LIBANO, Grande (ebr. Lĕbānōn; gr. Λίβανος; lat. Libănus. La connessione del nome con le radici l-b-n "essere bianco", un tempo generalmente ammessa, è oggi contestata e si ritiene che esso sia di origine presemitica. A. T., 88-89)
È la catena montuosa della Siria media, che si eleva parallelamente alla costa mediterranea, come un imponente baluardo tra la Fenicia e la Siria interna, ben diverse l'una dall'altra per clima e paesaggio. La catena corre in direzione SSO.-NNE., per una lunghezza di 175 km., con larghezza via via crescente da sud a nord. Il versante interno, orientale, declina ripido e unito verso la profonda e ampia depressione valliva del al-Biqā‛ che lo separa dall'Antilibano; il versante occidentale scende invece al mare assai più lento, rotto in una serie complessa e frastagliata di altipiani e terrazzi variamente incisi. Il Libano trova a nord un limite naturale nella depressione del Nahr el-Kebīr (a ponente di Ḥimṣ), coperta di lave basaltiche, che lo separa dai monti della Siria settentrionale. A mezzodì invece si continua nei monti della Galilea, ed è meramente convenzionale il limite che gli si suole indicare nella profonda valle trasversale del Nahr el-Laiṭānī (Leonte). Orograficamente si distinguono nella catena due sezioni, l'una a nord e l'altra a sud della più profonda intaccatura, il Passo del Libano (o di Stora, o Mugiteh, 1542 m.), per il quale passa la strada da Beirut a Damasco. La sezione meridionale si presenta come un massiccio bastione, che si va elevando sino a raggiungere i 2222 m. nel Gebel el-Baruk. Più a nord, specialmente oltre il nevoso Sannin (2608 m.), visibile da Beirut, la catena si allarga e si fa più sviluppata e complessa, smembrata in due serie parallele di cime tabulari che si estendono come altipiani più o meno ampî e si elevano fino ai 3000 m. e oltre, toccando i 3066 m. col Dahr el-Dubāb o Dahr el-Chodib (Gebel Fun Misab): è qui la celebre regione dei cedri, il cui altipiano si estende per un centinaio di kmq. La catena termina verso il Kebir con il Gebel Akkar, alto 2130 m.
La morfologia è piuttosto uniforme. Le zone elevate, tozze anche se imponenti, non poterono essere plasmate dall'azione glaciale, che vi fu limitata, benché anche oggi non manchino nevai persistenti. La catena presenta le più numerose articolazioni nel versante O., inciso da numerosi solchi vallivi che scendono direttamente al mare; ma la direzione prevalente delle valli principali è nel Libano settentrionale a NO, nel Libano centrale e meridionale a S., vale a dire longitudinale rispetto alla catena, salvo a piegare poi verso O. nel tratto inferiore per raggiungere il mare con profonde gole trasversali. Tale è il caso delle valli del Nahr el-Auali (antico Bostrenus), del Zaharani, del Damur (antico Tamyras), del Leonte; non mancano vere forre, come quelle del Nahr Ibrāhīm (Adonis), del Nahr el-Kelb (Lycus), e soprattutto quelle del Nahr el-Kadisha, il "fiume sacro", che si affondano paurosamente fino a 500 m.: la loro grandiosità è uno dei tratti salienti del paesaggio del Libano. All'estremo N., il Nahr el-Kebīr (Eleutherus) nasce nel versante E. della catena e sbocca sul versante O. dopo averne contornato l'estremità. La grandiosa valle longitudinale del al-Biqā‛, l'antica Celesiria, che si deprime con un dislivello di 1500-2200 m. fra il Libano e l'Antilibano, ha fondo piatto e uniforme, di circa 120 km. di lunghezza con 8-14 di larghezza; è percorsa da due fiumi correnti in direzione opposta e il cui spartiacque è nei pressi di Baalbek: si dirige a N. l'el-‛Āṣī (antico Oronte) e a S. il Leonte che attraversa poi la barriera montuosa nel suo tronco inferiore con una delle gole più pittoresche.
Il Libano è costituito essenzialmente da calcari, giurassici in basso e cretacici nella parte media e superiore. Fra essi s'interpongono potenti banchi di arenarie spettanti al Cretacico inferiore. Il motivo tettonico dominante, che qualche autore designa a zolle tabulari, è piuttosto di catena a dolci pieghe, rotte da numerose faglie longitudinali per la rigidità delle potenti masse calcaree. Nella parte mediana della catena si rileva una sola amplissima piega anticlinale, ma a N. e a S. se ne delineano parecchie in cui essa si scinde. La valle del al-Biqā‛ è una grandiosa sinclinale, che due lunghissime faglie marginali hanno convertita in una fossa tettonica, prosecuzione della fossa del Giordano. Il paesaggio è analogo a quello delle catene recenti formate da rigide masse calcaree, ma con vivacità di tinte (massime a distanza), e valli assai pittoresche, specie nel Libano settentrionale. Torreggiano in alto le enormi muraglie grige dei calcari cretacici, mentre più giù i calcari giurassici presentano una fuga di chiare pareti nude; ma l'interposta zona arenacea, potente alcune centinaia di metri, si addolcisce in una moltitudine di rilievi a lenti pendii e a vivaci colori, ed è ricca di acque e di vegetazione. Per la parte antropogeografica ed etnografica, vedi la voce siria. (V. tavv. III e IV).
