Studio della scrittura quale rivelatrice del carattere e delle condizioni psichiche e morali di una persona.
Tra i primi che considerarono la scrittura atta a rivelare aspetti della personalità fu l’abate J.-H. Michon (1806-81), che fondò la Société de graphologie. Al sistema di Michon, basato sulle corrispondenze dei ‘segni fissi’, si oppose sia quello di J. Crépieux-Jamin (Traité de graphologie, 1885), per cui le qualità psichiche si manifestavano attraverso un insieme di ‘proprietà grafiche’ (velocità, forma, direzione, dimensione, continuità, ordine), sia l’opera del fisiologo W. Preyer (Zur Psychologie des Schreibens, 1895), che fondò le sue indagini su quattro leggi: a) variazioni della direzione, della lunghezza, della larghezza e delle interruzioni; b) ripetizione dei segni; c) relazione tra movimenti involontari di espressione e moti della scrittura; d) stimolo inconscio all’imitazione, e modellazione della scrittura in base a determinate immagini mentali.
In seguito si è cercato di portare la g. al livello di una scienza obiettiva, interpretando il rapporto fra scrittura e individuo alla luce della psicologia. L’obiettivo è stato ottenuto da M. Pulver (1889-1952), polarizzando l’apporto della psicanalisi e precisando il riflesso dell’inconscio (Symbolik der Handschrift, 1931). L’affermazione scientifica della g. è, tuttavia, attribuita al francescano conventuale G. Moretti (1879-1963), che mise in correlazione il movimento scrittorio alla dinamica interiore dello scrivente, favorendo così l’individuazione della singolarità di ognuno attraverso il ‘gesto grafico’; i segni nel suo metodo (Trattato di grafologia, 1914) sono precisati nella loro dimensione qualitativa e quantitativa. Grazie a questa impostazione scientifica la g. ha trovato riconoscimento a livello universitario (Scuola superiore di studi grafologici dell’università di Urbino, 1977).