ZANARDELLI, Giuseppe
– Nacque a Brescia il 29 ottobre 1826 da Giovanni e da Margherita Caminada.
La famiglia paterna proveniva da Collio, in alta Val Trompia, dove nella seconda metà del Settecento il nonno Giuseppe, insieme a due fratelli, produceva e commerciava latticini. Il trasferimento a Brescia avviò un’ascesa sociale resa inizialmente accidentata dal fallimento dell’attività, ma concretizzatasi nei percorsi universitari, professionali e matrimoniali dei figli Giovanni e Antonio grazie al patrimonio della moglie Angela Turrinelli, sorella di Francesco, notaio a Irma. Laureatosi alla facoltà filosofico-matematica di Pavia, Giovanni fu assunto come ingegnere aggiunto presso l’Imperial Regio Ufficio provinciale delle pubbliche costruzioni e pavimenti di Brescia e nel febbraio 1826 sposò la figlia del suo superiore, di origini trentine.
Il definitivo consolidamento di status degli Zanardelli, consacrato dall’acquisto di un palazzo in centro da parte di Giovanni tramite l’eredità materna, fu quindi affidato alla terza generazione, in particolare al giovane Giuseppe, primogenito di undici fratelli e sorelle – Carlo (1828-1866), Martina (1830-1896), Giovanni Antonio (nato nel 1831), Marta, Emilia, Virginia (1834-1915), Egidio (1835-1895), Ippolita (1839-1917), Ferdinando (1840-1926), Cesare (1842-1891).
Chiamato affettuosamente Pino (el Pì in dialetto), egli appare bambino al centro di un quadro di metà anni Trenta – attribuito a Gabriele Rottini – mentre porge al padre un melograno, simbolo di abbondanza e prosperità. La tela fissava icasticamente l’immagine borghese di Giovanni e Margherita, e di altri tre membri più anziani della famiglia, ritratti sullo sfondo del lago di Garda (Giuseppe Zanardelli, 1826-1903. Il coraggio della coerenza, Milano 2003, p. 108).
L’investimento sul promettente Giuseppe fu ricompensato nel gennaio 1838 dal posto nell’Imperial Regio convitto di S. Anastasia di Verona conseguito grazie alla domanda presentata da Giovanni in qualità di funzionario dell’amministrazione austriaca. Nonostante le rigidità di un istituto gestito secondo i canoni della Restaurazione, il periodo scaligero di studi ginnasiali e liceali fu molto proficuo per il primogenito di casa Zanardelli, che venne a contatto anche con figure critiche nei confronti della monarchia amministrativa asburgica, come don Giovanni Sauro, insegnante di letteratura italiana e futuro piononista. Sviluppò altresì in quegli anni un distacco dalle pratiche cattoliche che sarebbero state progressivamente sostituite – secondo un percorso comune a molti della sua generazione – dalla nuova ‘fede’ nella religione politica della nazione.
Il percorso di formazione di Giuseppe proseguì alla facoltà politico-legale dell’Università di Pavia, dove ottenne un posto al collegio Ghislieri a partire dal novembre 1844. I primi tre anni si caratterizzarono sia per lo studio intenso, sia per l’immersione negli immaginari nazional-patriottici in costruzione, tramite la frequentazione della casa aristocratico-borghese di Carlo e Adelaide Cairoli così come della sociabilità studentesca. Qui avvenne la tessitura di legami di amicizia declinati in senso vieppiù radicale con coetanei ‘dal fuoco nella mente’ con i quali avrebbe continuato a condividere la militanza politica (e poi parlamentare) come Benedetto Cairoli oppure l’impegno civile e culturale quali Tullo Massarani, Antonio Allievi e Romolo Griffini, trait d’union con il gruppo milanese raccolto intorno a Carlo Cattaneo e Carlo Tenca, direttore della Rivista europea, con la quale lo studente Zanardelli collaborò nel 1847.
