GLISENTI
Famiglia presente fin dal XIV secolo nel Bresciano, a Vestone in Valsabbia, dove esercitava l'arte del ferro; in età moderna estese la propria attività in altri comuni valsabbini e nelle Giudicarie. Nella prima metà dell'Ottocento Giovanni Battista (nato nel 1785), possedeva due fucine a Storo e a Creto in Trentino, quest'ultima dotata di due forni "à la comptoise" con maestranze francesi, e una grande segheria in Val Daone, presso Pinzolo, a cui si aggiunsero nel 1827 un negozio per il commercio del ferro a Brescia e, nel 1830 e nel 1832, rispettivamente una segheria e una fucina con tre ruote idrauliche e due magli a Lavenone in Valsabbia. Dal suo primo matrimonio con Domenica Cecilia Cappa, di Vestone, nacquero tre maschi: Bortolo, Giovanni Battista e Antonio. Rimasto vedovo, sposò in seconde nozze Maria Filippi di Storo, da cui ebbe cinque figli, Isidoro, Filippo (1821-37), Francesco, Maria (1824-60) e Costanzo.
Francesco (1822-87), patriota di sentimenti mazziniani, partecipò valorosamente alla campagna del 1848, distinguendosi a Castel Toblino e a Peschiera, fece poi parte nei primi giorni di agosto del Comitato di vigilanza per la difesa di Brescia affidata al generale Saverio Griffini. L'anno seguente fu tra gli insorti bresciani delle Dieci giornate e, dopo la resa, proseguì la cospirazione costituendo un comitato insurrezionale con Tito Speri. Nel giugno del 1859 G. Garibaldi ed E. Visconti Venosta, commissario straordinario del re di Sardegna, lo incaricarono con G. Zanardelli di promuovere l'insurrezione nella provincia di Brescia. L'anno seguente, quale membro del Comitato per l'emigrazione veneta, collaborò all'arruolamento dei volontari per l'impresa garibaldina dei Mille. Esponente della Sinistra storica, guidata a Brescia dallo Zanardelli, fu nel 1862 tra i fondatori della Società operaia di mutuo soccorso di Brescia, consigliere e assessore comunale dal 1865 al 1871, membro del Consiglio provinciale; fu deputato del Parlamento per il collegio di Salò nelle elezioni del 1876 e del 1880, anche se non prese mai parte attiva ai lavori parlamentari.
Il 25 sett. 1859 Francesco con i fratelli Isidoro e Costanzo, trasformando una cartiera che dopo la rovinosa inondazione del Mella del 1850 aveva cessato l'attività, fondò a Carcina in Valtrompia l'officina metallurgica Francesco Glisenti. L'impresa sorse con moderne aspirazioni industriali, dove innovazione tecnica, modernizzazione dei processi produttivi e lavorazione integrata avrebbero rapidamente permesso l'accaparramento di importanti commesse statali. Nel 1865 produsse 50.000 fucili per la guardia nazionale, tra il 1867 e il 1870 30.000 fucili Chassepot per la Francia. Ma fu soprattutto grazie allo Zanardelli che dal 1876 la Glisenti, battendo la concorrenza degli arsenali governativi di Brescia e Gardone, riuscì a ottenere importanti ordinativi statali di armi, proiettili e granate, a cominciare dalla fornitura in quello stesso anno di 25.000 fucili Wetterly.
Alla giovane impresa non mancarono i riconoscimenti nazionali e internazionali, come la medaglia d'oro all'Esposizione mondiale di Parigi del 1867, alle esposizioni di Firenze del 1861, di Milano del 1871 e di Torino del 1884. Il pezzo pregiato della produzione armiera era la pistola calibro 10,35, poi calibro 9, che venne prodotta dal 1874 ed entrò in dotazione alla Guardia di finanza, all'artiglieria e al genio, tanto che nel 1888 ne erano già stati prodotti 60.000 esemplari.
Costanzo (1827-96) e Isidoro (1820-67) in particolare diedero un notevole contributo ai processi di innovazione, istituendo e dirigendo un gabinetto di studi per prove e ricerche tecnologiche i cui risultati non tardarono ad arrivare.
