GRANO (XVII, p. 726; App. I, p. 688)
Agronomia. - Si è intensificata in questi ultimi anni, in Italia e fuori, la fondazione di nuove razze, fra le quali particolare interesse ha destato - soprattutto tra i profani - un grano perennante, ottenuto nell'URSS con l'ibridazione su una graminacea spontanea vivace: una gramigna. Questo nuovo grano, provato anche in Italia, non è fin qui riuscito ad affermarsi. Più fortunata si spera possa essere la nuova razza annunciata verso la fine del 1947 dall'Istituto di genetica per la cerealicoltura, di Roma: un grano precoce di alta produttività; a semina postinvernale, epperò al coperto dei gravi danni cui vanno incontro i grani precoci, per la scarsa loro resistenza al freddo.
I vecchi grani erano molto soggetti all'allettamento, che costituiva il maggiore ostacolo alla intensificazione della loro coltura. A prevenire l'allettamento hanno concorso: la semina a righe sostituita alla semina a spaglio, che dava molto spesso seminati troppo fitti; la concimazione minerale, soprattutto fosfatica, alla coltura (sarchiata o prativa) che precede il grano ed al grano stesso; e soprattutto l'introduzione delle razze a stelo non troppo alto e molto robusto che, esagerando, si qualificano inallettabili.
Non diffusa ancora quanto meriterebbe è la consociazione del grano: consociazione di due o tre sue razze opportunamente scelte (che dànno i grani panachés, più apprezzati dal mercato francese, e possono accrescere anche di 2 ÷ 3 quintali la produzione per ettaro) oppure consociazione con una coltura sarchiata come tabacco, sorgo zuccherino, ecc.
Nell'attesa della suindicata razza precoce a semina primaverile, i grani precoci da escludere, in Italia, più elevate giaciture granarie alpine ed appenniniche, dove rispondono meglio le razze a medio ed anche a lungo ciclo di vita - Reatino 11, Colognese 12 e 29, Gentilrosso 48, Inallettabile 96 ed altre di più recente fondazione dell'Istituto di cerealicoltura di Bologna; Carlotta Strampelli, altre di E. Avanzi, del Di Frassineto, ecc. - razze che una ventina di anni or sono avevano avuto larghissima diffusione in Italia e che solo in questi ultimi anni si vanno attivamente riprendendo.
È tuttora sentita la convenienza, in Italia, di mantenere la più larga possibile diffusione dei grani duri nei territorî più aridi delle provincie meridionali e delle isole, in considerazione della massima loro straordinaria resistenza alla siccità.
Il grano turgido (Triticum turgidum) ha cariossidi tozze e prevalentemente farinose. Da ricordare fra i turgidi il "Grano del miracolo" (Triticum compositum), a spiga ramificata, che dà granelli di mole molto disparata, mentre la ramificazione della spiga è solo saltuariamente ereditaria. In relazione all'ereditarietà, giova ricordare che le caratteristiche di frattura delle cariossidi del grano sono tra le più fluttuanti: granelli a frattura nettamente farinosa di un grano duro possono dare nella discendenza granelli duri; e, viceversa, granelli a frattura ambracea di un grano tenero, possono dare granelli a frattura farinosa.
I grani inallettabili, precoci e non precoci - con le più ricche concimazioni promosse dal Gibertini - hanno consentito di raggiungere produzioni unitarie anche superiori a quelle dei paesi di oltralpe, che offrono ai grani a lungo ciclo di vita i più favorevoli ambienti vegetativi.
Circa il 1935 nell'Istituto Agronomico dell'università di Bologna, il Giuliani accertava la sopravvivenza della radice primaria del grano, proveniente dalla radichetta dell'embrione, fino al termine della vita della pianta. Tale accertamento - in aperto contrasto con la corrente asserzione del funzionamento limitato all'esaurimento delle provviste alimentari dell'endosperma - induce ad attribuire maggiore importanza anche per il grano allo strato più profondo del suolo, da cui la radice stessa non manca di trarre una parte dell'acqua necessaria alla pianta.
Da ricordare infine i recenti e felici tentativi di Mario Bonvicini, dell'Istituto Sperimentale di Cerealicoltura di Bologna, e di altri, intesi a combattere le ruggini del grano con aspersioni liquide o pulverulente di materiali anticrittogamici.
Il mercato mondiale del grano.
Nel quinquennio precedente il 1930 il commercio mondiale del grano registrò un notevole sviluppo grazie alle condizioni di libertà in cui si svolgeva e ai prezzi che, sebbene in diminuzione, restavano tuttavia remunerativi per i produttori.
