Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In Francia, sotto l’impulso della querelle des anciens et des modernes, si segnala il primo impegno storiografico moderno dedicato alla musica che ha il suo pieno sviluppo, nel clima illuministico, in opere quali il Saggio sulla musica antica e moderna di La Borde e il Dizionario di musica di Rousseau. Sull’esempio francese appaiono le prime “storie della musica” in Gran Bretagna (Burney e Hawkins) e in Italia (padre Martini).
Già dalla metà del XVII secolo l’osservazione si rivolge al mondo classico, come nel Tractatus compositionis augmentatus (1650 ca.) di Christoph Bernhard che si rifà a un ipotetico modello greco, ma si riflette anche nella pratica musicale, come nella cosiddetta “seconda pratica”, che Monteverdi giustifica riferendosi alla Repubblica di Platone.
Nel Settecento, tuttavia, emergono i primi veri impegni di ricostruzione storico-descrittiva della musica del passato e si pongono le premesse per lo sviluppo di una storiografia musicale nel senso moderno del termine, anche se inizialmente l’oggetto principale d’osservazione è un passato remoto e la proiezione rimane sul presente.
Il primo impegno filologico e critico di storiografia musicale si afferma in Francia, nel filone di opere nate in ambito tedesco e inglese da autori secenteschi quali Seth Calvisius, Giovanni Andrea Angelini-Bontempi, Christian Thomas, Wolfgang Caspar Printz e, soprattutto, Michael Praetorius. Un impulso non secondario viene offerto dalla querelle des anciens et des modernes, nell’ambito della quale il dibattito, che in fondo tratta questioni di gusto, cerca appoggi e argomenti di carattere storico e non soltanto critico. Jean Laurent Lecerf de La Viéville, gran sostenitore di Lully, inserisce nella seconda parte della sua opera dal titolo Comparazione tra la musica italiana e la musica francese (1704) proprio una histoire de la musique, trovando in essa punti d’appoggio alle sue tesi critiche pro francesi contro François Raguenet (Parallelo tra gli Italiani e i Francesi, 1702), che al contrario è pro italiano.
Risale al 1715 l’opera che possiamo considerare come la prima storia della musica in Francia: Storia della musica e suoi effetti di Pierre Bonnet-Bourdelot, che riunisce informazioni su oltre 200 autori. Anche questo lavoro ha le sue premesse nella discussione sulle qualità della musica francese e della musica italiana (e Bonnet-Bourdelot è “francesista”).
Lo sfondo del paesaggio “antico”, contro il quale si erano disegnate le opere “storiografiche” del Seicento, non svanisce del tutto nel nuovo secolo, pur sotto la spinta assai forte della querelle italo-francese che ha come obiettivo la realtà contemporanea e, anzi, lo sviluppo futuro della musica. Charles-Henri de Blainville con la sua Storia generale, critica e filologica della musica – il titolo è altamente significativo – interviene nella polemica, auspicando una fusione fra l’esperienza francese (Rameau) e quella italiana (Corelli), ma per le sue argomentazioni fa riferimento a “documenti” del mondo antico.
Gli interventi in questa vivace polemica sono numerosissimi e offrono l’occasione ai loro autori per delineare rappresentazioni storiche che, in più d’un caso, assumono la forma di prime descrizioni storiografiche dei percorsi della pratica musicale nel tempo.
Il complesso di questa produzione “premusicologica”, nata nel vivo di una polemica molto accesa, costituisce il riferimento essenziale per riconoscere il momento di formazione della storiografia musicale nella coscienza moderna. Va però osservato che, se la querelle è lo stimolo specifico di questa intensa attività intellettuale, sarebbe semplicistico e limitativo interpretare questo fiorire di nuovi interessi “storici” per il passato della vicenda musicale come il frutto di un’occasione contingente. In realtà la querelle rappresenta soltanto il manifestarsi di un indirizzo di pensiero in via di maturazione nel contesto del generale rinnovamento, della cultura e della coscienza, che si realizza in Francia nel Settecento. Al limite si potrebbe addirittura rovesciare la rappresentazione di quegli eventi guardando alla polemica quale occasione per far spazio e ragione a un processo che comunque è già in atto.
Il momento più alto della coscienza illuministica applicata all’osservazione delle vicende e della pratica musicale è certo il Saggio sulla musica antica e moderna (1780) di Jean Benjamin de La Borde e certo non bisogna dimenticare la pubblicazione del Dizionario della musica di Jean-Jacques Rousseau.
Le prime “storie della musica” confermano che la polemica sulle qualità della musica francese e della musica italiana non costituisce il motivo fondante della nuova attenzione storica; quelle che compaiono nella seconda metà del secolo sono infatti svincolate dalle precedenti intenzioni polemiche e sono già proiettate verso rappresentazioni storiografiche non contingenti.
Il pensiero filologico e critico maturato in Francia alla fine del secolo si diffonde in Europa e proprio fuori dalla Francia vedono la luce alcune opere determinanti per lo svolgersi della storiografia musicale moderna.
Il bolognese padre Martini applica alla sua monumentale Storia della musica (1757-1781) un metodo già sistematico e critico allo stesso tempo e, negli stessi anni, vengono pubblicate altre “storie della musica” che, assieme a quella di padre Martini, possiamo considerare i fondamenti della pratica musical-storiografica moderna: Storia generale della teoria e della pratica della musica di John Hawkins (1776) e Storia generale della musica di Charles Burney (1776-1778).
Queste opere, già con il ricorso all’uso dell’aggettivo “general”, rivelano un’intenzione di totale comprensività della vicenda musicale e pongono le basi di quella raffigurazione della storia musicale per periodi, autori e scuole che perverrà fino a noi e ancora oggi influenza la storiografia musicale. Anche il costante riferimento alle radici “antiche” della musica (intesa ovviamente come musica colta europea), vale a dire alle civiltà egiziane, babilonesi, bibliche, greche e romane, che vengono trattate nei primi capitoli, ha una lunga permanenza nelle trattazioni storiche sulla musica, pur basandosi su elementi incerti, ipotetici e, soprattutto, soltanto in parte documentati da ritrovamenti, ricerche e interpretazioni recenti.