Gli archivi
Istituito nel 1874(1) quale organo consultivo del Ministero dell’Interno cui erano state giusto allora attribuite — non senza vivaci dibattiti e dissensi — tutte le competenze in materia di archivi, anche di quelli in passato dipendenti dalla Pubblica istruzione(2), il Consiglio superiore degli archivi costituì per quasi un secolo, fino alla sua soppressione nel 1976, il luogo di un confronto di grande rilievo sulle principali scelte inerenti la vita e le vicende degli archivi italiani. Composto — non sarà inutile rilevarlo — da «persone estranee al personale degli Archivi»(3), per lo più esponenti prestigiosi del mondo culturale e di quello politico, era infatti competente in materia di leggi e regolamenti, ma era pure chiamato ad esprimersi su questioni riguardanti il lavoro negli istituti e i relativi servizi (acquisizioni, ordinamenti, scarti di atti, edizioni di fonti, scuole di paleografia), nonché graduatorie, idoneità e nomine del personale. È dunque da un osservatorio di tal genere — cui è spontaneo affiancare altre fonti ad esso contigue inerenti il settore degli archivi entro la più generale amministrazione del Ministero dell’Interno(4) — che ci pare interessante prendere le mosse per tentare di mettere a fuoco la temperie culturale del mondo archivistico veneziano. Si cercherà di farlo portando l’attenzione prevalentemente sull’istituto che per tradizione, mole di documentazione conservata e coagulo di progettualità storiografiche e di collegate operazioni di restituzione della memoria storica svolse un ruolo sicuramente egemone sulle altre realtà archivistiche cittadine(5). Le vicende dell’Archivio di Stato dei Frari nei primi decenni del Novecento, ripercorse in sintesi attraverso alcune tracce specifiche di indagine, assumono infatti un carattere emblematico a proposito del ruolo degli archivi nella vita intellettuale e nella produzione storica e letteraria dell’epoca, delle aspettative che attorno ad essi presero forma, infine delle loro iniziative e delle loro attività, in un quadro animato dai profili di coloro che di tali vicende, dall’interno e dall’esterno degli archivi, furono i protagonisti: archivisti innanzitutto, ma pure studiosi, docenti e accademici, politici e amministratori.
Due nodi problematici, fra loro ulteriormente intrecciati, segnano nei resoconti della documentazione centrale la storia novecentesca dell’Archivio di Stato di Venezia fino almeno a tutta la prima metà del secolo. Il primo si manifesta — dobbiamo prenderne atto — attraverso una ripetuta, inquietante reticenza a inserire questi decenni nella grande tradizione dell’istituto, che parrebbe essersi sostanzialmente interrotta con la fine dell’Ottocento. «È necessario tenere presente» così Annibale Alberti(6), allora docente di Storia all’Università di Roma e noto curatore di edizioni di fonti legislative e costituzionali, membro del Consiglio dal 1925 al 1942, in una memoria presentata nel maggio 1937 in occasione del concorso alla direzione dei Frari, «che questo Archivio veneziano ha avuto una bella, lunga e ininterrotta tradizione di reggimento e di scienza da Jacopo Chiodo, primo fondatore, a Tommaso Gar, a Bartolomeo Cecchetti, allo Stefani». E continuava: «L’istituto non è stato mai soltanto una raccolta di documenti, ma un attivo centro di studi; gli impiegati non furono soltanto fedeli custodi, ma anche interpreti sagaci dei documenti loro affidati; guide esperte agli studiosi, sapienti conoscitori di tutti i segreti e, vorrei dire, misteri di una complessa e singolare organizzazione politica e amministrativa quale fu quella veneziana»(7).
Con espressioni del tutto analoghe era intervenuto nel Consiglio superiore degli archivi nel maggio 1924 un altro ‘tutore’ della cultura veneziana nelle sedi romane, Pompeo Molmenti(8): «Nell’Archivio veneziano deve esser ripreso l’antico ritmo di vita che fu sì fecondo in passato. La tradizione veneziana, pur tanto benefica per i segnalati servigi che ha reso agli studi e alla vita amministrativa, deve essere ripresa. Deve essere intensificata quell’opera di ordinamenti ed assestamenti che trovarono nei Cecchetti, nei Predelli, nei Giomo, nei Dalla Santa, salde tempre di studiosi, nella loro modesta semplicità, e di infaticabili lavoratori, vissuti con encomiabile fedeltà nel patrio Archivio e pel patrio Archivio»(9).
Non si può non interrogarsi sui motivi di questa ribadita discontinuità, sul significato dell’evidente rimozione di una fase non breve di storia dell’istituto e di non pochi dei suoi principali protagonisti, così come sull’enfasi tutta positiva con cui viene rievocato, per contrasto, il periodo ottocentesco e quella generazione di archivisti che non ci pare improprio definire risorgimentali: Tommaso Gar, primo direttore post;unitario, attivo come del resto Federico Stefani nella rivoluzione del ’48, e Bartolomeo Cecchetti che, al di là delle ben note benemerenze archivistiche, aveva saputo schierarsi fino a patire il carcere per difendere la documentazione veneziana dalle ultime depredazioni austriache. Sempre nell’orbita del magistero di Cecchetti, leggiamo infine i riferimenti a figure quali Giuseppe Giomo e Riccardo Predelli, suoi seguaci e allievi fedelissimi, la cui parabola si sarebbe conclusa nel 1912 e nel 1908; nella schiera degli ideali epigoni di Cecchetti pure, unica eccezione cronologicamente in avanti, il richiamo a Giuseppe Dalla Santa, scomparso prematuramente nel 1920(10).
Ma un secondo nodo problematico pare affaticare le analisi e le proposte circolanti attorno all’Archivio veneziano: il riconoscimento dell’importanza e del prestigio internazionale del grande istituto, «che per la sua peculiare e singolare natura è fonte inesauribile della storia del mondo civile» — così con la consueta facondia Pompeo Mol;menti —, va di pari passo infatti con l’ammissione della complessità e della particolarità della sua documentazione, e con la correlata, inevitabile specializzazione delle conoscenze storiografiche ed archivistiche necessarie per governarla. Non di sole conoscenze, forse, parrebbe trattarsi, se ancora Annibale Alberti ricordava come «i cataloghi e gli inventari sono preziosi in mano a coloro che abbiano preventiva conoscenza della struttura amministrativa e politica dello Stato veneziano e delle sue magistrature e possiedano almeno un principio di aderenza con lo spirito delle carte in esso conservate»(11). Un archivista o un direttore, in definitiva, «anche di alto valore, che sia spiritualmente estraneo all’ambiente»(12), con difficoltà avrebbe a Venezia potuto adempiere in modo pieno al suo compito.
La questione non era di poco momento, né solo veneziana, ancorché negli archivi veneziani acuita in maniera evidente. La scelta accentratrice compiuta nel 1874 dal ceto di governo per l’intero apparato della pubblica amministrazione, e che per il mondo archivistico aveva comportato la livellante unificazione sotto il Ministero dell’Interno, era stata nei fatti inizialmente attenuata sul piano amministrativo, sempre nel 1874, dall’istituzione sul territorio nazionale di dieci Soprintendenze archivistiche, quasi delle «piccole direzioni generali degli archivi della rispettiva circoscrizione», con ampie competenze sia in materia archivistico-scientifica che di gestione del personale(13): «la sola concessione fatta dagli ambienti di governo [commenta Isabella Zanni Rosiello] a chi, uomini d’archivio e di cultura, avevano tentato nel decennio 1860-1870 di opporsi all’uniformità e al livellamento di tradizioni, risalenti ad un passato più o meno remoto»(14). La stagione delle Soprintendenze ottocentesche, che a Venezia aveva visto in pieno fervore l’attività del soprintendente-direttore Bartolomeo Cecchetti sull’intero territorio regionale, come testimoniano fra l’altro i tre volumi della Statistica degli archivii della Regione veneta(15), si sarebbe precocemente conclusa con la loro soppressione a partire dal 1892(16).
Il problema del recepimento nella memoria nazionale di tutte le variegate memorie locali che palpitavano con la ricchezza, la molteplicità e la dispersione delle loro tradizioni nelle diverse realtà regionali dovette accompagnare a lungo non solo la storia della cultura italiana, ma pure quella degli istituti culturali: fra essi, in particolare, le Deputazioni regionali di Storia Patria(17) e gli Archivi di Stato insediati a rete sull’intero territorio nazionale(18). Dietro le vicende novecentesche dell’archivio veneziano parrebbe allora possibile intravedere il riemergere di una nuova fase del persistente problema costituito dal delicato rapporto di relazione fra istanze nazionali unitarie (che significava pure, non va dimenticato, circolazione a livello nazionale di figure professionali e di dirigenti) e valorizzazione delle specificità locali: una composizione che, caduto lo slancio appassionato della prima generazione postunitaria e scomparsi i suoi interpreti culturalmente più alti, si poneva ora in tutta la sua complessità, senza più veli e mediazioni.
Assai espressive, a questo proposito, le ulteriori declinazioni del tema formulate sempre nel ’37 da Annibale Alberti che ricordava come, anche se «nel quadro generale dell’Italia fascista si deve assolutamente prescindere da concetti regionali», «l’Archivio di Venezia è l’unico in Italia il quale custodisca documenti di nove secoli di ininterrotta storia di un medesimo reggimento, reggimento che aveva una così singolare fisionomia, e una tanto alta potenza imperiale, da irradiare questa oltre i mari e gli oceani: esso possedeva persino una lingua propria poiché il dialetto veneziano, esaminato nei suoi aspetti fonetici e letterari, si può veramente dire una lingua, nella quale per secoli i documenti furono scritti»(19).
Al di là degli echi imperiali, una formulazione — quella del consigliere Alberti a proposito del rigetto dell’orizzonte regionale — che richiamava quasi alla lettera un sintomatico passaggio della relazione del ministro dell’Interno Gerolamo Cantelli sulla già citata legge istitutiva delle Soprintendenze archivistiche regionali del 1874, ben a ragione messo in evidenza dalla storiografia archivistica per il suo definire «ingrato» anche solo il riferimento al nome delle rispettive regioni di competenza: a testimonianza di una contraddizione irrisolta che avrebbe accompagnato fin dai primi anni postunitari, e sulla lunga durata, la politica archivistica italiana(20).
Impercettibilmente ma sostanzialmente andava mutando pure, a confronto della precedente stagione tardo-ottocentesca, il rapporto fra l’Archivio dei Frari e il suo pubblico, fra l’Archivio e le istituzioni ad esso con tramiti differenti ma significativi già strettamente collegate, quali innanzitutto la Deputazione veneta di Storia Patria e l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; mutato probabilmente anche il clima interno dell’Archivio, la tensione professionale e l’affiatamento fra il personale(21).
Se infatti per figure di archivisti quali Bartolomeo Cecchetti, direttore dei Frari per un quindicennio dal 1876, ma inserito nella vita dell’istituto fin dal 1855 e in esso interamente formatosi, si è potuto parlare di «intellettuale-tipo» di un’epoca(22), già con la designazione alla direzione dei Frari del suo successore il primato di identità professionale dell’archivista aveva dovuto dividere i suoi spazi con quelli propri di altri ruoli e attività. È significativo infatti come non un archivista, bensì lo storico Federico Stefani, presidente in carica della Deputazione veneta di Storia Patria, curatore dal 1879 assieme a Niccolò Barozzi e Guglielmo Berchet dell’edizione dei Diarii di Marin Sanudo e direttore del «Nuovo Archivio Veneto», fosse stato indicato nel 1889 dal Consiglio superiore degli archivi — relatore con un abile intervento il veneziano Berchet, a sua volta segretario della Deputazione ininterrottamente dal 1875(23) — alla conduzione dell’Archivio di Stato e della collegata Soprintendenza degli archivi veneti, previa nomina sul campo a «primo archivista»: sovrapponendosi in tal modo non solo ad alcune candidature esterne, ma pure agli ‘interni’ Francesco Gregolin, Giuseppe Giomo e Riccardo Predelli.
Grazie all’iniziativa romana di Berchet, dunque, il governo dell’Archivio dei Frari era stato saldamente ancorato nello scorcio del secolo XIX alle attività di studio ed editoriali della Deputazione e dei suoi membri, a suggellare anche sotto questo aspetto lo specialissimo, privilegiato rapporto intercorrente fra la ricerca storiografica di quegli anni e le fonti d’archivio. Un rapporto, quest’ultimo, documentato in modo capillare dai puntuali fascicoli dell’«Archivio Veneto» — «rivista-tipo di un modo di far cultura e di rapportarsi al passato»(24), vera e propria «spina dorsale del Veneto erudito» — e dai piani editoriali della Deputazione, che negli studi storici della città e della regione si sarebbe prolungato a lungo nel tempo, ben oltre l’affievolirsi della stessa cultura positivistica(25).
Ne furono protagonisti, da entro l’ambiente dell’Archivio, figure quali il già rievocato Riccardo Predelli(26), attivo fin dal 1876 nella pubblicazione dei Regesti dei Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia, i cui sette volumi da lui curati avrebbero cadenzato un quarantennio di edizioni della Deputazione(27) e che, passato il crinale del nuovo secolo, avrebbe continuato a rinnovare — con l’edizione de Gli statuti civili di Venezia anteriori al 1242 redatta assieme a Enrico Besta(28), con quella de Gli statuti marittimi veneziani fino al 1255 in collaborazione con Adolfo Sacerdoti(29) e con la dettagliata ricerca sull’archivio dell’Ordine teutonico in Venezia(30) — quella intensa produzione scientifica quale archivista, paleografo ed editore di fonti che lo aveva visto nel secolo precedente curare lavori come i Regesti del più antico registro originale di cancelleria veneziano, il Liber Communis o Plegiorum(31), collaborare con Georg M. Thomas nel Diplomatarium veneto-levantinum(32) o ancora contribuire nel 1880-1881 alla grande opera de La Provincia di Venezia(33), o partecipare con un documentato saggio a tenore paleografico entro la monumentale impresa editoriale di Ongania su La basilica di San Marco(34).
Quanto alla qualità del rapporto fra gli archivisti Predelli e Giomo e gli storici dell’economia o del diritto con i quali essi collaborarono, in una fertile osmosi di differenti sensibilità e professionalità, sono perfettamente pertinenti le osservazioni che Gino Benzoni, con riferimento alla storiografia giuridica di marca padovana e ai successivi lavori di Besta sul senato veneziano(35) o di Melchiorre Roberti sulle magistrature giudiziarie veneziane(36), formulava a proposito dell’interscambiabilità dei ruoli fra archivista e studioso, fra docente e discente in tali imprese(37). Ma analoghe considerazioni possono venire alla mente per l’apporto e il sostegno di archivisti quali Predelli, Giomo, Dalla Santa e successivamente Pietro Bosmin all’impresa della Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica: fondata nel 1897 per iniziativa di Luigi Luzzatti allora ministro del Tesoro e del senatore Fedele Lampertico(38) con intenti di celebrazione della sapienza politica e finanziaria della Repubblica veneziana, in una esplicita ermeneutica delle fonti archivistiche quale ispirazione possibile per il cauto riformismo fiscale da quelli proposto(39), si sarebbe avvalsa a lungo degli studi di Fabio Besta(40), e successivamente di Roberto Cessi e di Gino Luzzatto(41).
