GLACIALE EPOCA (ted. Eiszeit, Eiszeitalter; ingl. ice age)
In un periodo geologicamente molto recente i ghiacciai ebbero uno sviluppo straordinariamente maggiore dell'attuale (già riconosciuto, per la Svizzera, da J. Playfar, 1802), sì che estese regioni dell'Europa, dell'Asia, dell'America del Nord rimasero coperte da immensi mantelli di ghiaccio. L'epoca glaciale (o Diluvium, come è ancora detta, conservando un nome tradizionale) rientra nel Quaternario, e anzi lo caratterizza e lo occupa quasi interamente, formandone la suddivisione detta Pleistocene, cui segue l'Olocene (o Alluvium), assai più breve e che giunge fino al presente. Se la grande espansione dei ghiacciai sia già incominciata nel Pliocene è ancora dubbio, e la maggior parte dei geologi è ormai concorde nel ritenere che l'epoca glaciale spetti interamente al Quaternario. Il grande sviluppo dei ghiacciai, condizionato a variazioni climatiche, non fu però un fenomeno unitario, ma subì oscillazioni considerevoli con l'alternarsi di periodi di ritiro dei ghiacciai fino alle sedi attuali, e forse oltre, in corrispondenza di fasi di clima più mite; si distinguono quindi fasi propriamente glaciali da altre interglaciali. Grande sviluppo di ghiacciai non è però conosciuto soltanto per il Quaternario, ma anche per periodi geologici molto più antichi. Durante la più intensa glaciazione le maggiori catene di montagne ospitarono grandi ghiacciai, che spesso giunsero fino allo sbocco delle valli, riunendosi talora al piede dei monti a formare ghiacciai pedemontani; cosi fu, ad esempio, anche sul versante settentrionale delle Alpi. Però i centri più importanti di glaciazione erano nella parte settentrionale dei continenti. Tre enormi ghiacciai continentali ricoprirono infatti l'America Settentrionale fino oltre alla regione dei grandi laghi, l'Europa nordica fino alla Germania e, stando alle ricerche più recenti, la Siberia. Ghiacciai montani e ghiacciai continentali hanno lasciato tracce spesso grandiose; alle loro azioni modificatrici, di erosione (esarazione) e di deposito, debbono infatti le caratteristiche del paesaggio regioni estesissime. L'opera dell'erosione è soprattutto evidente nelle grandi catene montuose, le cui valli durante l'epoca glaciale furono profondamente escavate (non però esclusivamente a opera dei ghiacciai) e ricevettero un tipico modellamento; sotto le creste si formarono i caratteristici incavi dei circhi. Per le zone già coperte dai grandi ghiacciai continentali hanno invece maggiore importanza i depositi, e sono essenzialmente questi che, anche per le regioni montuose, ci permettono di ricostruire le fasi e l'entità delle varie espansioni glaciali. Le lisciature e gli arrotondamenti delle rocce dovuti ai ghiacciai, prestano però utili indicazioni per determinare il limite superiore al quale giunsero i ghiacciai colmanti le valli; e le striature servono a indicare, specialmente nelle aree coperte dai grandi ghiacciai continentali, la direzione del movimento del ghiaccio.
Brevemente accenneremo ai depositi più diffusi (v. ghiacciaio; morena). I ghiacciai che sboccarono dalle regioni montuose, come quelli delle Alpi, costruirono davanti ai varî lobi o lingue i caratteristici archi collinari degli anfiteatri morenici, dietro ai quali si estende una zona depressa (depressione terminale, Zungenbecken) occupata talora da laghi (laghi prealpini) o riempita da alluvioni. Morene frontali o laterali si ritrovano anche entro valle, ma appartengono spesso a fasi di ritiro dell'ultima glaciazione. Nell'area di accumulo dei ghiacciai continentali sono da distinguersi le morene terminali, in forma talora di veri argini, ma pur sempre disposte in archi corrispondenti alle lobature della fronte dell'inlandsis, e le morene di fondo, caratterizzate dalla presenza dei ciottoli lisciati e striati in una massa assai fine argilloso-sabbiosa (Geschiebemergel, till, boulder clay), formanti pianure dolcemente e irregolarmente ondulate. La morena di fondo può però assumere anche aspetti più particolari e dare un paesaggio collinare (drumlins, presenti anche in alcune depressionì terminali alpine). I materiali costituenti i ciottoli, e specialmente i grossi massi (erratici), dànno utili indicazioni sulla loro provenienza e quindi sul moto del ghiaccio, che si è potuto ricostruire con notevole precisione per l'inlandsis europeo. Gli øsar o eskers e i kames, cordoni ciottolosi arginiformi o gruppi di collinette, sono generalmente ritenuti depositi di torrenti sottoglaciali.