La crisi economica del 1930 provocò, con la caduta generale dei prezzi, quella ulteriore e duratura dei prezzi dei prodotti agricoli, e in particolare del grano. I governi dovettero intervenire, a protezione degli agricoltori, sia con provvedimenti interni, sia con accordi internazionali. Furono adottate soprattutto misure limitatrici della libertà del commercio granario. Tale l'Accordo di Londra (1933), che stabiliva una riduzione media della produzione del frumento da parte dei paesi esportatori del 15% e fissava le quote rispettive d'esportazione per ognuno di essi, ma che fallì in pratica. La crisi, d'altro canto, rafforzava la tendenza generale, già delineatasi durante la prima Guerra mondiale, all'autosufficienza. I paesi importatori elevarono le tariffe doganali a due e anche tre volte quelle vigenti prima del 1930, imposero dazî dove l'importazione di frumento era stata libera fino allora, e ricorsero a tutta una serie di misure quali: contingentamenti, monopolî delle importazioni, clearings, premî di produzione, dazî preferenziali, ecc.
Il complesso di queste misure ebbe per risultato di isolare dal mercato mondiale del grano i mercati nazionali di diversi paesi importatori. In qualcuno di questi (per es., Germania, Italia, Francia) i prezzi pagati ai produttori nazionali superarono di parecchio quelli cif del grano d'importazione: nel 1938, a Liverpool il grano importato costava 70 cents degli S. U. per bushel, mentre il grano nazionale costava a Parigi 152 cents, 212 a Milano, 225 a Berlino. Il volume del commercio mondiale si contrasse: le importazioni nette di grano e farina passarono da 21,7 milioni di t. annue nel periodo 1924-28 a 15,1 milioni di t. nel 1934-38 e la diminuzione fu dovuta in gran parte alle scemate importazioni dell'Italia, Germania, Austria, Francia, Cecoslovacchia, Egitto e Giappone.
I paesi esportatori - dove i produttori, invece di ridurre le superfici investite nella coltura, le mantennero o anche le estesero, nel tentativo di accrescere così i loro redditi - cercarono di sostenere i prezzi alla produzione mediante compere per la costituzione di stocks statali, controllo delle aree seminate, infine con premî e prestiti agli esportatori.
Un tale sistema, minuzioso e completo, fu adottato dagli Stati Uniti, che poi, durante il nuovo conflitto, garantirono il prezzo di vendita ai produttori. L'Ufficio canadese del grano, creato nel 1935, offriva agli agricoltori che gli consegnavano il prodotto un anticipo, il prezzo finale essendo determinato dopo la vendita di tutto il raccolto. In Argentina, l'Ufficio di regolamentazione dei cereali dal 1933 comprava tutti i raccolti a prezzo prestabilito. In Australia, dal 1938 si assicuravano ai produttori 5 sc. 2 d. per bushel di grano destinato al consumo interno, mediante un fondo alimentato da una tassa speciale nel caso che la quotazione del grano per l'esportazione scendesse al disotto di 5 sc. e 2 d. e dagli stessi produttori nel caso inverso.
La serie di cattivi raccolti negli Stati Uniti, dal 1933 al 1936, e la grande siccità del 1937 nel Canada, alleggerirono la situazione determinando rialzo dei prezzi e riduzione degli stocks di circa due terzi nei principali paesi esportatori. Ma nel 1938 la situazione era di nuovo critica in seguito all'eccezionalmente abbondante raccolto mondiale, che riacutizzava il problema degli eccedenti. Questi aumentarono ancora allorché, con la seconda Guerra mondiale, l'Europa fu in gran parte tagliata dalle regioni granifere (le esportazioni verso l'Europa continentale cessarono quasi totalmente dal 1940, quelle verso la Gran Bretagna caddero da 7 milioni di t. nel 1940; a 4,4 nel 1943) mentre Stati Uniti e Canada registrarono un seguito di raccolti record. A metà del 1943 gli stocks dei quattro grandi paesi esportatori (Canada, S. U., Argentina e Australia) toccarono il massimo di 47,3 milioni di t., poi presero a ridursi fino al bassissimo livello di 10,1 milioni di t. nel 1946. Causa del passaggio dalla sovrabbondanza ad una quasi penuria furono gli approvvigionamenti militari; l'enorme consumo di grano avutosi nell'America settentrionale per l'alimentazione del bestiame; la sua utilizzazione su grande scala nelle industrie statunitensi; la massiccia domanda verificatasi nei paesi liberati o conquistati e in India.