Anche Giuseppe Giomo(42), di poco più anziano in carriera di Predelli e ad esso legato da profonda amicizia nel nome del comune maestro Bartolomeo Cecchetti, aveva prolungato fin nel primo decennio del Novecento (i suoi regesti delle Lettere di Collegio ‘rectius’ Minor Consiglio 1308-1310 usciranno nel 1910, un anno dopo la sua morte(43)) la sua attività di erudito e di compilatore di nitidi strumenti di ricerca, che si era manifestata già nel 1879 con la trascrizione delle rubriche dei più antichi registri Misti del senato, uscita in successive puntate su «Archivio Veneto» fra 1879 e 1886, riunite quindi nel 1887 in un volume d’assieme(44); al 1893 risaliva poi l’inventario fornito di ampia introduzione del complesso Archivio antico dell’Università di Padova(45), e al 1898 il catalogo dei documenti esposti ai Frari in occasione del cinquantesimo anniversario del 1848(46), nonché gli indici — e qui il circuito di studi si salda significativamente — dell’«Archivio Veneto», «ad esempio dell’indice tripartito» dell’«Archivio Storico Italiano»(47).
Appartengono a questa temperie anche i lavori, tuttora consultati, di Bernardo Canal sui dieci savi alle decime(48), e quello di Giovanni Orlandini su Il veneto Magistrato alle acque(49), comparsi a breve distanza l’uno dall’altro su «Nuovo Archivio Veneto» il primo e su «Ateneo Veneto» il secondo, espressione entrambi di una approfondita comprensione della complessa struttura di quei fondi, nell’occasione ordinati e descritti.
Scomparso nell’aprile 1897 Federico Stefani(50), la nomina del suo successore aveva dato l’occasione per ribadire con l’importanza dell’istituto veneziano le connesse esigenze di una direzione energica ed efficiente, e per preferire una volta ancora agli archivisti veneziani, e in particolare al reggente Giuseppe Giomo, cui pur si riconoscevano competenza, operosità e diligenza, il prestigio di un candidato esterno, sostenuto in Consiglio superiore dallo stesso Paolo Boselli(51): quel Carlo Malagola che, segretario della Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, autore di molteplici studi sulla storia dell’Università di Bologna, si era massimamente distinto nell’ordinamento generale dell’Archivio di Stato di quella città istituito nel 1874 e in quello della Repubblica di San Marino, e che sempre a Bologna aveva tenuto dal 1888 un apprezzato insegnamento di Paleografia e diplomatica all’Università, facendosi propugnatore anche in quella sede del rispetto del principio di provenienza e del metodo storico nel lavoro archivistico(52). Il rammarico per la sua partenza lasciato negli ambienti accademici e archivistici bolognesi e i propositi da lui manifestati nel giungere alla sua nuova sede — «vengo a Venezia per fare l’impiegato e l’ingegnere»(53) — se lasciano oscuri (o quantomeno consegnati alla dimensione del privato) i motivi del deliberato distacco da contesti di studio e di lavoro così felicemente fino ad allora frequentati per inserirsi in un ambiente totalmente differente e nuovo, contribuiscono tuttavia a confermare in modo efficace le aspettative di efficienza che l’amministrazione archivistica aveva maturato nei confronti della gestione della realtà archivistica veneziana, e il «particolarissimo prestigio» che Malagola godeva allora presso lo stesso apparato archivistico statale, al punto da averne direttamente ispirato alcuni avanzati testi normativi in materia di programmi didattici per le Scuole degli Archivi di Stato(54).
Le linee della direzione di Carlo Malagola nell’Archivio veneziano ne attestano indubbiamente l’impegno iniziale a raccogliere nella fisionomia di un progetto unitario, aggiornato e funzionalmente coerente, la pluralità e il fervore delle molteplici iniziative fino ad allora attuate(55). Vennero così ad esempio ampliate, riviste e raccolte sotto l’unico sistema dei Musei dell’Archivio le varie collezioni di documenti e cimeli in passato allestite con intenti divulgativi o didattici in diversi ambienti dell’istituto, quali la Sala diplomatica Regina Margherita(56), la Sala dei pesi e misure(57), la Sala delle mappe e disegni(58), il Museo paleografico della Regione veneta(59), cui fu affiancata nel 1900 (ed ecco la particolare sensibilità del docente di Diplomatica) una collezione di 1.696 sigilli e tipari descritti in un accurato inventario con le singole impronte. Se ne proponeva infine l’integrazione con raccolte di miniature, legature e documenti del Risorgimento italiano. Veniva inoltre messo a fuoco con chiarezza — e con il lucido distacco di chi poteva considerare in qualche modo dall’esterno la tradizione archivistica veneziana, alla luce del dibattito teorico sui principi dell’archivistica come si andava avviando in quegli anni(60) — il problema dei criteri di ordinamento, non solo dei singoli fondi, ma dell’intero archivio veneziano nel suo complesso, che «nelle sue principali linee», quelle impostate da Jacopo Chiodo nei primi decenni dell’Ottocento e appena ritoccate da Fabio Mutinelli e da Bartolomeo Cecchetti, era considerato «tutt’altro che rispondente al concetto scientifico moderno della riunione delle serie secondo i governi onde emanarono»(61). Malagola riteneva in sostanza che, solo se ad un progetto di classificazione generale rigorosamente impostato in termini di storia istituzionale si fosse fatta corrispondere la distribuzione topografica dei fondi («ben inteso che l’ordine delle carte dovrebbe svilupparsi in consecutivo ordine dei locali»), nell’Archivio dei Frari «alla importanza del materiale corrisponderebbe la pratica dei moderni ordinamenti, sì da renderlo veramente un esempio grande e perfetto»(62).
Abile nel coniugare il richiamo dell’antica documentazione archivistica con gli echi del magistero carducciano e con le suggestioni letterarie del diffuso dannunzianesimo, che con la rappresentazione veneziana de La Nave stava infiammando sullo scorcio del primo decennio del secolo gli umori irredentistici della città attorno alla storia delle sue origini adriatiche(63), Carlo Malagola fu portatore dunque di una ‘modernità’ teorica e gestionale, unita ai tratti di un carattere signorile, altezzoso e severo con il personale e generoso con gli studiosi — così almeno da alcune testimonianze non di parte(64) —, che con difficoltà poteva essere assorbita dall’ambiente erudito veneziano, sia interno che esterno all’Archivio, il quale, al di là degli encomi di maniera e di non pochi riconoscimenti ufficiali, non avrebbe mancato di notare il rarefarsi e l’occasionalità dei suoi scritti scientifici negli anni veneziani e il suo predominante se non esclusivo impegno, quanto a conduzione dell’istituto, nelle questioni amministrative e nei lavori edilizi(65).
Almeno due vicende avrebbero visto comunque l’Archivio dei Frari e il suo direttore Carlo Malagola partecipi a diverso titolo in questioni di primo piano nella vita cittadina di quegli anni. Taluni degli impegnativi restauri al compendio edilizio dei Frari — una ‘fabbrica’ ininterrotta per ogni generazione di archivisti, a quanto pare, in opere di manutenzione, sicurezza, consolidamento, copertura — erano stati infatti sollecitati da una congiuntura che aveva interessato l’intera città, nella quale il crollo del campanile di S. Marco il 14 luglio 1902 aveva sollevato pure, nella ridda di contrapposte, ideologiche letture dell’avvenimento(66), un generale allarme circa la tenuta strutturale di non pochi edifici antichi: quasi che l’intera città nella sua edilizia storica fosse giunta dopo secoli all’ora fatale del collasso definitivo. In questo quadro alcuni cedimenti della volta dell’antico refettorio d’estate del complesso dei Frari e talune sconnessioni strutturali al pavimento della sala dell’ex biblioteca conventuale reintestata come si è visto alla Regina Margherita, avevano sollecitato la Soprintendenza ad avviare opere complesse di consolidamento che avrebbero assorbito per anni non poche energie e risorse dell’istituto e della sua direzione, bloccando o comunque ritardando ogni progettualità archivistica(67), ottundendo in aggiunta la spazialità del suggestivo ambiente trecentesco del refettorio con pesanti contrafforti e soffocando entro piloni in muratura le sottili colonne originali(68).
Le nuove frontiere della modernità turistica veneziana avevano infine trovato in Malagola, autore nel 1909 di una monografia su Le Lido de Venise à travers l’histoire sollecitata dalla Compagnia Italiana Grandi Alberghi, il suo autorevole storico(69). Esperto di araldica e membro del Sovrano militare ordine di Malta(70), valorizzatore dell’ingente patrimonio cartografico dell’istituto — Malagola aveva pure organizzato ai Frari nel 1907 una mostra di piante e mappe, in sintonia con quelle parimenti allestite dalla Marciana, dal Correr e dalla Querini in occasione del VI congresso geografico italiano, curandone il relativo catalogo(71) —, egli stava pure progettando nel 1909 con l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti una pubblicazione di mappe della laguna veneta(72).
La tragica conclusione della direzione di Carlo Malagola, suicidatosi il 23 ottobre 1910 a cinquantacinque anni nella sua abitazione a S. Nicoletto adiacente all’Archivio, in concomitanza con l’avvio di una ispezione ministeriale sollecitata da una lettera anonima relativa alla conduzione contabile dei lavori edilizi e accompagnata da alcune malevole riprese sulla stampa cittadina e nazionale(73), lascia comunque aperta, assieme agli interrogativi che in molti si posero sulle reali motivazioni dell’imprevedibile gesto, la questione inquietante di un’occasione certamente mancata: quella dell’affiatamento di una figura di dirigente colto e archivisticamente aggiornato, brillante e fornito di indubbia progettualità, ma non veneziano, nell’ambiente che più di ogni altro rappresentava anche simbolicamente l’irriducibile essenza della venezianità(74).
Le linee di progettualità degli uffici ministeriali e del Consiglio superiore degli archivi sull’istituto veneziano non riusciranno più a liberarsi, nei decenni successivi, da un’antitesi che gli stessi responsabili avevano probabilmente contribuito a creare e ad enfatizzare: da una parte la ricerca per il prestigioso Archivio di Stato, di cui si ribadiva il ruolo insostituibile anche nei confronti degli ambienti internazionali, di linee di sviluppo e di una guida di alta professionalità e cultura(75), dall’altra la reticenza talora ingenerosa (né va dimenticata a questo proposito la qualificazione dei membri del Consiglio superiore più sopra richiamata) a riconoscere queste doti nel personale archivistico interno, considerato volta a volta più dedito ai settori amministrativi che a quelli scientifici, o al momento non ancora fornito di titoli e pubblicazioni adeguate, dall’altra ancora la consapevolezza — tanto più acuta dopo il tragico esito della direzione di Malagola — dell’inevitabile difficoltà di inserimento nell’Archivio veneziano di qualunque esperto che veneziano non fosse.
Si spiegano così le reiterate e spesso prolungate reggenze, da quella di Giuseppe Giomo dall’aprile del 1897 al 1898, a quella, in realtà dai caratteri eccezionali, di Giovanni Sforza direttore dell’Archivio di Stato di Torino, inviato il 30 ottobre 1910 a Venezia per effettuare le necessarie indagini dopo la morte di Malagola, assumendo contemporaneamente la direzione dell’istituto che avrebbe tenuto fino al 1912(76); a quelle ancora di Pietro Bosmin per brevi periodi nel 1910 e nel 1912(77), e ripetutamente — alternandosi con Giuseppe Dalla Santa(78) — negli anni difficili della guerra fra 1917 e 1918, e ancora dal 1922 fino a giungere infine nel luglio 1926, unico degli interni nell’arco di mezzo secolo, alla direzione effettiva dell’Archivio, cui sarebbe rimasto fino al 1931(79); a quelle infine di Andrea Da Mosto dal 1931 al 1934 e quindi ancora dal 1936 al 1937(80). Si spiegano ancora i concorsi banditi e andati deserti o privi di esito positivo(81) e le fugaci e alla fin fine poco incisive direzioni di archivisti non veneziani quali l’oramai anziano Alessandro Lisini proveniente dalla direzione dell’Archivio di Stato di Siena, dall’agosto 1912 al 1917(82), o ancora dal 1918 al 1922 il napoletano Fausto Nicolini, storico, letterato ed erudito di fama, studioso di Giannone e Vico e stimatissimo collaboratore e sodale di Benedetto Croce, che sarebbe nuovamente tornato alla direzione dei Frari fra il 1935 e il 1936(83); o infine — scorrendo in avanti in breve anticipazione la nostra cronotassi — dal 1937 al 1938 il palermitano Guido Manganelli(84), cui sarebbero seguiti dal 1939 al 1947 il torinese Eugenio Ronga(85) e dal 1948 al 1952 il sulmonese Antonio Capograssi(86): figure le cui molteplici sedi di attività e i cui itinerari biografici e culturali si estesero — ed anche questo costituisce un tratto determinante dei profili delle professionalità archivistiche dell’epoca — all’intera penisola.
Anche l’Archivio dei Frari non sfuggì dunque, per taluni aspetti, a quel diffuso ripiegamento che è stato riscontrato caratterizzare — specie a confronto con la vivacità e l’euforia della stagione postunitaria e degli anni tardo-ottocenteschi — la vita degli istituti archivistici dell’intera nazione nella prima metà del Novecento: un ripiegamento, ci ricorda ancora Isabella Zanni Rosiello, che sarebbe durato «grosso modo fino al secondo dopoguerra»(87).
Un riflesso di tale situazione si può certamente cogliere in non pochi interventi che animarono il dibattito nelle sedi romane sull’Archivio dei Frari(88), così come nel disagio ripetutamente manifestato dal mondo degli studi già negli anni Venti e Trenta del secolo nei confronti di alcuni aspetti del funzionamento dei servizi archivistici veneziani, testimoniato pure da talune prese di posizione pubbliche della Deputazione riportate su «Archivio Veneto»(89). Si tratta di una serie di rilievi che, pur assegnando ad una sempre più lontana e anonima responsabilità ministeriale la causa delle disfunzioni, segnava indubbiamente un solco di alterità fra il mondo degli archivi e quello della ricerca solo trenta, quarant’anni prima inimmaginabile, inaugurando l’emergere di un atteggiamento che avrebbe a lungo serpeggiato, fino ai nostri giorni.
