GUAIMARIO
Princeps di Salerno, terzo di questo nome; figlio di Giovanni (II), principe di Salerno probabilmente dal 983, e di Sichelgaita, nacque probabilmente verso la fine degli anni Settanta del X secolo.
Per la supposta esistenza nella storia del Principato di un altro Guaimario, ascendente di G. e figlio di primo letto di Guaimario (II), G. è anche ricordato come quarto di questo nome (cfr. la discussione in Taviani Carozzi, pp. 366, 369).
Giovanni (II) associò inizialmente al trono il figlio primogenito Guido (gennaio 984) ma, per la prematura morte di quest'ultimo - avvenuta forse alla fine d'aprile o nel maggio del 988, stando alla datazione di un documento cavense dell'aprile di quell'anno dove compaiono ancora entrambi i principi - fece coreggente G. tra il gennaio e il marzo del 989.
Gli ultimi studi sulle vicende salernitane di quel tempo non hanno mancato di soffermarsi sul particolare, certo non irrilevante, della scelta di Giovanni di affiancare proprio G. al potere, e non un altro dei suoi pur numerosi figli. È stato infatti osservato che, oltre a Guido e a G., di età imprecisata al momento dell'associazione al trono ma sicuramente molto giovane, da Sichelgaita il principe aveva avuto anche altri maschi: Pandolfo, Lamberto, Giovanni e Pietro. Non è a oggi possibile stabilire con certezza la successione di quelle nascite, anche se qualche informazione sull'esistenza di Giovanni e Pietro, ancora attivi negli anni Trenta del secolo XI, può ragionevolmente far supporre una loro nascita cronologicamente molto vicina a quella di G., e forse persino anticipata rispetto a questa. In ogni modo la scelta paterna cadde su G. e non fu una decisione immediata se, come pare, l'intervallo tra la morte di Guido e le prime menzioni del nuovo coreggente fu di qualche mese. Probabilmente la tranquillità dovuta alla presenza di una numerosa discendenza maschile, che in ogni caso avrebbe assicurato una successione al trono teoricamente senza scosse, può aver rallentato la decisione di Giovanni.
La politica paterna, cui G. per la sua giovane età dovette certo adeguarsi, fu caratterizzata per anni dai tentativi, in parte falliti, di guadagnarsi - quale principe di origini non locali - la fiducia dei Salernitani, e segnatamente del clero. A compensare le tensioni che sarebbero sorte in quegli anni riguardo ai rapporti tra principe, clero e monaci, va detto che proprio con il cambio della dinastia, a sua maggior grandezza, la città venne innalzata a sede arcivescovile. Non si è certi sulla cronologia di tale promozione, ma le più recenti indagini la collocano nel 983 o poco dopo, e dunque per l'intervento di papa Benedetto VII o di Giovanni XV (Kehr). Per contro, a poco valsero i ripetuti sforzi del principe e di suo figlio per giungere, se non al controllo, almeno alla tollerante disponibilità del potente abate di S. Massimo di Salerno.
L'ostilità a più riprese dimostrata dall'abate di quel monastero, già ente di fondazione principesca e di primaria importanza per l'immagine e il prestigio della dinastia al potere, portò i principi alla fondazione di S. Maria "de Domno" (989), che si affiancò alla chiesa cattedrale nell'esercizio della cura d'anime. L'esigenza di avere un proprio tempio dinastico, fortemente sentita anche da Sichelgaita, portava tuttavia inevitabilmente ad attriti quando non ad aperte contrapposizioni tra i due enti religiosi.
Non sono molte le informazioni disponibili sul governo del Principato sotto G. e in specie proprio sui suoi primi anni di governo assoluto dopo la morte del padre, avvenuta nel 998. Non sono mancate pertanto, nei secoli, supposizioni di storici ed eruditi sull'azione politica di G.: per esempio si sono immaginati, probabilmente non a torto, un suo progetto di espansione territoriale verso l'area sorrentina e una sua alleanza con il nuovo imperatore sassone Ottone III. Entrambe le ipotesi sono plausibili; G. aveva certo interesse, per il mantenimento del potere all'interno e all'esterno del Principato, ad avere l'appoggio del forte sovrano teutonico che, d'altra parte, era sicuramente interessato ad avere un potenziale alleato e un punto d'appoggio in quell'Italia meridionale dalla politica tanto fluida quanto incerta. La conferma che G. avesse inoltre un suo disegno per l'affermazione del potere salernitano nel piccolo Ducato di Sorrento potrebbe essere data, ma si tratta di un indizio molto labile, dalla presenza in quella cittadina, verso il 1005, di un vescovo di origini salernitane, tale Maraldo, che per qualche tempo aveva ricoperto l'incarico di vestararius di G. (Mor, I, p. 476).
