guardare [guarde, in rima, indic. pres. II singol.]
Poiché il verbo ha nelle sue varie funzioni grammaticali (transitivo, intransitivo, intransitivo pronominale) valori semantici simili, la trattazione si appunta sui significati, avvicinando senza particolare avvertenza tali diverse funzioni.
Significa in assoluto l'atto visivo come primo tempo del conoscere sensibile: If XXIV 8 lo villanello... / si leva, e guarda, e vede la campagna / biancheggiar tutta (dove l'accezione è precisata dalla distinzione del g. e del vedere, come in Vn XXIV 3 E appresso lei, guardando, vidi venire la mirabile Beatrice), e 117 si mira / tutto smarrito de la grande angoscia / ch'elli ha sofferta, e guardando sospira; Pg III 64, XV 134 per quel che face / chi guarda pur con l'occhio che non vede (per la controversa interpretazione dell'intera terzina, v. M. Marti, in " Giorn. stor. " CXXXIII [1956] 346, e F. Salsano, La Coda di Minosse, Milano 1968, 131), XXVI 111, XXIX 15, Pd XXIII 9, XXXIII 113 la vista che s'avvalorava / in me guardando (per effetto del g. nel vivo lume la vista di D. acquistava maggior vigore), e Cv III III 13 come chi guarda col viso con[tra] una retta linea.
Con l'indicazione della direzione o dell'oggetto dell'atto visivo, costruito talvolta con ‛ in ', ‛ verso ', ‛ a ', vale " rivolgere lo sguardo ", " mirare ", come in If I 16 guardai in alto e vidi le sue spalle / vestite già de' raggi (dove si ripete la distinzione di g. e ‛ vedere '), XVII 87, XVIII 79, XX 39 perché volse veder troppo davante, / di retro guarda (qui va precisato che il rapporto punitivo del contrapasso si attua in una trasposizione dallo spirito alla materia: infatti il valore di ‛ vedere ' è metaforico, significando il conoscere dell'indovino, mentre quello di g. è letterale, significando l'atto fisico del rivolgere lo sguardo); XXIX 30, XXX 48 e 60 guardate e attendete / a la miseria del maestro Adamo (i due predicati distinguono l'atto visivo dall'attenzione morale al suo oggetto, ma più che effetto analitico ne hanno uno intensivo; cfr. Vn VII 7 quelle parole di Geremia... che dicono: " O vos omnes... attendite et videte si... "); Pg VII 134, VIII 96 e 111, XII 136 a che guardando, il mio duca sorrise (qui equivale a " vedere "), XXIV 34, XXV 125, XXVII 60, XXIX 63, XXX 73 Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice (qui vale ancora " rivolgere lo sguardo ": ma questa volta - siamo all'incontro con Beatrice nel Paradiso terrestre - l'atto va inteso nel suo complesso valore, ricordando i successivi momenti del g. di D.: esso è impedito dalla vergogna (vv. 76-78); fu già, viva Beatrice, alimento e sostegno della vita (vv. 121-123); è contemplazione (vv. 79-87) e infine moto di amore e di elevazione (XXXI 118 ss. Mille disiri più che fiamma caldi / strinsermi li occhi a li occhi rilucenti); questo implicito rapporto non è turbato dalla variante interpretativa di ci avverbio - come ritiene il Petrocchi, con il Sapegno e altri, nel definire la tormentata lezione dell'intero verso: cfr. Introduzione 130 - o pronome - come intendono Del Lungo, Chimenz, ecc. -; il Torraca v'intravvede un " O che credi che non sia io? "); Cv I VIII 14 atto sforzato... si mostra in non guardare ne la parte dove si va, che si ripete al § 15 con valore metaforico (allora sì guarda lo dono a quella parte, quando si dirizza al bisogno de lo ricevente), II Voi che 'ntendendo 23 (ripreso nel commento, XV 2), IX 5, IV XXV 9. Si veda inoltre Pd II 22, XXXI 115, XXXII 143, XXXIII 50; Rime LXIX 8, LXXX 22, XC 24; Fiore XII 3, LXXIV 5, CXLIV 4, CLXVI 10; Detto 185, 376 e 480.