La chiusura dell’Università a inizio 1848 aprì la via al coinvolgimento di Giuseppe e dei suoi compagni, insieme al fratello Carlo, in quella ‘rivoluzione degli intellettuali’ che segnò il Quarantotto europeo catapultando in modo accelerato nella politica migliaia di studenti e centinaia di loro professori. Rientrato a Brescia, il giovane patriota sperimentò l’esperienza al contempo esaltante e deludente del volontariato politico-militare, prima partecipando ad azioni di disturbo verso colonne austriache in transito, poi combattendo in aprile nelle file dei corpi franchi lombardi impegnati nel tentativo di invasione/liberazione del Trentino. A maggio raggiunse la maggior parte dei suoi amici a Milano, capitale della rivoluzione nazionale in quel frangente. Qui conobbe Giuseppe Mazzini e si arruolò nel battaglione degli studenti, di cui si fece reporter per la Voce del Popolo, periodico democratico-repubblicano che si schierò – come lui – contro i ‘liberi voti’ di fusione della Lombardia con il Regno di Sardegna. L’armistizio Salasco lo colse nell’estate ammalato a Voghera, da dove nel settembre fu ricondotto a Brescia dal padre, in ansia anche per l’altro figlio Carlo, passato nel frattempo in Svizzera.
Nell’autunno del 1848 Giuseppe condivise le speranze di rilancio della guerra patriottica suscitate dalla parola magica di una assemblea nazionale costituente e combattente lanciata da Giuseppe Montanelli. E all’inizio del 1849 partecipò all’erranza repubblicana trasferendosi a Firenze per completare gli studi all’Università di Pisa e al contempo riprendere con la penna la militanza al seguito di Tenca e dei giovani lombardi che costituirono la redazione del giornale La Costituente italiana di Antonio Mordini. Laureatosi in giurisprudenza, rimase in Toscana fino a inizio maggio, guardando da lontano e con apprensione all’insurrezione antiaustriaca di Brescia di fine marzo 1849. L’esame di laurea pisano non fu ritenuto valido dalle autorità asburgiche e fu ripetuto nel settembre dello stesso anno all’Università di Pavia, dove Zanardelli superò positivamente anche gli esami per l’abilitazione all’insegnamento privato delle materie legali, precisamente storico-giuridiche.
Nonostante la testimonianza posteriore della maestra Angiola Ferretti, compagna di vita e di cospirazione di Tito Speri all’epoca del comitato insurrezionale bresciano del 1851, collochi Zanardelli in stretto quanto prudente contatto con l’organizzazione segreta mazziniana nel Lombardo-Veneto (Sanesi, 1967, pp. 46-48), l’azione del giovane quarante-huitard appare in quegli anni postrivoluzionari prevalentemente rivolta a connettere l’impegno politico al lavoro culturale oltre che a trovarsi un’occupazione, resa necessaria anche alla luce della instabile salute del padre.
Si consacrò così a quella forma di libera docenza privata per studenti universitari che si era diffusa a seguito della prolungata chiusura degli atenei e che gli permise periodici viaggi a Pavia e Padova per iscrivere e accompagnare i suoi discepoli davanti alle commissioni di esame. Tuttavia, all’inizio del 1853 la sua carriera di professore e le ambizioni accademiche che la sorreggevano furono stroncate dal ritiro politico-poliziesco della patente di insegnante. Dopo avere tentato invano di diventare segretario della Camera di commercio, del teatro Grande e dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Brescia, la professione forense, per cui aveva cominciato il praticantato nel 1853, divenne un percorso obbligato, anche per corrispondere ai doveri verso la numerosa famiglia conseguenti alla scomparsa del padre avvenuta alla fine di quello stesso annus horribilis. Non potendo esercitare neppure l’avvocatura per divieto politico, il lavoro di bottega presso lo studio dell’amico personale e politico Francesco Cuzzetti permise al giovane capofamiglia non solo di maturare una preziosa esperienza professionale, ma anche di superare le difficoltà economiche degli anni Cinquanta.
Nel decennio postrivoluzionario il fil rouge per Zanardelli fu altresì l’impegno intellettuale fra Brescia, dove nell’ottobre 1857 fondò un Gabinetto di lettura, e Milano, dove dal gennaio 1850 fu fra i redattori del settimanale Il Crepuscolo e frequentò il salotto della contessa Clara Maffei, centro di amalgama di una nuova élite patriottica tramite l’incontro fra notabilato dell’ingegno (organizzatori di cultura come Tenca, giovani come Allievi e Griffini), del patrimonio (Massarani) e del blasone (Emilio e Giovanni Visconti Venosta).