In quello stesso torno di tempo sappiamo che G. era coniugato con una non meglio identificata Purpura (Codex diplomaticus Cavensis, VI, n. 896 p. 38), la cui ultima menzione nelle carte è databile al 1010. Nel settembre 1018 si ha la prima attestazione del fatto che G. avesse nel frattempo contratto un secondo matrimonio con la longobarda capuana Gaitelgrima (Codice diplomatico amalfitano, I, n. 35 p. 52), che Amato di Montecassino indica senza esitazioni quale sorella di Pandolfo (IV) di Capua (I, cap. XXXIV, p. 49); dunque si trattava di una figlia di Pandolfo (II) dei principi di Capua e Benevento.
Nel settembre del 1015 G. cooptò al potere il figlio Giovanni (III), avuto dalla prima moglie; scomparso prematuramente Giovanni, fu scelto quale suo successore, nel 1018, Guaimario (IV), avuto da Gaitelgrima, da cui ebbe anche Guido, futuro gastaldo-conte di Conza e duca di Sorrento e Paldolfo, divenuto, per la prematura morte del primogenito, dominus di Capaccio.
Tra gli aspetti dell'azione politica di G., peraltro ben poco documentata, figura soprattutto la sua attenzione, in gran parte di natura politica, per la sfera religiosa e i rapporti con la Chiesa locale. G. patrocinò la fondazione del monastero della Ss. Trinità "de Mitiliano" (o di Cava de' Tirreni), i cui inizi sono da far risalire all'opera dell'aristocratico Alferio, che nel 1011 avviò l'edificazione del monastero sul sito inizialmente occupato dall'eremo di Liuzo, già monaco cassinese (Leone Marsicano, Chronicon…, cap. 30, pp. 646 s.). Il monastero, che in pochi anni avrebbe raggiunto una fama di livello europeo, dovette il proprio potere, l'immunità, la ricchezza e lo splendore a G., che lo dotò largamente di beni e privilegi di varia natura (il primo diploma in tale senso è redatto su ordine di G. e di suo figlio dal notaio e chierico Aceprando nel marzo 1025: Codex dipl. Cavensis, V, n. 764 pp. 93 s.).
G. provvide inoltre ad ampliare patrimonio e poteri della Chiesa salernitana dai primi dell'XI secolo. Una politica collaborativa di vasto respiro nei confronti dei presuli salernitani, e di consolidamento della locale mensa archiepiscopale, culminata - in un certo senso - con il noto diploma del maggio 1023 (Diplomata…, pp. 62 s.). Il documento, redatto nel sacro palazzo principesco di Salerno dal notaio e diacono Accepto per incarico di G. e di suo figlio Guaimario (IV), su istanza di Gaitelgrima, è subito apparso agli storici come un atto di estrema importanza. La decisione presa dai principi sanciva un'estensione dei privilegi già precedentemente accordati alla Chiesa salernitana dai predecessori. Regolava infatti l'automatico accorpamento al patrimonio arcivescovile di eredità in beni fondiari situati in prossimità delle terre ecclesiastiche, favoriva e garantiva l'esenzione fiscale e concernente la prestazione di servizi lavorativi per tutti gli homines liberi viventi e residenti su quelle terre, ma non solo. L'importanza e la novità del documento sono dovute anche all'inusitato ampliamento del potere giurisdizionale e giudiziario degli arcivescovi. Da quel preciso momento quella che a ragione è stata definita come "signoria episcopale" salernitana (Taviani Carozzi, pp. 1020 s., 1024 s.) avrebbe potuto esplicarsi anche sui soggetti laici dipendenti dalla chiesa cattedrale.
Già favorito da alcune iniziative dei suoi predecessori (come nel caso di Guaimario [II]), sotto il suo principato ebbe inizio un nuovo impulso politico, parallelo al ridimensionamento del potere e della presenza dei Bizantini in Italia meridionale. Già prima, tuttavia, proprio in occasione della sollevazione antibizantina in Puglia, con la rivolta di Melo e di suo cognato Datto a Bari (dal maggio 1009) G., pur mantenendosi neutrale, si schierò politicamente a favore dei rivoltosi e contro Bisanzio. Il deciso, superbo atteggiamento assunto da G. nei confronti della corte orientale comportò l'intervento del comandante bizantino Basilio Argiro, che nell'ottobre 1011 entrò a Salerno per costringere G. a piegarsi al volere di Bisanzio e per tentare di catturare l'esule Datto, rifugiatosi nel monastero di Montecassino. Datto tuttavia riuscì fortunosamente a fuggire e a rifugiarsi presso il papa Benedetto VIII.