Di grande importanza sono anche i depositi formatisi al di fuori dell'area occupata dal ghiacciaio, ma con i materiali prima da questo trasportati. Sono depositi delle acque di fusione del ghiacciaio (formazioni fluvio-glaciali): i materiali detritici vengono dispersi a formare ampie e piatte conoidi, che riunendosi costituiscono pianure lievemente inclinate di sabbie e di ciottoli, dette anche Sander, come vengono designate in Islanda quelle connesse ai ghiacciai attuali. La stessa Pianura Padana, a sinistra del Po, è costituita in gran parte da depositi fluvio-glaciali. Essi sono frequentemente terrazzati; sulle cause del terrazzamento non è ancora fatta piena luce, e per la regione alpina si va riconoscendo l'esistenza di terrazze interglaciali, mentre gli studî di A. Penck ed E. Brückner avevano concluso per la diretta corrispondenza di ogni terrazza d'accumulazione con una glaciazione. Anche fuori dell'area di diffusione dei prodotti fluvio-glaciali si formarono terrazze alluvionali, e molti ne attribuiscono ancora la causa alle ripetute oscillazioni climatiche dell'epoca glaciale; le terrazze segnerebbero un'avanzata dei ghiacciai, ma in realtà ve ne sono alcune che, per contenere resti faunistici di chiaro significato, si debbono ascrivere a un interglaciale. Del resto, movimenti tettonici durante l'epoca glaciale sono ormai segnalati con certezza; oltre a essi anche le variazioni eustatiche del livello marino possono aver contribuito al terrazzamento costiero e vallivo.
Deposito connesso con le particolari condizioni dell'epoca glaciale, è, almeno in parte, il loess; diffuso in una fascia esterna, meridionale, rispetto ai limiti raggiunti dai grandi ghiacciai continentali, non manca nemmeno attorno alle regioni montane (es., Alpi). Di trasporto eolico, il loess ritrasse i suoi materiali dai depositi morenici e fluvio-glaciali, in un periodo piuttosto secco ma freddo, come mostra la fauna in esso rinvenuta. Da ricordare la diffusione dei suoli di tipo artico in regioni prossime al margine dei ghiacciai continentali e su montagne (Europa centrale) anche poco elevate.
Generalmente poco estesi, spesso connessi soltanto a condizioni locali, sono i depositi interglaciali, compresi tra i due membri di sicura origine glaciale (morene); sono però importantissimi, perché soltanto in base a essi si può arrivare a una chiara determinazione delle oscillazioni glaciali e quindi climatiche. Sono rappresentati da terreni marini (es., quelli della trasgressione eemiana, lungo le coste del Mare del Nord), o più spesso fluviali o lacustri (argille a Paludine di Berlino, farina fossile del Luneburgo, argille di Re nelle Alpi, ecc.), travertini, torbe e ligniti, brecce di pendio (breccia di Hötting), ecc. Ha importanza, per la stessa ragione, lo stato di alterazione dei depositi morenici o fluvio-glaciali: le morene, come gli altipiani e le terrazze fluvio-glaciali, precedenti all'ultima glaciazione nelle Alpi, sono assai profondamente ferrettizzati, al contrario dei più recenti. La ferrettizzazione è in genere opera di un periodo interglaciale e dà modo di stimarne anzi la durata.