Il Crepuscolo rappresentò una formidabile palestra di apprentissage politico-culturale. L’affiatamento fra i giovani redattori era tale che la maggior parte dei testi non veniva firmata per segnalare il lavoro di gruppo che stava alla loro base. Gli articoli di letteratura, storia, diritto, economia, archeologia delinearono un corpus di sapere civile che aveva il compito di raccordare l’Italia con le realtà culturali, istituzionali ed economico-sociali europee. Punto di forza era una Rivista settimanale dei principali avvenimenti politico-parlamentari di Francia e Gran Bretagna, nonché una Rivista di giornali che copriva i principali periodici internazionali del tempo.
Il periodico si avvaleva di corrispondenti dai principali Paesi europei e dal Piemonte costituzionale, che lentamente divenne il punto di riferimento politico di Tenca e del suo gruppo, attraverso un’evoluzione liberale dall’esito sia moderato sia progressista, come nel caso di Zanardelli. Il giovane «giurisperito e iniziato all’esercizio dell’avvocatura» (Istanza di Giuseppe Zanardelli per ottenere l’ufficio di segretario dell’Ateneo bresciano, in Discorsi parlamentari, I, Roma 1905, p. XXXIV) non solo si distaccò dal repubblicanesimo, ma completò una formazione intellettuale di stampo empirista, economico-statistico e industrialista, debitrice alla civile filosofia di Giandomenico Romagnosi, oltre che di respiro europeo per l’intensa frequentazione della cultura politica e giuridica francese e inglese.
Accanto ai dottrinari (François Guizot, Charles de Rémusat, Pierre-Paul Royer-Collard, Victor Cousin, Pellegrino Rossi), nell’inventario della sua biblioteca si segnalano Benjamin Constant (la traduzione italiana del 1849 dei saggi raccolti sotto il titolo di Corso di politica costituzionale), Alexis de Tocqueville (l’edizione del 1850 di De la démocratie en Amérique), Odilon Barrot, Édouard-René Lefebvre de Laboulaye, Pierre-Joseph Proudhon, gli storici Jules Michelet, Adolphe Thiers e Louis Blanc. La presenza del mondo anglosassone appare mediata prevalentemente dalle traduzioni: gli storici Thomas Babington Macaulay e Henry Hallam pubblicati negli anni Cinquanta da Pomba; David Hume, Jeremy Bentham, James e John Stuart Mill in versione francese, numerose opere sulle istituzioni e sulla storia inglese di autori transalpini come Charles de Franqueville. In originale compaiono Henry Brougham (The British Constitution, 1844) e William Blackstone (Commentaries on the laws of England in four books, 1765), che Zanardelli leggeva agevolmente anche se «la lingua inglese diceva di non essere in grado di parlare correntemente perché l’aveva appresa da sé, sulla grammatica e sul vocabolario» (Raccolta dei principali discorsi commemorativi di Giuseppe Zanardelli, Brescia 1909, p. 27).
«Aveva molta cultura però alquanto antiquata; la cultura propria del periodo di Luigi Filippo, da lui assorbita nella sua giovinezza di studente» avrebbe scritto Giovanni Giolitti (Memorie della mia vita I, Milano 1922, p. 50) a proposito della formazione di Zanardelli. In realtà, quel che al politico piemontese appariva arretrato con occhi ormai novecenteschi fu un corpus di sapere e di tecnologia politico-costituzionale che arrivò a informare l’operato dei padri fondatori della Terza Repubblica, coevi di Zanardelli, per il quale l’esperienza della Monarchia di Luglio rappresentò un modello negativo di regime costituzionale incapace di riformarsi e di aprirsi alle istanze popolari. La sua progettualità politica si sarebbe incentrata su un liberalismo democratico costituzionale ispirato all’archetipo positivo dell’esperienza britannica oltre che al disegno originario di monarchia liberal-popolare formulato da Daniele Manin al momento della fondazione della Società nazionale italiana, del cui comitato bresciano Zanardelli assunse la guida, camuffandone l’azione fra le attività del Gabinetto di lettura.
La leadership del movimento liberale e patriottico a Brescia gli fu riconosciuta nel giugno 1859, quando, dopo essere riparato in Svizzera allo scoppio della guerra, si incontrò a Como con Giuseppe Garibaldi e con l’amico Emilio Visconti Venosta – trait d’union con il conte Camillo di Cavour – che gli conferì l’incarico di commissario regio provvisorio in attesa di insediarsi lui stesso in città. Con la fondazione del Circolo nazionale e l’elezione al Parlamento subalpino nel marzo 1860 nel collegio di Gardone Val Trompia iniziava per Zanardelli un’avventura nelle istituzioni rappresentative del nuovo Regno che avrebbe visto dal gennaio 1861 il collegio uninominale di Iseo – insieme alla circoscrizione plurinominale di Brescia II dal 1882 al 1890 – confermarlo ininterrottamente con votazioni incontestate fino alla XXI legislatura.
