvabili. Questa edizione risultò più chiara e più gradevole delle altre, anche perché per ogni lemma si provvide ad andare a capo, eliminando la confusione delle edizioni precedenti. Nel 1801 ne fu fatta una quarta edizione a Venezia da Nicolò Glikis, ancora aumentata e corretta.
Nella modenese Biblioteca Estense, Est. Lat. 50 (XVI sec.), è presente una riduzione latina del Dictionarium. Pur ampiamente e frequentemente utilizzato, il Dictionarium non è comunque stato mai sottoposto a un'analisi complessiva che ne determinasse sistematicamente tutte le fonti.
Fonti e Bibl.: Una lettera del F. a Lorenzo de' Medici si trova all'Arch. di Stato di Firenze, Arch. Mediceo avanti il principato, filza VII, n. 405. A. Zeno, in Giornale de' letterati d'Italia, t. XIX (1714), pp. 88-129; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Venezia 1726, II, cap. 15, pp. 192 s.; G. Marini, Lettera nella quale s'illustra il ruolo de' professori dell'Archiginnasio romano per l'anno 1514, Roma 1797, pp. 15, 70 s.; E. Mestica, V.F. camerte, Ancona 1887; M. Morici, Due umanisti marchigiani vescovi di Nocera Umbra (V. F. camerte e Angelo Colocci), in Boll. della R. Deput. di st. patr. per l'Umbria, VII (1901), pp. 141-152; Id., Dov'è morto l'umanista V.F. camerte, in Atti e mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le provincie delle Marche, n.s., II (1905), pp. 89-94; Id., Di due frammenti storici nocerini, in La Bibliofilia, XI (1909-10), pp. 393-401; A. Ferraioli, Il ruolo della corte di Leone X (1514-1516), in Archiv. d. Soc. rom. di st. patria, XXXIV (1911), p. 375; L. Berra, Come il Colocci conseguì il vescovato di Nocera, in Giornale stor. d. lett. ital., LXXXIX (1927), pp. 304-316; G. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1927, p. 51; G. Mercati, Un indice di libri offerti a Leone X, in Opere minori, III, Città del Vaticano 1937, pp. 76-82; D. J. Geanokoplos, Greek scholars in Venice, Cambridge, Mass., 1962, pp. 201-222; G. Pozzi, Da Padova a Firenze, in Ital. med. e uman., IX (1966), pp. 193, 199 ss., 203, 214, 222, 225 s.; A. F. Verde, Lo Studio fiorentino 1473-1503…, II, Firenze 1973, pp. 292; A. Bittarelli, V. F. e i suoi "Elogia", in Studia Picena, XLIV (1977), pp. 215-29; V. Fanelli, Ricerche su Angelo Colocci e sulla Roma cinquecentesca, Città del Vaticano 1979, pp. 71 s., 92, 100, 115, 171, 176; A. Guida, Il Dictionarium di F. e il Lexicon Vindobonense, in Prometheus, VIII (1982), pp. 263-286; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1840-1861, VIII, p. 144; IX, p. 194; XXII, p. 259; XLVIII, p. 64; LXVI, p. 117; XCVI, p. 22.