GUAIMARIO
Princeps di Salerno, secondo di questo nome; nacque, probabilmente verso gli anni Settanta del secolo IX, dall'unione tra Guaimario (I) e Itta, figlia di Corrado, conte di Lecco e sorella di Guido (IV), marchese di Spoleto.
Non abbiamo informazioni dettagliate sui primi anni di vita di G. che nell'estrema drammaticità del periodo, caratterizzato da grande mobilità e debolezza politica del Principato, venne nell'893 associato al trono dal padre. Gli ultimi anni di vita di questo, tuttavia, furono segnati dal grave episodio del suo accecamento da parte di Adelferio, gastaldo di Avellino, e dal suo governo sempre più rigoroso e crudele. Il malcontento popolare e il timore di possibili tradimenti che portassero a interventi militari esterni o a un brusco cambio della dinastia pesarono sicuramente sulle decisioni maturate dal giovane Guaimario. Il cambio al vertice del Principato salernitano avvenne nel 901, quando l'anziano padre si trovava già da qualche tempo in un monastero. Molto probabilmente la segregazione subita non fu un'autonoma scelta paterna bensì una decisione presa da G. verso il 900, in un clima di tensioni crescenti e di pericolo per la sopravvivenza della dinastia. Fu dunque per garantire la continuità dinastica che G., detto "Gybbosus" (Catalogus principum Salerni, p. 211), prese la drastica decisione di assumere per intero il governo del Principato facendo rinchiudere suo padre in monastero.
Il Salernitano era stato più volte al centro dell'attenzione politica nel variegato mosaico di dominazioni dell'Italia meridionale dell'ultimo quarto del secolo. Anni segnati da fragili alleanze, spregiudicate rotture diplomatiche e ripetuti scontri armati avevano infatti segnato uomini e istituzioni; ma per il complesso e instabile universo della Langobardia meridionale si prospettava, tra la fine del IX secolo e gli inizi di quello successivo, un periodo di relativa tranquillità. Un maggior equilibrio, dovuto a riusciti tentativi di integrazione e di fattiva e aperta collaborazione, consentì ai potentati longobardi di Benevento, Salerno e Capua di raggiungere, nei primi anni del secolo X, una certa stabilità e, ciò che più contava, una pacifica convivenza e la ripresa di regolari rapporti diplomatici e commerciali.
G. tuttavia, che dal padre aveva ereditato un territorio socialmente ed economicamente provato, aveva inizialmente mantenuto la sua azione di collaborazione, sul piano politico, con la dinastia regnante bizantina. I rapporti con la corte d'Oriente parevano avviati a una stabile alleanza: G. aveva infatti ottenuto, come già suo padre, il titolo di patricius e, pare, di protospatarius imperiale. Nel contempo, proprio per partecipare della rinnovata armonia tra Longobardi, G. era riuscito a ricomporre le relazioni con Capua tessendo una rete di legami parentali tesi a garantire i rapporti di amicizia tra le due dinastie. A questo scopo aveva sposato Gaitelgrima, figlia di Atenolfo (II).
Quello con Gaitelgrima era forse il suo secondo matrimonio, stando alle riflessioni di taluni storici (Schipa, p. 154). Dalla prima moglie egli potrebbe forse aver avuto sia una femmina, Rothilda - che sposò Atenolfo (III), figlio di Landolfo (I) dei principi di Capua-Benevento, nonché nipote di Atenolfo (II) -, sia un maschio, cui sarebbe stato imposto il nome dinastico di Guaimario. L'effettiva esistenza di quest'ultimo, enigmatico, terzo Guaimario, che non tutti gli storici sono propensi ad avallare (Taviani Carozzi, I, pp. 366, 369), sarebbe all'origine dell'ancora possibile confusione sull'ordinale da applicare ai principi con questo nome. Va sottolineato come la nebulosità delle fonti in proposito abbia fatto sì che le più recenti e accreditate ricerche sulla spinosa questione (ibid., pp. 369-409), pur accennando all'irrisolto problema della discendenza di G., non abbiano in definitiva dato credito all'esistenza di quest'altro erede maschio. Con sicurezza si può affermare comunque che i due matrimoni (quello di G. con Gaitelgrima e di Rothilda con Atenolfo) testimoniano il graduale riavvicinamento del principe alle consorterie di Capua e Benevento.