L’amministrazione archivistica da parte sua non perdeva occasione per manifestare, anche dalla vetrina veneziana, l’efficienza dei suoi interventi, sollecitando ad esempio nel 1932 la compilazione di relazioni cumulative su quanto attuato nel primo decennio dell’era fascista(90). Grande rilievo sarebbe infine stato dato nel 1939, anno dell’approvazione della legge sul «nuovo ordinamento degli archivi del Regno»(91), all’inaugurazione di ulteriori lavori di manutenzione e restauro nell’Archivio dei Frari promossi durante la breve direzione di Guido Manganelli e portati a termine da Eugenio Ronga, celebrati l’11 novembre di quell’anno con una cerimonia a cui partecipò l’intero Consiglio superiore degli archivi per l’occasione convocatosi a Venezia(92).
A fronte dell’ufficialità di consimili manifestazioni, uno spaccato particolarmente autentico di vita archivistica veneziana si può leggere, con un lieve arretramento cronologico, nella drammatica congiuntura che avevano attraversato gli archivi veneziani nell’emergenza eccezionale della guerra del 1915-1918.
La corrispondenza del Ministero dell’Interno, che ancora nel gennaio del 1915 si rivolgeva all’Archivio di Venezia come pure agli altri istituti archivistici dell’amministrazione, perché fossero attivate ricerche di documenti cartografici e di manoscritti da riprodurre per la sezione storica dell’erigendo Museo coloniale di Roma(93), a partire dall’inizio di aprile di quell’anno era stata quasi completamente monopolizzata da istruzioni per fronteggiare i rischi di danni alla conservazione del materiale e per garantire anche entro l’Archivio la massima segretezza riguardo ad ogni informazione che potesse avere attinenza con la difesa(94). Innalzati pure sopra il complesso dei Frari gli appositi pannelli neri e bianchi previsti dalle convenzioni internazionali per tutelare il fabbricato e quanto conteneva, predisposte nella totale riservatezza misure straordinarie contro gli incendi, un nucleo rilevante di documenti fra i più preziosi, a partire da quelli facenti parte delle collezioni museali, fu spedito fin dal 1915 all’Archivio di Stato di Firenze, accompagnato da Giuseppe Dalla Santa(95). Il primo archivista e vicedirettore Pietro Bosmin e l’archivista Andrea Da Mosto dovettero lasciare l’archivio, richiamati alle armi all’inizio di maggio del 1915(96). Nuovi trasporti di documenti, circa 11.000 fra filze, buste, registri e volumi delle più preziose serie per un totale di 377 casse, questa volta verso Torino(97), vennero effettuati in cinque spedizioni fra dicembre 1916 e febbraio 1917(98).
Nonostante inquietanti avvisaglie(99), fino a quel momento si continuò a lavorare con una parvenza di ordinaria continuità, sia nella compilazione di strumenti di ricerca (risalgono anche a quei mesi di guerra gli inventari di non poche serie del Consiglio di X, degli Ospedali e luoghi pii, dei Provveditori da terra e da mar, dei Provveditori sopra feudi e la continuazione delle schede dei testamenti dell’archivio notarile), sia nella gestione della sala di studio, che vide tuttavia nel 1916 affievolirsi il numero degli studiosi a 59 (per un totale di 1.622 presenze giornaliere nell’anno: e soltanto «studiosi di nazionalità italiana», mentre ancora nel 1915 su una novantina di frequentanti si annoveravano pure provenienze francesi, greche, spagnole, norvegesi e statunitensi), sia nella conduzione della Scuola di paleografia, in cui regolari lezioni vennero tenute dal Dalla Santa nel ’15 e nel ’16 a un esiguo drappello di iscritti e di fedelissimi uditori(100). Una testimonianza di come si cercasse di continuare ad assecondare le richieste di consultazione, ricorrendo a fonti secondarie o indirette quando si trattasse di sostituire quelle trasferite a Firenze o a Torino, è offerta da una lunga lettera di Pietro Bosmin del 29 settembre 1917, nella quale si ribadiva in aggiunta l’insostituibile ruolo giocato nell’espletamento di tali attività nella difficile congiuntura dal giovane funzionario Roberto Cessi(101).
I giorni foschi di Caporetto trovarono l’Archivio, come molte altre istituzioni cittadine, evacuato del suo personale e privo di effettiva direzione(102). Su un mannello di concitate lettere del novembre 1917(103) l’archivista Giovanni Aureliano Lanza, autore dell’inventario dei dispacci dei rettori ai capi del consiglio dei X, vergava di suo pugno la drammatica scritta «Corrispondenza giunta dopo la partenza del Soprintendente e di tutto il personale, me solo presente in sede». Ma ecco, dopo il cupo silenzio dell’abbandono e della fuga, a dicembre tornare ai Frari da Firenze Dalla Santa, seguito da Orlandini; ecco Roberto Cessi distaccato a Padova presso il Segretariato generale affari civili del Comando supremo in zona di guerra, organizzare con Ugo Ojetti, in un operoso affiatamento con il direttore della Marciana Giulio Coggiola e con lo stesso Dalla Santa, la messa in salvo di biblioteche e archivi del Veneto, pubblici ed ecclesiastici(104). Ecco ancora ai Frari frenetiche operazioni di imballaggio di fondi, la ricerca di adeguati trasporti acquei e di carri ferroviari, le difficoltose comunicazioni con il direttore dell’Archivio di Stato di Torino Giovanni Sforza che dalla sua sede sosteneva anche moralmente gli archivisti veneziani. Gli ultimi fondi messi in salvo comprendevano 273 mappe del catasto napoleonico del 1808, 72 sacchi di materiale dei Provveditori sopra beni inculti, 10 casse con altre carte quali le investiture e i processi sempre dei beni inculti, della Municipalità provvisoria del ’97, pergamene e registri a integrazione delle spedizioni precedenti e mappe dei confini della Carnia del 1714: la vigilia di Natale del 1917 Giuseppe Dalla Santa informava il Ministero di averli consegnati alla ferrovia per un ulteriore trasporto a Torino, «in seguito agli accordi con l’archivista professor Cessi»(105). Finita la guerra sarebbero tutti felicemente tornati a Venezia, assieme al restante materiale, in sette carri ferroviari contenenti 473 casse e 2.000 mappe, e con esso ricomposti nei vasti depositi dei Frari. Spettò questa volta a Pietro Bosmin darne nuovamente notizia al Ministero il 4 settembre 1919, «con vera commozione di gioia e di compiacimento quale soltanto può provare chi è vissuto lunghi anni fra queste preziose carte ed ha interesse ed affetto per la città nativa»(106).
Apprendistato archivistico, quello di Roberto Cessi, che si era dunque misurato fin dai suoi primi anni di lavoro ai Frari(107) non solo con l’inebriante opportunità di una frequentazione sistematica e dall’interno dell’eccezionale complesso documentario che avrebbe lasciato tracce indelebili nelle caratteristiche della sua produzione storiografica(108), o con la gratificazione della ricerca erudita, ma pure con formidabili problemi organizzativi e di salvaguardia fisica dei fondi e con le connesse necessarie attività di relazioni istituzionali. Che il contributo del «professor» Cessi alla sua amministrazione superasse oramai le dimensioni operative dell’Archivio veneziano — al quale peraltro, «un po’ come la sua seconda casa»(109), restò legatissimo in tutta la sua lunga carriera accademica — è provato dalla sua nomina a membro della delegazione italiana che negli anni 1919-1921 fu incaricata di trattare con l’Austria la destinazione degli archivi già dell’Impero austro-ungarico: occasione nella quale, pur recuperando a Venezia e all’Italia importanti nuclei documentari, egli si fece promotore dell’adozione di criteri generali che, superando prevedibili rivendicazioni nazionalistiche, privilegiassero l’integrità dei fondi e il loro rapporto con il territorio nel quale essi furono prodotti(110).
Ci si è chiesti quanta parte di questa sintonia fra i membri della commissione, in cui sedeva fra gli altri lo storico e archivista austriaco Heinrich Kretschmayr, fosse dovuta anche ai rapporti di stima e di amicizia maturati fra quest’ultimo e Cessi nella sala di studio dell’Archivio di Stato veneziano(111). Certo è che entro il crogiolo culturale dell’Archivio dei Frari e in particolare della sua sala di studio — si è già avuto occasione di notarlo per la generazione precedente e così sarà, ci pare, anche per il futuro — le occasioni di maturazione scientifica e di formazione alle rispettive discipline avrebbero seguito, per gli archivisti e per gli studiosi delle carte, itinerari spesso incrociati, talora sotterranei e personali, e dalla ricchezza imprevedibile(112).
«In questo fascinoso veneziano archivio dei Frari» — ricorda Enrico Sestan — Roberto Cessi sarebbe rimasto tredici anni, non privi — bisogna pur farvi cenno — di qualche momento amaro e di difficoltà di rapporti entro il non facile ambiente dell’Archivio(113). E aggiunge ancora Sestan: «Ma, al di fuori della collocazione gerarchica, si può dire che archivista rimarrà sempre, tutta la sua vita. Come pensare il Cessi staccato dagli archivi e soprattutto da questo archivio?»(114). Delle fonti dell’Archivio veneziano egli si farà anche negli anni a venire curatore o promotore di fondamentali edizioni e regestazioni, che rispecchiano nel rigore dell’assunto filologico, nella varietà delle tipologie documentarie e nell’ampiezza degli ambiti cronologici e istituzionali il suo vastissimo itinerario storiografico: dalle Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia(115); a quelle del senato Serie mixtorum — il primo volume del 1960 curato assieme a Paolo Sambin, il secondo del 1961 assieme a Mario Brunetti — (116), dai Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille(117), a I dispacci degli ambasciatori veneziani alla Corte di Roma presso Giulio II del 1932(118), ai Verbali delle sedute della Municipalità provvisoria di Venezia. 1797 in tre volumi (in collaborazione con Annibale Alberti) editi fra il 1928 e il 1932(119). Fra il 1934 e il 1939 Cessi aveva inoltre messo a punto e concordato con l’Istituto Storico Italiano il progetto di edizione del Codice del Piovego e la pubblicazione dei documenti veneziani dal 1000 al 1100, da condursi quest’ultima in collaborazione con Schiaparelli(120). Spetta ancora a Roberto Cessi aver sollecitato la ripresa dei lavori della Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica veneta — vero e proprio palinsesto, tale impresa con il suo articolatissimo piano di pubblicazioni, degli orientamenti della storiografia veneziana sulla lunga durata e delle correlate molteplici intenzionalità nell’approccio alle fonti archivistiche(121) — cui avrebbe contribuito direttamente con la cura di alcuni volumi(122). Noto è infine il suo impegno ininterrotto per la Deputazione e per l’«Archivio Veneto», del quale vorrà compilare in prima persona nuovi, preziosi indici complessivi(123).
Incroci felici di biografie, di culture e di formazioni generazionali attorno al lavoro nell’Archivio dei Frari, dunque, sia negli anni più cupi della guerra, sia in quelli altrettanto faticosi del dopoguerra, nei quali la ‘ricostruzione’ dell’istituto, comprendente la reintegrazione dei fondi con le serie evacuate ebbe quale guida, come si è anticipato, l’erudito napoletano Fausto Nicolini.
Risale poi al periodo della seconda direzione veneziana di Fausto Nicolini, tornato nuovamente ai Frari fra il 1935 e il 1936 mantenendo la carica di ispettore generale, un’altra di quelle fertili congiunture di frequentazioni e di studi che avrebbe messo in contatto, segnandone futuri percorsi scientifici e morali, il giovanissimo archivista di prima nomina Giovanni Cassandro con figure di storici e antifascisti quali Roberto Cessi e Gino Luzzatto e, sempre per il tramite di Nicolini del quale avrebbe sposato la figlia Rachele, con lo stesso Benedetto Croce(124). E gli studi di storia giuridica veneziana — sulla curia di petizion e il diritto processuale, sulle rappresaglie e il fallimento e sui sopraconsoli dei mercanti(125) — che in quel breve torno d’anni fra il 1934 e il 1936 Giovanni Cassandro andò producendo, in «un’avventura intellettuale che ha del prodigioso per l’attività esplicata e la versatilità dimostrata», avrebbero costituito un insuperato contributo, quanto a lucidità metodologica e a riscontro documentario, nel pur autorevole ambiente della storiografia giuridica veneziano-padovana(126).
Non si può infine non fare riferimento alla permanenza veneziana di Giovanni Cassandro, così come al contribuito scientifico del primo archivista Ferdinando Corrubia, quando si prenda in considerazione la pubblicazione fra 1937 e 1940, per opera di Andrea Da Mosto, dei due grandi tomi de L’Archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo ed analitico, recanti sul frontespizio per l’appunto l’espressione «con il concorso dei funzionari dell’Archivio»(127). Per decenni e in parte tuttora guida indispensabile all’intero complesso dei fondi dell’Archivio(128) — per ognuno dei quali veniva offerto un dettagliato censimento di consistenza e cronologico ove possibile esteso pure alle rispettive serie, preceduto da una puntuale introduzione storico-istituzionale e seguito dall’indicazione degli strumenti di ricerca esistenti e da una bibliografia — il «Da Mosto», come viene ancor oggi usualmente chiamato, ci riporta ad una più diffusa progettualità di strumenti di censimento archivistici e bibliografici, quali quelli che Pietro Fedele dalla presidenza dell’Istituto Storico Italiano aveva immaginato con il suo progetto della «Guida storica e bibliografica degli archivi e delle biblioteche», e che per quanto riguarda l’Archivio di Stato di Venezia e quello di Roma lo stesso Fedele, unitamente al presidente del Consiglio degli archivi senatore Luigi Rava, aveva contribuito a realizzare nelle collane degli Annales Institutorum(129).
La fortuna del «Da Mosto» e l’ininterrotta consuetudine con il suo utilizzo nell’avvio di ogni ricerca nella sala di studio dei Frari non ci esonerano tuttavia dal tentare di leggere, dietro l’impostazione della struttura generale del complesso degli archivi proposta dai suoi autori, un preciso progetto di «messa in forma della memoria» cui tale rappresentazione faceva sia pur implicitamente riferimento(130). Mentre infatti la distinzione fra le due grandi sezioni degli «archivi antichi» e «archivi moderni» — che assumeva a crinale l’inevitabile gomito storico della caduta della Serenissima — faceva parte fin dall’Ottocento della tradizione descrittiva e gestionale degli archivi veneziani, confermata pure da talune presentazioni ufficiali di inizio Novecento(131), per i consigli e uffici di antico regime veniva proposta una scansione ed una relativa impaginazione entro le quattro categorie di «organi costituzionali e principali dignità dello stato», «organi giudiziari», «organi finanziari», «organi amministrativi»(132), giusta la distinzione tipica dello Stato liberale ottocentesco. Non è difficile intravedere anche in questo caso, come in altri analizzati da Isabella Zanni Rosiello sul più ampio scenario nazionale, la messa in atto di un preciso progetto culturale, legato al tentativo «di annullare, o per lo meno di ridurre, la distanza tra passato e presente, di riappropriarsi del primo, dei complessi documentari da esso tramandati, inserendoli entro una tipologia che rafforzasse l’immagine di uno stato, la cui memoria documentaria, prossima e remota, riflettesse a grandi linee la sua attuale organizzazione»(133).
