Globale e locale
Comparsa nel dibattito scientifico e sulla scena mediatica nel corso degli anni Ottanta, questa coppia di concetti si è affermata in modo particolare dopo la caduta del muro di Berlino (1989). Essa illustra una complessa dinamica sociale, di tipo multiscalare, assai vivace nel corso degli anni Novanta del 20° sec. e tuttora in atto. In principio, la diade g. e l. ha avuto una valenza eminentemente economica: la dissoluzione del mondo comunista, infatti, ha eliminato virtualmente ogni barriera al libero scambio internazionale, commerciale e finanziario in specie. Di conseguenza, l'internazionalizzazione dei mercati ha provocato una progressiva omologazione negli stili di vita un tempo diversi tra loro.
Questo processo di 'globalizzazione' (o di 'mondializzazione') è stato però accompagnato da forme di sradicamento culturale e sociale che hanno portato a una progressiva riscoperta del 'locale' e del valore, anche economico, della 'diversità'. Il 'luogo', con le proprie stratificazioni e complessità storiche, tradizioni culturali, patrimoni sia artistici sia immaginativi, secolari saperi tecno-strumentali, è diventato così una sorta di risorsa competitiva da immettere sul mercato globale. Queste nuove consapevolezze hanno alterato le forme di produzione standardizzate (comprendenti tecniche, procedimenti, gusti), con la riscoperta di valori tipici del 'luogo'.
Una particolare forma della ricomposizione dialettica tra scena globale e scena locale ha interessato l'Italia con il made in Italy, inteso non tanto come manufatto prodotto nel nostro Paese, ma piuttosto come bene concepito e realizzato da una cultura, da una sensibilità estetica, da un saper fare, che vantano in molti casi radici secolari: prodotti enogastronomici, comparti tessile e calzaturiero (alta moda), meccanico e automobilistico. Il made in Italy si è poi rivelato un significativo fattore di traino per le esportazioni italiane, anche se i risultati raggiunti hanno mostrato che le dinamiche globali non si definiscono una volta per tutte, ma mettono in gioco una molteplicità di elementi cui occorre adattare le specificità locali secondo strategie altamente flessibili definite brancolanti o strada facendo.
Due fattori, intervenuti a cavallo del millennio, hanno indotto progressivamente ad ampliare l'orizzonte semantico della diade globale e locale. Il primo fattore è strettamente legato alla nascita di movimenti di contestazione, ossia quella galassia di gruppi giovanili e non, centri di opinione accademici oppure indipendenti, reti di informazione e di controinformazione che si muovono sul piano locale e internazionale, sviluppando una forte critica alla globalizzazione e alle istituzioni che tentano di guidarne gli esiti: G8, Organizzazione mondiale del commercio (WTO, World Trade Organization), istituzioni finanziarie internazionali, in primis il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Tali movimenti dapprima si sono proposti come negazione della mondializzazione (no global), ma successivamente, inseriti in un processo sempre più maturo, si sono configurati piuttosto come new global, mettendo così in evidenza che la globalizzazione è un moto inarrestabile che veicola elementi anche altamente positivi non solo per la crescita di ricchezza e per una sua più equa ripartizione, ma anche per l'incremento di opportunità per i meno favoriti, la diffusione della libertà, la salvaguardia dei diritti umani e la conservazione dell'ambiente. È in questi termini che i movimenti hanno diffuso lo slogan 'un altro mondo è possibile', come opposizione alle spinte egemoniche di Stati ricchi e poteri forti che tentano di governare la globalizzazione a loro profitto.
Simboli dei movimenti altermondialisti sono diventati Seattle, dove per la prima volta, in occasione del Millennium Round svoltosi nel 1999, si è manifestata una reazione verso il WTO, e in special modo Porto Alegre, dove si è tenuto nel 2001 il primo Global Social Forum, organizzato successivamente con cadenza annuale alternativamente nella città brasiliana e in altre città dei Paesi in via di sviluppo. Il secondo fattore è rappresentato da quel drammatico evento che è stato l'attacco terroristico alle Twin Towers di New York dell'11 settembre 2001. La globalizzazione ha mostrato in questo caso specifico un profilo proteiforme, fragile e violento, nel quale l'aggressività pretende una sua ragione e assume, aspetti non più puntuali, geograficamente circoscrivibili, ma mobili e diffusivi.
Il complesso di questi fattori ha spostato l'asse della riflessione dagli aspetti economici della globalizzazione a quelli più ampiamente culturali. Ciò ha comportato un radicale mutamento di prospettiva sul piano concettuale, strumentale e normativo. In effetti, l'economia come logica dominante ruota attorno a ciò che possiamo chiamare genericamente 'interessi'; questi si fondano su una netta enunciazione dei fini e su una valutazione razionale dei mezzi mobilitabili per la loro realizzazione. Con gli eventi sopra richiamati, una componente culturale che era solo latente, o in ogni caso largamente subordinata per quanto riguarda l'organizzazione delle dinamiche della mondializzazione, è diventata a sua volta dominante, senza soppiantare quella economica, ovviamente, ma affiancandosi a essa. Questa componente asserisce il primato di un universo di valori legato alla religione, soprattutto, ma altresì alla lingua, ai miti fondatori, alla memoria storica, ai quadri paesistici e in genere ai patrimoni materiali e simbolici iscritti nei luoghi, ai saperi tradizionali, inclusi i saperi territoriali (come si convive con un fiume che straripa, con una montagna franosa). Sono state così valorizzate le forme dell'espressione artistica, gli stili di condotta pubblica, i modi della vita quotidiana, compresi quelli 'minori' che si condensano nella riscoperta del gusto o degli odori. A una logica degli interessi, che sussume una razionalità dei fini e dei mezzi, si unisce una logica delle 'passioni' inerente i sentimenti, le profondità psichiche dei soggetti, gli immaginari delle collettività territoriali. In breve, una sorta di koinè emozionale si è affermata nei processi globalizzati, logica che tende a sostituire una valutazione predittiva e calcolatrice degli eventi con una sensibilità pulsionale.