Non si è però arrivati ancora alla precisa ricostruzione delle varie fasi del fenomeno glaciale. Penck e Brückner, nelle Alpi, credettero di poter stabilire quattro glaciazioni (denominate di Günz, Mindel, Riss e Würm, a partire dalla più antica fino alla più recente), separate da interglaciali con limiti delle nevi superiori anche all'attuale; in base alla varia ferrettizzazione dei depositi calcolarono che l'interglaciale Mindel-Riss ebbe durata circa quadrupla di ciascuno degli altri due. Nel territorio dell'inlandsis nord-europeo non si sono però riconosciute con sicurezza più di tre glaciazioni (mancherebbero tracce di quella günziana). È d'altra parte difficile di stabilire quale fu l'effettivo ritiro dei ghiacciai e il miglioramento climatico negl'interglaciali; la sua determinazione implica anche la successione delle faune e delle flore, sulle quali non si è del tutto raggiunto l'accordo. Mentre alcuni tendono a suddividere ancora le quattro glaciazioni di Penck e Brückner, intercalando in esse fasi di parziale ritiro, e perfino introducendo minori espansioni glaciali nei periodi fin qui considerati come tipicamente interglaciali (Eberl, Soergel), altri vorrebbero ridurle a due soltanto, l'ultima delle quali avrebbe avuto due fasi di progresso (corrispondenti alle glaciazioni Riss e Würm) separate da un'oscillazione climaticamente non molto profonda (J. Bayer, F. Schaffer). È da considerarsi tuttavia accertato che un interglaciale (Mindel-Riss) fu realmente assai più lungo e anche più profondo degli altri; ed è bene immaginabile che piccole oscillazioni (stadî) possono aver caratterizzato, non solo il ritiro dell'ultima glaciazione, per la quale sono note, ma anche le fasi, progressive o regressive, delle altre. L'ipotesi dell'unicità del fenomeno glaciale, benché sostenuta fino a tempi recenti, non trova più credito.
In conseguenza delle variazioni climatiche e dell'occupazione di vaste aree da parte dei ghiacciai, si ebbero spostamenti notevoli delle flore e delle faune, alternativamente verso sud e verso nord. Questi spostamenti poterono compiersi agevolmente nell'America Settentrionale, dove non vi era, come in Europa, impedimento di catene di montagne disposte nel senso dei paralleli; l'America Settentrionale conserva quindi un certo numero di elementi della flora terziaria andati invece perduti per l'Europa. Comunque la flora e la fauna attuale dei paesi temperati rappresentano nient'altro che flora e fauna quaternarie notevolmente impoverite.
Durante le fasi glaciali si ebbe un generale spostamento verso sud delle zone di vegetazione. In una larga fascia ai margini dei grandi ghiacciai continentali si stabiliva la tundra, con Dryas octopetala, Salix polaris, Betula nana, come elementi più caratteristici; il ritorno al bosco misto di latifoglie del massimo degl'interglaciali avveniva poi per gradi. Nell'Europa centrale e nella Francia fu diffusa per lungo tempo una steppa a clima rigido; nei paesi mediterranei invece l'ambiente boschivo perdurò anche nelle fasi glaciali. La fauna della parte più antica dell'epoca glaciale, ancora mal nota, conservò non pochi elementi pliocenici (villafranchiani); nel grande interglaciale (Mindel-Rissiano) si stabilisce in Europa la fauna tipicamente quaternaria, che testimonia d'un ambiente boschivo e d'un clima un po' più caldo dell'attuale, data la sua diffusione fino nell'Inghilterra. Ne sono componenti caratteristici lo Elephas antiquus e il Rhinoceros Merckii, cui si associa l'ippopotamo. Questa fauna nella regione mediterranea si può ritrovare fino all'ultima glaciazione, ma nell'Europa centrale e occidentale viene sostituita, col progredire dei ghiacciai, da una fauna di steppa o di tundra, col Mammut (Elephas primigenius), il Rhinoceros tichorinus, la renna, il bue muschiato e altri abitatori degli attuali paesi artici. Gli elementi di questa fauna cosiddetta "fredda" fecero nelle penisole sud-europee soltanto limitate incursioni; qui il carattere rigido del clima è piuttosto segnato dalla diffusione di animali alpini fino alla pianura (stambecco, camoscio, marmotta, ecc.).