Ma il «Da Mosto», attraverso il suo intento di costituire tramite una rappresentazione esaustiva e sistematica, ancorché sganciata dall’ordine fisico effettivo dei fondi nei depositi(134), una sorta di ‘doppio’ descrittivo della totalità degli archivi conservati nei vasti corridoi e nelle innumerevoli sale e celle dell’antico monastero, nel suo proporsi quale strumento di indispensabile mediazione concettuale per qualsivoglia ricerca fra le carte, segnava pure l’avvenuto definitivo superamento di una concezione dell’archivio come luogo-istituto che fosse esso stesso «tempio di memorie storiche»(135): un luogo-istituto in cui, come già anche ai Frari in decenni trascorsi, la presentazione ‘al vivo’ dei documenti del passato «nella sequenza dei locali che ne contenevano la memoria», in una ricercata armonia fra contenitore e contenuto, favorisse di quel passato la riappropriazione e l’uso formativo e civile.
Almeno un cenno infine, a mo’ di chiusura in opportuna dissolvenza suggerita dall’approssimarsi di eventi e figure alla contemporaneità del tempo presente, a un’altra congiuntura formativa a suo modo eccezionale. Quella che, passati gli anni drammatici della seconda guerra mondiale durante i quali molti fondi avevano nuovamente lasciato il convento dei Frari alla ricerca di protezione e sicurezza(136), vide attorno al direttore Raimondo Morozzo della Rocca(137) una schiera di giovani archivisti — Ugo Tucci e Salvatore Carbone, Alberto Tenenti e Letterio Briguglio, Luigi Lanfranchi e Marino Berengo, Maria Francesca Tiepolo e Gaetano Cozzi — collaborare a rinnovate manifestazioni culturali, maturare alla crescita intellettuale e al lavoro comune attraverso il cimento di nuove descrizioni inventariali o di edizioni di fonti, delineare progetti di trascrizioni, regestazioni e pubblicazioni dal vastissimo respiro(138).
Molti di questi archivisti dei Frari degli anni Cinquanta sarebbero stati fra i più alti protagonisti della vita culturale veneziana, e non solo, della seconda metà del secolo.
1. Con r.d. 26 marzo 1874, nr. 1861. Sul Consiglio superiore degli archivi (denominato in successione Consiglio per gli archivi, Consiglio superiore degli archivi del Regno, Consiglio superiore degli archivi di Stato, Consiglio superiore degli archivi) e sulla giunta del Consiglio, attiva dal 1902 al 1976, v. Ministero dell’Interno-Direzione Generale dell’Amministrazione Civile-Ufficio Centrale degli Archivi di Stato, Gli Archivi di Stato al 1952, Roma 1954, pp. 34-35; Elio Lodolini, Organizzazione e legislazione archivistica italiana dall’Unità d’Italia alla costituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, Bologna 1980, pp. 67-81; Isabella Zanni Rosiello, Archivi e memoria storica, Bologna 1987, pp. 19-20; Federico Musso, La politica archivistica del periodo liberale: il Consiglio Superiore per gli Archivi tra il 1874 e il 1915, «Le Carte e la Storia», 6, 2000, nr. 1, pp. 142-157. La serie dei verbali del Consiglio superiore degli archivi e della giunta del Consiglio è conservata in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno. La trascrizione integrale dei verbali delle sedute del Consiglio superiore degli archivi è oggi leggibile, per iniziativa dell’amministrazione archivistica statale, nel sito del Sistema archivistico nazionale http://archivi.beniculturali.it/consiglio.
2. R.d. 5 marzo 1874, nr. 1852.
3. R.d. 26 marzo 1874, nr. 1861, art. 1.
4. Sono grata a Otello Pedini, che mi ha guidato nella consultazione delle serie Ministero dell’Interno, Raccolta decreti reali personale Archivi di Stato, e Concorsi interni per il gruppo C, B, A e Soprintendenze, per la parte tuttora conservata in Roma, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, e a Maria Pia Di Simone e Lucilla Garofalo per la cortese assistenza nelle ricerche sulle serie del Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, Verbali della Giunta del Consiglio superiore degli archivi, Direzione Generale degli Archivi di Stato, in Roma, Archivio Centrale dello Stato.
5. V. una rassegna nel contributo di Francesca Cavazzana Romanelli-Stefania Rossi Minutelli alla sezione ottocentesca di quest’opera, cui si fa qui cumulativo riferimento per non pochi altri passaggi del presente saggio. Cf. inoltre per la situazione di fine secolo i cenni in Luigi Sormani Moretti, La Provincia di Venezia. Monografia statistica, economica, amministrativa, Venezia 1880-1881, pp. 421-422 e i più ampi censimenti in [Bartolomeo Cecchetti], Statistica degli archivii della Regione veneta, I-III, Venezia 1880-1881.
6. Annibale Alberti, allora docente di Storia moderna e contemporanea all’Università di Roma, era nato a Verona nel 1879 e si era laureato in Giurisprudenza a Padova. Passato a Roma, fu segretario generale della Camera dei deputati e quindi del Senato. Fu inoltre membro di numerose accademie, fra cui l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e la Deputazione veneta di Storia Patria. Nel 1941 avrebbe ricoperto pure il ruolo di commissario ministeriale per gli Archivi di Stato (in particolare per curare l’applicazione della nuova legge archivistica 22 dicembre 1939, nr. 2006), contribuendo a dar vita al periodico «Notizie degli Archivi di Stato». Studioso di legislazione costituzionale e parlamentare, curò l’edizione di importanti raccolte di fonti legislative fra cui, in collaborazione con Camillo Montalcini, gli Atti delle assemblee del Risorgimento e gli Atti delle assemblee della Repubblica cisalpina. Assieme a Roberto Cessi avrebbe pubblicato fra l’altro nel 1927 La politica mineraria della Repubblica veneta, nel 1934 l’opera Rialto. L’isola, il ponte e il mercato, e tra il 1928 e il 1932 i tre volumi in quattro tomi dei Verbali delle sedute della Municipalità provvisoria di Venezia. 1797. Su Alberti cf. i profili di Roberto Cessi, «Archivio Veneto», ser. V, 42-43, 1949, nrr. 77-78, p. 247; di Giuseppe Gullino, L’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti dalla rifondazione alla seconda guerra mondiale (1838-1946), Venezia 1996, p. 368; di Enzo Piscitelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, I, Roma 1960, p. 682.
7. Roma, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Ministero dell’Interno, Concorsi interni per il gruppo C, B, A e Soprintendenze, vol. 40.
8. Sui rapporti fra Pompeo Molmenti e gli storici veneziani, alla luce pure dei suoi itinerari formativi, dell’uso delle fonti e delle sue frequentazioni con gli archivisti dei Frari, interessanti spunti in Antonio Fradeletto, Commemorazione del M.E. Pompeo Molmenti, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 88, 1928-1929, nr. 1, pp. 60-65 (pp. 57-84). Cf. inoltre Roberto Cessi, Pompeo Molmenti, «Archivio Veneto», ser. V, 4, 1928, nrr. 7-8, pp. 336-338 (con bibliografia a cura di Gilberto Mioni alle pp. 339-366); Vittorio Lazzarini, Pompeo Molmenti, «Rivista Mensile della Città di Venezia», 7, 1928, nr. 1, pp. 1-3 (ora riedito in Maestri scolari amici. Commemorazioni e profili di storici e letterati a Padova e nel Veneto alla fine dell’Ottocento e nel Novecento, a cura di Giorgio Ronconi-Paolo Sambin, Trieste 1999, pp. 141-143); G. Gullino, L’Istituto Veneto, p. 419; Leandro Ventura, Pompeo Molmenti deputato e senatore del Regno, in Pompeo Molmenti (1852-1928). Arti e passioni di un Senatore veneziano in Valtenesi, s.n.t. [ma 1998], pp. 23-79; Monica Donaglio, Il difensore di Venezia. Pompeo Molmenti fra idolatria del passato e pragmatismo politico, «Venetica», n. ser., 13, 1996, nr. 5, pp. 45-72.
9. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, seduta del 30 maggio 1924, cc. 205-215; ivi, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Ministero dell’Interno, Raccolta decreti reali personale Archivi di Stato, reg. 1920-1946.
10. Su Giuseppe Giomo, Riccardo Predelli e Giuseppe Dalla Santa v. più oltre nel testo e alle nn. 26, 42, 78.
11. Roma, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Ministero dell’Interno, Concorsi interni per il gruppo C, B, A e Soprintendenze, vol. 40. Il corsivo nelle citazioni è nostro.
12. Ibid.
13. R.d. 31 maggio 1874, nr. 1949. Sulla genesi e le circoscrizioni delle Soprintendenze ottocentesche, istituite per gli archivi piemontesi, liguri, lombardi, veneti, emiliani, toscani, romani, napoletani, siciliani e sardi, cf. E. Lodolini, Organizzazione e legislazione, pp. 91-93; e Ministero dell’Interno, Gli Archivi di Stato al 1952, pp. 35-36.
14. I. Zanni Rosiello, Archivi, p. 15.
15. Francesca Cavazzana Romanelli, Gli archivi veneziani tra conservazione e consultazione. Progetti e strategie nella tradizione ottocentesca, in Archivi e cittadino. Genesi e sviluppo degli attuali sistemi di gestione degli archivi. Atti del convegno, a cura di Gianni Penzo Doria, Sottomarina 1999, pp. 96-109 (pp. 73-109); Ead., Fra Stato e Chiesa. La statistica degli archivii veneti e il censimento ottocentesco degli archivi ecclesiastici veneziani, in Miscellanea di studi in onore di Wladimiro Dorigo, a cura di Ennio Concina-Michela Agazzi-Giordana Trovabene, in corso di pubblicazione.
16. R.d. 31 dicembre 1891. La denominazione di Soprintendenza rimase, con sola valenza onorifica, alle sedi dei più importanti Archivi di Stato.
17. Raffaello Morghen, L’opera delle Deputazioni di storia patria per la formazione della coscienza unitaria, in Il movimento unitario nelle regioni d’Italia. Atti del convegno, Bari 1963, pp. 7-19; Gina Fasoli, Anche la Deputazione di storia patria per le Venezie ha la sua storia, «Archivio Veneto», ser. V, 170, 1990, pp. 215-235.
18. I. Zanni Rosiello, Archivi, pp. 29-32. Per il progressivo insediarsi di istituti archivistici statali sul territorio nazionale nella prima metà del Novecento, v. Ministero dell’Interno, Gli Archivi di Stato al 1952, pp. 42-53.
19. Roma, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Ministero dell’Interno, Concorsi interni per il gruppo C, B, A e Soprintendenze, vol. 40. Alberti sviluppava inoltre la questione sul piano dei requisiti professionali degli archivisti e, da attento editore di fonti, su quello dell’indispensabile uniformità delle denominazioni autorizzate negli accessi alla ricerca: «Se tra i funzionari di quell’Archivio non vi sia alcuno che sappia ben leggere e interpretare il dialetto veneto nel quale sono scritti tanti documenti, se nessuno di essi sappia individuare nomi di città, di paesi, di persone, si arrischia (e potrei citare esempi tipici) di compromettere interessi non solo di studi, ma anche amministrativi e privati di grande delicatezza e importanza».
20. Cf. la relazione di accompagnamento del r.d. 31 maggio 1874, nr. 1949, cit. a questo proposito in I. Zanni Rosiello, Archivi, pp. 15-16.
21. V. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VI, cc. 18-19v, 49r-v, con gli interventi di Guglielmo Berchet alle sedute del 9 luglio 1897 e del 21 marzo 1898.
22. Mario Isnenghi, La cultura, in Venezia, a cura di Emilio Franzina, Roma-Bari 1986, p. 425 (pp. 381-482), ripreso per l’associazione con Cecchetti, «magari titolare, come nel caso, di non dubbi meriti patriottici», da Giovanni L. Fontana, Patria veneta e stato italiano dopo l’Unità: problemi di identità e di integrazione, in AA.VV., Storia della cultura veneta, 6, Dall’età napoleonica alla prima guerra mondiale, Vicenza 1986, p. 572 (pp. 553-596).
23. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. V, cc. 120-124v, seduta dell’8 giugno 1889. Imboccata la strada del ricorso agli esperti, il Consiglio aveva tra l’altro proposto di assegnare la direzione dei Frari a Berchet stesso, il quale dichiarava fra i ringraziamenti «che le sue particolari condizioni gli impediscono di sobbarcarsi ad un carico siffatto».
24. M. Isnenghi, La cultura, p. 399.
25. Gino Benzoni, La storiografia, in AA.VV., Storia della cultura veneta, 6, Dall’età napoleonica alla prima guerra mondiale, Vicenza 1986, p. 623 (pp. 597-623).
26. Nato a Rovereto nel 1840 e morto a Venezia nel 1909 Riccardo Predelli lavorò all’Archivio dei Frari, ove era stato chiamato nel 1867 dal suo concittadino Tommaso Gar, per quarantadue anni, giungendo al grado di primo archivista e alla carica di vicedirettore, ricoprendo in aggiunta per trentuno anni l’incarico di docente della Scuola di paleografia, diplomatica e archivistica. Oltre a numerose pubblicazioni produsse molteplici lavori archivistici provvedendo fra l’altro all’ordinamento dei fondi dei Provveditori di Comun, della Quarantia criminale, dei Provveditori sopra monasteri, avviando pure una prima suddivisione del grande complesso delle pergamene delle Corporazioni religiose, confraternite e scuole. Fra i suoi ultimi lavori lo studio su Le memorie e le carte di Alessandro Vittoria, Trento 1908: un contributo che riprendeva i suoi interessi giovanili nei confronti della documentazione trentina manifestatisi nel saggio su Le antiche pergamene dell’Abbazia di S. Lorenzo in Trento («Archivio Storico per Trieste, l’Istria e il Trentino», 3, 1884-1886, nr. 2, pp. 34-56) e nella raccolta dei tre volumi di Monumenta Veneto Tridentina. Raccolta di documenti risguardanti le relazioni del Trentino colla Repubblica di Venezia copiati dall’Archivio dei Frari, predisposti su incarico del Comune di Trento nel 1869 (Trento, Biblioteca comunale, BTC1-2484-2487; cf. Franco Cagol, Guida agli archivi conservati nel fondo manoscritti della Biblioteca comunale di Trento, dattiloscritto presso la Biblioteca comunale di Trento). Stimato conoscitore degli archivi e della storia veneziana, fu socio corrispondente dell’Istituto Veneto e socio effettivo della Deputazione veneta dal 1876, e dal 1890 membro quale tesoriere del consiglio e dell’ufficio di presidenza. Negli ultimi anni della sua vita, in cui condivise la residenza con la famiglia di Giuseppe Giomo, fu inoltre consigliere comunale durante il sindacato di Filippo Grimani, cui era unito da vincoli di antica amicizia. Cf. le commemorazioni di Vittorio Lazzarini et al., «Nuovo Archivio Veneto», n. ser., 17, 1909, nr. 33, pt. I, pp. 298-304; di Giuseppe Dalla Santa, ibid., pp. 304-306 con bibliografia; e ancora di Giuseppe Occioni-Bonaffons, ibid., 18, 1909, nr. 36, pt. II, p. 380; di Nicolò Papadopoli e di Carlo Malagola, in Adunanza ordinaria del 21 marzo 1909, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 68, 1908-1909, pp. 39-40, 43 (pp. 39-47). Cf. inoltre Matteo Predelli, Predelli Riccardo. II marzo 1909, Venezia 1910, e la Prefazione di Pietro Bosmin a I libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, VIII, Venezia 1914, pp. I-IX (pp. I-XV).
