GOFFREDO (Gaufridus, Godefridus, Gotefredus) da Viterbo
Cappellano e notaio del Sacro Palazzo con Corrado III, Federico I Barbarossa ed Enrico VI, per molti decenni esponente di rilievo dell'entourage imperiale svevo, autore di compilazioni storiche universali, che godettero di larga diffusione e di non meno significativi resoconti della politica imperiale, nacque probabilmente a Viterbo intorno al 1125. La data è dedotta, come buona parte delle notizie che lo riguardano direttamente, da un cenno autobiografico presente in una delle sue opere (nella fattispecie, in alcuni manoscritti del Pantheon G. dichiara, intorno al 1188-90, di avere 63 anni). Di là dai diplomi imperiali, fonti documentarie dirette relative a G. sono infatti assai scarse (né è verosimile che ne emergano di nuove) e una ricostruzione puntuale della sua biografia è assai problematica.
Della sua famiglia nulla si sa di preciso (da tempo è stata rigettata l'ipotesi dell'Ughelli che identificava G. con un esponente della famiglia Tignosi: "Gothifredus Tineosus nobilis Viterbiensis electus episcopus anno 1184"). Un documento del 1169 (Ficker) segnala i nomi di due suoi familiari: in tale anno G., insieme con suo fratello Guarnerio e il figlio di quest'ultimo Ramberto, ricevette in beneficio da Federico Barbarossa il palatium che egli stesso aveva in precedenza eretto in Viterbo. Tali nomi, insieme con il fatto che, di quando in quando, nei suoi testi G. usa, parlando dei Tedeschi, l'espressione "gens mea" oppure "nostri" (per es. narrando la battaglia di Legnano) hanno fatto pensare a un'origine germanica della famiglia di G.: non a caso egli compare sin dall'Ottocento nelle compilazioni enciclopediche tedesche. Ma la labilità dell'indizio onomastico è evidente e l'uso delle locuzioni ora citate può ben basarsi su una identificazione di tipo "politico" piuttosto che etnico. La stessa chiave di lettura vale per altre attestazioni, anche nei diplomi imperiali, che etichettano G. come "tedesco" o addirittura sassone.
G. stesso, comunque, riferisce del proprio apprendistato culturale in Germania, a Bamberga, al tempo dell'imperatore Lotario, quindi non dopo il 1137: "eo tempore" - locuzione che si riferisce genericamente al periodo di regno - "ego per Lotharium positus sum puer in scolis apud Babenberc" (Pantheon, ed. Waitz, p. 259). È dunque molto probabile che G., poco più che bambino, sia stato affidato alla corte imperiale in occasione del soggiorno dell'imperatore a Viterbo, nel 1133: ciò presuppone, ovviamente, un'origine altolocata. Peraltro, come è stato di recente osservato - non senza qualche buona ragione - da L.J. Weber, è lecito ritenere che la formazione di G. abbia compreso, nei quasi vent'anni intercorsi fra il suo trasferimento a Bamberga e la sua comparsa nell'entourage di Federico Barbarossa, altre esperienze, forse in Italia. Lo lasciano pensare sia talune scelte lessicali e ortografiche tipicamente italiane, sia talune caratteristiche della sua cultura teologica e filosofica, che stridono con il tradizionalismo dominante in quella scuola capitolare.
A ogni modo, per ragioni anagrafiche è lecito ritenere che l'inserimento di G. nell'ambiente di corte si collochi nell'età di Corrado III. Egli sembra distinguere, in una occasione, un primo breve periodo nel quale svolse la sola funzione di cappellano (cfr. Waitz, 1872, p. 1), ma altrove dichiara forse più plausibilmente che già nel quinto decennio del secolo svolse anche la funzione di notaio ("nota me Gotifridum huius libri authorem capellanum et notarium fuisse regis Conradi tertii et Friderici imperatoris et filii eius Henrici sexti", in Pantheon, ed. Waitz, p. 255). Più volte, retrospettivamente, fa comunque riferimento ad almeno quarant'anni di attiva permanenza nella corte imperiale (la stesura di buona parte delle sue opere risale infatti agli anni Ottanta del XII secolo). Più di rado menziona le varie circostanze nelle quali fu chiamato a redigere atti e a partecipare a importanti legazioni (due volte in Sicilia, in diverse occasioni in Francia, tre volte in Provenza; tra la Germania e l'Italia avrebbe viaggiato "quaranta volte", ma dal contesto si evince che il numero è iperbolicamente generico).
Se iniziò verosimilmente con Corrado III, fu con Federico Barbarossa che la carriera di G. fece un salto di qualità e ricevette un decisivo indirizzo: "ego a domino Federico imperatore primo per annos XL sub nomine capellani et notarii honoratus et a domino rege Henrico filio Frederici valde dilectus et honoratus" (Waitz, 1872, p. 1). Va anche detto, peraltro, che alla fin fine l'esperienza presso la corte imperiale di G. non ebbe esiti così brillanti, dal punto di vista della gratificazione personale, se si pensa che altri cappellani imperiali giunsero a occupare, in quei medesimi anni, sedi episcopali di rilievo.