È durante l'epoca glaciale che sicuramente appare l'uomo. I più antichi resti di ominidi, scoperti in Europa, è dubbio se siano realmente più antichi del grande interglaciale (Piltdown, Mauer). È controverso a quali precisi momenti vadano attribuite le varie industrie paleolitiche europee; quelle amigdaloidi sembra si siano sviluppate già nel penultlmo interglaciale (Mindel-Rissiano), mentre quelle del Paleolitico superiore sono in parte posteriori al massimo dell'ultima glaciazione, e contemporanee dell'Homo sapiens.
L'epoca glaciale in Europa. - Il grande ghiacciaio continentale dell'Europa nordica aveva il suo centro principale d'alimento nella regione montuosa della Scandinavia. Nel momento di massima espansione esso si estendeva a occidente fino a coprire tutto il Mare del Nord e le Isole Britanniche (nelle montagne delle quali vi erano centri minori d'alimento), mentre a sud toccava la foce del Reno e raggiungeva i Carpazî, occupando anche il Baltico. Nella Russia due grandi lobi si spingevano a sud del 50° parallelo e a circa 60° di lat. N. venivano raggiunti gli Urali. L'area occupata si estese a circa 6,5 milioni di kmq. Durante l'ultima glaciazione fu molto più piccola, ché il margine del ghiacciaio scandinavo si trovava nello Jütland, passava poco a sud di Berlino e non raggiungeva Varsavia. Indipendenti erano i ghiacciai delle Isole Britanniche. Lo spessore di questi mantelli di ghiaccio doveva in molti punti superare i 1000 m., e nella Scandinavia raggiungeva i 2000 metri.
Entro l'area occupata dal grande ghiacciaio continentale si può distinguere una zona (Scandinavia, Finlandia) ove ha prevalso l'opera dell'erosione glaciale, e una più meridionale (Germania, Polonia, Russia) che fu campo di prevalente accumulazione. In questa, una fascia più esterna ha forme più addolcite, meno caratteristiche, non di rado ricoperte dal loess, una fascia più interna ha morene ben conservate, tipiche, solchi occupati parzialmente da numerosi laghi, ecc. La linea divisoria tra le due fasce segna il limite raggiunto dall'ultima glaciazione.
Nella Germania si hanno chiare tracce di tre glaciazioni, esistendo due orizzonti di depositi interglaciali; esse, denominate dell'Elster, della Saale e della Vistola, corrispondono rispettivamente a quelle alpine di Mindel, di Riss e di Würm. La seconda sembra aver avuto estensione maggiore. Anche in Inghilterra si riconoscono piìi glaciazioni che hanno lasciato la loro impronta pure in depositi non morenici, marini o fluvio-lacustri (serie dei Crags, in parte pliocenici, del Forest Bed e terreni soprastanti), con faune indicanti un progressivo raffreddamento (presenza di molluschi boreali).
Le fasi del ritiro dell'ultima glaciazione sono particolarmente evidenti nella regione baltica. Si distinguono tre posizioni successive principali del margine dell'inlandsis: nella prima raggiungeva ancora la Scania (Svezia meridionale), nella seconda Stoccolma e Oslo; nell'ultima fase il ghiacciaio finì col dividersi in due (inizio del Postglaciale secondo i geologi scandinavi). Queste fasi principali possono essere parallelizzate con gli stadî alpini. Il Baltico intanto subì notevoli variazioni; prima interamente occupato dal ghiaccio, e poi da un lago di sbarramento, fu trasformato in mare (mare a Yoldia), e quindi ridotto ancora a lago (ad Ancylus) in seguito a un sollevamento isostatico della regione, rimasta libera dal carico dei ghiacci. Tornò nuovamente, in tempi molto recenti, postglaciali, a trasformarsi in mare (a Litorina). Parallelamente procedono le variazioni climatiche, seguite con l'esame della flora e particolarmente dei pollini delle torbiere. Il clima diviene progressivamente più caldo (diffusione della betulla e del pino), e raggiunge, circa 6000 anni fa, un optimum climatico (bosco misto di latifoglie), cui segue un nuovo leggero peggioramento. La durata delle fasi di ritiro è stata calcolata con buona approssimazione, specie in base alle cosiddette argille listate (warven); queste fasi, nella Scandinavia, sono comprese negli ultimi 15-20.000 anni.