27. Sovvenendo per l’ottavo uscito nel 1914, che accoglie pure i transunti compilati da Giuseppe Giomo del reg. XXXII, Pietro Bosmin. I primi sette volumi dei Commemoriali erano stati pubblicati negli anni 1876, 1878, 1883, 1896, 1901, 1904, 1907.
28. Gli statuti civili di Venezia anteriori al 1242, editi per la prima volta a cura di Enrico Besta e Riccardo Predelli, «Nuovo Archivio Veneto», n. ser., 1, 1901, nr. 1, pt. I, pp. 1-117 (Prefazione) e nr. 2, pt. II, pp. 205-300 (Statuti).
29. Gli statuti marittimi veneziani fino al 1255 editi a cura di Riccardo Predelli e Adolfo Sacerdoti, ibid., n. ser., 4, 1902, nr. 7, pt. I, pp. 113-161 (Prefazione); nr. 8, pt. II, pp. 267-291 (Statuti); 5, 1903, nr. 9, pt. I, pp. 161-251; nr. 10, pt. II, pp. 314-356.
30. Riccardo Predelli, Le reliquie dell’archivio dell’Ordine Teutonico in Venezia, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 64, 1904-1905, nr. 2, pp. 1379-1463 (num. anche pp. 1-85).
31. Id., Il liber Communis detto anche Plegiorum del R. Archivio generale di Venezia. Regesti, «Archivio Veneto», 2, 1872, in fascicolo a parte di pp. 211, con proprio frontespizio che reca Venezia 1872.
32. Georg M. Thomas, Diplomatarium veneto-levantinum sive acta et diplomata res venetas graecas atque levantis illustrantia a. 1351-1454, II, Venetiis 1899, di cui Predelli curò l’edizione preponendovi un profilo biografico di Thomas con bibliografia dei suoi scritti di interesse veneziano. I primi tre volumi dell’opera, con documenti fino al 1299, erano usciti per cura di Gottlieb Lucas Friederic Thafel e Georg Martin Thomas nel 1856-1857 quali voll. XII-XIV dei «Fontes Rerum Austriacarum» della Imperiale Accademia delle Scienze di Vienna, con il titolo Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig, mit besonderer Beziehung auf Byzanz und die Levante. Vom IX. bis zum Ausgang des XV. Jahrhunderts.
33. L. Sormani Moretti, La Provincia di Venezia, pp. 421-422.
34. Riccardo Predelli, Delle forme della scrittura nei marmi e nei mosaici della basilica di San Marco, in La basilica di San Marco, Venezia 1888-1892, pp. 441-448.
35. Enrico Besta, Il Senato veneziano (Origine, costituzione, attribuzione e riti), Venezia 1889.
36. Melchiorre Roberti, Le magistrature giudiziarie veneziane e i loro capitolari fino al 1300, I, Procedura e ordinamento giudiziario veneziano dai tempi più antichi alla fine del secolo decimoterzo, Padova 1906-1907; II, I capitolari del Minor consiglio, dei Giudici del proprio, dell’Avogaria, dell’Esaminador (con alcune glosse agli statuti veneti) e del piovego, Venezia 1909; III, I capitolari dei Signori di notte, dei Giudici di petizione, del Mobile, del Men, del Procurator, del contrabbando e dei Giudici straordinari di palazzo, Venezia 1911. Per la collaborazione di Giomo all’opera cf. III, p. VI.
37. G. Benzoni, La storiografia, p. 621.
38. Su Lampertico G. Gullino, L’Istituto Veneto, p. 404 con ulteriore bibliografia e La scienza moderata. Fedele Lampertico e l’Italia liberale, a cura di Renato Camurri, Milano 1992.
39. Angelo Ventura, Il problema storico dei bilanci generali della Repubblica veneta, in Bilanci generali della Repubblica di Venezia, IV, Bilanci dal 1756 al 1783, a cura di Id., Padova 1972, pp. XI-XII (pp. XI-CXXXIX); G. Benzoni, La storiografia, p. 630. La relazione al re di Luigi Luzzatti e i decreti istitutivi della Commissione sono in «Nuovo Archivio Veneto», 14, 1897, pp. 371-388.
40. I bilanci generali della Repubblica di Venezia, a cura di Fabio Besta, I-III, Venezia 1903-1912.
41. La regolazione delle entrate e delle spese (secc. XIII-XIV), a cura di Roberto Cessi, Padova 1925; I prestiti della Repubblica di Venezia (secc. XIII-XV). Introduzione storica e documenti, a cura di Gino Luzzatto, Padova 1929. Su Luzzatto cf. Marino Berengo, Profilo di Gino Luzzatto, «Rivista Storica Italiana», 76, 1964, pp. 879-925; Giannantonio Paladini, Gino Luzzatto (1878-1964), s.n.t. [ma Venezia 1987]. Sull’attività archivistica e storiografica di Roberto Cessi v. più oltre nel testo.
42. Nato a Venezia nel 1844, Giuseppe Giomo era entrato quale «praticante» all’Archivio dei Frari nel 1865, compiendovi tutta la carriera fino al grado di primo archivista. Reggente dell’istituto nel 1897, dopo la morte di Federico Stefani, fu incaricato nel 1898 della direzione dell’Archivio di Modena. Socio della Deputazione veneta di Storia Patria (dal 1887 quale corrispondente e dal 1893 quale effettivo), fu socio pure dell’Ateneo Veneto dal 1896 e membro dal 1897 della Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica di Venezia. «Tutto il suo lavoro [così lo si ricordava sulle pagine di «Archivio Veneto»] lo trovate intessuto di modestia e pazienza». E ancora, all’insegna dell’esercizio di queste virtù archivistiche, venivano ricordate le sue altre attività di ordinamento e inventariazione, «lavori che, pur non acquistando fama al loro autore, riescono di prezioso aiuto a coloro, che sulla base dei documenti si accingono a studi storici». Cf. i profili di Luigi Ferro, «Nuovo Archivio Veneto», n. ser., 23, 1912, nr. 46, pt. I, pp. 222-224, con elenco delle pubblicazioni, e di Giuseppe Dalla Santa, ibid., nr. 47, pt. II, pp. 488-489.
43. Giuseppe Giomo, Lettere di Collegio ‘rectius’ Minor Consiglio 1308-1310, Venezia 1910.
44. Id., I ‘misti’ del Senato della Repubblica Veneta 1293-1331. Trascrizione dell’indice dei primi quattordici volumi perduti e regesto di un frammento del primo volume compilato da Giuseppe Giomo archivista dell’Archivio di Stato in Venezia, Venezia 1887. Il volume, corredato da un indice generale geografico, fu dedicato a Bartolomeo Cecchetti.
45. Id., L’Archivio antico della Università di Padova, «Nuovo Archivio Veneto», 6, 1893, pp. 377-460.
46. Id., Elenco dei documenti esposti in occasione del cinquantesimo anniversario dal 22 marzo 1848 [nel R. Archivio di Stato], Venezia 1898.
47. Id., Indice generale dell’«Archivio veneto» [fino al 1890], «Archivio Veneto», n. ser., 19-20, 1890, nr. 39, pp. 1-522; Id., Indice generale della prima serie (1891-1900) del «Nuovo archivio veneto», Venezia 1901.
48. Bernardo Canal, Il Collegio, l’ufficio e l’archivio dei Dieci savi alle decime in Rialto, «Nuovo Archivio Veneto», n. ser., 16, 1908, nr. 31, pt. I, pp. 115-150; nr. 32, pt. II, pp. 279-310. Il nobile Bernardo Canal, archivista, autore pure di uno studio Intorno allo sdoppiamento delle personalità secondo Th. Binet («Ateneo Veneto», 16, 1893, nr. 1, pp. 127-135), scomparve tragicamente suicidandosi il 18 giugno 1909.
49. Giovanni Orlandini, Il veneto Magistrato alle acque, «Ateneo Veneto», 29, 1906, nr. 1/1, pp. 200-241, 257-309. Esperto conoscitore degli archivi veneziani, nei quali lavorò per oltre un cinquantennio tranne una breve parentesi milanese per trasferimento d’ufficio nel 1897, lasciò nei suoi superiori e nei colleghi, assieme alla consuetudine di una lunga collaborazione, il desiderio di un impegno più attivo e meditato. Di appunti e note di Orlandini si sarebbe servito Andrea Da Mosto per la stesura della presentazione e di alcune note storiche del suo L’Archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo ed analitico, I-II, Roma 1937-1940 (cf. I, p. 8).
50. La morte aveva colto non pochi direttori dei Frari nel corso del loro stesso, impegnativo servizio: da Tommaso Gar, a Bartolomeo Cecchetti, al citato Federico Stefani; drammatica sarebbe stata pure, come si avrà modo di vedere, la fine della successiva direzione, quella di Carlo Malagola nel 1910.
51. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VI, c. 32v, seduta del 10 marzo 1898: «Occorre a Venezia un’opera energica, competente, indefessa, efficace di riordinamento. Occorre sapere, autorità, rigore non comune». Assente Berchet, la relazione per la direzione dell’Archivio di Stato di Venezia era stata tenuta da Paolo Boselli, che sedeva in Consiglio con il titolo di «parlamentare», nell’intervallo dunque fra l’incarico di ministro delle Finanze e quello del Tesoro (cf. Raffaele Romanelli, Boselli, Paolo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 241-251). Presiedeva il Consiglio, cui partecipavano pure Giustino Fortunato e Napoleone Vazio, Pasquale Villari. Lo stesso verbale riporta l’eco di alcuni umori circolanti nell’Archivio veneziano, circa l’eventualità di dimissioni del personale interno qualora fosse stata nominata alla direzione «persona non appartenente a quell’Archivio» (c. 49r-v).
52. Cf. Antonio Favaro, Carlo Malagola. Nota commemorativa, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 70, 1910-1911, nr. 1, pp. 7-9; Emilio Costa-Giovanni Livi, Commemorazione di Carlo Malagola, «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna», ser. VI, 1, 1911, nrr. 1-3, pp. 278-311; Antonio Pilot, Carlo Malagola, «Nuovo Archivio Veneto», n. ser., 22, 1911, nr. 43, pt. I, pp. 467-471 (con elenco delle pubblicazioni del periodo veneziano); Francesco S. Gatta, Ricordo di Carlo Malagola, «Notizie degli Archivi di Stato», 13, 1953, nr. 1, pp. 25-30. Sull’attività all’Archivio di Stato di Bologna v. Carlo Malagola, L’Archivio di Stato di Bologna dalla sua istituzione a tutto il 1822, «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna», ser. III, 1, 1882-1883, pp. 145-220; Id., L’Archivio di Stato di Bologna. Relazioni annuali dal 1883 a tutto il 1886, Bologna 1898, e Id., L’Archivio di Stato di Bologna dal 1887 a tutto il 1892, «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna», ser. III, 11, 1892-1893, nrr. 1-3, pp. 1-25, più 6 allegati di tavole e piante non numerate. Su Malagola teorico di archivistica cf. Elio Lodolini, Lineamenti di storia dell’archivistica italiana dalle origini alla metà del secolo XX, Roma 1991, pp. 147-151. Sul periodo bolognese v. pure Isabella Zanni Rosiello, Un luogo di conservazione della memoria, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, L’Archivio di Stato di Bologna, a cura di Isabella Zanni Rosiello, Fiesole 1995, pp. 14, 15-16 (pp. 13-18). Interessanti e innovative le posizioni di archivistica teorica che emergono da Carlo Malagola, La cattedra di paleografia e diplomatica nell’Università di Bologna ed il nuovo indirizzo giuridico degli studi diplomatici. Prolusione letta il dì 11 dicembre 1888 [...] nella regia Università di Bologna, Bologna 1890.
53. A. Favaro, Carlo Malagola, pp. 8-9.
54. Così, con riferimento al piano di studi previsto dal r.d. 21 settembre 1896, Giorgio Cencetti, Archivi e Scuole d’Archivio dal 1765 al 1911. I precedenti storici e legislativi di un discusso problema, «Rassegna degli Archivi di Stato», 15, 1955, nr. 1, pp. 5-31 (la citazione, ripresa da E. Lodolini, Lineamenti, p. 159, è a p. 92), e Ingrid Germani, La Scuola dell’Archivio di Stato di Bologna, «Archivi per la Storia», 2, 1989, nr. 2, p. 190 (pp. 183-208).
55. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 130 «Relazione al Ministero dell’interno sull’Archivio di Stato di Venezia dal 1899 a tutto il 1905»; A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 82; ibid., b. «Locali, lavori», fasc. «Piano generale di sistemazione dell’Archivio di Stato di Venezia», relazione al Ministero del 22 dicembre 1908.
56. Allestita dal 1879 nell’antica biblioteca del convento ad opera di Bartolomeo Cecchetti coadiuvato dal suo futuro successore Federico Stefani, sulla base di un nucleo di documenti quali «lettere di papi e di altri sovrani, di uomini illustri, con matricole e statuti di varii enti, cui si erano poi aggiunti anche in seguito autografi dei dogi», già esposti in alcuni locali della Cancelleria secreta. La citazione è dalla relazione in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 130, cap. «IX. Musei dell’Archivio». Integrazioni alle collezioni furono effettuate nel 1900 e 1901, specie per autografi, miniature, legature e bolle metalliche. Nel 1904, in seguito ai restauri cui fu sottoposta la sala, le collezioni furono trasportate in altre sale, continuando tuttavia ad essere visitabili.
57. Vi si raccoglieva la «Collezione di antichi pesi e misure della Regione Veneto e d’altre», già presso la Zecca di Venezia e consegnata all’Archivio nel 1889 dalle Regie Gallerie.
58. La raccolta di mappe antiche e notevoli della città di Venezia e della regione era stata predisposta nel 1881 in occasione del III congresso dei geografi, e successivamente incrementata con nuove acquisizioni (cf. Terzo congresso geografico internazionale. Catalogo delle mappe dei codici e di altri manoscritti esposti nell’Archivio di Stato ai Frari, Venezia 1881).