Con il medesimo valore è riflessivo improprio in Pg VI 86 e poi ti guarda in seno, e reciproco in Cv II IX 5 li occhi suoi e li miei si guardaro.
In Vn IX 4 Elli mi parea disbigottito, e guardava la terra, lo sguardo a terra significa il turbamento doloroso (cfr. If VIII 118). Ma va rilevato che nelle attestazioni della Vita Nuova g. ha quasi sempre un valore complesso, in quanto l'atto fisico del " mirare " comporta, nel comune registro lirico, un movente o una ragione di ordine spirituale; così in IV 3 io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro, dove il gerundio evidenzia l'espressività dell'atto; XII 3, XII 12 24 perché li fece altra guardare / pensatel voi, da che non mutò 'l core (il g. compendia le esterne manifestazioni dell'innamorato, indirizzate alla donna dello schermo - cfr. V 1-3 - per sviare l'attenzione da Beatrice); XVI 10 12, XXIII 28 82 dicea, guardando verso l'alto regno: / - Beato, anima bella, chi te vede! - (nell'evoluzione del sentimento d'amore per Beatrice, che ha in questa canzone un felice preludio, la contemplazione-elevazione si esprime nell'immagine del g. verso l'alto regno che sigilla significativamente il discorso lirico; assai più modesta l'espressione prosastica corrispondente, e quivi mi parea guardare verso lo cielo [§10], che ripete quella del § 7); XXVI 5 4, XXXV 5 3 quando guardaste li atti e la statura / ch'io faccio (mi riguardava sì pietosamente, § 2).
Il normale valore visivo ritorna in Vn III 3, XXIV 8 8, XXXIX 5; mentre in XVIII 3 Altre v'erano che mi guardavano, aspettando, l'atto di g. distingue un gruppo di donne, pensose e interessate al dramma amoroso, dalle precedenti che, ignare o indifferenti, si rideano tra loro.
Talvolta nel " volgere lo sguardo " s'intende come implicita anche la finalità del conoscere, capire, giudicare: If III 51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa (pur essendo parte integrante dell'espressione di disprezzo divenuta proverbiale, il guarda autorizza l'indugio descrittivo delle terzine successive, che si apre appunto col raccordo E io, che riguardai, v. 52); X 41 guardomini un poco, e poi, quasi sdegnoso, / mi dimandò (dov'è evidente l'implicazione interrogativa dell'atto, che prepara la didascalia e insieme pausa felicemente il tempo drammatico), XV 19; Pg III 106 Io mi volsi ver' lui e guardail fiso, VIII 88, X 118, XI 56, XIII 47; XVIII 2 attento guardava / ne la mia vista s'io parea contento; XXIII 41 volse a me li occhi un'ombra e guardò fiso; / poi gridò forte (anche qui l'atto del g. per conoscere non solo è rappresentativo in sé, ma concorre al ritmo della scena); Pd XXXII 79 e XXXII 48; Cv I X 13 chi vuole ben giudicare d'una donna, guardi quella quando solo sua naturale bellezza si sta con lei.
Ancora implica un certo interesse e significa " mirare con attenzione " (v. GUATARE) o " contemplare ": If X 55 Dintorno mi guardò [" guardò intorno a me "], come talento / avesse di veder s'altri era meco (si noti com'è costante la forza scenica di questo g. silenzioso, cui D. concede sempre ampio campo nel tempo narrativo); XX 50 guardar le stelle / e 'l mar, XXIX 14 e 71, Pg III 72, V 8, X 97, XX 143; Fiore I 2 i' guardava un fior che m'abbellia, XIII 14, XLI 12, CLXXXVIII 5, Cv II XIII 9; nelle altre attestazioni del Convivio il " contemplare ", per la pregnanza allegorica del discorso, sfuma nel metafisico: II XV 4 in voi è la salute, per la quale si fa beato chi vi guarda; III VIII 5 e 14 in ess[e] guardare non può, perché quivi s'inebria l'anima. Particolare intensità di ordine teologico si riscontra in Pd X 1 Guardando nel suo Figlio con l'Amore (" Deus pater omnipotens... guardando, scilicet intelligendo, nel suo Figlio, idest Verbum eius quod est sapientia Patris ", Benvenuto).