In connessione con questi elementi dominanti economici e culturali sono da segnalare almeno tre sviluppi di rilievo. Il primo concerne la capacità dei diversi soggetti di saper mobilitare le risorse transcalari. Si tratta quindi di agire sulle discontinuità tra ambiti d'azione di differente scala. Ciò che è importante, in questo caso, non è sapere operare a una scala o a un'altra, bensì sapere agire coerentemente alle diverse scale, rendendo compatibili e anzi mutuamente profittevoli le logiche del luogo concreto (i tempi lunghi, i saperi, i bisogni, le aspirazioni, le persistenze locali), con le logiche degli spazi astratti (i ritmi frenetici, le tecniche normalizzate, le giurisdizioni sovralocali, le aperture innovative globali). È l'idea del glocale, che mette l'accento più sulle complementarità delle scale, da individuare o addirittura da costruire, che sulla loro opposizione.
Una seconda direttrice di sviluppo riguarda i modelli identitari. Nella rappresentazione collettiva il luogo appare sempre più come la configurazione territoriale nella quale e grazie alla quale si realizza un progetto identitario dell'uomo-abitante fondato sulla 'presa in carico' e impegnato 'nell'avere cura'. Si disegna così una sorta di ethos dell'abitare, di cui è protagonista un soggetto che, ancorato in una collettività territorializzata, si rappresenta come qualcuno che è protetto da - e vuole proteggere - il posto in cui vive, così come questo si è venuto costruendo in rapporto alle condizioni morfologiche e climatiche, storiche, sociali, culturali che ne fondano l'identità. Questo ethos dell'abitare si connota per alcuni tratti insieme fondamentali e ricorsivi: desiderio e capacità di star bene nel territorio in cui si vive; partecipazione alle decisioni che modificano gli assetti territoriali, i quadri ambientali, i valori paesistici. In definitiva, l'ethos dell'abitare include una 'pratica della località' che riposa sul duplice fondamento dell'affettività e della responsabilità. L'uomo-abitante da una parte ama il luogo in cui vive, coltiva una topofilia, come direbbe Y.F. Tuan (Topophilia. A study of environmental perception, attitudes and values, 1974), dall'altra non soltanto 'conosce' il luogo, ma lo 'comprende', si identifica con esso e lo protegge. Questo atteggiamento comporta forti rischi di ripiegamento identitario, e dunque di chiusura verso l'esterno, e di conflitto nei confronti delle dinamiche transcalari che caratterizzano il rapporto globale e locale.
A questo punto si innesta il terzo tipo di sviluppo che caratterizza questa fase. L'emergenza della dominante culturale, infatti, fa sì che la mondializzazione divenga sempre meno il campo di applicazione di una 'legge' (presumibilmente economica) e sempre di più il campo di interpretazione di una 'regola' (presumibilmente morale). È all'incrocio di questi due campi, precisamente, che appaiono i nuovi bisogni di politica, giacché ormai le griglie proceduraliste del world trade non sono più in grado di produrre e garantire nessun automatismo sulla scena globalizzata: basti pensare, per avere un esempio macroscopico, all'emergenza di nuovi, possenti soggetti economici sul teatro internazionale, come la Cina. Ma assai illuminante, in proposito, e tutto interno all'Occidente - un campo che spesso viene percepito come coeso - è anche il serratissimo confronto in atto tra l'Unione Europea (UE) e gli Stati Uniti sul commercio dei prodotti transgenici dopo l'approvazione del protocollo di Cartagena (gen. 2000). Inoltre, si può considerare l'inefficacia di accordi largamente sottoscritti dalla comunità internazionale, ma ignorati da qualche membro di essa particolarmente influente: è il caso del protocollo di Kyoto (1997; l'ultima Conferenza sul tema si è chiusa a Montreal nel dic. 2005), con la posizione sostanzialmente ostile degli Stati Uniti, massima fonte delle emissioni nell'atmosfera dei cosiddetti gas serra (e, in particolare, del biossido di carbonio), che gli accordi stessi intendono disciplinare. Del resto, non bisogna dimenticare che in un sistemanel quale la razionalità dei fini e dei mezzi non è più in grado di assicurare il corretto funzionamento dei dispositivi globalizzati, si vengono a creare situazioni di disagio oppure, addirittura, di tensione che, sotto determinate condizioni, rischiano di sfociare in avventure di tipo autoritario o in soluzioni militari.
L'irruzione di 'qualità' che sono incommensurabili tra loro, offre paradossalmente alla mondializzazione la sua chance di sostenibilità, nella misura in cui essa reclama, a fianco di istanze di composizione degli interessi, delle istanze di regolamentazione dei poteri, ivi compreso il potere di decidere cosa è importante per le collettività locali e cosa non lo è. La dominante culturale, in conclusione, non è solo portatrice di instabilità. Essa introduce nei territori della globalizzazione una dottrina della fiducia comunicativa e una pratica del rischio consensuale che solo una rinnovata visione della politica come mediazione ispirata a un forte principio di effiquity (efficienza ed equità) sembra in grado di mettere in opera e di garantire nei tempi lunghi.
bibliografia
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