Nel corso del secondo Ottocento ottennero numerosi brevetti: nel 1865, per un fucile ad ago; nel 1866, per la fabbricazione accelerata delle canne da fucile adoperando acciaio fuso nei crogioli; nel 1869, per un revolver a percussione centrale; nel 1870 per un fucile a retrocarica; nel 1876, per un altro fucile a retrocarica; nel 1886, per una innovativa preparazione della lignite per fondere i minerali di ferro negli altiforni; nel 1889, per la fabbricazione di catene in acciaio extradolce, per modificazioni al montaggio del cane del revolver e per un nuovo modo di produrre proiettili vuoti in acciaio.
Nel volgere di pochi anni l'iniziativa dei G. si estese sull'intero territorio triumplino. L'officina di Carcina, che nel 1868 impiegava più di 600 operai, non era che "il centro principale ove mettono capo una quantità di piccole industrie e di piccole fucine, sparse su per la valle […]. In queste, centinaja di operai lavorano a cottimo, e fabbricano pezzi secondarj delle armi, che poi versano alla officina principale, ove sono ripuliti e connessi assieme" (Robecchi, p. 263).
L'attività della Glisenti si venne via via sviluppando lungo il corso del fiume Mella: nel 1884 l'industria utilizzava complessivamente circa 500 cavalli idraulici, con impianti che, tenendo conto delle diverse fasi di lavorazione, erano situati da monte a valle, seguendo un percorso di trasformazione discendente e dando vita a un ciclo di produzione completo e perfettamente integrato. Più a monte era infatti posta la miniera - chiamata Alfredo dal nome del primogenito di Francesco - avuta in concessione dal 1872 su un'area di 300 ettari nel comune di Bovegno e da cui si estraevano 2000 tonnellate all'anno di ferro spatico manganesifero di ottima qualità, particolarmente adatto alla produzione di acciaio. Nella seconda metà degli anni Novanta la produzione era salita a 4000 tonnellate; il ferro veniva torrefatto in loco in tre forni a tino a fuoco continuo e passava poi nell'antico forno di Tavernole, posto 5 km più a valle, acquistato nel 1873 e completamente rinnovato, dove veniva trasformato in 1500 tonnellate di ghisa con carbone di legna proveniente dalla vicina Valsabbia e dal Trentino e conseguentemente in masselli di ferro e di acciaio pudellati.
Nell'opificio di Tavernole era attivo un altoforno a carbone di legna della capacità di 24 m3 e due forni di pudellatura Siemens, i quali utilizzavano per la combustione i gas di scarto dell'ossidazione che fuoriuscivano dalla bocca dell'altoforno, cosa che comportava il raggiungimento di temperature molto più elevate e un risparmio di combustibile. Questo impianto permise alla Glisenti, che fino ad allora si era rifornita di ghisa presso l'altoforno di Pisogne, di assumere il controllo diretto anche di questa fase del ciclo produttivo; 12 km più a valle, presso Zanano, vi erano due fucine per la bollitura e la stiratura al maglio in cui venivano lavorati i masselli di ferro e acciaio provenienti da Tavernole, l'acciaio prodotto a Carcina e materiale di rottamazione. Dagli impianti, dotati rispettivamente di tre magli idraulici e di due fucine, i trasporti avvenivano dal 1882 attraverso la tramvia a vapore che collegava Gardone Val Trompia con Brescia. Lo stabilimento di Villa, poco distante da quello di Carcina, era costituito da due corpi di fabbrica. Il più grande, adibito alla fabbricazione di acciaio con utilizzo parziale di rottami, era provvisto di un forno Martin-Siemens - installato nel 1883, con quattro gasogeni, gru e forni a riverbero, in grado di produrre lingotti da 7 tonnellate - e di tre magli a vapore, uno dei quali di 12 tonnellate, costruito dalla stessa Glisenti, in grado di fucinare i blocchi maggiori; il secondo, a uso di officina, era impiegato per la lavorazione delle canne delle armi da fuoco.