La medesima accezione del mirare con particolare tensione può comportare l'espressione di un sentimento palese o nascosto, come in If VI 92 guardommi un poco e poi chinò la testa (questo indugio nel muto g. trasferisce nella mimica scenica il senso doloroso dell'ultima battuta di Ciacco, ma quando tu sarai nel dolce mondo...). Se per Ciacco quel g. sigilla la vita del personaggio, per Maometto vale a introdurla; guardommi e con le man s'aperse il petto, / dicendo..., XXVIII 29. Eguale forza significativa il verbo ha in XVI 78, XXXIII 47 io guardai / nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto, e 51; Pg XXVII 17 In su le man commesse mi protesi, / guardando il foco, " come guarda l'uomo la cosa di che elli ha paura " (Buti); Pd IV 139 Beatrice mi guardò con li occhi pieni / di faville d'amor.
In tal senso è da ritenere significativa la variante guardando in luogo di sguardando, in Pg VI 65; cfr. Petrocchi, ad locum.
Va anche segnalata la ricorrente espressione ‛ g. negli occhi ', di Pd XXXII 104 guarda ne li occhi la nostra regina, Rime LXXX 14, LXXXIX 1, CIII 76 Ancor ne li occhi... / guarderei presso e fiso, Cv II VII 12, III XV 3.
Nella forma imperativa, serve a richiamare l'attenzione su di un oggetto (If IX 45 " Guarda ", mi disse, " le feroci Erine... "; XVIII 83 Guarda quel grande che vene..., dove apre la solenne prospettiva in cui appare Giasone), o su di un fatto, come in Pg VII 106 guardate là come si batte il petto!, XXV 77, Pd XXVII 78. Come assoluto, per richiamare all'attenzione qualcuno: Pg XXVI 3 Guarda: giovi ch'io ti scaltro; in If XXI 23 lo duca mio, dicendo " Guarda, guarda! ", / mi trasse a sé, equivale a un grido d'allarme per l'arrivo del diavol nero. Più convenzionale richiamo risulta in Fiore XXXII 10 Que' non finava... / a suon di corno gridar: " Guarda, guarda! "; / e giva per le mura... / dicendo.
Particolare pregnanza espressiva l'imperativo acquista in Pd XXXI 30 guarda qua giuso a la nostra procella!, dove nel g. di Dio alla procella umana (cfr. " O iam miseras respice terras ", Boezio Cons. phil. I m. V 42) s'implora anche il suo intervenire a placarla. L'invito a g. con attenzione può inoltre essere di natura interrogativa, come in Pg V 49 Guarda s'alcun di noi unqua vedesti, e con valore figurato in If II 11 guarda la mia virtù s'ell'è possente (dove è da notare l'efficace prolessi di virtù, soggetto della proposizione dipendente, che si ripete, con il medesimo pronome pleonastico, in Rime XC 50 guarda la virtù mia quanto ella è dura); Vn VII 3 2 guardate / s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave; Fiore XLIII 1.
Metaforicamente, per " esser rivolto verso ", in Pd XVI 146 quella pietra scema / che guarda 'l ponte, dove vale a indicare la collocazione della statua di Marte sul ponte Vecchio (se non si voglia accogliere l'interpretazione abbastanza diffusa di " far la guardia "); così in If XIV 105 sta dritto un gran veglio / che... Roma guarda come sito speglio, indica l'orientamento del veglio ma con evidente intenzione allegorica; mentre ha deciso valore metaforico in Pd XXVI 48 d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano, dove significa il rivolgersi della più alta carità verso Dio, e in Cv IV XXVI 10 ad essa [etade] si conviene guardare diretro e dinanzi.
