TIFERNATE, Gregorio e Lelio
Due umanisti del'400, così chiamati dal nome della patria (Tifernum, Città di Castello), e che talvolta, nella grande incertezza delle notizie che li riguardano, vengono confusi tra loro, mentre è certo che Lelio fu un discepolo di Gregorio. Questi nacque nel 1414, si dedicò allo studio della medicina e soprattutto delle lettere latine e greche, per perfezionarsi nelle quali pare che compisse anche un viaggio in Grecia. Ritornato in patria, egli fu uno dei promotori del rinato ellenismo, dedicandosi non solo all'insegnamento ma anche alle traduzioni. Nel 1447 era a Napoli, dove ebbe fra i suoi scolari il Pontano; nel 1449 a Roma, dove per incarico di Niccolò V tradusse l'Etica a Nicomaco e quella a Eudemo. Da Roma egli passò a Milano, alla corte di Francesco Sforza, nella quale gli aveva fatto avere una condotta il Filelfo; e per lo Sforza tradusse le due ultime parti della Geografia di Strabone (Africa, Asia), approfittando di una interruzione nel lavoro del Guarino, che aveva precedentemente tradotto l'Europa.
Passato in Francia, insegnò greco a Parigi; poi, tornato in Italia, si stabilì per alcun tempo a Mantova, trascrivendo codici per il marchese e dando lezioni di greco a discepoli anche illustri, come Giorgio Merula e Battista Mantovano. Nel 1462 era a Venezia, dove poco dopo morì. Oltre che traduttore dal greco, fu anche poeta latino, e di lui resta a stampa una raccolta di versi, pubblicati insieme con quelli di altri, prima a Venezia nel 1472, poi di nuovo a Venezia e altrove.
Discepolo e prosecutore dell'opera sua fu Lelio o Lilio, che dimorò a lungo a Costantinopoli, per perfezionarsi nella lingua greca, e tradusse in latino le opere di Filone Ebreo.
Bibl.: G. Voigt, Il sorgimento dell'antichità classica, trad. Valbusa, Firenze 1890; A. Luzio, R. Renier, I Filelfo e l'umanesimo alla corte dei Gonzaga, in Giornale storico della lett. ital., XVI (1890), pp. 146-47; cfr. anche un articolo di L. Delaruelle, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XIX (1899) e R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, III, Venezia 1919, pp. 483-87.