TURRINI, Giuseppe
– Registrato con il nome di Vicenzo Giuseppe, nacque in Avio, nella parte trentina della Val Lagarina, il 5 aprile 1826 da Ludovico (o Lodovico), discendente di una nobile famiglia originaria del Veronese, e da Cattarina (o Catterina, o Caterina) Libera.
Indirizzato dal padre verso il sapere umanistico e la letteratura classica, compì i primi studi sotto la guida del sacerdote Francesco Perotti, frequentando quindi il ginnasio a Rovereto e il liceo a Trento. Dopo essersi diplomato con lode, scelse di calcare le orme del fratello maggiore Carlo proseguendo i propri studi presso la facoltà di medicina dell’Università di Padova. Quivi ebbe modo, insieme con altri giovani provenienti dall’élite colta aviana, di avvicinarsi agli ideali risorgimentali, infervorandosi di patriottismo tanto da decidere di interrompere gli studi e di contribuire, nella primavera del 1848, al movimento insurrezionale della città di Avio, aderendo all’esercito di volontari formatosi nell’occasione dei moti milanesi. Costretto ad allontanarsi dall’Impero asburgico, riparò esule a Pisa, ove poté confrontarsi con un ambiente intellettualmente vivace e dai trasporti patriottici, nel quale riprese a coltivare tanto gli interessi eminentemente letterari quanto gli studi universitari. Qui, nel 1851, ebbe occasione di conoscere e frequentare Matilde Manzoni, alla quale fece dono dell’edizione fiorentina dei Canti di Giacomo Leopardi. Nell’ateneo pisano, inoltre, conseguì il 17 novembre 1854 la laurea a pieni voti in medicina, indirizzato negli studi dal letterato e filosofo patriota Silvestro Centofanti, il quale, su richiesta dei familiari del giovane, e in specie di Margherita Turrini, si interessò alla carriera di Giuseppe e si preoccupò di fargli da tutore. Nel biennio 1855-56 Turrini integrò la propria formazione di medico frequentando la Scuola di complemento e perfezionamento in medicina e chirurgia di S. Maria Nuova in Firenze, ove poté avvalersi degli insegnamenti di Maurizio Bufalini, titolare della cattedra di clinica medica. In quegli anni fu inoltre introdotto da Centofanti nei circoli intellettuali fiorentini, ed ebbe pratica delle biblioteche e degli archivi locali, nei quali ritornava ad approfondire gli studi umanistici e filologici: si accostò in tal modo alla letteratura trecentesca e in particolare alla prosa di Domenico Cavalca, di cui fu grande estimatore e cultore appassionato.
Orientatosi ormai esclusivamente verso la filologia, Turrini si ritirò brevemente ad Avio nel 1857, per condursi quindi a Torino l’anno successivo. Nel capoluogo piemontese, centro d’attrazione per gli spiriti liberali e patriottici del tempo, prese a interessarsi alle lingue orientali e ad approfondire l’indiano antico sotto la guida dell’abate Gaspare Gorresio, che dal 1853 al 1855 aveva tenuto l’insegnamento di studi indo-germanici e sanscrito presso l’ateneo sabaudo. Alle lingue orientali il giovane aviano doveva essersi avvicinato già al tempo del suo soggiorno in Toscana, ove operava Giuseppe Bardelli, professore di sanscrito a Pisa nel 1849, e dal 1852 in servizio presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Dopo tre anni di intenso studio e ricerca, il 26 settembre 1860, Turrini fu nominato dal nuovo ministro dell’Istruzione dell’Italia unita Terenzio Mamiani titolare della cattedra di filologia indo-germanica – dall’anno accademico 1861-62 denominata filologia indo-europea –, istituita presso l’Università di Bologna con decreto del 10 febbraio 1860 da Antonio Montanari, ministro dell’Istruzione del governo provvisorio delle Provincie dell’Emilia retto da Luigi Carlo Farini. L’anno seguente, nel 1861, fu chiamato dal ministero a far parte della commissione dei testi di lingua, che, fondata a Bologna per disposizione di Farini e Montanari, si proponeva di diffondere la letteratura italiana del Trecento e Quattrocento.