In quegli anni G. ebbe i primi contatti con gli sparuti gruppi di cavalieri normanni sul cui arrivo in Italia meridionale gli studiosi non concordano sia riguardo alla cronologia, sia per quel che concerne il loro primo impatto con l'assai frammentata realtà politica locale. Con ogni probabilità, comunque, secondo le più accreditate e recenti teorie, milites normanni si sarebbero trovati nel Salernitano verso la fine del 1015 o agli inizi del 1016, anche se non mancano studi che propongono di anticipare il loro arrivo al 999.
Le indicazioni preziose quanto talvolta contraddittorie di cronisti quali Leone Marsicano (Chronicon…, cap. 52, p. 652) e, soprattutto - per i riferimenti specifici alla posizione di G. nei confronti dei Normanni -, quelle di Amato di Montecassino (Storia, I, cap. 17, pp. 21 s.) ricordano l'arrivo di quei cavalieri direttamente a Salerno, sotto assedio da parte di contingenti saraceni (Lupo Protospatario, col. 132). Chiesti a G. un appoggio logistico e delle armi, le milizie appena giunte si posero quindi al suo servizio, raggiungendo in breve l'obiettivo di liberare il Principato dalla minaccia saracena.
G. si impegnò molto, specie verso gli ultimi anni del suo governo, per allargare il Principato, conquistando Capua con l'aiuto dei Normanni e dei conti dei Marsi nel 1025 (Leone Marsicano, Chronicon…, cap. 56, p. 665), e per mantenere e potenziare un'immagine, quasi regia, della propria dinastia.
Morì nel 1027 (ibid., cap. 63, p. 670, ma con data 1037) e gli successe il figlio Guaimario (IV).
Fonti e Bibl.: Romualdus Salernitanus, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., VII, 1, p. 177; Annales Beneventani, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, p. 174; Catalogus principum Salerni, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 211; Chronicon ducum Beneventi, Salerni…, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 212; Leo Marsicanus, Chronicon monasterii Casinensis, a cura di W. Wattenbach, ibid., VIII, ibid. 1846, pp. 646 s., 652, 665, 670; Petrus Damianus, Opusculum XIX, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLV, coll. 438 s.; Codex diplomaticus Cavensis, a cura. di M. Morcaldi - M. Schiani - S. De Stefano, I, Neapoli 1873, n. 35 p. 52; V, ibid. 1878, n. 764 p. 93; VI, ibid. 1884, n. 896 p. 38 e passim; K. Voigt, Beiträge zur Diplomatik der langobardischen Fürsten von Benevent, Capua und Salerno (seit 774), Göttingen 1902, passim; Codice dipl0matico amalfitano, a cura di R. Filangieri di Candida Gonzaga, I, Napoli 1917, n. 35 p. 52; Amato di Montecassino, Storia dei Normanni, a cura di V. De Bartholomaeis, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LXXVI, Roma 1935, pp. 21, 49; P.F. Kehr, Italia pontificia, VIII, Berolini 1935, pp. 339 s.; C.G. Mor, L'età feudale, Milano 1952, I, pp. 420, 476, 531, 541, 546, 561, 564, 573, 595; II, pp. 127 s., 136, 182; Diplomata principum Beneventi, Capuae et Salerni de gente Langobardorum, a cura di A. Pratesi, in Arch. paleografico italiano, XV (1956), p. 62; M. Schipa, Storia del Principato longobardo di Salerno, in F. Hirsch - M. Schipa, La Longobardia meridionale, Roma 1968, pp. 180 s. e passim; B. Ruggiero, Principi, nobiltà e Chiesa nel Mezzogiorno longobardo: l'esempio di S. Massimo di Salerno, Napoli 1973, pp. 22, 66, 75 s., 86-88, 144; C. Carlone, I principi Guaimario ed i monaci cavensi nel Vallo di Diano, in Archivi e cultura, X (1976), pp. 47-60; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina in Italia meridionale, Bari 1978, p. 37; Id., I Longobardi meridionali, in Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, in Storia d'Italia (UTET), III, Torino 1983, pp. 275-282; Minima Cavensia, a cura di S. Leone - G. Vitolo, Salerno 1983, pp. 49, 51 s., 66-69; H. Taviani Carozzi, La Principauté lombarde de Salerne. IXe-XIe siècle, I-II, Roma 1991, ad ind.; C.D. Fonseca, Longobardia e Longobardi nell'Italia meridionale: le istituzioni ecclesiastiche, in Longobardia e Longobardi nell'Italia meridonale. Le istituzioni ecclesiastiche. Atti del II Convegno…, Benevento… 1992, a cura di G. Andenna - G. Picasso, Milano 1996, p. 9 (per la formazione dell'archiepiscopato salernitano); G. Spinelli, Il Papato e la riorganizzazione ecclesiastica della Longobardia meridionale, ibid., pp. 38 s.; Lexikon des Mittelalters, VIII, col. 1933; Diz. biogr. degli Italiani, LV, pp. 535 s.