Con valore figurato, significa in genere " esaminare con la mente ", " considerare ": If V 19 guarda com'entri e di cui tu ti fide (l'invito a riflettere è una demoniaca spinta alla diffidenza e al dubbio); XXXI 53 chi guarda sottilmente (il medesimo avverbio ricorre in Vn XXXIII 2 e Cv II XIV 2 se bene si guardano sottilmente questi tre numeri; ma più frequente è l'accoppiamento con ‛ bene '); Pg VI 36 e 94, XI 18, XXV 35 Se le parole mie, / figlio, la mente tua guarda e riceve (per il raffronto con Prov. 2, 1 " si susceperis sermones meos / et mandata mea absconderis penes te " molti commentatori spiegano " custodisce e accoglie ", considerando " anticipata l'azione posteriore ", Chimenz; ma considerando che le parole di Stazio hanno immediata efficacia, si può anche preferire il significato di " esamina attentamente " al fine di accogliere con persuasione); Pd XXII 91, XXIX 133; Rime LVIII 11, LXX 12 Guardate bene s'i' son consumato (l'ipotesi del Contini che bene si riferisca a consumato potrebbe urtare, oltre che con la posizione della parola, con il fatto che essa spesso si unisce a g. per intensificarne il valore), CVI 100, Rime dubbie XXVI 10, Fiore CLXXI 10 e CCXXXI 8 e non guardar ma' guado, che vale, come nota il Parodi nel glossario, " non star a misurare la pena o il rischio ".
Il medesimo significato figurato ricorre in Cv I XI 13 guardi che opere ne fanno li buoni artefici; II XI 9 Le quali cose in essa si possono belle vedere, per chi ben guarda (in precedenza D. ha esortato gli uomini che non possono intendere la sentenza della canzone, a riconoscerne la bellezza: nel ‛ ben g. ', rispetto a ponete mente la sua bellezza, s'intende l'esame analitico degli elementi - construzione, ordine, numero - su cui quella bellezza si fonda); XV 9, III I 10, IV 3, XV 6 certe cose... lo intelletto nostro guardare non può, cioè Dio; IV VI 3 e 20, XII 5, XIV 10, XX 10, XXII 14; significa più strettamente la contemplazione della verità, in IV II 18 di se stessa innamorando per la bellezza del suo primo guardare, dove si sostituisce al verbo ‛ contemplare ' per evitarne la ripetizione. È costruito con ‛ a ', in Cv III XIV 11 guardi a quello che dentro da lui troverà, IV II 15, e in Pd VII 44 guardando a la persona che sofferse, dove il gerundio ha valore condizionale ed evita la ripetizione del ‛ se ' del precedente periodo (vv. 40-42).
Costruito con ‛ in ', vale " considerare il contenuto ", come in Vn XXVIII 2 se volemo guardare nel proemio che precede questo libello, Cv III VIII 21, XV 14.
In If XXVII 92 né sommo officio né ordini sacri / guardò in sé, né in me quel capestro, vale " considerare nel giusto valore " o, come spesso si spiega, " aver riguardo ": nella pericolosa lotta contro i Colonna, Bonifacio chiede il consiglio fraudolento senza considerare i sacri attributi propri e di Guido da Montefeltro. Più singolare significato ha in Vn XX 7 l'uno [l'amore] guarda l'altro [il cuore] come forma materia, dove vale a esprimere il rapporto che intercorre tra il cuore e l'amore, pari a quello tra materia e forma.
Significa lo " stare attenti " a fare o a non fare una cosa, in If XIV 73 guarda che non metti, / ancor, li piedi ne la rena arsiccia, XXXII 19, Pg IX 87, XVI 15, XVIII 74; in Fiore LXVI 2 o ver che tu la guardi a procacciare, significa più semplicemente l'intenzione: si noti la prolessi del pronome la che si ripete al v. 6 sì di ch'ella la guardi di recare, dove però g. vale " badare ", " fare in modo che ", come anche in IV 7, XLIX 5, LIV 7, LXV 5, CLXXI 7, e in Detto 326.
Nella forma intransitiva pronominale vale " astenersi ", come in If II 82 Ma dimmi la cagion che non ti guardi / de lo scender qua giuso (dov'è da escludere un diretto riferimento al timore: " Virgilio non pensa minimamente a un senso di paura di Beatrice, tanto alta la vede ", Grabher).