La glaciazione quaternaria delle Alpi non fu, se non per lo sviluppo enormemente maggiore assunto dai ghiacciai, di tipo essenzialmente differente da quello attuale. I ghiacciai colmarono le valli (fino a 1000 m. di spessore) lasciando però emergenti le creste divisorie, in modo che rimase sempre una stretta dipendenza fra glaciazione e orografia; numerose erano però le trasfluenze, dove esistevano passi poco elevati. Le lingue glaciali uscirono anche dalla regione montuosa assai limitatamente a sud, verso la Pianura Padana, dove ciascun ghiacciaio rimase indipendente, più estesamente a nord, tanto che varie lingue potevano riunirsi formando ghiacciai pedemontani. Nel versante meridionale si formarono quindi presso lo sbocco delle valli maggiori (Dora Riparia e Dora Baltea, Ticino, Adda, Oglio, Tagliamento, ecc.), i caratteristici anfiteatri morenici, sistemi di cordoni collinari disposti ad archi concentrici, rappresentanti le morene terminali dell'ultima glaciazione (vi sono però, più o meno confusi, anche resti di morene più antiche). Alcuni di questi anfiteatri circondano i laghi prealpini (L. Maggiore, L. di Como, di Garda, ecc.), la cui origine è connessa almeno in parte ai fenomeni glaciali. Anche al piede del versante nord si formarono anfiteatri, ma più ravvicinati e in parte fusi l'uno con l'altro.
Delle quattro glaciazioni distinte da Penck e Brückner (Günz, Mindel, Riss, Würm), quella di Riss ebbe la maggiore estensione nelle Alpi Occidentali ("massima glaciazione" dei geologi svizzeri), mentre nelle Alpi Orientali rimase un po' indietro rispetto alla precedente. Nel Rissiano il grande ghiacciaio pedemontano svizzero raggiungeva Lione e ricopriva il Giura: questa fase di massima espansione non è segnata da morene terminali riconoscibili, e sembra essere stata di durata piuttosto breve.
Anche nella regione alpina è evidente il contrasto tra le forme fresche e i depositi scarsamente alterati delle morene dell'ultima glaciazione, rispetto a quelli più antichi. Della glaciazione günziana, a dir vero, non si sono trovate morene sicure, ed essa fu stabilita sulla base dei depositi fluvio-glaciali che si presentano ordinati in 4 serie di terrazze; le due più alte (Deckenschotter) e più antiche, conservate soltanto in lembi, sono costituite da depositi ciottolosi profondamente alterati. Corrisponderebbero alle espansioni di Günz e Mindel. Le due serie inferiori (Terrassenschotter) sono invece connesse con le espansioni di Riss e di Würm. Le ricerche più recenti hanno però accertato l'esistenza di un altro livello intermedio di conglomerati, i quali s'addentrano considerevolmente entro le valli. Il loro significato non è chiarito; ma giova ricordare che nelle valli alpine si vanno sempre più estesamente riconoscendo depositi interglaciali, in parte formati in conseguenza di disturbi tettonici. Sono depositi fluviali o lacustri che racchiudono talora ligniti e resti faunistici e floristici (ligniti di Uznacli, Dürnten e Wetzikon in Svizzera, argille a filliti di Re in Val Vigezzo, argille di Pianico, di Sellere, ecc.). Non è però certo a quale interglaciale vadano attribuiti, sebbene i più li considerino del Riss-Würmiano. Il più famoso deposito interglaciale è la breccia di Hötting (Innsbruck) ormai dimostrata di età Mindel-Rissiana; essa contiene una flora con elementi (Rhododendron ponticum, Buxus sempervirens, ecc.) che non vivono più nelle Alpi, presenti anche in altri giacimenti interglaciali alpini. Allora il limite delle nevi era più elevato dell'attuale, forse di 300 m.