La scarsità dei raccolti dopo la guerra, specialmente nel 1946-47 (solo gli S. U. registrarono un altro raccolto record; v. tabella), e le previsioni di lunga durata d'una tale situazione e della difficoltà che le esportazioni potessero in futuro mantenersi all'alto livello raggiunto nel 1946-47 (23,2 milioni di t., di cui 10,2 degli S. U., ormai alla testa degli esportatori) favorirono la continua ascesa del prezzo del grano (3,10 doll. per bushel a Chicago a fine 1947), tracollato nel febbraio 1948 a 2,40, quando si dimostrarono infondate le previsioni pessimistiche. Allo scopo di assicurare agli esportatori i mercati di sbocco e di dare ai consumatori la certezza di ricevere regolarmente il grano, nella quantità necessaria e a prezzi ragionevoli, Canada, Stati Uniti e Australia insieme con 33 paesi importatori conclusero, a Washington il 6 marzo 1948, un accordo della durata di cinque anni, a partire dal 1° agosto, che prevede la costituzione di stocks di stabilizzazione dei prezzi nei paesi aderenti, l'adozione di contingenti annui obbligatori di compera da parte dei paesi importatori (per l'Italia:1,1 milioni di t.) e di vendita per i tre paesi esportatori (13,6 milioni di t. complessive)
Anche per quanto riguarda il grano, la guerra in Europa ebbe effetti dolorosi. La superficie seminata venne ridotta e il rendimento per ettaro cadde dappertutto. In complesso, la produzione fu, nei primi anni di guerra, inferiore dal 15 al 20% alla media prebellica, in tutta l'Europa Continentale, e diminuì ancor più per le distruzioni e la disorganizzazione arrecate dalle operazioni belliche del 1944-45 Notevole, invece, l'incremento ottenuto in Gran Bretagna (da 17 milioni di q. nel 1934-38 a circa 20 nel 1946).
Il raccolto di grano in Europa nel 1948 è stato di 35,8 milioni di t., ed eccellenti risultano quelli degli S. U., Canada e Argentina (rispettivamente 35; 10,6 e 7 milioni di t.). Inoltre, le previsioniper il raccolto di cereali panificabili per il 1948-49 dànno, per i 14 paesi compresi nell'ERP (i soli per i quali si hanno dati) cifre superiori del 40% al raccolto del 1947-48. Tutto ciò può far sperare che, nel 1950-51, i detti paesi potranno aver completato regolarmente il programma ERP che prevede, per quell'epoca, una produzione di cereali panificabili (cioè soprattutto grano) uguale al 96% della produzione prebellica.
In Italia, le ripercussioni della situazione mondiale del grano e più ancora la politica nazionalistica del regime fascista, avevano determinato, già dal 1925 con l'inizio della "battaglia del grano" l'indirizzo che poi doveva divenire decisamente autarchico. Il dazio sul grano fu ripristinato, nella misura di lire-oro 7,50 al quintale (= lire carta 27,50), portato nel 1928 a lire oro 11 e nel 1930 a 16,50 (= lire carta 60,60) I prezzi del grano nazionale ne risultarono subito accresciuti e poi sostenuti, quando in tutto il mondo cominciava ad accentuarsi il ribasso. In conseguenza aumentò la superficie investita a grano e la produzione (1929: 70,7 milioni di q.). Fra il 1930 e il 1934 si ebbero le ripercussioni della grande crisi mondiale e le caratteristiche su accennate della politica granaria italiana si accentuarono. Il dazio doganale passò da lire 60,60 a lire 75; fu stabilito l'obbligo di usare una percentuale di grano nazionale nella produzione di farine e semolini; l'area coltivata a grano (4,8 milioni di ha. nel 1925-29;4,9 milioni di ha. nel 1930-34) aumentò ancora e così la produzione media, da 60 a 66,5 milioni di q. annui. Dopo il 1935, pur essendo venuti a cessare gli effetti della crisi, l'indirizzo autarchico fu mantenuto e la granicoltura continuò ad esser favorita, mediante l'istituzione degli ammassi, prima volontari poi obbligatorî, dei premî ai produttori, dei prezzi di sostegno, ecc., anche se ciò andava a scapito di altre colture, specialmente di quelle basilari dell'industria zootecnica e, in genere, dell'armonico sviluppo dell'agricoltura nazionale. Durante la guerra la superficie coltivata a grano diminuì relativamente di poco (dai 5,1 milioni di ha. del 1935-39 ai 4,8 milioni del 1944) e la produzione si mantenne pure a un livello discreto fino al 1943, ma poi decadde fino ai 41,9 milioni di q. del 1945. La ripresa è stata ardua, ma costante: il raccolto del 1948 è di 61.361.000 q., il che riduce il quantitativo che necessariamente deve chiedersi all'estero per potere alimentare una popolazione crescente. ll programma studiato dal governo italiano, nel quadro dell'ERP, prevede una produzione di 75,5 milioni di q. per il 1950-51: produzione che probabilmente potrebbe esser realizzata senza eccessive estensioni dell'area coltivata a frumento, ma con l'applicazione dei più razionali metodi tecnici atti ad aumentare la resa e la qualità dei grani impiegati.