Nel marzo 1153 G. sottoscrisse ("Gotefredus Viterbensis capellanus regis": Constitutiones, I, p. 203) il cosiddetto trattato di Costanza fra papa Eugenio III e l'imperatore, nonché il successivo rinnovo del medesimo accordo con Adriano IV (gennaio 1155, ibid., p. 214). Un'ulteriore, quasi certa, presenza di G. si riscontra a Dôle, alla fine di agosto del 1162, in occasione del fallito tentativo di composizione dello scisma vittorino, indetto per risolvere la contrapposizione fra il pontefice Alessandro III e l'antipapa Vittore IV.
La documentazione diplomatica incrociata con la più "politica" e "propagandistica" fra le opere di G., i Gesta Friderici, consente dunque di ricostruirne la presenza nelle spedizioni imperiali, perché testimone alla concessione di un diploma o perché testimone oculare di un fatto narrato. Sulla base dei Gesta però non sempre l'accertamento della presenza di G. è semplice, visto che spesso si riferisce globalmente (con la prima persona plurale) all'imperatore e alla corte, con la quale si identifica. Per questo motivo non è sicura, per esempio, la sua presenza alla distruzione di Milano nel 1162.
Sicura sembra invece la partecipazione di G. alla quarta spedizione in Italia di Federico Barbarossa, come mostrano la descrizione - da testimone oculare - della pestilenza che decimò l'esercito imperiale presso Roma (agosto 1167) e i riferimenti concreti all'inganno ordito dai cittadini di Susa contro l'imperatore. G. ricompare nell'ottobre 1169 a Donauwörth, quando ricevette, come già ricordato, insieme con i suoi familiari il feudo del palazzo di Viterbo. Nel 1174 è ancora presente a Susa, quando l'imperatore si vendicò sul Comune piemontese dell'affronto subito alcuni anni prima; in tale circostanza, e per specifico incarico dell'imperatore stesso, G. salvaguardò dalla distruzione le case dei fedeli all'Impero.
Su questa trama biografica, nota nelle sue linee generali già dalle ricerche ottocentesche (Waitz, 1867, 1872), gli studi degli ultimi decenni sulla Cancelleria imperiale, connessi per lo più con la riedizione dei Diplomata, hanno apportato una serie di approfondimenti importanti sulla sua attività di cancelliere e di storico, soprattutto per la prima fase della sua carriera. Secondo Baaken (1997), G. sarebbe l'estensore materiale del testo dell'accordo tra Federico Barbarossa e Adriano IV del 1155.
Hausmann ha sostenuto che G. sia da identificare con il cosiddetto notaio "Arnold II C", cioè con uno dei notai (identificati con le lettere dell'alfabeto) che redassero diplomi alle dipendenze del cancelliere Arnoldo di Selehofen, attivo con Corrado III e Federico Barbarossa: un notaio le cui scelte grafiche e culturali sembrano rinviare a un'origine italiana. La tesi di Hausmann, già nota e diffusa nella cerchia degli studiosi per le sue più che decennali ricerche in questo ambito diplomatistico, è stata ripresa già nel 1984 da Zeillinger, che vi ha apportato ulteriori indizi paleografici, anche se qualche dubbio resta per la distanza intercorrente fra i diplomi vergati dal notaio "Arnold II C" (risalenti agli anni Cinquanta del XII secolo) e gli autografi di G., degli anni Ottanta.
Per quello che riguarda, poi, gli avvenimenti degli anni Settanta - decisivi per il confronto politico tra Impero e centri di potere italiani - non è certo, ma è possibile, che G. abbia presenziato alla pace di Venezia (1177), che poneva formalmente fine al contrasto fra pontefice e imperatore. Due anni dopo (1179), G. fu imprigionato durante un'ambasciata condotta per l'imperatore presso Corrado marchese del Monferrato; la stessa sorte toccò poco dopo all'arcivescovo e cancelliere Cristiano di Magonza ("nota quia actor Gotifridus in legatione domini Frederici imperatoris captus fuit a Conrado marchione Montisferrati, et post eum Magontinus episcopus Christianus", Pantheon, ed. Waitz, p. 271). A questi anni risalgono le prove documentarie di altri concreti riconoscimenti che G. aveva avuto dall'imperatore, in conseguenza del suo prestigio e del suo fedele operato. Due documenti - del 25 e del 30 genn. 1178 - attestano che da tempo imprecisato G. apparteneva al capitolo della cattedrale di Lucca e al capitolo della cattedrale di Pisa. Si tratta di privilegi imperiali concessi nel primo caso per l'esclusiva intercessione di G. ("specialiter ob merita dilecti capellani nostri Godefredi eiusdem ecclesie canonici", Regesti del capitolo, p. 226), nel secondo caso per la mediazione dell'arciprete pisano oltre che di G. ("precipue interventu honorabilis viri Villani eiusdem ecclesie archipresbyteri ac capellani nostri Gotefridi Viterbiensis eiusdem Pisane ecclesie canonici", Italia sacra, III, col. 411).