Nelle seguenti attestazioni del Fiore, la stessa forma, nel contesto dei consigli di prudenza dettati dalla Vecchia, introduce un avvertimento e significa " stare attento per prudenza ": CXLIX 13 Or convien, figlia mia, che tu ti guardi / che tu non ti conduchi a tale strezza, CLXIV 6, CLXXIII 13, CLXXXIV 5, e così anche in Cv IV XXIV 15 guardisi che non li dea di sé essemplo ne l'opera. Con lo stesso valore, senza particella pronominale: Fiore XX 10 ma guarda di far cosa che mi spiaccia, e XLIII 1. Più propriamente vale " stare in guardia ", " tenersi lontano " da qualcuno o qualcosa per prudenza o difesa, in Rime LXXVII 5 E già la gente si guarda da lui, / chi ha borsa a lato (questo è forse il colpo più grave nella tenzone con Forese, il punto di estrema distanza dall'appassionato incontro di Pg XXIII; e qui il Contini ha sottolineato il " passaggio icastico e feroce dalla seconda alla terza persona "); Cv IV VII 9 perché l'uomo da questa infima viltade si guardi; VIII 15, XVI 10, Fiore LVIII 14 e CLXXXII 6. Con questa accezione, perde la particella in Cv IV XIX 9 a loro si conviene di guardare da quelle cose, e in Fiore LI 10 De l'altre guardie non bisogna tanto / guardar.
Ancora nel valore figurato, vale " custodire ", " conservare ": If XI 8 una scritta / che dicea: ‛ Anastasio papa guardo... ' (D. inventa questa scritta sull'avello infernale " perché non sia necessario far sorgere l'ombra del papa di dentro l'avello a dare notizie di sé ", Torraca); XIX 98 guarda ben la mal tolta moneta (dove ha evidente valore ironico); Pd XXII 82 quantunque la Chiesa guarda, tutto / è de la gente che per Dio dimanda (" Sane patrirnonia sunt pauperum facultates ecclesiarum ", s. Bernardo Declamat. XVII); Fiore XLIX 10 guarda al Die d'amor su' omanaggio, LXXVII 9, Detto 375.
Significa " custodire o difendere da qualcuno o da qualcosa ", in Pg XIX 104 pesa il gran manto a chi dal fango il guarda (cfr. XVI 129); XXI 11 dal piè guardando la turba che giace (il gerundio ha valore di participio, e si riferisce ai due poeti - cfr. If XXXII 19-20 -, ma potrebbe anche legarsi a venia e riferirsi all'ombra di Stazio; a sostegno della prima interpretazione si considera inopportuno che D. anticipi la notazione del comportamento dell'ombra prima che sia stata scorta dai due pellegrini, i quali non la scorgono prima, secondo il Chimenz, " appunto perché sono attenti a scansare la turba "; a sostegno della seconda interpretazione si sostiene la possibilità di quella anticipazione da parte di D. e si osserva che il g. dei due costituirebbe una ripetizione del cenno al v. 5 per l'impacciata via. Troppo ardua è infine la proposta del Bennassuti, esser " la turba protesa quella che guardava la nuova ombra "). Con la medesima accezione è frequente nel Fiore: XXII 12, XXIII 10, XXVI 11, XXXI 13, CCXXXII 6 e 9, e con l'intensivo ‛ ben ', in XXIII 2 e 14, XXIV 12, XXV 14, LXXIII 12, CXCI 14, CX II 1, CCVII 6.
Vale altresì " tenere sotto la guardia o custodia ", in If XII 32 questa ruina, ch'è guardata / da quell'ira bestial; Pg XXVII 80 le capre... / guardate dal pastor (al v. 84 guardando perché fiera non lo sperga ha valore assoluto di " vigilare "); Fiore XIX 11 e 13, XXII 8, XXX 10, LXXI 3, LXXII 11, CXXXI 4.
In Rime LXXX 17 certo i' credo che così li guardi / per vederli per sé, e 25 Ma quanto vuol nasconda e guardi lui, significa " tener celato "; mentre vale " tener lontano da ", " salvare da ", in Fiore CIX 6 Guardami, Iddio... / di gran ricchezza..., e in Detto 400 se d'orgoglio nol guardi.
In Pd XIX 131 quei che guarda l'isola del foco, vale " custodire per reggere ", " governare " (" e dice che la guarda: dove denota due cose; l'una che non è re; l'altra che per piccolezza d'animo non attende ad acquistare maggior regno, né fama, né onore ", Ottimo).