59. Iniziato nel 1880 comprendeva, prevalentemente ad uso della Scuola di paleografia, calchi di iscrizioni romane e medievali, «una ordinata serie di scritture dei vari secoli dei diversi luoghi del Veneto, e di terre soggette al suo dominio […] e di altre scritture a confronto di queste», e ancora «diplomi ed atti che servono alla storia generale e alla classificazione delle scritture; ed oggetti riguardanti la storia della carta; dei liquidi e degli strumenti scrittori, papiri, carte di varie regioni, tavole cerate, e facsimili di sigilli di varie forme della regione» (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 130 «Relazione al Ministero dell’interno sull’Archivio di Stato di Venezia dal 1899 a tutto il 1905», c. 55).
60. E. Lodolini, Lineamenti, pp. 133-175.
61. «Quell’ordine (dal quale lo stesso benemerito Cecchetti non poté discostarsi)» riferiva Malagola pure al Ministero, con accenti che sarebbero ritornati più volte nei suoi scritti d’ufficio e scientifici «è in gran parte piuttosto che storico, per materie e spesso gli uffici, anche di tempi e d’indole diversi, s’inframmezzano, forse per pronta opportunità di locali talché l’ordinamento attuale non segue e non riproduce, come oggi si richiede, la forma della costituzione nei varii suoi periodi» (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 130 «Relazione al Ministero dell’interno sull’Archivio di Stato di Venezia dal 1883 al 1905», c. 13; cf. pure Carlo Malagola, I tesori dell’Archivio di Stato di Venezia. Conferenza tenuta all’Università popolare di Venezia, «Ateneo Veneto», 31, 1908, nr. 1, pp. 9-10, [pp. 9-86; anche in estratto, Venezia 1908], e A.S.V., Archivietto, b. «Locali, lavori», fasc. «Piano generale di sistemazione dell’Archivio di Stato di Venezia», 1908).
62. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 130 «Relazione al Ministero dell’interno sull’Archivio di Stato di Venezia dal 1899 a tutto il 1905», c. 15v.
63. C. Malagola, I tesori, p. 27. D’Annunzio, che per le sue ricostruzioni storiche si basò prevalentemente sugli studi di Tassini e di Molmenti più che sulle fonti primarie, ebbe tuttavia occasione di visitare l’Archivio dei Frari durante il suo soggiorno veneziano in concomitanza con la prima rappresentazione de La Nave il 25 aprile 1908: «accompagnato ed istruito dal direttore e dai funzionari, [vi] rimase un paio d’ore, tutto preso da immenso interesse per quell’oceano di documenti rari» (Gino Damerini, D’Annunzio e Venezia, Milano 1943, consultato nella riedizione Venezia 1992 con postfazione di Giannantonio Paladini, p. 110; cf. pure Mario Isnenghi, D’Annunzio e l’ideologia della venezianità, in D’Annunzio e Venezia. Atti del convegno, a cura di Emilio Mariano, Roma 1991, pp. 229-244).
64. F.S. Gatta, Ricordo di Carlo Malagola, p. 25; A. Favaro, Carlo Malagola, p. 9.
65. A. Pilot, Carlo Malagola, p. 467.
66. M. Isnenghi, La cultura, pp. 427-429. Anche il direttore dei Frari aveva partecipato al dibattito cittadino con due brevi scritti di carattere storico: Carlo Malagola, Guasti e riparazioni al campanile di San Marco in Venezia, «Rassegna d’Arte», 2, 1902, pp. 122-124; Id., Il campanile di San Marco e la sua storia, «Giornale di Venezia», 25 aprile 1903.
67. C. Malagola, I tesori, p. 26.
68. Sui restauri all’ex refettorio, oggi sala di studio dell’archivio, altre informazioni in Francesca Cavazzana Romanelli, Il refettorio d’estate nel convento dei Frari a Venezia, ora sede dell’Archivio di Stato. Storia e restauri, «Studi Veneziani», suppl. nr. 5 del «Bollettino d’Arte. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali», 69, 1984, pp. 13-32; cf. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, bb. 91-93. A conclusione dei lavori alla sala Regina Margherita furono montati gli originali scaffali lignei recuperati in Palazzo Ducale e già utilizzati quali arredi della sala cataloghi della Biblioteca Marciana, giusto allora passata alla Zecca (A.S.V., Archivietto, b. «Locali, lavori», fasc. «Antichi scaffali della Biblioteca dei Frari ricevuti dalla Biblioteca Marciana»).
69. Venise 1909, traduzione dal francese di Henri Gambier; opera che «ha più dell’artistico che del scientifico», secondo A. Favaro, Carlo Malagola, p. 9. In realtà il lavoro, pur nel suo impianto divulgativo, risulta documentato e non privo di informazioni storicamente rigorose; esso si presenta editorialmente in modo assai accattivante — sulla linea delle edizioni novecentesche de La storia di Venezia nella vita privata di Molmenti — anche grazie a un diffuso apparato iconografico per il quale fu utilizzato sistematicamente il ricco materiale cartografico di archivi e biblioteche veneziane. Sui rapporti di Malagola con la Compagnia Italiana Grandi Alberghi un cenno anche in Gino Bertolini, ‘Italia’, I, Le categorie sociali. Venezia nella vita contemporanea e nella storia, Venezia 1912, p. 98.
70. Della cui sede veneziana avrebbe brevemente illustrato gli edifici: Carlo Malagola, Il palazzo e la chiesa del S.M.O. di Malta in Venezia, «Bollettino Araldico Storico-Genealogico del Veneto», 6, 1905, pp. 59-60.
71. [Id.], Catalogo della mostra geografica nell’Archivio di Stato di Venezia durante il VI Congresso Geografico Italiano, in Mostre ordinate in occasione del VI Congresso geografico italiano. Venezia 26-31 maggio 1907, Venezia 1907, pp. 20-83; Id., Per l’inaugurazione della Mostra geografica nell’Archivio di Stato in Venezia, in Atti del VI Congresso geografico italiano (1907), I, Venezia 1908, pp. LXXIV-LXXVI (cf. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 93). Già in occasione del III congresso dei geografi nel 1881 i Frari avevano ospitato, come si è visto più sopra, una mostra cartografica. In occasione dell’inaugurazione dell’esposizione del 1907 fu riaperto, assieme agli uffici rinnovati e unificati al secondo piano dell’ex Scuola dei Fiorentini, l’ingresso principale alle sale degli archivi, che fu ornato dei busti con lapidi di Jacopo Chiodo e di Bartolomeo Cecchetti, a cui furono affiancate altre lapidi fino ad allora appartate, dedicate al re Vittorio Emanuele e all’inglese Rawdon Brown.
72. A. Favaro, Carlo Malagola, p. 9; G. Gullino, L’Istituto Veneto, p. 151, e Venezia, Archivio dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti, b. 230.
73. «Corriere della Sera», 21 ottobre 1910; «La Tribuna», 22 ottobre 1910.
74. «Tutto questo lavorio di chiacchiere» aveva scritto in una relazione al Ministero Malagola nel gennaio 1910 a proposito di alcune questioni fra gli impiegati, evidenziando la pesantezza dell’ambiente interno dell’Archivio «corrisponde a un fondo del vecchio carattere della città […]». E ancora, con parole poi cancellate, e che tuttavia risuonano cupamente alla luce degli avvenimenti successivi: «È bene, ad ogni modo, che il Ministero sappia che terreno sia quello su cui nell’Archivio di Venezia si cammina, e voglia tenerne conto se le cose, come non è difficile, fossero per avere conseguenze» (A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 127). Simili osservazioni sull’ambiente veneziano avrebbe formulato nel 1921, con arguzia tipicamente partenopea, il napoletano Fausto Nicolini alla direzione dal 1918 dell’Archivio dei Frari — sul quale più oltre nel testo —, riconoscendo come «due malattie eminentemente veneziane» «la naturale indolenza» e «l’irrefrenabile bisogno di effondersi in chiacchiere» (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali della Giunta del Consiglio superiore degli archivi, reg. XXI, c. 217).
75. «Chi aspira alla direzione di un archivio specialmente di primo ordine deve essere un uomo provvisto di ampia coltura e di esperienza professionale, due doti che debbono prevalere sui criteri regionali. I canoni archivistici principali sono universali; l’esperienza vi aggiunge il resto». Così Pompeo Molmenti al Consiglio del 26 giugno 1918 dal quale, con l’adesione di Benedetto Croce, sarebbe uscita l’indicazione del nome di Fausto Nicolini per la direzione dei Frari (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, cc. 73v-74).
76. Ibid., reg. I, cc. 307v-308; ibid., Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 403. Una prima richiesta di assumere il delicato incarico era stata formulata dal Ministero ad Alessandro Luzio — allora direttore dell’Archivio di Stato di Mantova e successivamente, dal 1918, soprintendente a Torino — che rifiutò risolutamente. Un’eco della congiuntura nell’opinione pubblica veneziana compare nel querulo G. Bertolini, ‘Italia’, pp. 261-262. Ancora in occasione del concorso bandito per Venezia nel 1911 «si era fatto assegnamento sulla presentazione del cav. Luzio, che già nella precedente discussione il Consiglio aveva ritenuto idoneo particolarmente a quell’ufficio; egli però ha dichiarato ripetutamente di non voler lasciare l’attuale sede» (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, c. 1v).
77. Nato a Venezia il 10 marzo 1864, era entrato dal 1888 nella carriera degli Archivi di Stato, percorrendone nell’Archivio dei Frari tutti i gradi. Nel 1915, anno in cui avrebbe ricoperto pure il ruolo di economo, fu richiamato alle armi quale tenente di fanteria nella riserva e assegnato al Comando militare della stazione di Mestre. Fu socio dell’Ateneo Veneto, segretario e vicepresidente della Commissione araldica veneta, membro della Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica, membro infine della Deputazione di Storia Patria di cui fu pure tesoriere. Fra i suoi lavori archivistici si segnala l’ordinamento e l’inventariazione del fondo della Mensa patriarcale. Portò a completamento l’opera di Predelli sui Regesti dei Commemoriali, dei quali curò l’VIII volume uscito nel 1917, relativo ai registri XXIX-XXXIII. Collaborò inoltre con Roberto Cessi nella scelta e trascrizione dei documenti editi nell’opera La regolazione delle entrate e delle spese della Repubblica. Durante il periodo della sua direzione, nel 1925, furono ceduti al magistrato alle Acque gli ambienti della sede sussidiaria dell’Archivio al palazzo dei Dieci savi e alla contigua Scuola degli Orefici a Rialto, ricevendone in cambio dei magazzini alla Giudecca. Gli studiosi veneziani ricordarono di Pietro Bosmin «le doti di precisione e diligenza che formano la caratteristica saliente del buon archivista», la sua «signorilità cortese e […] accogliente gentilezza», il «sereno equilibrio di giudizio», la «cristallina rettitudine», così come «l’adempimento scrupoloso dei suoi doveri d’ufficio, che quando si tratti d’un Archivio come quello di Venezia, giustificano già l’assorbimento di tutte le energie intellettuali di chi vi è addetto» (cf. il profilo di Giulio Lorenzetti, «Archivio Veneto», ser. V, 10, 1931, nrr. 19-20, pp. 27-28, e 11, 1932, nrr. 21-22, pp. 381-382).
78. Su Giuseppe Dalla Santa v. le commemorazioni di Giuseppe Biadego, «Nuovo Archivio Veneto», n. ser., 39, 1920, nrr. 78-79, pp. 203-204, e 40, 1920, nrr. 79-80, pp. 192-197, con bibl. Particolarmente accorato anche il ricordo di Roberto Cessi, Giuseppe Dalla Santa, «Gli Archivi Italiani», 7, 1920, nr. 3, pp. 140-143, ove, rievocando l’impegno a sostegno dell’edizione della Storia della cultura in Venezia di Enrico Bertanza, e l’attività quale segretario della Deputazione, rammentava la stima verso di lui nutrita dagli studiosi dei Frari e dagli allievi della Scuola di paleografia dove Dalla Santa prestò il suo insegnamento per un decennio. Sulla morte prematura di Dalla Santa, la cui fibra era stata fiaccata da numerosi impegni di lavoro assunti con uno zelo superiore alle sue risorse fisiche, v. più oltre, n. 105.
79. La candidatura di Bosmin era stata sostenuta da un appassionato intervento di Pompeo Molmenti in Consiglio superiore degli archivi. Contraddicendo talune sue stesse considerazioni formulate nel 1918 in occasione della nomina di Fausto Nicolini (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, c. 73), il senatore aveva fatto risuonare una volta ancora, unitamente a un sentito elogio nei confronti dell’esperto e diligente funzionario cui si doveva l’organizzazione del rientro dei fondi allontanati durante la guerra, le note della venezianità archivisticamente necessaria (ibid., cc. 205-215).
80. Nato a Venezia il 9 gennaio 1868, trascorse i suoi primi anni di servizio all’Archivio di Stato di Venezia fianco a fianco con Roberto Cessi, che ne ricordò alla di lui morte «la prolungata quotidiana consuetudine di comune travaglio, […] le piacevoli conversazioni, […] gli arguti motti, che richiamavano il vecchio spirito patrizio, placido, sereno e pacato» (Roberto Cessi, Co. Andrea Da Mosto, «Archivio Veneto», ser. V, 68, 1961, nr. 103, pp. 161-162). Nel 1915, archivista di II classe, era stato richiamato alle armi quale tenente d’artiglieria da fortezza. Fra le sue opere, oltre alla grande guida L’Archivio di Stato di Venezia, e I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe (Venezia 1939), numerosi studi di storia della marineria e militare, nonché biografie di navigatori. Andrea Da Mosto fu autore pure di una Guida per le ricerche dello studioso del Risorgimento italiano nell’Archivio di Stato di Venezia, in Regio Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Miscellanea veneziana (1848-1849), Roma 1936, pp. 93-126. Sempre Roberto Cessi, ricordando in particolare l’opera sui dogi di Venezia che «reca impresso lo spirito veneziano del vecchio patrizio», indicava Da Mosto quale «l’erede della tradizionale storiografia veneziana del buon tempo antico, nella forma e nella sostanza» (ibid.). Brevi e vivaci tratti su Andrea Da Mosto sono pure riportati in Maria Damerini, Gli ultimi anni del Leone. Venezia 1929-1940, Padova 1988, pp. 232-233. Le relazioni annuali, singolarmente scarne e concise, degli anni di reggenza di Da Mosto sono raccolte unitariamente in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 355.
81. Così nel 1911 (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, c. 1v) e nel 1933-1934 (ibid., Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 395).
82. Lisini, che giunse a Venezia a 62 anni, il primo agosto 1912, sarebbe andato in quiescenza durante i mesi più drammatici della guerra, nel novembre 1917 (cf. più oltre, n. 102).
