Complesso di dottrine e di movimenti spirituali, sviluppatosi in età ellenistico-romana e fiorito a fianco del cristianesimo antico. Si tratta di un insieme assai vario di sistemi e di scuole, privi di direzione comune, ai quali conferisce unità lo sforzo di soddisfare esigenze proprie dell’ambiente in cui si svolge, per cui sono affini i problemi fondamentali e le soluzioni, identico nel fondo lo spirito animatore, simile il linguaggio.
Primo fra gli elementi comuni è appunto la gnosi, «conoscenza», dalla quale dipende la salvezza spirituale, scopo supremo, il cui conseguimento costituisce la beatitudine promessa agli adepti. La gnosi è conoscenza, ma di carattere speciale: non conquista di verità a partire dall’esperienza o da principi o postulati, bensì conoscenza rivelata dei misteri divini e dell’ineffabile grandezza di Dio; non rivelata da un maestro che con l’insegnamento o l’esempio o con entrambi parli e agisca come divinamente ispirato, ma misteriosa, esoterica, espressa per lo più in forma di mito e concessa dal rivelatore celeste a piccoli gruppi di iniziati pronti a riceverla e a trasmetterla sempre come dono divino riservato agli eletti.
Fondamento comune della speculazione gnostica è l’esperienza del contrasto tra l’irraggiungibile perfezione e ineffabilità di Dio e il mondo con tutto il male che è in esso. Due mondi, dunque, dei quali quello della materia è ostacolo al pieno realizzarsi dell’altro, l’unico veramente dotato di realtà. Il contrasto è presentato sovente in forme immaginose; la più comune è quella della contrapposizione tra ‘luce’ e ‘tenebre’. Tra la fonte della luce e il mondo delle tenebre sta una scala di intermediari: il primo si espande nel pleroma, pienezza di esseri spirituali che derivano dal principio (uno, abisso, luce ecc.); dalla rottura del pleroma per un atto di ribellione o di orgoglio di un eone ribelle, inizia la discesa verso le tenebre: di qui l’origine del vario mondo materiale, in cui vengono a trovarsi mescolate particelle di luce che devono poi essere liberate attraverso una serie di processi di purificazione e di redenzione, resi possibili dall’intervento di un altro eone salvatore (Cristo).
Come il mondo, così l’uomo è miscuglio di materia inerte, ‘carne’, e di principio animatore e di luce e spirito divini, ‘anima’ e ‘spirito’. Questo dualismo antropologico non si limita a constatare i contrasti; al contrario, è anzitutto dottrina liberatrice, annuncio di un riscatto. L’essere (eone) celeste dalla cui caduta ha avuto origine la materia ha lasciato qualcosa di sé nell’uomo; e al processo di decadenza si contrappone quello della reintegrazione, per opera dell’essere celeste rivelatore, il quale nei sistemi gnostici a noi conosciuti è sempre, o quasi, il Cristo. Questi ha dunque una posizione centrale; ma, naturalmente, essendo un eone celeste, non può avere rivestito una vera carne umana, avere patito ed essere morto realmente: il docetismo è dunque un’altra caratteristica comune a tutta, o quasi, la gnosi. Sceso come ‘straniero’ nel mondo, il Rivelatore scuote l’uomo dal suo sonno, dall’ebrietà che lo abbrutisce, lo libera dall’ignoranza, lo scioglie dai lacci che lo tengono prigioniero. Così si attua la redenzione, che però non è concessa a tutti: vi sono uomini che restano schiavi della materia, ‘ilici’, oppure vivono a modo dei bruti, ‘psichici’; la salvezza è retaggio unicamente di coloro che, vivendo nello spirito (‘pneumatici’), sono capaci di accogliere e intendere la conoscenza, di diventare gnostici.
Nell’etica tale distinzione conduce a posizioni radicalmente diverse: dall’ascesi più rigida a un indifferentismo totale, in base al concetto che lo gnostico è ormai sottratto a ogni possibilità di contaminazione che gli faccia perdere il suo privilegio. Varia è inoltre, nei singoli sistemi e scuole, la prassi religiosa: essa comporta generalmente una simbologia complicata, sacramenti e riti, soprattutto d’iniziazione e purificazione, con riunioni liturgiche, canto di inni, feste ecc., e, nelle forme più popolari, anche vere e proprie azioni magiche.