Eletto vicepresidente del Comitato direttivo della Sinistra parlamentare, ricoprì l’incarico di segretario dell’ufficio di presidenza della Camera dal 1861 al 1865 insieme agli amici Tenca e Massarani, schierati oramai fra le file della Destra storica, dei cui principali esponenti godette la stima nei primi lustri postunitari. Nell’agosto 1860 Cavour lo inviò in missione a Napoli, insieme a Giuseppe Finzi e a Visconti Venosta, con l’incarico di provocare la sollevazione della città prima dell’arrivo di Garibaldi. Nel luglio 1866 – unico deputato dell’opposizione insieme al compagno di ‘quarantottate’ Mordini – accettò da Bettino Ricasoli l’incarico di commissario regio, ma alla fine del mandato a Belluno rifiutò l’ufficio di prefetto offertogli dal presidente del Consiglio e tornò a sedere alla Camera sui banchi della Sinistra come membro legittimato della nuova classe politica nazionale. Nella costruzione della sua immagine di deputato autorevole ed esperto un passaggio chiave – anche dal punto di vista mediatico – fu la nomina nel giugno 1869 a segretario della commissione di inchiesta parlamentare sui fatti della Regia cointeressata dei tabacchi, presieduta da Giuseppe Pisanelli, che fra luglio e agosto tenne le sue sedute pubbliche nello scenario del salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze.
Oltre che per accreditarsi quale figura di riferimento del liberalismo progressista, contribuendo nel 1865 alla fondazione del quotidiano economico-politico milanese Il Sole, il decennio fra la metà degli anni Sessanta e i Settanta fu impiegato da Zanardelli per avviare autonomamente il suo studio e consolidare una posizione professionale che lo portò a diventare uno dei più noti e richiesti avvocati civilisti italiani con patrocinio in Cassazione, al quale si rivolgevano clienti privati, istituti bancari e assicurativi, imprese e finanche enti ecclesiastici. Dopo la legge istitutiva del giugno 1874, assunse la presidenza dell’ordine degli avvocati di Brescia, riflettendo al contempo sul valore civile del mestiere forense attraverso due discorsi tenuti nel febbraio del 1875 e del 1876 che, dopo la loro prima pubblicazione nel 1879 a Firenze presso Barbera con il titolo L’avvocatura, sarebbero diventati un classico della precettistica giuridica.
Dopo la ‘rivoluzione parlamentare’ del marzo 1876, Zanardelli fu chiamato al ministero dei Lavori pubblici quale riconoscimento del ruolo ricoperto, accanto a Cairoli, nella componente più avanzata della Sinistra storica, che dalle elezioni svoltesi in novembre uscì rafforzata nelle sue aree di radicamento dell’Italia settentrionale, corrispondenti a quelle di maggiore forza della Destra storica oltre che del nascente movimento cattolico, con cui in sede locale e nazionale il laico Zanardelli ingaggiò conflitti, non solo elettorali, molto polarizzati e dagli esiti alterni. Tuttavia, l’esperienza nel primo governo Depretis si concluse già nel novembre 1877 con le dimissioni in dissenso con il piano di convenzioni ideato dal presidente del Consiglio che prevedeva di affidare la rete ferroviaria a due sole società.
Questa mossa rientrava nella sfida per l’egemonia lanciata dall’ala liberale-radicale della nuova maggioranza che nel marzo 1878 fu coronata dalla formazione del primo governo Cairoli con Zanardelli ministro dell’Interno, fautore della piena libertà di associazione e di riunione sulla base dello Statuto e della teoria garantista del ‘reprimere, non prevenire’. La difesa del dominio della legge s’incardinava su un progetto politico che, sintetizzato da Zanardelli nel dittico tacitiano ‘Principatum et libertatem’ e dai suoi critici nell’espressione ironica ‘monarchia amabile’, aveva per scopo la legittimazione dello Stato unitario attraverso l’ampliamento degli spazi di socializzazione politica e la graduale integrazione costituzionale delle forze democratico-repubblicane compartecipi del processo risorgimentale.