È certo che G. fu anche canonico di Spira, città che egli mostra di considerare come la propria seconda, o vera, patria, mentre della sua appartenenza ai capitoli delle città toscane non v'è traccia nelle opere. Molto si è discusso anche di recente (Hausmann, Weber) sulla possibile identificazione di G. con altri Godefridus variamente attestati nella documentazione di quest'epoca a Francoforte e altrove.
Più scarsa risulta la documentazione relativa agli anni Ottanta e meno sicura la chiave di lettura della carriera di G. in quegli anni. Il 24 giugno 1186 G. - ormai sui sessant'anni - è comunque presente all'assedio di Orvieto da parte di Enrico VI. La tesi secondo la quale G. sarebbe stato il maestro di Enrico VI - sostenuta nell'Ottocento da Ullmann (il primo studioso a dedicare una monografia a G.), sulla base di alcuni indizi contenuti nel proemio delle opere a lui dedicate (lo Speculum regum e la Memoria seculorum) - viene oggi rigettata (Baaken, 1978; Weber). Anzi, proprio durante l'estate 1186 G. sembra essersi distaccato definitivamente dalla corte di Enrico VI, dopo un ultimo tentativo di procacciarsene il favore mediante la dedica della Memoria seculorum.
È proprio negli anni Ottanta che G. scrisse la maggior parte, se non la totalità, della sua opera. L'uso del singolare "opera" è legittimo, perché G. provvide a ripetuti rifacimenti dello stesso materiale, quasi tutto relativo alla storia universale dalla creazione del mondo sino al 1185 circa.
Databile al 1183 è lo Speculum regum, un Kaiserspiegel dedicato a Enrico VI che si inserisce in un genere letterario destinato a lunga fortuna, ma che non va al di là di una mera compilazione cronologica. Fu a lungo considerata una sezione dello Speculum un altro testo elaborato da G. forse già in quegli anni, la Denominatio regnorum imperio subiectorum, relativa all'epoca di Federico Barbarossa che ebbe un'autonoma circolazione manoscritta; il materiale fu poi rifuso nei testi successivi. Nel 1185 sembra sia stata completata una prima redazione di quel testo - misto di prosa e di versi - che fu poi edito dal Waitz col titolo di Memoria seculorum (o Liber memorialis), anch'esso dedicato a Enrico VI (e, in un manoscritto, poi ridedicato al papa Gregorio VIII); può essere a sua volta considerata un ampliamento dello Speculum. Un rifacimento del 1187, suddiviso in 20 sezioni, reca il titolo di Liber universalis. Tutto questo materiale è rifuso nell'opera più ampia e più fortunata (oltre 40 manoscritti) di G., il Pantheon, sorta di storia universale - in prosa e in versi - dalle origini del mondo al 1186, ispirata da scopi didattici e anche politici (dimostrare l'eccellenza della monarchia). Ne sono conosciute tre diverse redazioni, una completata forse nel 1187 e dedicata a Enrico VI e Urbano III, una non databile con precisione e una risalente al 1190. La critica (Schulz e, in particolare, di recente Boockmann) ha rivisto al riguardo le conclusioni del Waitz.
Quanto alle opere dedicate direttamente alle imprese dei due imperatori, i Gesta Friderici - mai portati a termine; editi per la prima volta da J. Ficker a Innsbruck, nel 1853 - furono scritti in versi dopo il 1185. I Gesta Heinrici, secondo l'opinione oggi prevalente (già sostenuta dal Wattenbach e dallo Scheffer Boichorst, più recentemente dallo Schmale, contro G. Waitz curatore dell'edizione), per quanto traditi da alcuni manoscritti del Pantheon, vanno espunti dal catalogo delle opere di Goffredo da Viterbo.
Se i Gesta Friderici sono fonte preziosa e da sempre usata in funzione delle ricostruzioni di storia politico-istituzionale, negli ultimi anni sembra avere preso il sopravvento, negli studi dedicati a G., l'attenzione per il Pantheon nelle sue varie fasi redazionali come grande collettore di testi, di tradizioni, di narrazioni suscettibili di utilizzazione in chiave letteraria (Boockmann).
Non è certa la data della morte di G., da collocarsi comunque nell'ultimo decennio del XII secolo.
Non esiste un'edizione critica completa delle opere di G., delle quali si occupò l'erudizione tedesca sin dal Cinquecento con l'edizione del Pantheon (a cura di J. Herold, Basileae 1559) e quella italiana con l'edizione muratoriana sempre del Pantheon (in Rerum Italicarum Scriptores, Mediolani 1725, VII, coll. 347-520). Basilare resta ovviamente Gotifredi Viterbensis Opera, a cura di G. Waitz, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, XXII, Berolini 1872, pp. 1-338; cfr. anche la recensione all'edizione di P. Scheffer Boichorst, in Historische Zeitschrift, XXIX (1873), pp. 441-446. Un esame accurato della tradizione manoscritta si trova nell'ultima sezione (pp. 179-195) dell'articolo di sintesi di L.J. Weber, The historical importance of Godfrey of V., in Viator. Medieval and Renaissance Studies, XXV (1994), pp. 153-195.
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