Nei quasi quarant’anni di insegnamento nell’ateneo bolognese, Turrini, che pure fu docente apprezzato, non ebbe gran seguito di studenti e non costituì una vera e propria scuola. Piuttosto, si dedicò allo studio e alla volgarizzazione, ancorché non priva di ricercatezze di stampo trecentesco, di testi antichi, da lui sapientemente annotati e commentati; ne è un esempio la traduzione dal latino del trattato Della imitazione di Cristo (Bologna 1874), attribuito autorevolmente fra gli altri dal dotto aviano al monaco benedettino Giovanni Gersenio (XIII sec.). Intimamente e convintamente cattolico, vicino al cristianesimo liberale del suo conterraneo Antonio Rosmini e di Alessandro Manzoni, Turrini votò il proprio ingegno all’esegesi dei testi capitali delle religioni cristiana e indiana: la Bibbia e i Veda. Della sua monumentale opera di traduzione e analisi di questa vasta letteratura, che si proponeva di pubblicare integralmente in più volumi, divulgò i primi saggi in occasione del congresso degli orientalisti tenutosi a Lione nel 1878, rispettivamente il Saggio di un nuovo volgarizzamento della Bibbia in lingua del buon secolo con note e il Saggio di pochi fiori indiani volgarizzati, stampati presso la Regia Tipografia di Bologna su raffinata carta di Fabriano, ciascuno in cento esemplari numerati. Ai Fiori indiani si aggiunsero nel tempo le edizioni di alcuni volgarizzamenti tratti dal Ṛgveda, e le versioni degli inni a Vayu, Indra, Mitra, Aurora raccolte nel Nuovo saggio di fiori vedici (Bologna 1883). Della traduzione dell’inno ṛgvedico I.48 all’Aurora, Turrini pubblicò nel 1889, presso la Regia Tipografia, un’edizione limitata in centocinquanta esemplari (All’Aurora. Inno di Praskaṇva Kāṇva recato di saṁskṛito in volgare) dedicata, insieme con una commovente epigrafe stampata sul recto di un’incisione raffigurante s. Cecilia, alla memoria del fratello Carlo, medico chirurgo, che fu direttore dell’ospedale di Trento, drammaticamente mancato il 25 settembre dell’anno precedente.
Vale la pena di notare, incidentalmente, la tensione e la rivalità che talvolta affiorarono, specialmente in merito alle scelte letterarie e di traduzione, tra Turrini e Giosue Carducci, colleghi nell’ateneo bolognese, i quali pure collaborarono all’edizione affidata a Turrini del dialogo di Orazio Rucellai Della provvidenza (Firenze 1868). In una nota alla prima edizione dell’ode barbara All’Aurora (1881), Carducci dichiarò apertamente di essersi ispirato alle versioni metriche delle strofe vediche composte da Michele Kerbaker, in particolare quella dell’inno ṛgvedico I.92 all’Aurora, tralasciando invece di considerare i saggi di traduzione ai quali Turrini attendeva proprio in quegli anni. Questi, nondimeno, si andava facendo conoscere nella comunità scientifica internazionale, ricevendo attestati di stima ed entrando in relazione con Max Müller, al quale dedicò il primo fascicolo della Raccolta degli Inni del Veda (Bologna 1899), e con gli studiosi dell’Università cattolica di Lovanio, presso la quale furono pubblicati alcuni suoi estratti di traduzione dal Sāmaveda (1882) con testo a fronte, note, e glossario. Diede inoltre alle stampe un inno a Parjanya (A Pargiania. Inno di Vasiṣṭha recato di saṁskṛito a comune volgare, Bologna 1892), senza però limitare i propri interessi di indianista alle traduzioni del corpus vedico: negli stessi anni, infatti, si volse anche all’opera del poeta classico Kālidāsa, del quale studiò il Meghadūta e il Raghuvaṁśa, traendo da questo i versi volgarizzati dell’Ajavilāpa (Il lamento del re Agia sopra Indumatī sua moglie, Bologna 1899).