Caduto il governo nel dicembre 1878 a seguito dell’attentato contro re Umberto I avvenuto a Napoli durante un viaggio intrapreso appositamente allo scopo di accreditare l’immagine liberale e popolare della monarchia, Zanardelli si separò da Cairoli, deciso a riprendere la collaborazione con Agostino Depretis. Nell’intento di perseguire il suo progetto politico, egli assunse la presidenza dell’Associazione progressista di Roma, rivestita di un ruolo nazionale nell’organizzazione politico-elettorale della Sinistra, ricevendo nell’aprile 1880 un riscontro positivo anche a livello parlamentare con 73 preferenze raccolte nello scrutinio per la presidenza della Camera.
In precedenza, il 4 aprile 1879 in una simbolica votazione alla Camera su libertà e ordine pubblico si erano riuniti intorno al ‘reprimere, non prevenire’ di Zanardelli 37 deputati liberali-radicali che avrebbero costituito il nucleo di un gruppo parlamentare informale, ma molto coeso e destinato a svolgere un ruolo decisivo nelle combinazioni di governo nei decenni successivi (finanche dopo la morte del leader sotto il nome di democratici costituzionali prima, di Sinistra democratica poi). In parallelo, grazie all’abilità relazionale e al profilo carismatico di Zanardelli, rappresentato come il ‘Gladstone italiano’, si strutturava sul territorio una costellazione politica composta da notabili, giornali, società operaie e dei reduci, associazioni e circoli, facenti capo a lui direttamente oppure indirettamente attraverso i deputati amici che si riconoscevano nel suo discorso di legittimazione liberale delle istituzioni monarchiche.
Nella sua fase di impianto la macchina politica zanardelliana si concentrò prevalentemente nell’Italia centro-nord-orientale delle cento città: Lombardia Veneta (Bergamo, Brescia, Crema); ex ducati padani; province di confine (Mantova e Rovigo); Verona, Vicenza, Venezia e la periferia del Triveneto (Treviso, Belluno e Udine); Toscana universitaria di tradizione risorgimentale (Pisa e Siena). Di seguito, la costellazione si allargò anche alle isole e al Mezzogiorno, assumendo una fisionomia nazionale nel corso degli anni Novanta, suggellata dall’elezione di Zanardelli nel collegio di Nocera Inferiore nel giugno 1900.
L’esito deludente delle elezioni del maggio 1880 – combattute al fianco di Francesco Crispi e Giovanni Nicotera sotto le insegne della Sinistra dissidente a costo della perdita di amici e sostenitori politici – ridimensionarono le aspirazioni di Zanardelli, che si concentrò sulla battaglia per la riforma elettorale in Parlamento e nelle principali città dell’Italia centro-nord-orientale, dove la sua costellazione organizzò una serie di meetings nell’estate 1880. Questa nuova prospettiva gli consentì di compattare i suoi, di rientrare nella maggioranza che appoggiava Cairoli e poi di aderire nel maggio 1881 al quarto governo Depretis come ministro di Grazia e Giustizia allo scopo di rilanciare il suo progetto liberale che, rivelatosi inattuabile in una Camera a suffragio ristretto, era ritenuto praticabile tramite il suffragio allargato. Il biennio 1880-82 vide quindi Zanardelli dare prova di una profonda conoscenza storica e comparata delle normative europee in qualità di relatore della riforma elettorale che, approvata il 22 gennaio 1882, allargò la cittadinanza politica a circa 2 milioni di cittadini e introdusse il ‘suffragio universale possibile’ imperniato sull’alfabetismo.
Il progetto non ebbe esito positivo sia per la svolta trasformista di Depretis che spaccò la Sinistra, sia per il funzionamento della nuova legge elettorale a scrutinio plurinominale che non premiò il suo artefice. La Camera del 1882 risultò più moderata di quelle precedenti, mentre le consultazioni del maggio 1886 segnarono una netta sconfitta della costellazione zanardelliana nei suoi compartimenti di insediamento anche a seguito del disimpegno in campagna elettorale del leader, ripiegato sulla professione e quasi assente dall’agone politico dal 1884, dopo aver contribuito nel novembre 1883, senza troppa convinzione, alla costituzione dello schieramento di opposizione pentarchico con Cairoli, Crispi, Nicotera e Alfredo Baccarini.