Nei domini longobardi il forte senso dell'onore, coniugato a quello altrettanto forte di appartenenza a un'unica, grande "comunità di sangue", venne dimostrato dall'alleanza posta in essere, con finalità antisaracene, già verso il 915. Truppe capuane, beneventane e salernitane, con l'aiuto di contingenti del Ducato napoletano e di papa Giovanni X, nello scontro del Garigliano sconfissero le forze saracene contribuendo in tal modo al ridimensionamento della potenza musulmana nel Mezzogiorno peninsulare. Questa audacia politica tuttavia, insieme con le anzidette alleanze matrimoniali tra dinasti longobardi, doveva condurre a un rapido deterioramento dei rapporti di alleanza con le autorità di Costantinopoli. Un iniziale raffreddamento delle relazioni con il governo orientale, retto dall'imperatore (effettivo) Romano I Lecapeno e da un coimperatore (legittimo) Costantino VII Porfirogenito, si ebbe dal 923 (o dal 926, ma la cronologia dei fatti è solo probabile) con la dismissione della titolatura patrizia bizantina. Forse sullo scorcio degli anni Venti l'alleanza stipulata da G. con Landolfo (I), per avviare una campagna militare ai danni dei domini bizantini in Puglia e in Calabria, cancellò definitivamente ogni possibilità di dialogo tra G. e la corte orientale.
Il progetto di G. e del principe capuano prevedeva, una volta avvenuta la conquista, la spartizione di quei territori. A G. sarebbero probabilmente spettate la Calabria e la Basilicata, mentre l'alleato avrebbe ottenuto la Puglia. Difficile stabilire quando si aprirono le ostilità: forse tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta. Mentre la campagna bellica impostata da G. ebbe un certo successo, con l'acquisizione di parte della Basilicata e della Calabria settentrionale, la spedizione condotta da Landolfo non ebbe altrettanta fortuna per le resistenze incontrate in Puglia. Il prolungarsi dell'offensiva antibizantina e l'aggiunta alla coalizione di un terzo, infido alleato - Teobaldo, marchese di Spoleto e di Camerino - furono all'origine di iniziali incrinature nell'alleanza tra G. e Landolfo. Successivamente ai rovesci militari patiti dal principe capuano e dal nuovo alleato, Teobaldo, con la ripresa dei successi militari delle truppe orientali - grazie anche all'abile attività diplomatica del protospatario bizantino Epifanio, che riuscì a far mutare partito al corruttibile marchese spoletino -, si giunse al definitivo abbandono dell'impresa con il conseguente, mortificante ritorno per G. alla soggezione all'imperatore bizantino.
Sfumate le possibilità di fare conquiste territoriali, al termine dell'annoso conflitto restavano comunque a G. alcuni possedimenti ottenuti dalla sua campagna in Basilicata. In assenza di fonti narrative o documentarie che attestino tale sia pur minimo ampliamento illustrandone le fasi (G. avrebbe agito anche in Puglia nel 929 secondo Lupo Protospatario), alcuni atti di natura privata sono tuttavia stati addotti quale prova di un certo allargamento del dominio salernitano.
Si tratta di donazioni al monastero principesco di S. Massimo di Salerno e di attestazioni di possesso fondiario che si riferiscono a terre in area lucana: atti quindi che quasi sicuramente attestano gli sparuti successi militari della spedizione di G. tra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del secolo X (Codex diplomaticus Cavensis; cfr. anche Delogu, 1988, pp. 260, 275).