Storia. - Le dense foreste, oggi quasi del tutto scomparse, che ricoprivano le pendici del Libano (i famosi cedri del Libano, e inoltre cipressi) attirarono assai per tempo l'attenzione di quei paesi dell'Oriente anteriore nei quali le esigenze di una civiltà progredita richiedevano abbondante legname da costruzione, che appunto mancava loro. Tanto per l'Egitto quanto per la Mesopotamia lo sfruttamento delle foreste libanesi costituì un'importante scopo politico: a esso è in gran parte dovuto il traffico svoltosi fin dalle prime dinastie faraoniche tra l'Egitto e la costa fenicia, e il conseguente assoggettamento delle città fenicie (v. biblo; fenici); anche da parte dell'antico impero di Babilonia, fin dai tempi di Sargon I, e poi dell'impero di Assiria, furono fatte numerose spedizioni per assicurarsi l'approvvigionamento di legname, e il Libano (Labnānu) è frequentemente menzionato nei documenti cuneiformi. Sembra che, oltre al legname, il Libano abbia fornito nell'antichità anche ferro, benché in quantità non certo cospicua.
Ma il dominio della montagna non poteva andare disgiunto da quello della costa su cui essa è prospiciente. Le sorti politiche del Libano furono quindi sempre legate a quelle delle città fenicie; e queste dovettero appunto gran parte della loro prosperità, e in modo particolare lo sviluppo della loro marineria, al possesso delle foreste libanesi. Notissimi sono i rifornimenti di legname che il re Hirām di Tiro somministrò a David e a Salomone (II Sam. [Re], V, 11; I [IV] Re, V, 20, 22-24). Il Libano ebbe per i Fenici anche importanza religiosa: la rappresentazione, largamente diffusa presso i Semiti, delle cime montuose quali soggiorno, o luogo di manifestazione, della divinità celeste fece sorgere il culto del "Ba‛al del Libano", di cui è testimonianza un'iscrizione del sec. VIII o VII a. C., trovata a Cipro (Corpits Inscr. Sem., I, 5). Esso dovette essere portato a Cartagine dai coloni di Tiro, poiché anche colà è attestato un promontorio Libano e il culto del suo Ba‛al. Presso gli Ebrei, il cui territorio confinava a nord con le estreme propaggini del Libano, questo è di frequente menzionato, sia nei libri storici della Bibbia, sia in quelli poetici: le nevi del Libano, i suoi immensi cedri offrono materia d'immagini e di similitudini.
Per quanto unito alle vicende politiche della Fenicia, e poi della Celesiria e Siria (passando quindi dal dominio persiano a quello macedonico, poi alternativamente a quello dei Seleucidi e dei Tolomei, e finalmente a quello dei Romani), il Libano, per il suo carattere impervio, si sottrasse quasi sempre al diretto dominio dei suoi sovrani nominali. Nella sua popolazione, in gran parte aramaica o aramaizzata, s'infiltrarono già in età anteislamica elementi arabi nomadi provenienti dal deserto sino-arabico.
L'invasione della Siria da parte degli Arabi, dopo che la battaglia dello Yarmūk (636 d. C.) ebbe sgominato la resistenza bizantina, non si estese da principio al Libano, protetto dalla sua natura impervia. Quando più tardi, e specialmente a partire dal califfato di Mu‛āwiya I (661-680), fu tentata l'occupazione definitiva della regione, essa si scontrò nella resistenza della popolazione, alla quale si unirono i Giarāgimah (probabilmente da identificarsi coi Maraiti delle fonti bizantine), popolazione nomade e bellicosa, originaria dell'antica città di Gurgum alle falde del monte Amano, che invasero il Libano alla fine del secolo VII, stimolati dall'impero bizantino che vedeva in essi dei preziosi alleati nella lotta contro l'Islām; essi infatti, padroni della zona montuosa, facevano periodiche incursioni devastatrici contro le città della costa, spesso combinate con attacchi da parte della flotta bizantina. Questo stato di cose, prolungatosi per tutto il sec. VIII, spiega come il Libano divenisse il rifugio di ogni sorta di profughi e come sulle pendici delle sue catene e nelle sue valli si stabilissero gruppi etnici diversi e sette religiose disparate. Uno speciale sviluppo vi prese la confessione cristiana dei maroniti, destinata più tardi, mercé l'unione con la Chiesa romana, ad assumere una parte principale nella storia del Libano e in generale nella civiltà arabo-cristiana. L'islamismo ebbe il sopravvento nel Libano, e anch'esso non mai goduto senza ostacoli e alternative, soltanto con l'occupazione della sua zona meridionale da parte della tribù araba nomade dei Tanūkh, che vi costituì uno staterello, il cosiddetto emirato del Gharb (propriamente "occidente", la zona sud-occidentale del Libano intorno a Beirut), i cui principi