83. Vincitore nel 1903 di concorso ad alunno di prima categoria nell’amministrazione archivistica, e nominato prima all’Archivio di Stato di Milano, quindi dal 1904 a quello di Napoli, archivista nel 1908, fu direttore dell’Archivio di Stato di Siena dal 1915 al 1918, donde passò a quello di Venezia, lasciato nel 1922 per assumere a 42 anni l’incarico di ispettore generale archivistico, propiziando la sua nomina lo stesso Pompeo Molmenti che aveva avuto modo di conoscerne le doti alla direzione dell’Archivio veneziano. Autore prolifico di saggi storici e letterari, direttore dal 1910 per volontà di Benedetto Croce della collana degli «Scrittori d’Italia» di Laterza, libero docente dal 1925 di Storia della letteratura italiana, membro di prestigiosi consessi accademici, Fausto Nicolini impersonò il profilo di uno studioso che seppe animare l’erudizione archivistica con una singolare vivacità e arguzia intellettuale (Antonio Saladino, Ricordo di Fausto Nicolini, «Rassegna degli Archivi di Stato», 27, 1967, pp. 552-568). Durante il periodo in cui Nicolini fu ispettore generale ricoprì pure, dal novembre 1929 al maggio dell’anno seguente, la reggenza dell’Archivio di Stato di Bologna e nuovamente dal ’35 al ’36 la direzione dell’Archivio dei Frari. Una terza, breve reggenza alla direzione di Venezia si sarebbe inoltre verificata nel 1937, per smussare nel passaggio delle consegne — così si ritiene — la transizione fra Andrea Da Mosto e Guido Manganelli. Sulla produzione archivistica di Nicolini v., oltre al profilo di A. Saladino (pp. 565-566), Fausto Nicolini, Scritti di archivistica e di ricerca storica. Raccolti da Benedetto Nicolini, Roma 1971, e Omaggio a Fausto Nicolini, Bologna 1972.
84. Nato a Palermo nel 1888, laureato in Giurisprudenza, entrò nell’amministrazione degli Archivi nel 1908 presso l’Archivio di Stato di Palermo, ove rimase fino al 1925 conseguendovi per successivi passaggi di carriera il grado di primo archivista. Fu quindi all’Archivio di Stato di Milano per un decennio, nel 1935 reggente dell’Archivio di Stato di Mantova, e dal 1936, contemporaneamente direttore di quello di Brescia, reggendo pure, dopo aver lasciato Mantova, l’Archivio di Stato di Trento. Durante la sua breve direzione dell’Archivio di Stato di Venezia, dal quale passò nel 1938 alla Soprintendenza dell’Archivio di Stato di Milano, egli si prefisse obiettivi di riorganizzazione dei servizi e di restauri all’immobile, della cui realizzazione dava notizia con toni di grande efficienza nella «Relazione sulla Soprintendenza del R. Archivio di Stato in Venezia» allegata al curriculum presentato per il concorso alla sede milanese nell’agosto 1938 (Roma, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Ministero dell’Interno, Concorsi interni per il gruppo C, B, A e Soprintendenze, vol. 40).
85. Nato a Torino nel 1887, laureato in Giurisprudenza nell’Università di quella città e successivamente in Scienze sociali all’Università di Firenze, entrò quale «alunno» all’Archivio di Stato di Torino nel luglio 1911. Prima di assumere la direzione dell’Archivio di Stato di Venezia, nel dicembre 1938, aveva retto dal 1931 quella dell’Archivio di Stato di Trento. Dal dicembre 1947 fu nominato infine soprintendente alla Soprintendenza archivistica per il Piemonte (ibid., Fogli matricolari gruppi A, B, C, n. 392).
86. Nato a Sulmona nel 1890, laureato in Lettere all’Università di Macerata nel 1921, Antonio Capograssi entrò nell’amministrazione archivistica quale alunno di II classe presso l’Archivio di Stato di Mantova. Trasferito nell’aprile del 1918 a Napoli, ove nel novembre del ’20 ottenne la qualifica di archivista, passò quindi a Roma nel gennaio 1924, ove conseguì nel 1927 il grado di primo archivista; ritornò quindi a Napoli nel 1929. Capograssi assunse dal dicembre 1947 la direzione dell’Archivio di Stato di Venezia, che tenne unitamente alla Soprintendenza archivistica per il Veneto (istituto quest’ultimo reso nuovamente autonomo, come i consimili a livello nazionale, dalla legislazione archivistica del 1939). Alla direzione dell’Archivio rimase fino al novembre del 1952, mantenendo dopo quella data la sola Soprintendenza, fino alla quiescenza cui giunse nel marzo 1956 (ibid., n. 407).
87. I. Zanni Rosiello, Archivi, pp. 127-128.
88. Già nel 1924 Pompeo Molmenti, pur attenuando le sue espressioni con il riferimento alle difficoltà post;belliche e alla generosità con cui vi avevano fatto fronte gli archivisti veneziani, così riferiva senza reticenze alla seduta del Consiglio superiore degli archivi del 30 maggio di quell’anno: «L’Archivio veneziano, che ha una nobile tradizione archivistica, oggi trascorre, non è inutile confessarlo, perché è bene che il male sia denunciato allo scopo di porvi rimedio, un momento di crisi» (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, c. 212). Altrettanto esplicito Annibale Alberti nel 1937: «Da qualche tempo l’Archivio di Stato di Venezia è in una innegabile condizione di decadenza. Scomparsi immaturamente ottimi elementi, allontanatisi o prossimi ad allontanarsi per limiti di età o per altre plausibilissime ragioni, coloro che erano cresciuti alla scuola dell’esperienza, o stavano a questa formandosi, i nuovi dirigenti o impiegati o si fermarono troppo poco e non ebbero possibilità di raccogliere maturamente e pienamente l’eredità di esperienze dei predecessori o non furono all’altezza della situazione. Nel momento attuale la situazione del personale è veramente critica. Se, come si può ritenere, taluni giovani veramente valorosi che ne fanno parte si allontaneranno più o meno presto da Venezia, l’Archivio rimarrà in uno stato di crisi di assoluta gravità» (Roma, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Ministero dell’Interno, Concorsi interni per il gruppo C, B, A e Soprintendenze, vol. 40). V. pure gli interventi dello stesso Alberti al Consiglio superiore degli archivi del 7 gennaio e del 29 aprile 1937 (ivi, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. IX, cc. 171, 176v-177). Merita qui segnalare, a testimonianza della possibile pluralità e convivenza di molteplici piani di valutazione della temperie culturale e dell’efficienza di un istituto come quello veneziano, come il 1937 fosse la data dell’uscita del primo volume della guida generale ai fondi dell’Archivio e alla storia delle figure istituzionali che li avevano prodotti, che va sotto il nome di Andrea Da Mosto, sulla cui importanza si ritornerà più oltre.
89. V. l’ordine del giorno presentato dal socio effettivo Vittorio Lazzarini all’assemblea della Deputazione tenutasi a Verona il 2 maggio 1926, presente pure il socio Luigi Rava del Consiglio superiore degli archivi, che ne sollecitò l’invio al Ministero della Pubblica istruzione e a Paolo Boselli in qualità di presidente del Consiglio superiore. Così commenta il verbale redatto dal segretario Giuseppe Pavanello: «Il Lazzarini lo illustra esaurientemente [l’ordine del giorno], descrivendo il nostro Archivio di Stato, nello stato presente, già deplorevole, e nello stato avvenire addirittura disastroso; egli prevede, non per pessimismo ma per serena disamina di ogni fattore, che questa miniera del passato, la più importante dopo l’Archivio Vaticano, diverrà inesplorabile e fors’anche inaccessibile se si continuerà a trascurarla così» (Atti della R. Deputazione veneto-tridentina di storia patria, «Archivio Veneto Tridentino», 9, 1926, nrr. 17-18, pp. 323-324 [pp. 318-324]). L’argomento fu ripreso nuovamente nell’assemblea generale del 14 giugno 1931 in Venezia, con interventi del presidente della Deputazione Francesco Salata, di Giuseppe Gerola e di Vittorio Lazzarini che rammemorarono «la nota e non lieta situazione in cui versa il nostro Archivio dei Frari», le cui condizioni già descritte nel congresso di Verona «sono andate da allora sempre peggiorando e costituiscono un serio pericolo e un sicuro disdoro per gli studi» (Atti della R. Deputazione di storia patria per le Venezie, «Archivio Veneto», ser. V, 10, 1931, nrr. 19-20, pp. 10-11 [pp. 1-58]).
90. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 358 «L’Archivio di Stato di Venezia nel primo decennio dell’era fascista 1922-32».
91. Legge 22 dicembre 1939, nr. 2006. Cf. E. Lodolini, Organizzazione e legislazione, pp. 110-112.
92. L’inaugurazione dei nuovi lavori nel R. Archivio di Stato in Venezia, «Archivi d’Italia e Rassegna Internazionale degli Archivi», ser. II, 6, 1939, nr. 2, pp. 245-251, e Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. IX, c. 250v.
93. Ministero dell’Interno, Direzione Generale dell’Amministrazione Civile, div. 2, sez. 3, circ. n. 37134 del 23 gennaio 1915 (A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 135).
94. Ibid. Una rubrica su «Gli archivi e la guerra» fu tenuta, a cura di Eugenio Casanova, nel periodico «Gli Archivi Italiani», dallo stesso fondato nel 1914. Un vibrante accostamento fra ideali patriottici e consuetudine di lavoro negli archivi sarebbe stato fornito il 21 luglio 1917 dall’intervento del presidente del Consiglio Paolo Boselli al Consiglio superiore degli archivi (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, c. 59; Notizie, «Gli Archivi Italiani», 4, 1917, nr. 3, pp. 170-171 [pp. 170-176]).
95. A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 135. Sul «volto di combattente» che l’intera città assunse dal maggio del 1915 v. i suggestivi passaggi in G. Damerini, D’Annunzio e Venezia, p. 130.
96. A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, bb. 137-138.
97. Ove nella sezione d’Archivio a palazzo Madama, in piazza Castello, si erano recentemente liberati ampi spazi a seguito di un grosso scarto di documenti finanziari (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 236, fasc. «Archivi delle provincie invase»).
98. Li avrebbero accompagnati a Torino Bosmin, rientrato in servizio il 28 marzo del 1916, e successivamente Dalla Santa assieme ad altro personale veneziano (ibid., con le lettere dell’ispettore generale degli archivi Rossano, inviato a Venezia per organizzare le operazioni, al Ministero dell’Interno del 14 e 22 dicembre 1916, con la relazione da Torino del 27 ottobre 1917 e, sempre da Torino, la lettera del 16 marzo 1917; cf. A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 138). Le spese per i trasporti furono sostenute dall’autorità militare e dal comando della piazza marittima di Venezia. Le casse per l’imballaggio dei documenti erano state ottenute dalla Regia Manifattura Tabacchi. Disposti in due ampie sale di palazzo Madama, gli archivi poterono essere addirittura consultati per ricerche a distanza.
99. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 236, fasc. «Archivi delle provincie invase»; A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 138, lettera del direttore dell’Archivio Lisini al Ministero dell’11 dicembre 1916.
100. A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 138. Quanto alle frequenze del pubblico alla sala di studio, alcuni dati comparativi disponibili per gli anni 1912-1913, ci segnalano una cifra costante nel biennio di 175 presenze, di cui 43 stranieri nel 1912 e 37 nel 1913, per un totale di 10.800 pezzi movimentati. Più alti, in quegli anni, gli afflussi di studiosi a Firenze (nel 1912 con 272 studiosi di cui 64 stranieri), Napoli con 200 (di cui 23 stranieri), Milano con 192 (di cui 15 stranieri) e Torino con 182 (di cui 32 stranieri). Seguiva nelle statistiche nazionali Venezia, che comunque registrava la più alta percentuale di studiosi non italiani (I RR. Archivi di Stato nel biennio 1912-1913. Relazione di Eugenio Casanova, «Gli Archivi Italiani», 1-2, 1914-1915, p. 64 [pp. 5-76]).
101. A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 138.
102. Alessandro Lisini aveva inviato il 16 ottobre la sua richiesta, poi accettata, di collocamento a riposo. A Torino erano stati trasferiti gli archivisti Bosmin (che dal 26 novembre sarebbe passato a Modena), Lanza, Orlandini, Condio, Ferro e Cessi e l’usciere Vascon; a Firenze Foffano, Marcovich, Dalla Santa, Baracchi, Tiozzo e gli uscieri Siega e Bestoja. Lisini, De Nat e Gallovich, per i quali era in corso il collocamento a riposo, avrebbero dovuto trasferirsi in località a loro scelta (ibid.).
103. Fra esse una straniata richiesta a firma di Lisini che chiedeva, in cifra, il 13 novembre al Ministero dell’Interno: «Caso partenza impiegati a chi devo far consegna Archivio?».
104. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Archivi di Stato, b. 236, fasc. «Archivi delle provincie invase», relazione dell’ispettore generale degli archivi Rossano «sui provvedimenti per la tutela di Archivi veneti», 13 maggio 1918.
105. Gli elenchi dei fondi trasferiti da Venezia a Firenze e a Torino, ibid. Nel 1918 infine, ripresa dal 16 gennaio la reggenza da parte di Pietro Bosmin, Dalla Santa poteva essere inviato a Firenze per controllare lo stato di conservazione del materiale rinchiuso nelle casse ivi trasferite fin dal 1915. A Firenze Dalla Santa sarebbe rimasto per seguire la situazione dei fondi veneziani, dedicandosi pure fino al febbraio 1919 a lavori di indicizzazione su fondi fiorentini. La sua morte prematura nel 1920, a neppure cinquant’anni, fu collegata al gravoso impegno degli anni di guerra e delle successive missioni (ibid., Verbali del Consiglio superiore degli archivi, reg. VIII, c. 147; cf. R. Cessi, Giuseppe Dalla Santa, pp. 140-143).
106. A.S.V., Archivietto, Protocollo di direzione, b. 138, con altro esemplare degli elenchi dei fondi trasferiti.
107. Il suo ingresso nell’amministrazione archivistica risale al 1907, con assunzione in ruolo il 16 giugno 1908: vi sarebbe rimasto fino all’inizio del 1922, percorrendo le tappe di alunno, sottoarchivista ed archivista. Assegnato alla sezione II dell’Archivio veneziano, relativa agli archivi antichi, dal 1916 ebbe l’incarico di seguire quale ispettore la sala di studio, in sostituzione di Luigi Ferro. Contengono ampi riferimenti alla permanenza di Roberto Cessi nell’Archivio di Stato di Venezia, al suo metodo di lavoro sulle fonti primarie, alla sua attività di editore di documentazione archivistica e alla sua produzione scientifica in quegli anni i saggi: Gino Luzzatto, L’opera storica di Roberto Cessi, in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, I, Roma 1958, pp. XII-XXIV; Renato Scambelluri, Un archivista: Roberto Cessi, ibid., pp. XXVII-XLIII; Ernesto Sestan, Roberto Cessi storico, «Archivio Veneto», ser. V, 38, 1969, nr. 123, pp. 217-235 (con bibl. degli scritti a cura di Giampietro P. Tinazzo, pp. 238-274); Nicola Nicolini, Ricordo di un maestro, «Clio», 5, 1969, pp. 421-425; Federico Seneca, L’opera storica di Roberto Cessi, «Archivio Storico Italiano», 128, t. 1, 1970, pp. 25-51; Paolo Preto, Cessi, Roberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIV, Roma 1980, pp. 269-273; Paolo Sambin, Gli studi di Roberto Cessi da studente a professore dell’Università di Padova. Cronaca bibliografica di un ventennio, in Roberto Cessi, Padova medioevale. Studi e documenti raccolti e riediti a cura di Donato Gallo, I, Padova 1985, pp. IX-XXXVI.