Tra le cariche ricoperte da Turrini si ricordano quella di presidente, tra il 1865 e il 1867, della Società di mutuo soccorso e patronato per l’emigrazione politico-italiana dell’Emilia, e quella di membro, dal 1866, della deputazione scolastica comunale. Egli entrò inoltre a far parte nel 1868 dell’Accademia di scienze lettere ed arti della città di Urbino, e nel 1875 della Société asiatique di Parigi, nella quale fu cooptato dall’iranista Jules Mohl, che all’epoca ne era presidente. Nel 1878 fu insignito del titolo di cavaliere della Corona d’Italia.
Turrini non ebbe figli e non prese mai moglie. Persona solitaria, affabile e dall’aspetto estroso contraddistinto dall’abitudine di portare una lunga barba e di indossare il caratteristico cappello a cilindro, depositò il proprio testamento in Ala nel 1889, dopo essere rimasto l’ultimo membro ancora in vita della sua famiglia. Ispirato dal modello di Antonio Rosmini, lasciò tutti i beni alla Congregazione di carità della città di Avio affinché istituisse un asilo d’infanzia. Il vasto archivio personale costituito da libri rari e manoscritti inediti fu invece donato alla Biblioteca comunale di Trento. All’ateneo bolognese giunsero i caratteri tipografici indiani composti con gli antichi accenti vedici, che lo studioso aviano aveva fatto fondere a proprie spese.
Dopo lunga malattia si spense a Bologna il pomeriggio del 24 gennaio 1899. I solenni funerali si svolsero il 27 gennaio: Francesco Acri, docente di storia della filosofia presso l’ateneo bolognese, celebrò il collega indianista pronunciando l’estremo saluto. La salma fu trasportata in treno ad Avio e deposta nel sacello di famiglia.
Fonti e Bibl.: Il fondo Giuseppe Turrini dell’Archivio storico della Biblioteca comunale di Trento contiene oltre mille manoscritti, che comprendono le traduzioni di inni vedici, di estratti del Rāmāyaṇa, di passi di Kālidāsa, di favole del Pañcatantra, e inoltre diversi appunti di argomento linguistico e letterario, un ricco carteggio e circa trenta lettere inviate a Margherita Turrini da mittenti vari. Di Margherita Turrini sono conservate settantuno lettere nel carteggio Centofanti presso l’Archivio di Stato di Pisa. Alcune lettere inviate da Giuseppe Turrini sono conservate nel carteggio De Gubernatis presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Informazioni biografiche sono reperibili nei registri dell’Archivio storico parrocchiale di Avio.
G. T., in F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, pp. 307 s.; F.L. Pullé, G. T., in Studi italiani di filologia indo-iranica, II (1898), 2, pp. X-XIV; Ricordo di G. T., Trento 1899 (contiene le commemorazioni di F. Perotti Beno e A. Valdarnini); T. Lingue dell’India, in Rivista degli studi orientali, 1913, vol. 5, pp. 269-271; G. Libera, Fatti e uomini del 1848 ad Avio, in Studi trentini di scienze storiche, XXVII (1948), pp. 63-68; A. Cetto, La Biblioteca comunale di Trento nel centenario della sua apertura, Firenze 1956; L. Segarizzi, G. T. Uomo di studio e di azione, in Adige panorama, I (1970), 2, p. 17; Id., Scoperto l’epistolario di G. T. di Avio, in I quattro vicariati e le zone limitrofe, XVII (1973), 2, pp. 126-131; Id., Uno studioso da ricordare. G. T. (Avio 1826-Bologna 1899), in Studi trentini di scienze storiche. Sezione prima, LV (1976), pp. 51-63; A. Crafa, Corpo e lamento funebre. Alcune riflessioni sulla traduzione dell’Agiavilāpa dell’indologo G. T. (1826-1899), in Annali di Ca’ Foscari. Serie orientale, LV (2019), pp. 317-339; Id., G. T. Kalidāsa, il Risorgimento e la polemica anticattolica tra Otto e Novecento, in corso di stampa.