L’ingresso di Zanardelli, rientrato sulla scena parlamentare, nell’ottavo governo Depretis nell’aprile 1887 dopo i fatti di Dogali, e la successiva partecipazione sempre come ministro di Grazia e Giustizia ai primi due governi Crispi (agosto 1887-febbraio 1891) riproposero lo schema di condotta delineato nel 1881. Il progetto legislativo intorno a cui mobilitare le energie riformatrici del gruppo parlamentare a lui fedele fu individuato nel completamento del programma della Sinistra costituzionale, accantonato durante il trasformismo: nuova legge comunale e provinciale con l’ampliamento del suffragio amministrativo, riforma delle opere pie e – riguardo all’opera del guardasigilli Zanardelli – modifica dell’ordinamento giudiziario e nuovo codice penale che, varato nel 1889, coronò con l’abolizione della pena di morte e l’introduzione dell’ergastolo una battaglia iconica della penalistica civile italiana, promuovendo altresì innovazioni quali la libertà di sciopero pacifico e la depenalizzazione dell’omosessualità.
Da lì in avanti, questo atteggiamento si sarebbe configurato come la strategia privilegiata di Zanardelli: condizionare le maggioranze parlamentari e i governi amici, anche se non completamente rispondenti ai suoi principi politici, in direzione riformatrice oppure di resistenza rispetto a svolte conservatrici.
Al fallimento nel dicembre 1893 dell’incarico di formare un governo, conferitogli controvoglia da Umberto I in qualità di garante della maggioranza progressista che aveva sostenuto il primo ministero Giolitti e lo aveva eletto alla presidenza della Camera nel novembre 1892, seguì un lungo periodo di opposizione, interrotto soltanto nell’aprile 1897 quando Zanardelli fu nuovamente chiamato alla direzione dell’assemblea a seguito del suo avvicinamento ad Antonio Starabba di Rudinì attraverso un’operazione che fu denominata connubio in ricordo dello storico accordo fra Cavour e Urbano Rattazzi nel Parlamento subalpino.
Il successivo ingresso come guardasigilli nel quarto governo del marchese siciliano fu giustificato dal tentativo di arginare l’avanzata dei ‘rossi’ e dei ‘neri’ evitando al contempo ulteriori politiche illiberali dopo l’accentuazione autoritaria della seconda esperienza crispina del 1893-96, durante la quale gli zanardelliani si erano assegnati il compito di difensori delle pubbliche libertà, cercando senza successo di emendare le leggi contro gli anarchici del 1894. La rovinosa conclusione di questa esperienza a seguito della inusitata repressione del maggio 1898 a Milano e nel resto della penisola, avallata dallo stesso Zanardelli che ricevette in presa diretta telegrammi allarmati dai responsabili delle procure che paventavano la rivoluzione incipiente, mise momentaneamente in crisi il discorso della partecipazione condizionante al governo, che fu tuttavia rilanciato dall’immediata opposizione zanardelliana al tentativo di Rudinì di ripresentarsi in Parlamento con un programma di strutturale compressione delle libertà di stampa, riunione e associazione.
Nominato così per la terza volta presidente della Camera nel novembre 1898 per suggellare la stabilità del primo ‘governo militare’ di Luigi Pelloux inteso come compagine di transizione verso il ritorno all’agibilità delle opposizioni sociali e politiche, Zanardelli si dimise platealmente a fine maggio 1899 dopo la costituzione del secondo governo Pelloux intenzionato a consolidare i ‘provvedimenti politici’ di stampo illiberale approvati in prima lettura anche dalle componenti progressiste della maggioranza con la prospettiva di una loro mitigazione in seconda lettura.
Il ricorso alle dimissioni o alla estromissione dal governo e dalla presidenza della Camera fu il corollario della sua strategia di accesso al potere, contribuendo alla costruzione di un’immagine di inflessibilità che si coniugò in pratica con una condotta parlamentare creativa, come testimonia la collaborazione non solo con tutti i principali capi della Sinistra, ma anche con Rudinì e Pelloux. Questa altalena di cadute e risurrezioni delinea uno stile politico in cui pragmatismo e intransigenza si intrecciarono continuamente, rappresentando bene un settore di opinione pubblica liberale, che, favorevole a un’evoluzione democratica delle istituzioni monarchico-rappresentative, si trovò sempre in minoranza e non di rado schiacciata fra forze conservatrici e forze antisistemiche.