108. «Profanando il detto evangelico, si potrebbe dire che per Roberto Cessi, in principio era l’archivio, era la carta, il documento, il codice, la fonte insomma, nella sua immediatezza corposa; tutto il resto, studi, ricerche, volumi, veniva poi» (E. Sestan, Roberto Cessi storico, p. 222, ove si richiama pure, al proposito, il magistero di Vittorio Lazzarini).
109. N. Nicolini, Ricordo d’un maestro, p. 420.
110. Roma, Archivio storico del Ministero degli Affari esteri, Delegazione italiana al Congresso della pace, b. 19, cit. in R. Scambelluri, Un archivista: Roberto Cessi, pp. XXX-XXXI, ove si pubblica pure alle pp. XXXII-XLIII la relazione di Roberto Cessi sulla sua attività a Vienna nel gennaio e febbraio 1921. Cf. ancora N. Nicolini, Ricordo d’un maestro, pp. 422-423. Espliciti riconoscimenti al lavoro di Roberto Cessi nell’occasione anche in Documenti storici italiani ricuperati in Austria. Discorso tenuto il 22 marzo 1920 nell’Accademia dei Lincei dal prof. Luigi Luzzatti, Ministro del Tesoro, «Rivista delle Biblioteche e degli Archivi», 30, 1919, nrr. 1-12, pp. 1-4.
111. F. Seneca, L’opera storica di Roberto Cessi, p. 28.
112. Interessante la testimonianza che Dalla Santa ci tramanda, nella Prefazione ai Documenti per la storia della cultura in Venezia (ricercati da Enrico Bertanza, riveduti sugli originali e coordinati per la stampa da G. Dalla Santa, Venezia 1907, p. VIII), circa una sorta di cooperazione instauratasi in quegli anni fra studiosi dai diversi interessi nello spoglio comune di fondi archivistici: «[…] si stabilì una specie di lavoro collettivo pel quale il Bertanza indicava agli altri ricercatori notizie e documenti che si riferivano ai loro studi, e questi segnalavano a lui nomi e notizie di maestri e di argomenti affini. [in nota] Il dr Vittorio Lazzarini fu il principale collaboratore del Bertanza. Il compito comune dei due studiosi fu di spogliare sistematicamente, ciascuno per i propri studi e col reciproco aiuto accennato, le collezioni notarili del nostro Archivio di Stato per tutto il secolo XIV. Ai due s’aggiunse poi il prof. Paoletti per i suoi studi di storia dell’arte».
113. Così pare trapelare da alcune lettere rese note da Paolo Sambin, scritte nel giugno del 1917 e nello stesso mese del 1919 da Vittorio Fiorini, promotore con Carducci dei nuovi Rerum Italicarum Scriptores, in risposta ad altre di Roberto Cessi, così amareggiato da prospettare l’abbandono del suo ambiente di lavoro (P. Sambin, Gli studi, pp. XXVII-XXVIII).
114. E. Sestan, Roberto Cessi storico, p. 223. Ancora in un discorso alla Camera dei deputati nel 1948, nel sostenere le sue argomentazioni a favore degli Archivi di Stato, Cessi avrebbe ricordato di essere stato per quindici anni della sua vita nell’amministrazione degli Archivi, e di essere rimasto sempre, per quindici anni, «all’ultimo gradino, senza mai avere la possibilità di poter avanzare» (Roberto Cessi, Per la riforma degli Archivi di Stato. Discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella seduta del 7 ottobre 1948, Roma 1948, p. 8).
115. I-III, Bologna 1931-1950.
116. Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati (Senato). Serie ‘mixtorum’, I (Libri I-XIV)-II (Libri XV-XVI), Venezia 1960-1961.
117. I-II, Padova 1942.
118. Venezia 1932.
119. Tre volumi in quattro tomi, Bologna 1928-1932, più un quarto di Appendice con Le ‘Annotazioni’ di Francesco Calbo alle sedute dei Consigli dei Rogati (1785-1797) del 1942, a cura del solo Cessi.
120. P. Sambin, Gli studi, p. XXV n. 38. La realizzazione di tali progetti avrebbe avuto luogo più tardi, con l’edizione del Codex Publicorum (Codice del Piovego), I, a cura di Bianca Lanfranchi Strina, Venezia 1985, mentre la trascrizione dei documenti dal 1000 al 1100 e la loro pubblicazione in un progressivo piano per singoli fondi avrebbe costituito il grande campo di attività di Luigi Lanfranchi con il suo Codice diplomatico veneziano e con le collane delle «Fonti per la storia veneta» (cf. più oltre n. 138).
121. A. Ventura, Il problema storico dei bilanci generali, pp. XI-XII.
122. La regolazione delle entrate e delle spese (secc. XIII-XIV), con un proemio di Luigi Luzzatti, Padova 1925, e Problemi monetari veneziani (fino a tutto il sec. XIV), Padova 1937.
123. Impostato assieme ad Arnaldo Segarizzi, l’Indice generale dell’«Archivio veneto» 1871-1930, Venezia 1935, anch’esso «tripartito», comprende nel vol. I l’Indice per autori delle memorie e della bibliografia, nel II l’Indice dei testi, dei documenti e delle iscrizioni, nel III l’Indice per materia. Non solo strumento di consultazione questi indici, secondo Cessi, ma anche «un grande repertorio di storia veneziana, quale si raccoglie dal lavoro di cui la R. Deputazione fu ispiratrice e artefice» (Roberto Cessi, Premessa, in Indice generale, I, p. VIII).
124. Nato il 21 aprile 1913 a Barletta, vincitore nel 1933 quale primo qualificato del concorso per la carriera direttiva negli Archivi di Stato, fu assegnato nel 1934, a soli 21 anni, all’Archivio di Stato di Venezia, da dove passò nel 1936 presso quello di Napoli. Storico del diritto, politico e magistrato nelle più alte istituzioni giudiziarie, Cassandro sarebbe ritornato nel mondo degli archivi quale componente e quindi presidente del Consiglio superiore e, successivamente, nel primo Consiglio nazionale del nuovo Ministero per i Beni culturali e ambientali, quale presidente del Comitato di settore (Renato Grispo, Presentazione, in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, I, Roma 1991, p. XII; Domenico Maffei, Giovanni Cassandro storico del diritto, ibid., pp. XIII-XVI).
125. Giovanni Cassandro, La Curia di Petizion e il diritto processuale di Venezia, «Archivio Veneto», ser. V, 19, 1936, nrr. 37-38, pp. 72-144; 20, 1937, nrr. 39-40, pp. 1-210; Id., Le rappresaglie e il fallimento a Venezia nei secoli XIII-XVI, Torino 1938 (con edizione del capitolare trecentesco dei sopraconsoli dei mercanti). Del 1935 era già un Contributo alla storia della dominazione veneta in Puglia («Archivio Veneto», ser. V, 17, 1935, nrr. 33-34, pp. 1-58), e del 1937 Una controversia tra Venezia e Brindisi nel secolo XIV («Rinascenza Salentina», 5, 1937, pp. 198-215).
126. D. Maffei, Giovanni Cassandro, pp. XV-XVI.
127. Tomo I, Archivi dell’Amministrazione centrale della Repubblica veneta e archivi notarili; tomo II, Archivi dell’Amministrazione centrale della terraferma veneta e del Levante, Roma 1937-1940.
128. Maria Francesca Tiepolo nell’introduzione alla nuova guida dell’Archivio di Stato di Venezia, dalla stessa realizzata per la Guida generale degli Archivi di Stato italiani (IV, Roma 1994, pp. 857-1148), si riferisce al «Da Mosto» come «opera fondamentale […], pietra miliare nella conoscenza dell’Archivio, […] alla quale anche in seguito si dovrà costantemente far ricorso» (p. 875).
129. Armando Lodolini, Verso la guida dell’Italia archivistica, «Archivi d’Italia», 1, 1933-1934, nr. 1, pp. 83-85. Sempre negli «Annales Institutorum» era apparso Id., L’Archivio di Stato in Roma e l’Archivio del Regno d’Italia, Roma 1932. Sarebbe seguito poi Giovanni Drei, L’Archivio di Stato di Parma. Indice generale, storico, descrittivo ed analitico, con il concorso dei funzionari dell’Archivio, Roma 1941. Su Pietro Fedele, ministro dell’Istruzione pubblica dal 1925 al 1928, vicepresidente del Consiglio superiore degli archivi, succeduto nel 1934 a Paolo Boselli nella presidenza dell’Istituto Storico Italiano da dove «impresse un particolare impulso allo studio delle fonti dell’Italia medievale promuovendo la ripresa di edizioni di grande lena storiografica e documentale» quali le Fonti per la storia d’Italia, i Regesta chartarum Italiae, le Guide storiche e bibliografiche degli archivi e biblioteche d’Italia, nonché la riedizione dei Rerum Italicarum Scriptores, cf. Ottorino Bertolini, Pietro Fedele, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano», 59, 1944, pp. IX-XXXIX; Francesco M. Biscione, Fedele, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLV, Roma 1995, pp. 572-575 (la citazione è da p. 575).
130. L’espressione, così come le argomentazioni cui ci si è ispirati per le osservazioni che seguono nel testo, è di I. Zanni Rosiello, Archivi, pp. 89 ss.
131. Ministero dell’Interno-Direzione Generale dell’Amministrazione Civile, L’ordinamento delle carte degli Archivi di Stato Italiani. Manuale storico archivistico, Roma 1910, pp. 79-93. Cf. I. Zanni Rosiello, Archivi, pp. 94-96.
132. «La natura della competenza delle magistrature della Repubblica Veneta mi ha impedito una classificazione, già varie volte tentata, ma rimasta sempre estrinseca e insoddisfacente. Ho ritenuto perciò più opportuno dividerle in quattro gruppi; nel primo ho riunito gli organi costituzionali e le principali dignità dello Stato, nel secondo quelli giudiziari (checché si sia detto o si dica, organi con esclusive competenze giudiziarie sono a Venezia numerosi e individuabili), nel terzo gli organi finanziari e nell’ultimo gli organi amministrativi in senso largo. Ma mi affretto a soggiungere che con questa suddivisione non pretendo di risolvere il problema, ma, adottando nomenclatura e criteri moderni, intendo soltanto dare un certo ordine all’esposizione e una sia pur minima guida al ricercatore» (Andrea Da Mosto, Introduzione, in Id., L’Archivio di Stato di Venezia, p. 5 [pp. 1-8]).
133. I. Zanni Rosiello, Archivi, p. 89.
134. «Nella redazione di questa guida mi sono attenuto all’ordinamento sistematico degli Archivi, senza tener conto dell’ordine del collocamento, variabile secondo le contingenze del momento e l’opportunità, e che non dà una fisionomia degli organismi statali» (A. Da Mosto, Introduzione, p. 5).
135. Riprendo queste espressioni, come quelle che seguono da vicino, e le relative suggestioni, da I. Zanni Rosiello, Un luogo di conservazione della memoria, p. 17.
136. Il materiale di pregio fu trasportato nel dicembre 1942 nel castello del Cattaio a Battaglia Terme presso Padova, e nel maggio e settembre 1943 nell’abbazia di Praglia, alle pendici dei Colli Euganei. Dopo l’8 settembre, come per il restante materiale storico-artistico sfollato, si preferì far rientrare gli archivi a Venezia, frazionandone tuttavia la custodia fra vari luoghi cittadini, fra cui Ca’ Pesaro e Palazzo Ducale. Tutto il materiale, scampato a danneggiamenti di alcun genere, rientrò ai Frari al termine del conflitto (cf. I danni materiali e le conseguenze della guerra, «Notizie degli Archivi di Stato», 4-7, 1944-1947, numero unico su I danni di guerra subiti dagli archivi italiani edito nel 1950, pp. 3-26), e Michela Dal Borgo, L’Archivio di Stato, in Giovanni Distefano-Giannantonio Paladini, Storia di Venezia 1797-1997, III, Dalla monarchia alla Repubblica, Venezia 1997, pp. 287-288 (pp. 285-290).
137. Nato a Torino nel 1905, laureato in Lettere, Filosofia e Geografia all’Università di Genova, nel 1935 entrò nell’Archivio di Stato di Genova, che lasciò per quello di Venezia nel 1937 e di cui assunse la direzione dal 1953 al 1968. Ricoprì pure la carica di soprintendente archivistico per le Tre Venezie dal 1953 al 1956 e quella di ispettore generale dal 1962 al 1970. Studioso di cronologia e di storia commerciale medievale, aveva pubblicato nel 1940 con Antonino Lombardo l’edizione in due volumi dei Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, cui si aggiunsero nel 1953 i Nuovi documenti del commercio veneziano dei sec. XI-XIII. Fra le sue opere si segnalano ancora gli studi sui notai di Candia e le edizioni Benvenuto de Brixano notaio in Candia, 1301-1302, Venezia 1950 e Lettere di mercanti a Pignol Zucchello (1336-1350), Venezia 1957. Su di lui v. il profilo con bibliografia redatto da Maria Francesca Tiepolo, Raimondo Morozzo Della Rocca (1905-1980), «Archivio Veneto», ser. V, 116, 1981, nr. 151, pp. 159-163 (anche in «Rassegna degli Archivi di Stato», 40, 1980, pp. 172-175, con il titolo di Ricordo di Raimondo Morozzo della Rocca).
138. Sul Codice diplomatico veneziano realizzato da Luigi Lanfranchi a partire dal 1944 e sulle edizioni dallo stesso promosse delle «Fonti per la storia di Venezia» v. con ulteriore bibliografia Giorgetta Bonfiglio Dosio-Marino Berengo, Luigi Lanfranchi, «Archivio Veneto», ser. V, 127, 1986, nr. 162, pp. 147-156, e gli scritti dello stesso Luigi Lanfranchi, Lavori e programmi per una pubblicazione delle carte veneziane anteriori al 1200, ibid., 30-31, 1942, nrr. 59-62, pp. 246-252; Id., Lavori e studi per una raccolta di carte relative a Venezia anteriori al 1200, «Ateneo Veneto», 133, 1942, nrr. 7-8-9, pp. 190-191; Id., Per un codice diplomatico veneziano del sec. XIII, in Viridarium Floridum. Studi di storia veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, a cura di Maria Chiara Billanovich-Giorgio Cracco-Antonio Rigon, Padova 1984, pp. 355-363.