Il ritorno all'obbedienza orientale fu, così, inevitabile per G., nonostante la potenza e soprattutto il prestigio dei Bizantini in Italia avessero subito un ridimensionamento. Il riavvicinamento politico di G. alla corte di Bisanzio può apparire più convinto se si tiene conto di fattori che solo apparentemente possono sembrare marginali. Anzitutto sembra certo che il protospatario bizantino Basilio fosse ospite di G. a Salerno intorno al 943; un fatto questo che a ragione è stato valutato dall'attuale storiografia quale prova dei buoni rapporti tra il principe longobardo e Costantinopoli.
Inoltre, dallo studio della documentazione pubblica e privata di Benevento e Capua sono emersi particolari di un certo interesse, che possono essere interpretati a favore della tesi che vedrebbe G. nuovamente alleato con Bisanzio. Tra la metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta infatti gli atti notarili e cancellereschi di Capua e Benevento appaiono datati diversamente (Cordasco, pp. 307-309). Mentre nel Principato beneventano retto da Atenolfo (III) le carte notarili sono datate menzionando gli anni di impero del sovrano d'Oriente, quelle rogate nel dominio capuano, governato da Landolfo (II), pur fratello di Atenolfo, non riportano quel genere di datazione. In questa duplice tradizione notarile si è pensato di intravvedere i riflessi di politiche a favore o contro Bisanzio da parte dei principi longobardi.
Un'ulteriore spia della scelta politica di G. sarebbe individuabile nella decisione di Atenolfo (III), esule e minacciato dal fratello Landolfo (II), di chiedere asilo proprio a Salerno, che evidentemente sapeva politicamente vicina all'Impero bizantino. Pur attraversando anni difficili, con l'affanno dovuto al costante pericolo delle incursioni saracene (che comunque, se non cessarono del tutto, certo diminuirono fortemente dopo la battaglia del Garigliano), e al continuo stato di tensione antibizantino, il Principato salernitano visse con G. un periodo di relativa floridezza.
Studi recenti hanno dimostrato come la ricomparsa, l'uso e la diffusione di monetazione aurea - benché non coniata localmente - stiano a indicare un discreto stato dell'economia e del commercio in particolare. Il principe, proprio dagli inizi del secolo X, godeva di un altissimo prestigio non solo in ambito locale ma anche presso i potentati circonvicini, longobardi, bizantini o autonomi (ma filobizantini) come a Napoli. Dalle analisi effettuate sulla documentazione salernitana dei primi del secolo X è stato altresì rilevato come G. abbia saputo creare, nell'ambito della folta schiera di funzionari di palazzo, alcuni professionisti dell'amministrazione della giustizia dal titolo altisonante - per un dominio principesco e non regale - di missi regis. Si trattava di giudici ai quali era stato dato un titolo che, benché perfettamente corrispondente ai dettami della legislazione longobarda, si rifaceva tuttavia a una normativa emanata da un rex, adattandola, senza modificare le qualifiche, a una circoscrizione che, pur ampia e importante, istituzionalmente dipendeva non da un rex bensì da un princeps (Delogu, 1977, passim; 1988, p. 262; ma anche Taviani Carozzi, pp. 182 s. e passim). Sebbene sia impossibile parlare di uno "Stato" dal solido impianto amministrativo e burocratico, tuttavia proprio durante il governo di G. il potere del principe si venne almeno consolidando, non di rado a scapito di un'orgogliosa e spesso centrifuga aristocrazia, in massima parte gastaldale, fino a pochi anni prima politicamente assai intraprendente.
G., che specie negli ultimi anni non mancò di favorire la penetrazione del monachesimo cluniacense nei territori dipendenti, morì il 4 giugno 946 e gli succedette, senza traumi, suo figlio Gisulfo (I), al suo fianco già da circa tredici anni nel governo del Principato.
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