Al durissimo ostruzionismo messo in atto dall’Estrema Sinistra alla Camera prima nei confronti dei ‘provvedimenti politici’, poi della proposta di modifica del regolamento parlamentare che avrebbe dovuto aggirare il filibustering, Zanardelli e il suo gruppo non aderirono fino a quando nell’estate del 1899 Pelloux cercò di riunire le norme illiberali in un unico decreto legge, che il 20 febbraio 1900 la prima sezione penale della Cassazione di Roma dichiarò non più in vigore con una sentenza redatta dal giurista ed ex deputato zanardelliano Luigi Lucchini. Il 3 aprile 1900 l’anziano leader mise in atto il suo personale Aventino annunciando l’abbandono dell’aula da parte della Sinistra costituzionale in segno di protesta verso la messa in votazione, per alzata e seduta senza dibattito, delle modifiche al regolamento dell’assemblea.
Dopo le dimissioni di Pelloux a seguito dei risultati delle elezioni del giugno 1900, l’uscita liberale dalla crisi di fine secolo fu sancita il 15 febbraio 1901 dalla formazione del governo Zanardelli, che ebbe il sostegno non solo dei gruppi eredi della Sinistra costituzionale con Giolitti al ministero dell’Interno e della destra conservatrice liberale dell’industriale milanese Giulio Prinetti, responsabile degli Affari esteri, ma anche la ‘benevola diffidenza’ dell’Estrema Sinistra uscita rafforzata dal voto soprattutto nella sua componente socialista. Il percorso politico-parlamentare accidentato del dicastero, segnato da una serie di dimissioni culminate nell’estate del 1903 con quelle di Giolitti, ridimensionò le aspettative riformatrici dell’ultimo atto politico di Zanardelli, ma non impedì che si configurasse come la più avanzata esperienza di governo dopo quella del 1878, alla quale il presidente del Consiglio commosso si richiamò esplicitamente in aula il 22 giugno 1901. Furono adottate politiche garantiste in materia di libertà pubbliche nonostante le culture della repressione restassero diffuse negli apparati militari e di polizia, introdotti i primi elementi di progressività nel sistema tributario, implementata la legislazione di tutela del lavoro femminile e minorile, perseguita – seppure invano – una riforma del diritto di famiglia con l’introduzione del divorzio, avviato il riavvicinamento a Francia e Gran Bretagna in politica estera, varati o progettati provvedimenti per il Mezzogiorno come la legge speciale per la Basilicata approvata nel 1904. In particolare, quest’ultimo intervento fu accompagnato nel settembre 1902 da un viaggio a Napoli e nelle province lucane che ottenne uno strepitoso successo mediatico e giovò alla popolarità del vecchio presidente del Consiglio, di norma molto attento alla costruzione della sua immagine.
L’ultimo Zanardelli fu oggetto (e si fece fino all’ultimo promotore) di cartoline illustrate, reportage giornalistici, copertine di periodici e supplementi illustrati, biografie popolari pubblicate anche all’estero (come Giuseppe Zanardelli et l’Italie moderne di Alessandro D’Atri uscita a Parigi nel 1903 con l’avant-propos del noto giornalista e scrittore Jules Claretie) che ritraevano momenti sia della sua vicenda pubblica, sia della sua vita privata nella prediletta villa sul lago di Garda, fatta costruire a coronamento del raggiunto status alto borghese fra anni Ottanta e Novanta.
Dopo le dimissioni dal governo presentate in ottobre per gravi motivi di salute, morì celibe a Maderno il 26 dicembre 1903, assistito dalla sorella Ippolita, figlia di sant’Angela Merici.