Il più importante degli impianti era quello di Carcina, con tre corpi di fabbrica adibiti alla siderurgia, alle costruzioni meccaniche e alla fabbricazione d'armi: il reparto siderurgico, munito di un forno Siemens installato nel 1872, produceva giornalmente 9 quintali di acciaio fuso e 3 tra acciaio colato in piccoli pezzi e ghisa malleabile; l'officina per le costruzioni meccaniche con relativa fonderia serviva sia per la realizzazione e la manutenzione degli impianti della Glisenti, sia per la fabbricazione di nuove costruzioni per conto terzi; la fabbrica d'armi, infine, era in grado di produrre fino a cento fucili al giorno, con una produzione media annua di 4000 pezzi tra armi da guerra e da caccia. La Glisenti possedeva poi due edifici in Brescia, uno utilizzato come magazzino e l'altro come studio e abitazione. Nel 1896 erano complessivamente occupati 730 operai.
Alla sua morte, avvenuta nel 1887, Francesco lasciava quattro figli avuti da Pierina Pellegrini: Maria (1869-1944), che sposò nel 1894 Ugo Da Como, Alfredo, Guido e Teodoro (1881-1970). Alfredo (1870-1906), laureatosi in ingegneria, aiutato nei primi anni dallo zio Costanzo, prese il controllo dell'impresa e fronteggiò la contrazione della domanda armiera. In primo luogo ridusse la produzione siderurgica, dando in concessione nel 1894 la miniera Alfredo e l'altoforno di Tavernole alla ferriera di Vobarno di A. Migliavacca in cambio di una percentuale sulla ghisa prodotta. Continuò la produzione di armi per l'Esercito e di chiavarde e catene per la Marina, ma soprattutto cercò nuovi sbocchi di mercato nel comparto meccanico allo scopo di emancipare un'impresa troppo esposta finanziariamente e dipendente dagli ordinativi statali.
Per questo, nel 1895, nell'officina meccanica di Carcina si studiò approfonditamente la possibilità di fabbricare biciclette e nel 1898, all'Esposizione di Torino, venne acquistato il brevetto dei motori a benzina del professor E. Bernardi di Padova dando inizio alla produzione di autovetture a tre ruote. L'insuccesso dell'impresa fu tale da costringere Alfredo ad abbandonare la fabbricazione di automobili e a cercare nuovi alleati; venne così costituita a Milano nel 1900 la società anonima Siderurgica Glisenti con capitale sociale di 2.500.000 lire il cui presidente era l'ingegnere Giuseppe Feltrinelli, mentre il G., con Federico Bettoni-Cazzago, diventava uno dei due consiglieri delegati.
Con la morte dello Zanardelli nel 1903 diminuivano ulteriormente per la Glisenti le possibilità di ottenere importanti commesse statali. Poi la prematura morte di Alfredo nel giugno 1906 portò alla liquidazione della società. Nel 1907, l'impianto di Villa, da soli due anni dotato di un nuovissimo altoforno munito di due motori elettrici per la movimentazione delle apparecchiature ausiliarie, venne venduto alla Metallurgica bresciana già Tempini e alla stessa impresa venne ceduto il recente brevetto per la pistola Glisenti modello 1905. Al ragioniere Guido (1878-1948), fratello di Alfredo, passava in proprietà lo stabilimento di Carcina, ormai ridimensionato alla sola produzione metallurgica e metalmeccanica.
Esclusa dal circuito delle commesse statali e della cantieristica, la Guido Glisenti di Carcina concentrò la propria produzione per soddisfare la domanda locale di beni che potevano essere prodotti da impianti che non necessitavano di eccessivi immobilizzi di capitali. Nel 1907 entrò in funzione la fonderia di ghisa, seguita nel 1910 dagli impianti per la formatura meccanica e nel 1918 da quelli per la costruzione di macchine utensili. I principali prodotti erano: getti di ghisa meccanica di qualsiasi dimensione e forma, tra cui i ferri da stiro a carbone muniti di una nuova maniglia in lamiera brevettata nel 1909; piastre di ghisa e accessori sempre in ghisa per cucine economiche, fornelli, carrucole e colonne; impianti completi per trasmissioni (tra cui quelli dotati di manicotto per puleggia folle brevettata nel 1912), pompe, presse, montacarichi industriali, banchi per trafila, seghe e lame multiple, telai meccanici per tessitura e relativi accessori. I prodotti trovavano sbocchi commerciali non solo in Italia, ma anche in Francia, Grecia, India e Spagna. La nuova impresa ebbe una rapida crescita e dai 40 operai iniziali salì a 120 nel 1910, a 230 operai e 18 impiegati nel 1924, a 280 nel 1927.