Diversa è l'interpretazione dei depositi fluvio-glaciali della regione padana, data da A. Stella (1895), che distinse tre livelli di conglomerati, i due più alti conservati soltanto in lembi in prossimità dei monti (altipiani diluviali, profondamente ferrettizzati, noti per la loro sterilità), l'inferiore invece esteso a formare gran parte della pianura a sinistra del Po. Il primo livello corrisponderebbe a un'espansione glaciale antica, il secondo a un interglaciale, e il terzo a un'espansione recente, con due fasi di avanzamento (Riss e Würm). Questa divisione dell'epoca glaciale trova perfetta analogia in quella sostenuta dal Bayer e basata su principî assai diversi, essenzialmente faunistici.
Il ritiro dei ghiacciai dopo l'ultima grande espansione (Würmiana) non fu del tutto continuo, ma ebbe soste e parziali nuovi avanzamenti. Tre fasi principali sono segnate da accumulazioni moreniche denominate stadî (dal più antico al più recente) di Bühl, di Gschnitz e di Daun (le morene di quest'ultimo sono poco lontane dai ghiacciai attuali). A ciascuno di essi corrisponde un limite delle nevi all'ingrosso di 300 m. più elevato del precedente; nel massimo del Würmiano il limite, in tutte le Alpi, si trovava circa 1200 m. più in basso dell'attuale (quindi a 2000-1000 metri secondo le regioni).
Anche le montagne dell'Europa centrale, benché poco elevate, e i Carpazî, ebbero nell'epoca glaciale numerosi ghiacciai, di circo e vallivi, alcuni anche di più diecine di km. di lunghezza. Nei Pirenei si sono riconosciute tre o quattro glaciazioni, e nelle stesse penisole meridionali europee, che conservarono un clima assai più mite (come dimostrano le faune), si svilupparono ghiacciai in tutti i gruppi montuosi elevati almeno di 2000 m., e anche in montagne a elevazione un po' minore. Le morene note spettano quasi tutte all'ultima glaciazione e ai suoi stadî. Il limite delle nevi fu in genere meno elevato sui versanti occidentali più umidi; singolarmente basso nelle Alpi Apuane e sulla costa orientale dell'Adriatico. L'Appennino ebbe i suoi maggiori ghiacciai nell'Abruzzo (limite delle nevi a 1600-1800 m.), ma ghiacciai vallivi sono stati riconosciuti più a sud fin nel Sirino.
Le condizioni climatiche dell'epoca glaciale influirono anche sulle faune marine, portando nel Mediterraneo specie abitatrici dei mari artici (Cyprina islandica) che non sono rare nei depositi, ben sviluppati in Italia, del Calabriano (forse spettante al Pliocene), e più frequenti in quelli del Siciliano. Inoltre a causa dello spostamento verso sud delle zone climatiche, i paesi mediterranei godettero durante le fasi glaciali di una maggiore piovosità; si ebbe cioè un Periodo Pluviale, del quale sono evidenti gli effetti, sia per depositi sia per forme di erosione.
L'epoca glaciale fuori dell'Europa. - La glaciazione del Caucaso fu simile a quella delle Alpi. Le alte montagne dell'Asia centrale ebbero pure ghiacciai straordinariamente più estesi degli attuali; nell'Himālaya occidentale e nel Karakorum sono state riconosciute quattro espansioni, l'ultima però paragonabile già a uno stadio di ritiro. La Siberia, che per lungo tempo si credette quasi libera dai ghiacci, ebbe pure il suo grande ghiacciaio continentale esteso dagli Urali allo Stretto di Bering, e spingentesi a sud fino al 60° parallelo.