Fonti e Bibl.: Irma (Brescia), Archivio storico, Fondo Turrinelli; Villa Carcina (Brescia), Archivio storico, Fondo Francesco Bevilacqua, Carte Zanardelli (1868-1916); Archivio di Stato di Brescia, Carte Zanardelli (per cui si rimanda a Le carte di G. Z. Storia del fondo presso l’Archivio di Stato di Brescia e presentazione del regesto dell’epistolario, a cura di F. Iannaci, Brescia 2012); Archivio Zanardelli; Dono Bonardi di autografi zanardelliani; Brescia, Fondazione Banca di credito agrario bresciano, Carte Zanardelli (per cui si veda R. Navarrini, Le carte Zanardelli della Fondazione Banca credito agrario bresciano, in Scritti in onore di Gaetano Panazza, Brescia 1994, pp. 521-561); Bergamo, Biblioteca civica Angelo Maj, Carteggio Zanardelli; Casalmaggiore (Cremona), Biblioteca comunale, Carteggio Giuseppe Zanardelli (1862-1891); Milano, Museo del Risorgimento, Carte Zanardelli; Archivio Gaetano Semenza; Carteggio Guerzoni; Archivio di Stato di Pavia, Fondo Università; Pavia, Archivio del Collegio Ghislieri; Archivio storico civico, Archivio della famiglia Cairoli; Archivio di Stato di Pisa, Fondo Università; Archivio di Stato di Belluno, Commissario regio, 1866. Lettere e documenti riguardanti Zanardelli si possono rinvenire negli archivi di deputati amici, fra i quali: Parma, Biblioteca Palatina, Fondo Micheli-Mariotti; Lonato (Brescia), Fondazione Ugo da Como, Carteggio Ugo da Como; Firenze, Biblioteca nazionale, Carte Ferdinando Martini; Archivio di Stato di Cagliari, Archivio Francesco Cocco Ortu. L’inventario parziale della biblioteca di Zanardelli consta di più di 7000 titoli su un totale di circa 10.000 volumi, di cui solo una parte inseriti nel catalogo della Biblioteca Queriniana. Nella copia dattiloscritta del lascito del 1904 si fa però riferimento a circa 20.000 testi (Brescia, Biblioteca Queriniana, Aut. Cart. 158, f. XVII). In effetti, una parte dei libri non sono inseriti nell’inventario parziale che risale al 1938 e un’ulteriore parte di materiale, per lo più costituito da opuscoli, giace in molteplici casse. Il dipinto dal titolo La famiglia Zanardelli è conservato a Brescia presso i Musei civici di arte e storia. La fortuna mediatica del viaggio in Basilicata è arrivata fino al tempo presente tramite il romanzo di Giuseppe Lupo, La carovana Zanardelli, Venezia 2008.
E. Sanesi, G. Z. dalla giovinezza alla maturità (con documenti inediti), Brescia 1967; C. Vallauri, La politica liberale di G. Z. dal 1876 al 1878, Milano 1967; R. Chiarini, G. Z. e la lotta politica nella provincia italiana: il caso di Brescia (1882-1902), Milano 1976; G. Z., a cura di R. Chiarini, Milano 1983; R. Cambria, Alle origini del ministero Z.-Giolitti. L’ordine e la libertà, in Nuova rivista storica, LXXIII (1989), 1-2, pp. 67-132, 5-6, pp. 609-656, LXXIV(1990), 1-2, pp. 25-100; R. Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, Bologna 1995, pp. 181-183, 190, 192, 196-198, 200, 202, 235, 286 s.; F. Cammarano, Storia politica dell’Italia liberale. L’età del liberalismo classico, 1861-1901, Roma-Bari 1999, ad ind.; C. Duggan, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Roma-Bari 2000, ad ind.; G.L. Fruci, «Sotto la bandiera di Z.»: notabili, rappresentanza e organizzazione della politica a Mantova (1879-1886), in Società e storia, 2000, n. 88, pp. 221-268; Id., Alla ricerca della «monarchia amabile». La costellazione politica di Z. nell’ex-Lombardo-Veneto e negli ex-Ducati padani (1876-1887), ibid., 2002, n. 96, pp. 289-349; R. Chiarini, Z. grande bresciano, grande italiano. La biografia, Brescia 2004; I. Rosoni, 3 aprile 1900. L’Aventino di Z., Bologna 2009; M. Scavino, La svolta liberale 1899-1904. Politica e società alle origini dell’età giolittiana, Milano 2012; A. Arisi Rota, 1869: il Risorgimento alla deriva. Affari e politica nel caso Lobbia, Bologna 2015, pp. 98, 133 s., 138, 140, 224; G.L. Fruci, Le parlement illustré. (Auto)portrait de groupe, faits divers et «grandes individualités» (1860-1915), in Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, CXXX (2018), 1, pp. 105-124; A.A. Cassi, Dalle barricate a Bava Beccaris. G. Z., un giurista nell’Italia del secondo Ottocento, Bologna 2019, a cui si rimanda per un’ampia Bibliografia ragionata (pp. 245-274); M. Cattane, Benedetto Cairoli. Il vessillo della Sinistra storica 1825-1889, Torino-Roma 2020, ad ind.; Camera dei deputati, Portale storico, https://storia.camera. it/deputato/giuseppe-zanardelli-18261126/leg-regno-VIII/organi#nav.