La fonderia di Carcina, allacciata fin dal 1897 alla rete elettrica, non vide però in questi anni l'introduzione di forni elettrici. Tre anni dopo l'inaugurazione, lo stabilimento nel 1929 fu dotato di forni rotativi a nafta per le ghise speciali ad alta resistenza meccanica e per quelle resistenti agli acidi e al calore. In questa prima fase dello sviluppo della motorizzazione la Glisenti si trovava a produrre getti per cilindri e parti di motore; intanto si specializzava nella fabbricazione di pompe per acidi, valvole e tubazioni per l'industria chimica. Il successo di queste nuove produzioni speciali, con due nuovi brevetti di pompa a doppio effetto nel 1934 e nel 1947, affiancate da quelle più tradizionali di ferri da stiro, pompe a mano e morse, portarono l'azienda a 567 operai nel 1936, a 677 nel 1939, fino a 787 nel 1941, oltre a tecnici e impiegati.
Guido ebbe dalla moglie Gemma Grazioli i figli Piera, che nel 1929 sposava Piero Carpani, e Franco (1910-47) al quale spettava il compito di continuare l'attività industriale. Per questo studiò a Zurigo, quindi ad Aquisgrana, alla Scuola superiore di fonderia, e dal 1936 affiancò il padre nella gestione aziendale. Quando nel 1947 Franco morì scapolo e senza eredi a seguito di un incidente motociclistico, Guido avrebbe voluto passare l'azienda al giovane nipote Francesco Carpani G. (nato nel 1930). Tuttavia la morte di Guido nel 1948 costrinse Piera (1906-97) G. a prendere il controllo dell'impresa paterna che venne subito trasformata in società per azioni con lei presidente e l'ingegnere bresciano Augusto Ragusini consigliere delegato. Ragusini, uomo di grande esperienza per essere stato dirigente della Breda per oltre vent'anni, ricoprì il ruolo di consigliere delegato della Glisenti fino al 1958, mantenendo l'azienda a livelli competitivi e introducendovi la produzione di ghisa sferoidale.
Nel 1952 venne ricostruita la fonderia ed entrò in funzione il primo impianto meccanizzato per la preparazione delle terre, corredato da moderni sistemi di formatura e colatura. La produzione di getti di ghisa, dalle pompe idrauliche ai basamenti per i motori, continuò per lungo tempo a essere la principale attività. Nel 1959 la Glisenti ottenne dalla società californiana Berkeley di produrne su licenza le pompe meccaniche per il Mercato comune e per il bacino del Mediterraneo.
Quando a metà degli anni Sessanta Piera, pur rimanendo in consiglio di amministrazione fino al 1974, lasciò la presidenza al figlio, il quale già rivestiva dal 1959 la carica di amministratore delegato, l'organico della società comprendeva 450 operai e 70 tra tecnici e impiegati. Nel 1966, con l'acquisto della Caster di Bologna, la società, pur mantenendo il vecchio marchio, assunse la ragione sociale Glisenti Caster con sede a Brescia e stabilimenti a Carcina e a Bologna.