sostennero più tardi, nei secoli XII e XIII, aspre lotte con i crociati. Nel frattempo si era propagata nel Libano, dalla fine del sec. X, l'eresia ultra-sciita dei drusi, contribuendo ad aumentare il carattere composito e lo stato di continua effervescenza della regione; anche altre sette, come quella dei nosairi e dei mutawālī, vi trovarono rifugio e adepti. Vi ebbero anche centri notevoli i cosiddetti Assassini. Le crociate e la conseguente formazione di stati feudali latini sulla costa della Siria portarono all'occupazione latina del Libano settentrionale, dove i crociati stabilirono, come nel rimanente del territorio siro-palestinese da loro tenuto, salde fortezze (la più importante è il famoso Ḥisn al-Akrād "il forte dei Curdi", propriamente già fuori del vero Libano, rimasto in possesso dei cavalieri di San Giovanni fino al 1271). Dall'espulsione dei Latini fino all'occupazione ottomana al principio del sec. XVI il Libano godette, sotto i sultani mamelucchi, di un'era di quasi indipendenza e di relativa tranquillità; i maroniti, sotto l'autorità dei loro vescovi e dell'aristocrazia locale, dominavano la porzione settentrionale; gli emiri Tanūkh quella meridionale; un'altra dinastia, i Banū Buḥtur, le pendici occidentali e Beirut; ai Tanūkh si sostituì alla fine del sec. XVI la dinastia dei Banū Ma‛n, il cui principale rappresentante, Fakhr ad-Dīn (v.), tentò di farsi signore non solo dell'intero Libano, ma anche di buon tratto della costa, ribellandosi apertamente agli Ottomani e cercando appoggio presso le corti europee (segnatamente il granducato di Toscana): benché fosse druso, egli favorì anche l'elemento cristiano. Ma, svanito con lui il sogno dell'indipendenza del Libano, la Porta ottomana cercò con l'aizzare gli odî religiosi delle varie comunità il modo di mantenerne l'equilibrio e di assicurare il proprio dominio; tuttavia l'influsso occidentale si fece sempre sentire nel Libano, dovuto in massima parte ai rapporti tra i maroniti e la curia romana. L'emiro Bashīr, della dinastia dei Banū Shihāb successa a quella dei Banū Ma‛n, del quale si dice che fosse segretamente cristiano, tentò agl'inizî del sec. XIX di riunire sotto di sé il Libano, ma fu, nel 1840, debellato ed esiliato, e la regione fu amministrata direttamente dalla Turchia fino al 1860. In quest'anno l'esacerbarsi delle lotte tra maroniti e drusi provocò l'intervento della Francia, in seguito al quale il Libano ottenne una parziale autonomia, con un governatore cattolico, nominato sì dalla Porta, ma col consenso delle potenze europee. Tale organizzazione favorì la penetrazione europea, specialmente francese, e giovò allo sviluppo civile di alcuni gruppi libanesi, specialmente dei maroniti; mentre d'altra parte l'intenso movimento migratorio verso l'America introduceva nuovi spiriti di civiltà. Ma le rivalità etniche e confessionali non scomparvero. Dopo che, durante la guerra mondiale, gli elementi islamico e druso ebbero avuto un effimero sopravvento su quello cristiano, la vittoria dell'Intesa e lo sfacelo dell'impero ottomano portarono alla costituzione (1ª settembre 1920) dello Stato del Grande Libano sotto mandato francese.
La repubblica libanese. - Il nuovo stato, oltre al Libano propriamente detto, comprendeva anche parte della costa, suo sbocco naturale, con Beirut capitale, Tripoli, Ṣaidā, Tiro, con una superficie totale di 9321 kmq. e una popolazione di 862 mila abitanti. I benefici economici e culturali della nuova organizzazione furono immensi; non altrettanto quelli politici, perché le contese tra maroniti, musulmani e drusi continuarono, complicate dall'insofferenza dell'autorità della potenza mandataria e dall'aspirazione all'indipendenza assoluta. Il Consiglio rappresentativo, con poteri consultivi, fu più volte disciolto dalla Francia.
Nel maggio 1925 il nome ufficiale del nuovo stato fu mutato in quello di repubblica libanese. A capo dello stato è un presidente eletto per 6 anni dalla Camera dei deputati; la quale consta di 46 membri, metà di nomina presidenziale e metà eletti per 4 anni. L'autorità della potenza mandataria si esplica attraverso l'alto commissario residente a Damasco. Il bilancio della repubblica per il 1930 diede 4.647.211 lire siriane di entrate e 4.659.614 di spese, con un deficit di 12.403 lire.
Bibl.: C. Diener, Libanon, Vienna 1886; M. Blanckenhorn, Die Structurlinien Syriens, in Richthofens Festschrift, Berlino 1893; id., Syrien, Arabien und Mesopotamien, Heidelberg 1915; E. Krenkel, Der Syrische Bogen, in Zentralbl. f. Miner., Geol. u. Pal., 1924; id., Geologie Afrikas, I, Berlino 1925.