In relazione alla scarsa altezza delle montagne e alla posizione geografica, l'Australia mostra tracce glaciali limitate (M. Kościuszko). Ben maggiore importanza ebbero le glaciazioni della Nuova Zelanda, notoriamente ricca anche oggi di ghiacciai. In Africa soltanto l'Atlante e le maggiori montagne (Kilimangiaro, Kenya, ecc.) della zona equatoriale presentarono uno sviluppo glaciale.
L'America Settentrionale fu coperta da un enorme ghiacciaio continentale che nella fase di massima espansione si spinse, nella valle del Mississippi, fino a 37°30′ di lat. N. L'area coperta era di circa 12 milioni di kmq.; all'opposto di quel che si verificò in Europa, l'ultima glaciazione ebbe estensione non molto minore di quella massima. Il ghiacciaio continentale (che non si estendeva all'Alasca, la quale ebbe ghiacciai proprî) aveva tre centri di alimento principali, uno nel Labrador, uno nelle Cordigliere canadesi, e un terzo intermedio e forse maggiore, subito a nord-ovest della Baia di Hudson. Quest'ultimo centro, detto di Keewatin, si spiega difficilmente, essendo oggi la regione corrispondente poco elevata (300 m.) e poco piovosa. Secondo alcuni esso sarebbe spiegabile solo con una diversa posizione del polo (Köppen).
Le forme e i depositi lasciati dal grande inlandsis nord-americano sono in tutto simili a quelli europei; diffusi i drumlins e frequenti le zone di profonda alterazione (gumbotils) dei materiali morenici e fluvio-glaciali. Tra le morene delle diverse glaciazioni sono talora presenti strati di loess. Sono stabilite le seguenti correlazioni fra le espansioni glaciali dell'America Settentrionale e quelle alpine: Nebraskan-Günz, Kansan-Mindel, Illinoian-Riss, Wisconsin-Würm. Il massimo di quest'ultimo risale, secondo l'Antevs, a 40.000 anni fa; durante il ritiro del ghiacciaio si formarono varî laghi di sbarramento glaciale.
Nel Messico, oltre che tracce glaciali, esistono indizî d'un clima assai più umido dell'attuale. Notevoli ghiacciai ebbero le Ande, dalla Colombia fino alla Patagonia. In quest'ultima regione si formò un grande mantello di ghiaccio simile a un inlandsis, e si riscontrano tracce di tre glaciazioni. Anche nell'Antartide si trovano tracce glaciali in punti oggi non coperti dal ghiaccio, ma è incerto quale preciso significato abbia questo fatto in rapporto alla glaciazione attuale.
Una delle questioni più importanti sull'epoca glaciale è la contemporaneità, o meno, delle varie espansioni su tutta la Terra. La contemporaneità è generalmente ammessa; le morene dell'ultima glaciazione mostrano su tutto il globo lo stesso aspetto.