Nel 1974 la proprietà azionaria passò sotto il controllo della Fiat-Teksid. Da Torino giunsero nuovi tecnici e vennero abbandonate alcune delle produzioni specializzate per la realizzazione quasi in esclusiva di basamenti per autoveicoli pesanti e per trattori. Con la crisi e il conseguente crollo degli ordinativi della Fiat, nel 1978, si dovette ricorrere alla cassa integrazione per quasi tutti i 700 operai. In un processo di razionalizzazione del gruppo, che privilegiava le aziende siderurgiche dell'area torinese, la Fiat-Teksid decise la liquidazione della Glisenti Caster. A nulla portarono i progetti presentati da Francesco Carpani G. nel tentativo di salvare l'impresa familiare. Solo nel 1980 egli riuscì a rilevare dalla Fiat-Teksid lo stabilimento di Carcina, dando vita con gli industriali Mario Cervati e Giovanni Dalla Bona, titolari delle Officine fonderie Cervati di Brescia, alla Fonderia Guido Glisenti s.p.a. che con un centinaio di addetti riprese a operare nel campo delle fusioni di ghise speciali. Alla fine del XX secolo l'impresa, di proprietà delle famiglie Carpani G. e Dalla Bona, si specializzava nella produzione esclusiva di ghisa sferoidale con fusioni di sicurezza per l'industria dei trattori, di macchine movimento terra e dei veicoli industriali.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Brescia, Imperial regia Delegazione provinciale, b. 4201; Imperial regio Ufficio provinciale di Polizia, b. 18; Carte Zanardelli, b. 77; Rapporto presentato al ministero di Agricoltura Industria e Commercio dalla Camera di commercio di Brescia, Brescia 1861, p. 40; Bollettino industriale del Regno d'Italia, 1865, 1866, 1869, 1870, 1876; Bollettino delle privative industriali del Regno d'Italia, 1886 e 1889; Bollettino della proprietà intellettuale, 1905, 1909, 1912, 1934; Bollettino dei brevetti per invenzioni, modelli, e marchi, 1947; G. Robecchi, L'industria del ferro in Italia e l'officina Glisenti a Carcina, in Il Politecnico, Milano 1868, pp. 247-280; G. Rosa, Metallurgica storica bresciana, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1877, p. 103; G. Quistini, Le armi bresciane, in Brixia 1882, Brescia 1882, p. 350; T. Buffoli - E. Garuffa, Memoria illustrativa delle condizioni presenti e possibili dell'industria siderurgica condotta in Valle Trompia dalla ditta F. Glisenti fu Gio. e relativa proposta e progetto di società in accomandita, Chiari (Brescia) 1884; M. Bonardi, Il ferro bresciano. Note storiche e statistiche, Brescia 1889, p. 37; Una nuova e potente società industriale, in La Provincia di Brescia, 23 sett. 1900; A. Gnaga, La provincia di Brescia e la sua Esposizione 1904, Brescia 1905, pp. 97 s.; Nel campo industriale, in La Provincia di Brescia, 18 maggio 1907; Camera di commercio ed industria di Brescia - Ufficio statistica, L'industria siderurgica, metallurgica e meccanica della provincia di Brescia al 1° gennaio 1924, Brescia 1924, pp. 9, 45 s.; Camera di commercio e industria di Brescia, L'economia bresciana (struttura economica della provincia di Brescia), II, parte I, L'industria, Brescia 1927, pp. 46 s.; A. Giarratana, L'industria bresciana ed i suoi uomini negli ultimi 50 anni, Brescia 1957, pp. 59 s.; U. Vaglia, L'arte del ferro in Valle Sabbia e la famiglia G., Brescia 1959; F. Facchini, Alle origini di Brescia industriale. Insediamenti produttivi e composizione di classe dall'Unità al 1911, Brescia 1980, p. 7; A. Fappani, Enc. bresciana, V, Brescia 1982, pp. 351 s.; F. Piardi - C. Simoni, Miniere e forni fusori in Valtrompia (secoli XIX e XX), in Atlante valtrumplino. Uomini, vicende e paesi delle valli del Mella e del Gobbia, Brescia 1982, pp. 156 s.; D. Montanari, Miniere, forni e officine meccaniche: da Bovegno a Carcina il patriota Francesco G. costruisce con tenacia il primo gruppo siderurgico "integrato" della storia industriale bresciana, in La banca Credito agrario bresciano e un secolo di sviluppo. Uomini, vicende, imprese nell'economia bresciana, II, Brescia 1983, pp. 376-379; F. Bevilacqua, Francesco G., Brescia 1989; Soroptimist International d'Italia - Club di Brescia, Piera Carpani G. e il suo tempo, Brescia 1998.