Questa complessità spiega perché sia ancora tanto arduo il problema dell’origine e del carattere dello g., problema reso ancor più difficile dalla penuria e dalla natura delle fonti. Le poche fonti originali consistono in frammenti di testi riferiti da autori cristiani, specie s. Clemente Alessandrino, e in un piccolo gruppo di testi completi, quali la lettera di Tolomeo A Flora, anch’essa riferita da s. Clemente, le Odi di Salomone (siriache), la cosiddetta Pistis Sophia e i due Libri di Jeu, in copto, ritrovati invece in papiri; un’intera biblioteca gnostica è stata scoperta nel 1946 a Naǵ‛ Ḥammādī (Egitto meridionale), contenente fra l’altro i Vangeli apocrifi di Tommaso, di Filippo, di Maria e il Vangelo della Verità. Le principali fonti rimangono le opere polemiche di scrittori cristiani, da s. Ireneo, con la sua «confutazione della sedicente gnosi», a s. Ippolito romano, a s. Epifanio, a Teodoreto di Cirro, e gli apologisti ed eresiologi latini, da Tertulliano, a s. Agostino, a Filastrio di Brescia. È probabile, peraltro, che questi autori, condizionati dal loro stesso impegno polemico, non abbiano saputo presentare i sistemi da loro confutati in modo da renderli comprensibili e da esporli con fedeltà; d’altra parte hanno dato scarsi risultati i notevoli sforzi compiuti per appurare e ricostruire le fonti adoperate da tali autori, per es. il perduto Syntagma di s. Giustino.
Al problema dell’origine, o delle fonti, dello g. si affianca quello della natura di questo movimento: se sia un’eresia, o un gruppo di eresie, nell’ambito del cristianesimo, o movimento religioso-filosofico che ha con il cristianesimo rapporti soltanto esteriori e accidentali. Per il cristianesimo antico la risposta era facile: si trattava di un insegnamento di falsi dottori, derivato, come insiste soprattutto s. Ippolito, dalle dottrine dei filosofi greci. Tra i moderni, A. Harnack ha parlato di «ellenizzazione acuta del cristianesimo». Ma già W. Anz, e dopo di lui W. Bousset e R. Reitzenstein hanno messo in luce gli elementi orientali: i primi si sono limitati a parlare di dottrine orientali, il terzo, invece, ha ricondotto la soteriologia gnostica a un mito iranico della redenzione. Altri studiosi (P. Wendland, L.P. Steffes, H. Leisegang, G. Quispel, J.-P.-P. Festugière) e in genere le ricerche più recenti hanno invece cercato di superare la contrapposizione Oriente o Grecia puntando piuttosto sullo studio dell’ambiente in cui è nato lo g., costituito, geograficamente, dalla Siria occidentale o dall’Egitto: in questo ambito si sono sottolineati gli elementi diversi che costituiscono il fondo comune di molteplici orientamenti religioso-filosofici (una cospicua documentazione se ne ha nel Corpus Hermeticum); in particolare viene sottolineato l’elemento giudaico, del giudaismo eterodosso della Haggādāh e in genere dei commentari esoterici del Vecchio Testamento, ricchi di elementi cosmogonici, con i miti della creazione e della caduta dell’uomo primitivo, con un forte dualismo antropologico.
Ma non possono neppure dimenticarsi non solo il linguaggio greco di cui si serve la gnosi, ma altresì – e soprattutto – i miti cosmologico-religiosi, le religioni di gnosi e di salvezza che attraversano la complessa spiritualità del mondo ellenistico. Per cui non si può del tutto escludere un’influenza del mondo greco, in cui già erano penetrati elementi orientali e di cui i maestri della gnosi hanno interpretato le esigenze di una religiosità più individualistica (in contrasto con i culti cittadini o nazionali), quindi soteriologica, fondata su una dottrina almeno in apparenza razionale e comunque concordante con le conoscenze scientifiche del tempo.
Il cristianesimo stesso, con Gesù, non poteva non esercitare un forte fascino, e per contro ambienti cristiani o giudeo-cristiani subirono a loro volta l’influsso di speculazioni del genere. Lo stesso elemento fondamentale della ‘conoscenza’ non è del tutto estraneo al cristianesimo: vi fu infatti, accanto a quella ereticale, una gnosi ortodossa, e il cristiano pienamente formato è detto gnostico da Clemente Alessandrino. Comunque lo g. costituì per la Chiesa cristiana il massimo pericolo durante i primi secoli.
Il Nuovo Testamento e le fonti più antiche mostrano in Palestina e Asia Minore il gruppo di coloro che taluni storici hanno chiamato gnostici della leggenda: Simone il mago samaritano, su cui Giustino racconta episodi che hanno carattere leggendario, Cerinto, Elxai ecc., quindi, sotto Adriano, Satornilo, in Antiochia. S. Ireneo conosce numerose sette, che designa con vari nomi: barbelognostici, ofiti, cainiti, setiani ecc. Ma egli conosce già la grande fioritura gnostica di Alessandria, ove si collocano l’eminente figura di Basilide (120-145), Carpocrate ed Epifane, accanto ai gruppi più popolari, da cui emanano i testi copti. A Roma (145-160) troviamo l’altra massima figura dello g., Valentino e la sua scuola, che ebbe seguaci in Occidente, con Eracleone e Tolomeo, e in Oriente con Teodoto e Marco; così pure in Oriente fu importante il siriaco Bardesane. Suggestioni gnostiche si trovano in Mani e nei Mandei. Epifanio ricorda poi altre sette, di alcune delle quali, stabilite nell’Arabia settentrionale, risentì probabilmente l’influsso anche Maometto.