Clima e cause dell'epoca glaciale. - Per la ricerca delle cause dell'epoca glaciale è naturalmente necessaria la conoscenza del clima, per la quale forniscono dati i fenomeni geologici, le flore e le faune. In base alla flora si è dedotto per l'Europa centrale, durante il massimo delle glaciazioni, una temperatura media annua di poco superiore a 0°; questa temperatura però non fu solo conseguenza d'un generale abbassamento, poiché per una larga fascia attorno al ghiacciaio continentale occorre tener conto dell'influenza raffreddatrice che la grande massa di ghiaccio esercitava per mezzo di venti freddi. La depressione del limite delle nevi (rispetto alla posizione attuale) ammontò nelle varie regioni della Terra a circa 500-1600 metri (massima in quelle temperate, 1000-1600) e le differenze sono specialmente dovute alla diversa quantità di precipitazioni, al loro regime e alla posizione della zona altimetrica di massima piovosità. Nel complesso però il limite dell'ultima glaciazione corre subparallelo a quello attuale, e permette di dedurre un abbassamento di temperatura generale stimato a 3°-5° rispetto alla temperatura media odierna. La diminuzione non fu probabilmente ripartita in modo uniforme, ma interessò soprattutto il periodo estivo, rendendo il clima più uniforme. Che l'epoca glaciale fosse determinata da abbondanti precipitazioni è ipotesi ormai abbandonata. Per produrre la stessa depressione del limite delle nevi occorrerebbe aumentare la quantità delle precipitazioni in modo non verosimile (per le Alpi di 10-20 volte secondo Brückner, di 3-4 secondo Paschinger). Del resto i bacini di raccolta dei ghiacciai alpini non furono nell'epoca glaciale riempiti molto più di oggi. Il Penck ha inoltre osservato che l'esistenza di alcuni grandi laghi (principali: Lahontan e Bonneville) negli altipiani degli Stati Uniti tra le Rocciose e la Sierra Nevada, accanto ad altri bacini chiusi non occupati nello stesso tempo dalle acque, si spiega con l'aumento dell'evaporazione seguito a un abbassamento di temperatura (di circa 6°).
Le cause dell'epoca glaciale sono dunque da ricercarsi tra quelle che possono provocare una variazione generale delle condizioni climatiche, con diminuzione della temperatura. Le ipotesi che fanno intervenire soltanto condizioni locali (deviazione di correnti marine, maggiore altezza delle montagne) o una diversa distribuzione delle terre e dei mari, sono ormai insostenibili. Neppure una variazione di posizione dei poli geografici sarebbe causa sufficiente.
Alcune ipotesi ricorrono a variazioni di trasparenza dell'atmosfera rispetto alle radiazioni solari, per effetto di oscillazioni nel contenuto di anidride carbonica, vapor d'acqua, pulviscolo. Altre invece ricorrono a fenomeni astronomici (variazioni dell'obliquità dell'eclittica, dell'eccentricità dell'orbita terrestre, spostamento della linea degli absidi). Vive discussioni ha suscitato la curva calcolata dal Milankovitch per la radiazione solare degli ultimi 650.000 anni in base alla variazione dei suddetti elementi astronomici; per alcuni essa spiegherebbe i fenomeni dell'epoca glaciale (Köppen e Wegener vi associano anche un certo spostamento dei poli).
È stata fatta anche l'ipotesi d'una variazione della radiazione solare in dipendenza della stessa attività del sole, e quella, pure non dimostrabile, del passaggio del sistema solare attraverso una nebulosa, ciò che avrebbe influito sulla quantità di calore solare ricevuto dai pianeti (Nölke). V. le variazioni climatiche s. v. clima.
Bibl.: Trattazioni più o meno ampie sull'epoca glaciale si trovano in tutti i manuali di geologia. Abbondante materiale e indicazioni bibliografiche nella rivista Zeitschr. f. Gletscherkunde. V. inoltre: J. Geikie, The great Ice Age, 1894; A. Penck e E. Brückner, Die Alpen im Eiszeitalter, Lipsia 1901-1909; E. Geinitz, Die Eiszeit, Brunswick 1906; F. Leverett, Comparison of the North American and European glacial deposits, in Zeit. f. Gletscherk., 1910; W. B. Wright, The quaternary Ice Age, 1914; W. Soergel, Die Gliederung und absolute Zeitrechnung des Eiszeitalters, Berlino 1925; A. P. Coleman, Ice age, recent and ancient, 1926; J. Bayer, Der Mensch im Eiszeitalter, Vienna 1929; E. Antevs, Maps of the pleistocene glaciations, in Bull. Soc. Geol. of America, 1929; W. Köppen, Neues über Verlauf u. Ursachen d. europ. Eiszeitalters, in Gerlands Beiträge zur Geophysik, Lipsia 1930; F. Machatschek, Die Gliederung d. Eiszeitalters in Europa, in Wiener Prähist. Zeitschr., 1930.